Giallo Mondadori 3201: Denzil Meyrick, “Là dove scorre il sangue”

febbraio 24th, 2021

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Denzil Meyrick, "Là dove scorre il sangue", Il Giallo Mondadori n. 3201, marzo 2021

Denzil Meyrick, “Là dove scorre il sangue”, Il Giallo Mondadori n. 3201, marzo 2021

Denzil Meyrick, “Là dove scorre il sangue”, Il Giallo Mondadori n. 3201, marzo 2021

 

Quando il corpo nudo di una donna viene trovato riverso a faccia in giù presso una splendida spiaggia della Scozia occidentale, gli inquirenti di Kinloch non sanno che pesci pigliare.

La poverina deve essere rimasta a lungo alla deriva: ha la pelle livida e gambe e braccia, annerite, sono divaricate a formare una X.

Ma come è morta? E come mai portava i capelli legati da nastri rossi in due codini come le bambine?

Jim Daley, ispettore della polizia investigativa di Glasgow, viene mandato d’urgenza sul posto per affiancare nell’indagine i poliziotti locali, che non prendono bene l’intrusione e rischiano di essere più di ostacolo che di supporto.

Durante l’autopsia, i segni di strangolamento confermano che si è trattato di omicidio… e uno dei più brutali che si possa immaginare.

Il successivo rinvenimento di nuovi cadaveri porta alla luce, corpo dopo corpo, i segreti più oscuri della tranquilla cittadina di mare.

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Il Giallo Mondadori Oro 36: Matteo Guerrini, “Zōo – La rabbia”

giugno 25th, 2022

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“Zōo - La rabbia”, Matteo Guerrini, Il Giallo Mondadori Oro n 36, luglio 2022

“Zōo – La rabbia”, Matteo Guerrini, Il Giallo Mondadori Oro n 36, luglio 2022

“Zōo – La rabbia”, Matteo Guerrini, Il Giallo Mondadori Oro 36, luglio 2022

 

Il cadavere di un uomo è stato trovato nei corridoi della stazione di Tokyo, riverso in una pozza di sangue. La folla gli scorre attorno come un fiume attorno a un masso, persone dallo sguardo fisso in avanti, che cercano di non vedere, di non sapere… di non essere.

Ma l’indifferenza generale non è l’unico dettaglio agghiacciante ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Un trolley nero è stato passato di mano nello stesso istante dell’omicidio, per poi sparire, inghiottito in quel gorgo di esseri umani dell’ora di punta.

A passare il misterioso bagaglio è stata una ragazza in tailleur nero, il volto nascosto da una mascherina e da un paio di bizzarri occhiali da sole. Quali loschi traffici si celano dietro questo scambio? E perché quell’uomo è stato assassinato?

Starà al commissario Jo Hara mettere insieme i pezzi di un enigma fatto di ombre e sangue, incastonato tra una serie di efferati, inspiegabili omicidi e gli orrori di un passato lontano che non qualcuno non ha voluto – né potuto – dimenticare.

Sotto i palazzi della metropoli orientale, invisibile, scorre un altro fiume. Una rabbia sotterranea, brace sotto la cenere del tempo, che continua a corrodere senza sosta gli animi di una società apparentemente composta e ordinata.

Quando le vite di due persone si incrociano, le storie che ne possono scaturire comprendono l’intero ventaglio delle possibilità umane. Le persone – o i personaggi – possono diventare amici, sodali, amanti, nemici, e così via. 

Ma cosa succederebbe se quelle vite non si incrociassero mai?

Nel mondo giapponese esiste un onnipresente modello ideale: puntare alla perfezione. Un gran numero di vite punta verso pochi obiettivi comuni, ma irraggiungibili. Sono esistenze parallele, in competizione, che non hanno bisogno di rapporti interpersonali e anzi funzionano meglio in loro assenza.

Il sentimento che riempie lo spazio tra di esse è la rabbia, il tema del romanzo. Tutti i personaggi della storia la provano, la subiscono e la alimentano. È una situazione in cui tutti sono contro tutti, praticamente senza eccezioni.

“Tuo fratello è soltanto il primo degli estranei” dice il proverbio.

