Poison in Jest : analisi di un romanzo di rottura

gennaio 15th, 2013

Un nuovo articolo di Pietro De Palma in esclusiva per il blog de “Il Giallo Mondadori”.

at-9-16-poisoninjest.jpg

Lo Speciale N. 68 del Giallo Mondadori “Veleni Letali”,uscito nell’inverno 2012, prima di Natale,  propone 2 romanzi, il primo di John Dickson Carr, il secondo di Hillary Waugh, ed un racconto di Anthony Berkeley: di Carr è proposto “Piazza Pulita” (Poison in Jest), assente da oltre trent’anni dall’edicola; di Waugh, un romanzo ancor più difficile a trovarsi, “Veleno in Famiglia”, ( Pure Poison); di Berkeley, il rarissimo “Il Baratttolo Sbagliato” (The Wrong Jar). Tuttavia, sebbene le opere di Waugh e di Berkeley possano essere oggetto di attenzione al pari dell’opera di Carr, è chiaro che l’attesa dello Speciale da parte di molti, era giustificata dal fatto che vi fosse presentata “Piazza Pulita”, di cui molti lamentavano la non pubblicazione da molti anni a questa parte.

Poison in Jest è una delle opere senza personaggio fisso di Carr.

Apparve nel 1932. A quel tempo, l’unica serie fissa che Carr avesse allestito, era quella di Bencolin, di cui erano usciti quattro titoli (It Walks By Night, 1930; Castle Skull, 1931; The Lost Gallows, 1931). Nel 1932 uscirono altri due titoli: The Waxworks Murder, che meritò anche l’edizione americana: The Corpse In The Waxworks; e Poison in Jest, appunto.

Vediamo la storia.

Jeff  Marle va a trovare il giudice Quayle. Nella sua casa imponente vi vive tutta la sua famiglia assieme a lui: la moglie, i 4 figli (Matt, Clarissa, Jinny, Mary), il genero e marito di Clarissa, dottor Twillis, più il personale di servitù. In origine, i figli erano cinque: c’era anche Tom, che aveva però preferito andar via da casa e pertanto era stato diseredato.

Nella casa regna la tristezza,  il risentimento tra vari rappresentanti della famiglia, e nei confronti del giudice, che crede sia odiato da molti, e un orgoglio mal interpretato, perché ai fasti di un tempo, di cui sono rappresentanti le vestigia della casa, tra cui una magnifica statua dell’imperatore Caligola, cui manca una mano, fa da contraltare la miseria effettiva, giacchè il capofamiglia non ha più nessun soldo, i figli fingono che siano ancora i Quayle di un tempo, mentre l’unico che tiene in piedi la baracca è il dottor Twills, che, agiato, foraggia le necessità del vecchio.

Ecco quello che Marle trova al suo arrivo. Il giudice teme per la sua vita, parla di un suo manoscritto, e, nel mentre, accadono due oscuri fatti: qualcuno tenta effettivamente di uccidere il vecchio giudice avvelenando il sifone del seltz con idrobromuro di joscina, di cui il medico ha una bottiglia contenente circa 300 mg nella sua stanza, in virtù dei suoi trascorsi come psichiatra; e nello stesso tempo, l’avvelenatore cosparge il pane tostato della moglie del giudice, con dell’arsenico.

Il dottor Twills, rivela a Marle di avere dei sospetti su chi possa essere l’avvelenatore e teme nuovi sviluppi visto che la bottiglia contenente la joscina gli è stata sottratta. Prima che possa però arrivare al dunque, viene avvelenato mortalmente con lo stesso alcaloide.

A gestire le indagini è il Commissario di Contea Sargent. Ma se è vero che almeno ufficialmente è lui il responsabile dell’inchiesta, in realtà dietro di lui si muovono Marle, che è un poliziotto, e soprattutto un investigatore privato, Pat Rossiter, innamorato della figlia di Quayle, Jinny, chiamato lì e annunciato da un telegramma spedito prima dell’omicidio di Twills: è lui che risolverà l’enigma.

Nella casa c’è un’atmosfera di morte e di pazzia: il giudice è ossessionato da una mano bianca che si muove e gli appare (sarebbe quella persa dalla statua), qualcuno ride nel momento in cui Twills muore, qualcuno tenta di avvelenare il giudice Quale e la moglie con due diversi tipi di veleno, il giudice parla di complotto, Twills nei suoi appunti, vergati prima di morire, ha scritto che qualcosa è stato bruciato nel caminetto, ha lasciato degli strani ghirigori che potrebbero riferirsi ad uno schizzo di persona ed una formula chimica, quella della morfina. In realtà sul braccio del giudice viene individuata una serie di segni causati da iniezioni (morfina?): l’ossessione della mano quindi sarebbe il frutto di allucinazioni? Oppure la morfina viene data per altro?

Fatto sta che con un’abbondanza di indizi e di persone sospettate, Sargent non sa che pesci prendere. Si ricava solo che qualche giorno prima si era parlato di avvelenamento allorché si era ricordato il caso della Marchesa de Brinvilliers e del suo amante, il Cavaliere di Saint-Croix, celebri avvelenatori del secolo diciottesimo. E che quindi qualcuno ne aveva ricavato l’idea base.