Matteo Guerrini

Preparatevi a viaggiare lontano: il romanzo vincitore del Premio Tedeschi 2022 vi farà scoprire… il cuore nero del Giappone.

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Il Giallo Mondadori 3117: La miniera di sangue

novembre 3rd, 2014

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Una scena di devastazione si offre agli occhi di Cork O’Connor. L’immensa
miniera a cielo aperto gli evoca un brulicare di insetti affamati nelle viscere di un cadavere. Quel po’ di sangue indiano che scorre nelle sue vene gli dice che ogni tunnel scavato è una spaventosa ferita inferta alla Grande Madre Terra. Una ferita che sanguina ferro, e forse anche qualcos’altro. Il proprietario della compagnia lo ha ingaggiato come investigatore privato per ritrovare la sorella, scomparsa da una settimana negli aspri territori del Nord. E lui fa il suo dovere. Quando nelle profondità del sottosuolo scopre una galleria segreta, tornano alla luce dei resti umani. Sono i corpi di sei donne: una è quella che cercava, ma le altre? Cinque scheletri che giacciono là sotto da mezzo secolo. Potrebbe trattarsi delle Smarrite, casi irrisolti risalenti al lontano 1964, quando il padre di Cork era lo sceriffo della contea. Già, perché la cosa più sconvolgente è che due delle vittime, compresa l’ultima, sono state uccise con la stess arma. La pistola che suo padre gli aveva lasciato. La pistola di Cork.

EBOOK DISPONIBILE

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“La Canarina Assassinata”. Il trionfo della deduzione e dell’erudizione di Philo Vance

aprile 22nd, 2013

Nuovo articolo a firma del nostro amico Piero De Palma.

 

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La Canarina assassinata è uno dei più bei Gialli dell’Età d’Oro del romanzo poliziesco.

Quando lo scrisse, Wilard Huntigdon Wright, aveva già pubblicato The Benson Murder Case, 1926 “La strana morte del Signor Benson”, romanzo che aveva ottenuto un buon successo. Ma è senza dubbio proprio con The Canary Murder Case, 1927 “La Canarina assassinata” e poi con The Greene Murder Case, 1928, “La Tragedia di Casa Greene”, che si impose come il più grande autore della sua epoca: due romanzi che fecero scuola.

Antitetici è bene dirlo: così come “La Tragedia di Casa Greene” è una vicenda di morte che si svolge claustrofobicamente in una dimora in cui sono costretti a vivere gli eredi di una fortuna, ed in cui aleggia dal primo all’ultimo istante un’atmosfera greve e plumbea, ne “La Canarina Assassinata”, l’atmosfera è invece frivola e salottiera, molto più leggera, ma al tempo stesso complicata.

I tre romanzi assieme formano una ideale trilogia

Da un certo punto di vista, si può dire, a mio parere, che sia uno dei più grandi romanzi polizieschi che siano mai stati concepiti. Oggi, che le soluzioni vandiniane sono state fatte proprie e poi superate da tanti grandi scrittori a lui successivi, Van Dine sembra essere Pollicino, e a taluni le sue soluzioni fanno ridere. Invece, non si può pensare alla letteratura poliziesca degli anni ’30, senza inchinarsi reverenzialmente dinanzi a Van Dine. Perché senza di lui non ci sarebbero stati Ellery Queen, Charles Daly King, il primo Rex Stout.

E dei romanzi di Van Dine, i due che hanno avuto più influsso sui posteri sono stati proprio The Canary Murder Case e The Greene Murder Case. In particolare The Canary Murder Case, ebbe un effetto dirompente all’epoca: fu in testa per parecchi mesi alle classifiche dei libri più letti.

Julian Symons nella sua opera critica più famosa, Bloody Murder, riportò il giudizio di un altro critico, Howard Haycraft, scrivendo che “ ..his second book, The Canary Murder Case 1927, broke all modern publishing records for detective fiction at the time” (Julian Symons, Bloody Murder, Penguin Books, 1985, pag.101).

Più in là a testimoniare il grandissimo successo riportato da questo romanzo e dal successivo romanzo, che sconvolsero la letteratura poliziesca del tempo, dominata dagli autori britannici, Symons affermava che “It was said that he had lifted the detective story on to the plane of a fine art, and by his own account he was the favorite crime writer of two Presidents” (op. cit. pag. 102).