Si sono sentiti dei passi, che la signora Quale, attribuisce ad una donna, prima che lei venisse avvelenata: passi veloci, passettini. Abbiamo un’avvelenatrice? Chi? La signora Quayle è esclusa: per quale ragione si sarebbe avvelenata? Rimangono quindi le altre due figlie: Jinny e Clarissa.

Ci sarebbe qualcuno del personale, ma viene presto escluso. A sua volta, il padre rilancia l’ipotesi di un avvelenatore maschio: mentre ricorda gli aventi di qualche giorno prima, ricorda che in quel mentre era entrato il figlio Matt ed aveva sentito tutto (ma del resto, interrogato, il giudice Quayle si affretta a dire che la porta era aperta e quindi chiunque avrebbe potuto sentire l’oggetto del suo discorso); Matt però era quello che aveva portato alla madre il pasto, in cui il pane era avvelenato.

Insomma di carne sul fuoco ce n’è in abbondanza.

Pat Rossiter arriva a casa: è Jeff che lo trova per la prima volta, ed il ritratto che ne fa è di un pazzo, se non di un personaggio altamente bislacco: “C’era un uomo seduto per terra, che stava parlando ad una scala. In una mano teneva un vecchio secchio di legno, e nell’altra qualcosa che assomigliava a una calza rotta. Una coperta incrostata si sporcizia gli pendeva dalle spalle…Sospirò e cominciò ad alzarsi in tutta la sua sorprendente statura, togliendosi la polvere dall’abito. Aveva un orrendo cappello piantato indietro sulla testa, e dal labbro inferiore gli pendeva un mozzicone di sigaretta spento…con l’espressione più felice che avessi visto su faccia umana…Poteva avere la mia stessa età, con una faccia simpatica e vivace, begli occhi ed un’eterna aria di curiosità.Aveva le spalle forti come un uomo di mare, ed era avvolto in uno strano mantelloverde: le sue scarpe erano fra le più grandi che avessi mai visto e portava una cravatta con i colori di Harrow…Ho sempre desiderato fare l’investigatore, dopo essere stato licenziato da tutti i posti di lavoro..Sedette sullo scalino..con la coperta sporca gettata sulle spalle.Buttando via il mozzicone, tirò fuori cartine e tabacco e mi guardò quasi con aria di trionfo…Dicevo che sono un po’ strano..Il vecchio, là dentro mi considera come un veleno!” (Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, cap. 11, pagg. 87-88-89).

Jeff gli annuncia che il dottor Twills è stato assassinato e ci sono stati due tentativi di avvelenamento. Rossiter si mette all’opera, anche con metodi non proprio ortodossi, per esempio quando chiede ai presenti, di provare a fare degli schizzi, delle prime cose che fossero venute in mente:

“..Tracciate un disegno. – Che cosa? – Tracciate un disegno, ripetè l’altro, con tono fermo e diventando serio. – Ma non capite l’importanza di fare un disegno? Non ne vedete l’importanza profondamente psicologica che avrà sulla soluzione del caso? – No, che mi venga un accidente se ci capisco qualcosa – disse Sargent. – Che disegno? – Uno qualsiasi. – Ma sentite – suggerii con la massima calma possibile – che senso ha tutto ciò? Io non so disegnare e credo neanche Sargent. – Ah, ma questo è il punto, non lo capite? Se aveste saputo disegnare, non ve l’avrei chiesto, vi pare?” (op. cit.  pag. 104).

Questi metodi, alcuni come Sargent ritengono possano essere ascritti ad nuovo modo di investigare, altri come Marle li reputano delle stranezze, altri come il dottor Reed, il medico amico di Quayle, li definiscono delle “stupidaggini”. Persino Virginia Quale,  Jinny, “la ragazza” di Rossiter, è arrabbiata, convinta che l’investigatore, che lei ha chiamato a casa con un telegramma, stia combinando una delle sue.

Fatto sta che, per strano che possa sembrare, anche questa caratterizzazione psicologica dell’inconscio avrà una spiegazione nella soluzione finale. Rossiter, incompreso, deriso, strano e bislacco che possa sembrare, riuscirà a individuare l’assassino, non prima però che sia riapparso “il figliol prodigo”, Tom;  e che nella cantina, egli, l’omicida,  abbia piantato un’accetta nel cranio di Clarissa.

Leggi tutto »

Popularity: 64% [?]

Posted in Extra, Pulp Corner | commenti 24 Comments »

Scorribande giallistiche II

novembre 14th, 2012

Un excursus leggeretto e un po’ pazzetto in qua e là. Come viene, viene…

Parto dalla nostra Agatha e dalla sua autobiografia dalla quale si evince che in fatto di mascalzoni andava per le spicce. Al malcapitato delinquente due opzioni: bere la cicuta od offrirsi volontario per le sperimentazioni al posto degli animali. Un po’ forte ma per certi disgraziati maledetti anche poco.

 La quale Agatha, tanto per rimarcare il suo ingegno, fu l’autrice del finale più interessante e “strano” (diciamo pure inverosimile in accezione positiva) di quel libro buttato giù a ventiquattro mani che è “L’ammiraglio alla deriva”. Insomma di quel parto miracoloso dei membri del “Detection club” (spiegazione inutile che già sapete tutto) il cui capitolo risolutivo era toccato ad Anthony Berkeley. Finale, il suo, nella norma, mentre la Regina del giallo ci infila un travestimento uomo-donna che è tutto una goduria. In più c’è la Marple che fa una testa così al povero ispettore Rude.

 

Dimezzando le mani esce “Veleno”, mica male anche questo se ad iniziarlo è una certa Dorothy L. Sayers e ho detto tutto, come diceva Peppino in un famoso film con Totò. Emma Farland, vedova, (e fin qui niente di strano), ricca (le cose si complicano) pensa che ci sia tra i suoi infidi eredi qualcuno che la stia avvelenando. E infatti perde peso ogni secondo ma nessuno le crede. Il solito, terribile finale, tocca allo scrittore David Hume le cui ultime parole dopo l’impresa furono “Che Dio mi scampi e liberi dal ripetere in avvenire una simile esperienza”.

agatha_christie.jpg

A proposito di Berkeley, citato in precedenza, è uscito “uora uora” per la benemerita Polillo “Uno sparo in biblioteca” del 1925, in cui fece la sua prima apparizione l’investigatore dilettante Roger Sheringham che abbiamo già visto alle prese con il celebre “Caso dei cioccolatini avvelenati”. Oltre che per i suoi libri Berkeley è ricordato anche per la frase perentoria “Quando troverò qualcosa che mi renderà di più delle detective stories, mi dedicherò a quello”. E fu di parola, perché ad un certo punto smise di scrivere gialli. Rimane il mistero di che cosa abbia trovato ma di sicuro non una cosa brutta.

Alla morte di Rex Stout tutti piansero anche per quella di Nero Wolfe. Ma se il primo rimase inchiodato nella tomba, il secondo risuscitò per opera di Robert Goldsborough che riuscì a ricostruire con ottima fedeltà i personaggi immortali. Anche se Archie Goodwin beve liquore al posto del latte (orrore!). Sempre sul grande Nerone si sa che in uno dei racconti bellici (quelli meno riusciti) si addestra con il cuoco Fritz Denner, fa pure la dieta e mi viene da scompisciarmi dal ridere in ogni caso.

René Raymond, meglio conosciuto come James Hadley Chase, famoso per le famose orchidee che non voleva dare a Miss Blandish, rimane ancor più famoso per la “sua” America che è come la Malesia di Salgari (già sentita mille volte). Mai vista, o poco vista, reale più di quella reale. Oltre che sul noir, Chase si buttò anche sulla spy-story, il cui eroe è Mark Girland, donne ai suoi piedi, alcol in bocca senza misura. E siccome Chase non era un bischero, verso gli anni ottanta, visto il vento che tirava (leggi Kaminski, Bloch, ecc…) si sposta sul leggero, ironico e sofisticato, (vedi “Delitto ad opera d’arte”) a dimostrazione che un talento naturale svaria anguillesco da tutte le parti. Solo con i pederasti come Kendrik ironizza mica tanto.

A proposito di Kamisnki citato, o meglio di Stuart Kaminski, oltre ad avere creato un bel personaggio come l’investigatore Toby Peters (modelli Sam Spade e Philip Marlowe, però lui è più scalcagnato) ci ha lasciato, con i suoi gialli, praticamente un ritratto del cinema americano degli anni Quaranta. Ora ci fa entrare nel set de “Il falcone maltese”, ora in quello de “Il mago di Oz” ecc.. dove troviamo una serie di attori del tempo indimenticabili. Tra cui anche Ronald Reagan dimenticabile, dimenticabilissimo. 

 

Ritorniamo sulla spy-story con sua Altezza Serenissima Malko Linge (un agente della CIA) del giornalista francese Gérard de Villiers. Questo gran figlio di buona donna dagli occhi d’oro ogni tanto accusa qualche malanno come un certo vecchietto con un piede e tre quarti nella tomba (vi ricorda qualcuno?): rene, occhi, prostata, colpo della strega e perfino le ignobili emorroidi lo rendono edotto che siamo uomini e non caporali. Va da tutte le parti, perfino in Yemen e in Perù (qui ha pure l’artrosi e una diarrea, ma si rifà con il Pisco sour e il sesso che non manca mai). Suoi nemici uomini ben piantati in carne ed ossa muniti di aggeggi sparatutto ma anche certe ragazze dalle mille sfumature (tanto per restare in tema di oggi). Miranda, Ines e Angelina. Miranda lo vuole fare nella in piscina, no, non sopra (troppo facile) ma sott’acqua; Ines, invece, che è una giornalista, sulla rotativa mentre si stampa il giornale (mi pare giusto); Angelina, la meno complicata delle tre, si accontenta di avere come guardone un puma nero (altrimenti si blocca).

 barracuda.jpg

E, sempre parlando di spy-story, occhio alla riproposizione delle mitiche avventure di Chanche Renard su “Segretissimo” e non vi dico il nome dell’autore. Diciamo che è un vero professionista che passa anche da queste parti.

 

Se Miss Marple beveva liquorini, Slim Callaghan, creatura di Peter Cheney, affoga nel whisky e soda o giù di lì. Soprattutto al “Gatto verde”. E se Patrick, il barman, sbaglia e gli rifila una Coca-Cola si becca una pallottola. Certi errori sono imperdonabili (“Mai un momento di quiete”).