Ma perché The Canary Murder Case ebbe tutto questo successo? Analizziamo la storia.

Innanzitutto chi è la Canarina? Prendendo a prestito la stessa prosa di Wilard Huntigdon Wright “..Margaret Odell aveva ricevuto il soprannome di Canarina in seguito a una parte sostenuta in un elaborato balletto orni­tologico delle Folies, dove ogni ragazza aveva una gonna che richiamava qualche uccello. A lei era toccato il ruolo della ca­narina; e il suo costume di satin bianco e giallo, insieme alla massa di luminosi capelli biondi e la carnagione bianca e ro­sea, l’avevano distinta agli occhi degli spettatori come una creatura di notevole fascino. Prima che trascorressero 15 giorni, tanto concordi erano stati gli elogi della critica e così regolari gli applausi del pubblico che il Balletto degli uccelli divenne il Balletto della canarina e la signorina Odell fu pro­mossa al rango di quella che caritatevolmente potrebbe esser definita première danseuse, con l’attribuzione di un valzer in assolo e una canzone interpolata appositamente perché desse prova delle sue molteplici grazie e talenti.

Alla chiusura della stagione, la ballerina aveva lasciato le Folies e, durante la successiva e spettacolare carriera nei luo­ghi di ritrovo della vita notturna di Broadway divenne popo­larmente e familiarmente nota come la Canarina. Fu così che, quando la trovarono brutalmente strangolata nel suo apparta­mento, il delitto fu definitivamente denominato: l’omicidio della Canarina” (S.S. Van Dine, The Canary Murder Case,“La Canarina Assassinata”, trad. Pietro Ferrari, Il Giallo del Lunedì, L’Unità/Mondadori, 1992, pag.7).

La Canarina è Margaret Odell, attricetta e soubrette di locali di serie B, di night club, che è poi diventata famosissima in certi ambienti di Broadway. Conosce il suo ruolo e sa quale sia anche il giudizio che le riservano negli ambienti borghesi di cui lei rappresenta il richiamo: nel balletto non fa altro che fare il verso ad un uccello e mostrare le gambe. Ma si illude di poter scalare la società e conquistare un suo posto importante. E’ un po’ lo stesso discorso che fa la puttana di un Bordello di lusso (la prostituta sogna un amore impossibile con un bel cliente che oltre che utilizzarla per il suo piacere, la introduca nel mondo “normale”) il discorso di Margaret Odell, che, finito lo spettacolo, si ritrova nel grigiore della vita i ogni giorno, da cui esce temporaneamente solo nel volgere di uno spettacolo in cui uomini facoltosi in ghette, cilindro e marsina, fanno la coda per vederla , magari dondolarsi su un’altalena, su un trespolo, su cui lei, La Canarina, mostra le gambe.

E’ chiaro quindi che Margaret Odell, come farebbe una qualsiasi mantenuta, cerchi qualcuno che le assicuri, almeno nel suo mondo fatto di lustrini e pailettes, una certa onorabilità e almeno l’illusione di aver scalato quella società che invece non la accetterà mai. E’ la società degli anni ‘venti, in cui la grande crisi economica portò sul lastrico decine di migliaia di persone, ma che favorì anche l’arricchimento maggiore di chi già era ricco.

La Canarina ha molte amicizia maschili e non lo nega: i suoi accompagnatori la sfoggiano come oggi si farebbe con una Ferrari Testarossa, le altre donne la invidiano o ne parlano male, lo immaginiamo, ma lei pensa di poter usare queste amicizie, per i suoi scopi, che sono quelli di far carriera. Ha raccolto le confessioni di chi stava tra le sue gambe, ed un bel giorno decide di far il gran passo: decide di forzare la mano ad uno dei suoi amanti, e metterlo con le spalle contro il muro. E’ facile pensare, e poi lo si saprà, a cosa aspiri La Canarina: non vuol più essere “La Canarina”, ma una signora del Jet-Set, appartenere a quell’ambiente di cui ha conosciuto “tanti validi esponenti”. Solo che non capisce una cosa molto semplice: chi mai sposerebbe una “Canarina”? Ma lei si illude. E come tale resta vittima dei suoi stessi sogni.