 

Ricordo Alan A. Milne, non tanto per quello che scrisse, cioè “Il dramma di Corte Rossa”, quanto per quello che ne dissero gli altri. In primis Raymond Chandler che gli dette del dilettante, poi Rex Stout che lo trovava, invece, incantevole (il libro), ed infine Alexander Woolicott per il quale era uno dei tre migliori mystery di tutti i tempi. Come a dire de gustibus con quel che segue.

 

Ne uccide più la gola della spada ma anche certi reperti antichi e le monete non scherzano (mi è venuta così). Trenate di morti ammazzati, per esempio, intorno ad un dollaro del 1805 o ad un penny del 1954 della Zecca inglese mai entrato in circolazione. E poi ci mettiamo tutti quegli oggetti o opere d’arte che portano sfiga secolare come quadri, gioielli di vario tipo, vasi etruschi e greci, un’icona della Grande Caterina di Russia e le porcellane di Sèvres che sono così carine a vedersi. Senza i collezionisti il giallo sarebbe ben più misero e povero. Di cadaveri, si capisce.

 1949_loveisadeadlyweapon.jpg

Soprattutto i libri rari e antichi scatenano gli appetiti più impensabili (un famoso investigatore fissato con questi è Cliff Janeway di John Dunning). Stavo leggendo un articolo in proposito. Seimila furti nelle biblioteche italiche solo nei primi sei mesi dell’anno in corso (notate la “s” come scivola). Devastata la Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Proprio da chi doveva difenderla dai furti (Quis custodiet custodes?). Certo con quello che valgono certi testi la tentazione ci sta. Il breviario di due santi è arrivato a un milione di euro (e poi dicono che le preghiere non contano). Ultimo giallo letto in proposito “Il metodo Cardosa” di Carlo Parri, Mondadori 2012. Qui a creare sangue versato un libro antico del Cinquecento in cui è incollato un manoscritto, forse dell’anno Mille (lo vogliono in tanti, pure gli americani) copiato in latino criptato dal fratello minore di Giovan Battista della Porta, che svelerebbe i segreti del teletrasporto (se ho capito bene). Sul successo del libro e sul roseo futuro dell’autore mi ci gioco le palle (e non dite per quello che contano a questa età, via!). Proprio nel momento in cui scrivo è uscito “I cospiratori” di Bill Pronzini, Mondadori 2012, e qui di mezzo ci sono otto libri autografati (tra gialli e hard boiled) che valgono mezzo milione di dollari spariti dalla biblioteca di un collezionista. Biblioteca praticamente inaccessibile e dunque il classico mistero della camera chiusa. Senza il morto, per ora…

 

Se non sono incunaboli od oggetti rari a creare esseri irrigiditi ecco che ci si mettono pure famose scacchiere e pubblicazioni scacchistiche. Come in “Il maestro di scacchi” di Massimo Salvatorelli, Piemme 2012 in cui la “interpretazione” di certi documenti permetterebbe di arrivare al “tesoro di Garibaldi”. In parte storia vera, in parte inventata, uno squarcio di Risorgimento, passioni scacchistiche, personaggi storici famosi come il Generale e famosi scacchisti come Serafino Dubois, indagini, domande, riflessioni, dubbi e incertezze, atmosfere inquietanti fino all’epilogo.

E a proposito di scacchi non si trova pubblicazione più o meno tinta di giallo in cui non spuntino fuori. Anche nel post-noir “Strane cose, domani” di Raul Montanari, Baldini Castoldi Dalai 2012, dove il protagonista principale gioca a scacchi in internet con un ragazzino. Però si aiuta con un software, birbantello. In Il caso Maloney di Graham Hurley, time Crime 2012, “L’indagine era diventata una partita a scacchi, uno contro uno. Finora Oomes aveva giocato in modo eccellente, aveva ancora tutti i pezzi, ma stava iniziando a mostrare la prima piccola breccia nella sua difesa e l’SOS annullato era una crepa che Faraday non poteva permettersi di ignorare. Come tutti i bravi scacchisti, poteva arrivare a Oomes di soppiatto, da dove lui meno si aspettava” (283). In L’isola dei cacciatori di uccelli di Peter May, Einaudi 2012, per quanto riguarda la casa di Minto “Il salottino era spartano e pulito, privo di foto o ninnoli, fatta eccezione per una scacchiera su un tavolo vicino alla finestra, con gli scacchi disposti in varie posizioni sui quadrati avorio e neri” (259). Sono scacchi di Lewis i cui originali (alcuni pezzi) “sono in mostra al Museo nazionale scozzese di Edimburgo” (260). Tanto per portare tre esempi recenti su millanta.

Se c’è da leggere, bene. Se c’è da leggere ed investigare ancora meglio. Così dovettero pensare i lettori americani (anni Trenta) de “Il caso Claudia Cragge” di Patrick Quentin, un giallo con allegati una serie completa di indizi per risolvere il caso: rapporti di polizia, fotografie, scatole di sigarette, carta con macchie di sangue, perfino una bustina di cipria ecc.. Per i più bravi una bella soddisfazione, per i più testoni una busta con la soluzione e la confessione dell’assassino (va bene, la busta c’era in ogni caso).

eq01-01.jpg

Ellery Queen mica era un fessacchiotto (nessuno l’ha mai detto ma mi piaceva questo inizio). Per attirare l’attenzione di una più ampia variegata schiera di lettori scrisse “Il re è morto” dove ci infilò la spy story, il giallo archeologico e il mistero della camera chiusa. Tiè!

 

Veniamo a noi. O meglio, veniamo ai nostri insuperabili G.M. Con il nuovo corso di Forte, coadiuvato dall’inimitabile (e di’o po’o) Boncompagni, si stanno riscoprendo eccellenti prodotti: di Carr, Biggers, Pronzini, Armstrong, Japrisot, Innes, Perry, Chesterton e via discorrendo. Il sottoscritto, che non ha paura di muovere la sua linguaccia se c’è da criticare, ora è in uno stato di sovrana  beatitudine e dispensa lodi per ogni dove (perfino nelle sue “Letture al gabinetto” qui http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/ ).

Vorrei anche attirare l’attenzione sugli scrittori relegati in fondo ai libri. Qualche lettore del blog si è lamentato che non si parli mai di loro, cioè di quello che scrivono nell’apposita rubricaI racconti del giallo”. Di seguito miei brevi commenti su alcune recenti letture, a dimostrazione che l’attenzione verso il nuovo c’è, esiste, ed il nuovo non è per niente male.

 

1)    “Come una palla di fuoco” di Andrea Franco. Un morto bruciato al centro di un cerchio, un gioco fantasy con mostri, guerrieri, ladri e maghi, una palla di fuoco, una moglie che tradisce. La classica vendetta di un marito cornuto? Oppure…oppure…Un racconto costruito con intelligente eleganza.

 

2)     “La pistola nello zaino” di Aldo Selleri. Storia di un colonnello cileno sterminatore di comunisti che sta per pagare il fio dei suoi misfatti. Storia di un amore finito. Semplice e bello.

 

3)    “Il veleno dell’iguana” di Alan Vendì. Storia di un professore e di una sua allieva. Sogni infranti di adolescente ed ora il prof. è lì legato davanti a lei. Un po’ scontata la prima parte, buono il finale con una punta di commozione.

4)    “Polvere” di Riccardo Carli Ballola, su un tema piuttosto sfruttato ma costruito e svolto con delicatezza: la pedofilia. Un uomo che ritorna al suo paese, i ragazzi della parrocchia che giocano. Un incontro a casa con il vecchio parroco che fa riemergere una ferita di dolore. Il tempo che gira a vuoto. La morte.

5)    “Datteri, seta e polvere nera” di Marco Philip Massai. Un’impresa assai rischiosa quella di Lagâri, volare “sul maestoso Falco di Ferro, sospinto dal potere del fuoco” fino alle nuvole davanti al sultano Murad IV. Impresa riuscita ma non si riesce a capire perché Lagâri è ancora vivo se un tale dichiara di averlo ucciso. Piacevole e ingegnoso racconto.

 

6)    “Sotto la pelle di Partenope” di Emilio Daniele. Napoli, sul finire dell’Ottocento. Un prete morto d’infarto su una puttana uccisa, una trascrizione dei segni sulle bugne della chiesa di Gesù che ha una bella importanza per un testamento segreto. Tra nobiltà decaduta, guappi e vicoli malfamati.

 

7)    “Come foglie al vento” di Antonella Mecenero. Roma, autunno 77 a.C. Irzia, una delle amanti del famigerato Gneo Cornelio Dolabella, viene uccisa con quattro coltellate. Su richiesta del fratello si mette alla ricerca dell’assassino addirittura Giulio Cesare in persona che deve sostenere una accusa in tribunale contro lo stesso Dolabella. Ricerca del colpevole ma, soprattutto, una “indagine” sul mondo degli uomini e delle donne del tempo dove entrambi i sessi sfoderano le loro armi per farsi largo nella società e primeggiare. Racconto semplice e delicato che fa riflettere.

 

Per chi ama approfondire il mystery c’è Sherlock magazine di Luigi Pachì, per altri generi come il fantasy, la fantascienza, la spy story c’è Writers magazine di Franco Forte. Quest’ultimo è anche un vero e proprio laboratorio di scrittura. Buttatecevi, buttaviteci, buttatevici… insomma abbonatevi!

 

Nuovi aggeggi per leggere al posto del cartaceo: l’ipadde, l’ipodde, l’ipudde. Da questa stronzata si capisce che sono tagliato fuori.

 

Dopo il gialletto rosa e le famose sfumature che hanno fatto uscir gridolini di piacere da tutte le parti ecco il gialletto grigio e riprendo un pezzo, volutamente sgangherato, che dà l’idea di dove si sta andando a finire “Classico il caso di uno mettiamo pure che sia un commissario che sta con la mogliera ma che non vuole più starci e non ha il coraggio di levarsi dalle palle da una vita di merda e mettiamo che si innamori di una più giovane (perché mai di una più vecchia?) la quale più giovane vuole un bene dell’anima al suddetto commissario così dolce e quieto sì però è pure attratta da uno altrettanto più giovane di lui più birbetto e mascalzoncello e allora sai i tremori i dubbi gli assilli i vaneggiamenti con la mogliera che anch’essa piccinina santa non sa a che santo votarsi appunto e cerca conforto con le amiche e pure il gatto si è fatto triste e malinconico con i baffi che gli cascano sotto il mento. Se poi nell’ambaradan sentimentalesco ci infili anche una divorziata che da pulzella aveva fregato il ragazzo dell’amica del cuore diventato suo marito che l’ha lasciata e ora freme per uno che però da sempre amico innamorato della stessa amica del cuore di prima (ci siamo?) e allora giù sospiri pianti e alti guai e non c’è nemmeno una bella ruzzolata sul letto o uno stringer famelico di chiappe ma appena accennato un bacetto piccolo così e va a finire che non si combina niente e quello va via da quella e da quell’altra e il commissario di prima si ritrova solo soletto con la mogliera che si è levata lei dalle palle e la morosa in preda a dubbi assillanti che ci vuole una pausa lunghina di riflessione e noi lettori a buttar giù dagli occhioni intristiti secchiate di lacrime e a gridare maledetto il mondo e maledetto il momento in cui si è letta questa storia. Li mortacci!”.