Un bel giorno “La Canarina” vien ritrovata morta, assassinata, strangolata.

L’immagine che ne da Van Dine è terribile:

Il capo era rivolto all’indietro, come per una costrizione violenta…i capelli, disciolti, ricadevano dalla nuca sulla spalla nuda come la cascata raggelata di un liquido dorato; aveva perso ogni bellezza; la pelle era esangue, gli occhi vitrei; la bocca era aperta e le labbra convulse. Il collo, sui due lati della cartilagine tiroidea, mostrava orribili lividi scuri. La Canarina indossava un leggero abito da sera di pizzo Chantilly nero sopra ad uno chiffon color crema. Sul bracciolo del divano aveva gettato una cappa di un tessuto dorato, bordata di ermellino…a parte i capelli arruffati, una delle spalline dell’abito era stata strappata e il sottile pizzo del corpetto si era aperto in un lungo squarcio..una scarpetta di satin si era sfilata ed il ginocchio destro era contorto in dentro vero il divano, come se la poveretta avesse cercato di liberarsi dalla soffocante morsa del suo antagonista: Le sue dita erano ancora piegate,senza dubbio come nel momento in cui si era arresa alla morte” (S.S. Van Dine, “La Canarina Assassinata”, trad. Caterina Ciccotti, I Classici del Giallo, Barbera Editore, 2010, pag.22-23).

Dal sopralluogo effettuato dalla polizia emerge che mancano dei gioielli, che invece avrebbero dovuto esserci, secondo quanto afferma la sua domestica: quindi si è portati a identificare l’assassinio, come l’effetto di una rapina, o di un furto in appartamento, finito male (per Odell).

Tuttavia, questo è il giudizio della polizia per bocca del Procuratore Distrettuale di New York, F.X. Markham, che conduce le indagini. Di diverso avviso sarà il giudizio di Philo Vance, amico del Procuratore, osservatore imparziale e di geniali intuizioni, che salverà anche questa volta la Polizia da una figuraccia, e che invece sonderà una strada che nessuno aveva intravisto.

Philo Vance è una evoluzione di Sherlock Holmes, radicale: se eredita da Holmes l’attenzione ai particolari, agli indizi, non è però un applicatore integerrimo di essi. Infatti gli indizi che magari porterebbero a orientare le indagini in un certo verso, devono accordarsi ad una ricostruzione psicologica che in base ad essi spieghi tutti i quid rimasti insoluti. E per far questo, Philo Vance, diversamente da Sherlock Holmes, sonda l’anima e la mente dell’uomo, con l’attenzione che il buon Conan Doyle non aveva contemplato per il suo Sherlock Holmes. Si raffrontano così due diversi ideali: quello umanistico, attento alla psicologia e alle altre arti scaturenti dalla passione e dal gusto (Pittura, Scultura, Musica) di Philo Vance; e quello scientifico, analitico, di Sherlock Holmes.

Tuttavia, Philo Vance, osserva alcuni particolari, e in virtù della sua capacità di vedere al di là del mero indizio, ne dà una spiegazione tale che la visione di un omicidio susseguente ad un tentativo di rapina finisce per crollare miseramente.

Normalmente, quando si parla di questo romanzo, tutti individuano la sottigliezza del ragionamento di Van Dine, nella spiegazione della Camera Chiusa, in effetti “immaginifica”: spiegare non tanto come l’assassino e il testimone siano potuti entrare, quanto come essi siano potuti uscire, visto che il portiere quando va via, spranga sempre dal di dentro il portoncino che porta nel cortile interno al palazzo (l’uscita posteriore) con un chiavistello, in tale maniera che chiunque entri nel palazzo stesso, dopo la sua uscita, debba passare per forza davanti al centralinista, impressiona; e impressionò in quel tempo, moltissimo.

Ma ancor di più impressionò il pubblico dei lettori (e dei critici) l’aver inventato un modo che dilazionasse in avanti nel tempo l’azione delittuosa, cioè dopo che il suo accompagnatore della sera assieme al centralinista l’avessero sentita parlar e rispondere alle domande fatte da loro fuori della porta.