Per rimanere in tema di sfumature anche il sottoscritto, che non vuole rimanere fuori dal giro, ha già buttato giù un suo canovaccio, già pubblicato nel blog di Sartoris, alias Omar Di Monopoli, cercando di inserire la storia nel contesto giallo a me più congeniale. In breve (ma breve, breve) l’assassino è un giovanottone psicopatico superdotato con un pisello di cinque chili che trasporta in carrozzina. Questo tizio, fissato con il kamasutra, fa all’amore con le signore-signorine conquistate in giro per il bambino  esposto che è tanto caruccio tutto il suo babbo, seguendo con preciso ordine le posizioni del sacro testo, praticamente uccidendole mentre sono al culmine del piacere. Amore e morte allo stesso tempo. Al compimento dell’ultima posizione schianta anche lui e si va tutti a casa. Titolo “Il batacchio infernale”, casa editrice Sottoachitocca 2012. Piuttosto greve ma di sicuro effetto. Ora sto preparando “Il randello dell’avvocato” per le edizioni Checidòchecidòchecidò (specializzate in questo genere di narrativa) con uno stile più raffinato e dannunziano per signore e signorine di un certo rango. Senza farla tanto lunga posso anticiparvi che le vittime, dopo avere subito sevizie di ogni tipo, vengono uccise a “randellate” in testa.

“Tempus fugiolit”, come sentenziò uno dei miei allievi più preparati. Il tempo vola e ruba pezzi di vita. Volti, sorrisi, abbracci, speranze, emozioni. L’amico che stava seduto con te sui banchi di scuola, quello che ti passava le sigarette perché non avevi mai una lira in tasca, la ragazza di cui eri innamorato non ricambiato  E così fuggono via i miti che hanno spruzzato d’oro la tua giovinezza. Una stretta al cuore. Per fortuna c’è ancora qualcosa a cui restare aggrappati. La salvifica ironia toscana lasciatami in eredità dal mio babbo tra un calcio in culo e l’altro e Jonathan che cresce come un drago. E vai!!!!!!!!!!!!!!!!

Un caro saluto da…

Fabio e Jonathan Lotti

Popularity: 42% [?]

Posted in Extra | commenti 12 Comments »

Dissertando di camere chiuse

gennaio 12th, 2012

Torna puntuale, l’appuntamento con “La camera chiusa” la nostra rubrica dedicata al mistery nella quale, questo mese, Piero De Palma ci parla di “The hollow man” dell’impareggiabile John Dickson Carr.

Buona lettura!

—————

Possibili origini della Locked-Room Lecture in “The Hollow Man”, di John Dickson Carr

hollow-man-john-dickson-carr.jpg

Assumendo come punto di riferimento la Locked-Room Lecture in “The Hollow Man” di Carr, dobbiamo rilevare come una prima dissertazione sulle Camere Chiuse risalga purtuttavia a quasi quarantaquattro anni prima.

Infatti Israel Zangwill nel capitolo IV del suo The Big Bow Mystery (1892), elenca tutta una serie di possibili eventualità atte a spiegare una Camera Chiusa:

“Tra i molti prodotti della fantasia, c’erano non poche soluzioni degne di rilevanza, che però fallirono miseramente, come razzi al posto di stelle cadenti. Una di queste era che, nell’oscurità della nebbia, l’assassino era salito alla finestra della camera da letto, dal marciapiede, per mezzo di una scala. Poi, con un diamante, aveva tagliato via uno dei vetri, riuscendo così ad entrare. Nell’andarsene, aveva rimesso a posto il vetro (o un altro che si era portato dietro), ragione per cui la serratura del­la porta non era stata scassinata. Quando fu ribat­tuto che i vetri erano troppo piccoli, un terzo letto­re rispose che il fatto era irrilevante, perché sareb­be bastato infilare una mano per aprire la finestra, per poi ripetere l’operazione prima di andarsene. Questo edificio di vetro fu fatto crollare da un ve­traio: scrisse che era impossibile fissare un vetro da una parte sola dell’intelaiatura, perché sarebbe ca­duto non appena fosse stato toccato e, in ogni caso, lo stucco umido non sarebbe sfuggito all’investiga­tore. Si avanzò anche l’ipotesi che fosse stato tolto e rimesso un pannello della porta e alla fine al nu­mero 11 di Glover Street era stato attribuito un nu­mero infinito di botole e porte scorrevoli, neanche si fosse trattato di un castello medievale. Un’altra di queste teorie ingegnose sosteneva che l’assassino era rimasto nella stanza per tutto il tempo in cui c’era stata la polizia… nascosto nel guardaroba. Oppure che si era messo dietro la porta quando Grodman l’aveva sfondata e che non era stato no­tato nella confusione generale e perciò era riuscito a fuggire, con l’arma del delitto, nel momento in cui l’ex investigatore e la signora Drabdump stava­no esaminando la chiusura della finestra.