Se tuttavia la soluzione della Camera Chiusa e l’espediente per far apparire accaduto dopo, un omicidio che era stato invece commesso prima, rappresentano i mezzi con cui l’investigatore inchioda l’assassino, e che sono messi in chiaro da chiunque analizzi questo romanzo, pochi, pochissimi o nessuno, hanno esaminato gli altri momenti della deduzione vandiniana.

Secondo me, un altro momento in cui Van Dine impressiona il lettore è quando fa argomentare Vance molto molto sottilmente, sulla posizione relativa al corpo della vittima e sugli strappi subiti dai suoi abiti: se davvero Margaret Odell fosse stata affrontata in un corpo a corpo, immaginando che si sarebbe difesa con tutte le proprie forze, per quale motivo un innocente mazzolino, che le è stato ritrovato in grembo, non sarebbe stato scagliato altrove? Per terra, per esempio? E inoltre se così fosse stato, il collo non sarebbe stato rivolto all’indietro, ma la vittima sarebbe dovuta cadere avanti. Quindi… il delitto non si è consumato così, e si è tentato, con una messinscena, di depistare le indagini: lo strangolamento è avvenuto dal di dietro, quando la vittima non si aspettava che chi le stava dietro la strangolasse, ergo si fidava di lui/lei. Ma ci sono gli strappi del vestito! Altra messinscena: gli strappi sono stati fatti post-mortem per confondere il ragionamento degli investigatori.

Secondo ragionamento molto sottile è quello, concernente la chiave dell’armadio: per quale motivo essa è posta internamente all’armadio, quando comunemente essa invece dovrebbe esser infilata nella serratura esternamente?

C’erano quindi, quella sera, in quella stanza, tre persone: Margaret Odell e due altre persone, di cui una nascosta nell’armadio. Chi è stato l’assassino e chi il testimone? L’assassino ha anche rubato in un secondo tempo, oppure è stato l’altro a rubare? Le due persone presenti nell’appartamento, nei loro diversi ruoli, sono legate ad un altro ragionamento che si fa largo allorché Philo Vance nota come un porta-documenti sia vuoto, e come un portagioie di acciaio sia stato apparentemente forzato con un attizzatoio di ghisa: se davvero ci fosse stato un ladro avrebbe certamente usato uno strumento più idoneo per far saltare il coperchio, piuttosto che usare un attizzatoio. Tanto più che un esperto chiamato da Vance ne corrobora la tesi: che cioè vi son stati due momenti diversi nell’effrazione: quello rozzo con l’attizzatoio, che non ha sortito altri effetti se non di ammaccare il coperchio, e quello altamente professionale, effettuato con uno strumento di acciaio, probabilmente un grimaldello. Perché mai si sarebbe dovuto portare dalla camera vicina un attizzatoio inadeguato a far quello che ha fatto il grimaldello?

In parole povere, Vance postula l’azione in due momenti separati, da parte di due diverse persone. Ecco una primo fatto accertato, di grande importanza: nell’appartamento, quella sera, la sera del sabato, due persone sono state lì, probabilmente in un tempo successivo alla morte della Canarina. Il che non vuol dire necessariamente che entrambi avessero partecipato all’omicidio.

Fatto sta che il secondo ignoto visitatore sarà ucciso e solo dopo la sua morte Vance, individuando l’espediente per ritardare la morte, darà un volto all’assassino. In questo caso l’espediente sarà direttamente messo in relazione all’attività dell’assassino.

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Considerazioni generali sul Philo Vance interpretato da Giorgio Albertazzi

maggio 17th, 2011

Cari lettori de “Il Giallo Mondadori”, oggi, sono lieti di presentarVi un lungo e articolato saggio di Pietro De Palma su “Philo Vance”, uno dei simboli del genere a noi tanto caro. Certo di farVi cosa gradita, Vi auguro una buona lettura.