A sostegno non mancavano spiegazioni scientifi­che che facevano capire come l’assassino avesse sprangato e chiuso a chiave la porta dietro di sé. Sarebbero state usate delle potenti calamite fuori della porta per girare la chiave e rimettere la spran­ga all’interno. La fantasia della gente fu popolata da assassini con potenti calamite. Unico difetto di tale ingegnosa ipotesi: l’impossibilità. Un fisiologo tirò in ballo i prestigiatori che inghiottono spade (a causa di una particolare anatomia della gola) e dis­se che forse il defunto aveva inghiottito l’arma do­po essersi tagliato la gola. Questo, però, era troppo da inghiottire persino per il pubblico.

Riguardo al­l’ipotesi che il suicidio fosse stato attuato con un ra­soio o soltanto con la sua lama, o anche con un pez­zo di ferro, che poi era affondato nella ferita, non potè essere accettata neanche per un momento…

Tuttavia, forse, il più brillante di questi lampi di genio fu la lettera scherzosa, ma probabilmente non del tutto, che apparve sul Pell Mell Press:

…Egregio signore, vi ricorderete che quando gli assassini del caso Whitechapel sconvolsero l’opinione pubblica, avevo suggerito che l’as­sassino era il coroner della zona. Fui ignora­to. Il coroner in questione è ancora in libertà. E così l’assassino di Whitechapel. Forse tale coincidenza porterà le autorità a prestarmi più attenzione, questa volta. Il problema sem­brerebbe il seguente. Arthur Constant non può essersi tagliato la gola e non può essersela fatta tagliare da qualcun altro. Ma poiché una di queste circostanze si è verificata, tutto ciò è assolutamente assurdo. E, trattandosi di as­surdità, sono giustificato a non crederci. Giacché tale ovvia assurdità è stata messa in circolazione soprattutto dalla signora Drab-dump e dal signor Grodman, mi sento auto­rizzato a non credergli.

Per farla breve, signo­re, cosa ci garantisce che tutta la storia non sia soltanto frutto di fantasia, inventata dalle due persone che per prime hanno trovato il cor­po? Quali prove abbiamo che non siano state proprio loro ad aver sfondato la porta e rotto le serrature e le spranghe e a richiudere tutte le finestre prima di chiamare la polizia? …L’ipotesi del nostro scrittore non è poi così originale come lui la ritiene. Non ha lui, in fondo, guardato con gli occhiali di coloro che continuarono ad insistere che l’assassino di Whitechapel non era altri che il poliziotto che aveva scoperto il corpo? Qualcuno trova sem­pre il corpo, se si trova.

Redattore capo P.M.P.

(Israel Zangwill, The Big Bow Mystery, “Il Grande Mistero di Bow”, traduz. Leda Armstrong, I Classici del Giallo Mondadori, N.606 del 1990, pagg.48-51).

Come si vede, si può parlare già di una dissertazione, anche se impropria, che comprende varie ipotesi, anche se non si può ancora parlare di conferenza: la conferenza ha infatti un che di cattedratico, e perciò tende a dare sistematicità e organicità alle proprie ragioni. Qui invece la materia è ancora affrontata in maniera ingenua e informale, senza alcun tentativo di classificarla. Tanto più che, se vi sia la volontà di enumerare una serie di possibilità, essa è propria di Zangwill, e la si capta attraverso la lettura delle pagine indicate; non esiste invece alcuna dichiarazione circa l’enumerazione delle possibilità di commettere l’omicidio in una Camera Chiusa, che possa corrispondere in effetti alla volontà di creare una conferenza, né tantomeno viene creata nell’opera una possibilità sostanziale che ciò avvenga, mediante un personaggio del romanzo che, come farà Carr con il Dottor Fell di quarantaquattro anni dopo, illustri una conferenza a ciò dedicata. Nonostante ciò, vengono già gettate delle basi che saranno utilizzate di lì a venire. Quello che poi voglio far notare è che proprio qui, per la prima volta,e non in Le mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux (1907), viene introdotta la possibilità che anche un poliziotto possa essere l’omicida.

Leggi tutto »

Popularity: 53% [?]

Posted in Extra | commenti 17 Comments »

Scorribande giallistiche

dicembre 13th, 2010

 fabioenipote1.JPG      

Incasinamenti sentimentali- Ma il noir è morto o non è morto?- Tra bassotti e mastini- Il rinnovamento della Mondadori- In giro per blog-  Gli irritanti spot della pubblicità- Eco porta scompiglio e…e Jonathan che fa?

Questa volta non mi lascio trascinare da un solo argomento (vedi l’ultimo pezzo sul riso e il sorriso)  ma saltello giulivo (finalmente!) di qua e di là come un fringuello appena nato. Ormai questo con il blog del giallo Mondadori è diventato per me un appuntamento assolutamente imprescindibile. Un momento di svago e di riflessione su ciò che accade nel mondo letteral-giallistico, con qualche puntatina nel personale. Un momento di relax, insomma, per togliere di mezzo incipienti paturnie senili.