                                                                                                              Dario Geraci

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Nel 1974, La RAI Radiotelevisione Italiana, che un tempo contribuiva alla cultura in Italia creando i più bei sceneggiati e le più belle riduzioni teatrali (talora lo fa ancora), mandò in onda i 3 primi casi di Philo Vance, di S.S. Van Dine (La strana morte del signor Benson, La Canarina assassinata, La fine dei Greene), ridotti per la televisione, affidando il personaggio principale a Giorgio Albertazzi,

Per la TV, Albertazzi aveva gà lavorato e aveva conseguito notevoli risultati, ancor oggi apprezzati (L’Idiota di Dostojevskj, Mr Hyde di Stevenson); il Philo Vance viene ritenuto comunemente un interludio, una produzione minore nell’ambito di quelle interpretate dall’attore: io penso invece che abbia rappresentato una tappa significativa, al pari delle altre produzioni ricordate.

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Dal mystery (lottiano) all’hard boiled

marzo 3rd, 2011

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Prima il mystery e poi l’hard boiled con quel che segue. Strano, mi pare proprio strano. Che un ragazzaccio di strada, un monellaccio strafottente (tutta apparenza eh…), un lettore appassionato di Tex Willer, e dunque di spazi aperti, cavalcate, cazzotti e sparatorie, di frenetico movimento, insomma, si fosse lasciato irretire e conquistare in seguito da spazi angusti, spesso chiusi, da vecchiette sferruzzanti e omettini grigi il cui unico movimento era dato dalle indaffarate cellule grigie. Strano, ma forse spiegabile, che già il movimento lo avevo fatto di mio a correr per strade, boschi, campagne e torrenti, sudato fradicio e con le scarpe rotte. Mi ci voleva un po’ di pace, di tranquillità, di restare un po’ fermo a riflettere, a ragionare, a dare spazio al pensiero e seguire gli eventi con ferma e incrollabile logica. Sì, deve essere stato così che sono caduto esausto tra le braccia di Agatha e degli altri creatori del mystery misterioso e indecifrabile. E anche (forse) per un desiderio inconscio di ordine, di pulizia, di riscattare almeno nella pagina, con l’arresto del malfattore di turno, qualche marachella bricconcella che mi portavo dietro con un certo senso di colpa (così la coscienza era a posto).

Dopo (non tanto come fatto temporale ma come vero interesse) venne l’hard boiled con tutto l’armamentario che si portava appresso: squarci di città tumultuose, uffici scalcinati puzzolenti di fumo, facce grifagne, pupe rotonde e femmine fatali, inseguimenti, fughe, sparatorie da tutte le parti, whisky a go-go…Già whisky a go-go, e se non era whisky sarà stato bourbon e comunque un qualcosa diverso, magari nel nome, ma uguale nell’effetto: un bruciabudella da tracannare in un colpo solo senza farla tanto lunga.  E poi giù a scrivere, a creare, con lo scrittore e il personaggio a diventare un tutt’uno, l’alito infuocato dall’alcol e dalla sigaretta che restava miracolosamente appesa di sghimbescio e penzolante tra le labbra (non cadeva mai, figlia d’un cane!).

L’alcol, il maledetto alcol, che ritrovavo in ugual misura tra Re, Regine, Torri, Alfieri, Cavalli e pedoni. Questa volta come carburante (forse) per fantasticare tra le sessantaquattro caselle, per escogitare un trucco, una trappola, un Matto spietato. Talvolta per distruggersi, per portarsi fuori dal mondo…

E se da una parte c’erano i vari Poe, Chandler, Hammett, Bunker, Ellroy, Burke, Himes, King, Lovecraft, Thompson, Rice e via discorrendo (un mio articoletto su http://corpifreddi.blogspot.com/2010/07/vite-difficili-di-fabio-lotti.html); dall’altra esistevano i vari Tal, Alekhine, Bogoljubow, Blackburne, Marshall, Marco, Stahlberg, Kholmov, Lutikov, Vujovic e ancora via discorrendo. Grandi giocatori, grandi sbornie. Grandi sbornie, grandi giocatori (perché non mi sono mai ubriacato?). Gli aneddoti non mancano, ce ne sarebbero da raccontare per serate intere….Alekhine, campione del mondo dal 1927 al 1935 e dal 1937 al 1946,  perde un titolo per via delle sbevazzatone alcoliche. Più precisamente contro Max Euwe che non era un fulmine di guerra. Sembra che espletasse perfino qualche bisogno impellente sul pavimento del tavolo da gioco. Però con grande sforzo di volontà si disintossica e ritorna in forma come prima. Tal, invece, campione del mondo nel 1960, riesce a vincere, completamente sbronzo, un torneo in Canada. Si dice che venisse sorretto da due aiutanti, per arrivare a sedersi davanti alla scacchiera. Insuperabile giocatore d’attacco ebbe una salute travagliata per il fumo e la vodka. E due occhi che fulminavano. Ci fu addirittura un giocatore, Pal Benko, che all’inizio di una partita contro Tal si mise un paio di occhiali neri “per neutralizzare quello che, secondo lui, era il potere ipnotico del campione del mondo (“Aneddoti di scacchi” di Mario Leoncini, Messaggerie Scacchistiche 2003, pag. 62. Sempre dello stesso autore, per quanto riguarda curiosità varie sul mondo scacchistico, “A ladro!”, Caissa Italia 2005).