Dunque, partiamo. Già assodata la sfiga tremenda dei protagonisti in altra sede, ora assodiamo un tormentato incasinamento sentimentale prodotto soprattutto dalle autrici giallistiche. Sfrutto una parte di articolo già scritto per “Corpi freddi” (visitatelo!).

“Non voglio fare distinzione tra autore maschio e femmina che mi frego qualche sudata simpatia, ma se l’autore è una dolce fanciulla (va bene per qualsiasi età) e il personaggio principale è pure dotato di “argomenti” femminili, sicuro che l’amore, quando c’è, trattasi di amore incasinato. Incasinatissimo. Su questo non ci piove.

Senza andare troppo indietro mi rifaccio agli ultimi esempi che mi sono capitati a tiro. Prendiamo Janne Korowa, giovane giudice istruttore di Nanterre, personaggio principale di “L’istinto del sangue”, Garzanti 2010. Trentacinque anni, zitella. Vita sentimentale tribolata. Citati come fidanzati un avvocato, un ingegnere informatico, un editore fallito e “Molti altri…”. Ultimo della serie il fotografo Thomas che le fa girare gli zibidei e allora vada pure al diavolo. Non aggiungo le disgrazie che in questo genere di libri sono come il cacio sui maccheroni (rimando a http://corpifreddi.blogspot.com/2009/11/la-paura-della-sfiga-fabio-lotti.html ).

Cassandra Fallows, scrittrice in “L’amica di un tempo” di Laura Lippman, Giano 2010, non è da meno (va verso la cinquantina e la menopausa). Due matrimoni alle spalle con “relazioni prima, dopo e durante i legami coniugali” ( meglio non farsi mancare niente). Da ragazzetta incline ai giovanotti con i capelli rossi e, cito testualmente, “me ne scopai quanti più possibile” che il buon tempo si vede dal mattino. Non mancano, naturalmente, le pene d’amore e, dulcis in fundo, il sacrificio per l’Amore, quello con la a maiuscola (di solito non ricambiato, tanto per creare un’atmosfera più sofferta).

Cambiando latitudine il risultato, a dir la verità, un po’ cambia. In ” La dea cieca” di Anne Holt, Einaudi 2010, l’avvocato Karen Borg non si limita a sognare il poliziotto  Håkon Sand ma salta sul letto allegramente insieme a lui (e questa volta niente da fare per il povero marito di cui taccio il nome). Qui abbiamo pure, devo dire accennato con molto garbo e tatto, il rapporto omosessuale tra Hanne Wilhelmsen “una donna straordinariamente bella, da poco promossa al grado di detective” alla centrale di Oslo, e la dottoressa Cecilie, con la quale convive da diciannove anni senza che gli altri lo sappiano (o fanno finta di non sapere).

Di solito in diversi romanzi polizieschi si creano situazioni opposte: la donna in gran spolvero fra i maschietti alla fin fine sogna l’amore vero e quella impacchettata con l’unico uomo della sua vita è percorsa da fremiti stuzzicarelli che poco hanno a che vedere con il sentimento. Difficile trovare un rapporto tranquillo e sicuro per tutte le centinaia di pagine della storia. Anche perché l’incasinamento sentimentale (in genere) serve a rendere ancor più appetibile l’incasinamento delittuoso. Il lettore, si sa, è sotto sotto, un po’ cattivello e si diverte a seguire vicende complicate e sofferte (per i personaggi) dimenticandosi, oltretutto, le proprie. Sempre che, vista la qualità di certi romanzi, non siano una frana tutti e due (più che probabile)”. Ultimamente alla ribalta tradimenti per ogni dove a rendere più appetitosa la vicenda…

Domande angoscianti che serpeggiano sulla salute delle sigle giallistiche: il noir è morto?, il thriller come sta?, il mystery che fine ha fatto? Domande angoscianti, dicevo, con risposta univoca. Una valanga di noir, thriller, mystery e via discorrendo a dimostrazione che le sigle, come gli umani, non ne vogliono proprio sapere di tirare il calzino.

Ancora sui mallopponi scandinavi che, secondo alcuni, invadono il mercato togliendo spazio agli autori nostrani, piccinini santi. Ora a me queste tonnellate di roba stanno pure in quel posto, però ricordiamoci che siamo nel villaggio globale dove tutto può entrare da tutte le parti. Come scrittore di scacchi mi sono dovuto confrontare con i colossi dell’est europeo (la Russia, l’ex Jugoslavia ecc…), padroni incontrastati del settore. Ergo, prima che spuntasse fuori il mio nome su qualche libro, centinaia di articoli, centinaia di partite per corrispondenza, un anno intero per scrivere il primo. E dunque un culo così senza avere tanti santi in Paradiso (già detto  millanta volte ma i vecchietti sono ripetitivi da morire e poi ci tengono a far sapere le loro titaniche imprese. Voi, comunque, non contrariateli e assentite con la testa…). Conclusione? Un consiglio spassionato frutto di atavica saggezza: Arrangiatevi!.

Leggi tutto »

Popularity: 63% [?]

Posted in Extra | commenti 12 Comments »

Next Entries »