Culo e camicia furono la bottiglia di whisky e Blackburne, forte giocatore inglese dell’Ottocento, soprannominato “La morte nera” per il suo stile aggressivo e combinativo, tale da “uccidere” in poco tempo avversari di caratura inferiore. Se vedeva qualcosa di alcolico in giro non aveva scampo, fosse pure sul tavolo da gioco di un avversario. Una volta, persa una partita con Steinitz, altro grande Re degli scacchi, lo buttò giù dalla finestra. Fortuna che si era al pian terreno…(Per chi vuole saperne di più http://soloscacchi.altervista.org/?p=14625). E già che ci sono cito pure il mio “Partita a scacchi con il morto”, scritto in collaborazione con il sopraccitato Mario Leoncini, Prisma 2004 ( prisma@nexus.it ) , nel quale, oltre al gialletto con il commissario Marco Tanzini, di mia produzione, e “Meraviglie sulla scacchiera” dell’amico, potete trovare “Un giretto tra i Grandi del presente e del passato” che dovrebbe recarvi piacevole compagnia (e così ho fatto contento anche l’editore).

Ritorno all’hard boiled e riprendo un pezzo scritto qualche tempo fa per “Sherlock Magazine”. Da studentello più o meno sbarbato ero come una spugna. Assorbivo, pur facendo finta di sbattermene, per non finire nella spregevole schiera dei secchioni, qualsiasi cosa dicessero i miei professori. Quelli in cui avevo fiducia, naturalmente (ergo, in pochi). Alle superiori ce n’era uno che mi colpì con una specie di profezia rivelatasi, almeno nel mio caso, fondata. Egli asseriva, allora con  corale scetticismo e risatine varie che, andando avanti lungo il cammino della vita, il gusto dei lettori, in genere, cambia. Mentre in tenera età siamo presi dalla lettura nuda e cruda del testo, infischiandocene di qualsiasi apparato critico poi, seppur lentamente, avviene quasi il contrario e le note, le introduzioni ed i commenti risaltano in primo piano. Questo mi è capitato più volte, specialmente con i libri di storia. Diverso tempo fa la profezia si è di nuovo avverata. Sfogliando il bel libro “Chandler-Romanzi e racconti 1933-1942″, pubblicato dalla Mondadori nella splendida (e costosetta) collana de “I Meridiani” nel 2005, mi sono imbattuto nel saggio introduttivo di Stefano Tani e lì sono rimasto per un tempo all’incirca eguale (si fa per dire) a quello dedicato alla lettura dell’intero “corpus”. Segno inequivocabile che sto invecchiando o che sono già invecchiato. Almeno come lettore, secondo il noto vaticinio (pia illusione quella di essere invecchiato solo come lettore…).

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Le vite di Chandler e di Poe mi hanno sempre appassionato, come tutte le vite parecchio “sbandate” di tanti grandi scrittori ed artisti. Forse per una specie di contrasto con il grigio tran tran della mia. Inutile farne il riassunto. La conoscono tutti (quella di Chandler). Ciò che colpisce di più sono l’educazione vittoriana, la buona scuola, il matrimonio con una “mamma” più vecchia di lui e l’alcool. Da questo miscuglio (e da altro ancora) nasce lo scrittore. E dallo scrittore nasce il suo Doppio: quel Philip Marlowe che rappresenta il rovescio della medaglia dell’uomo, con il suo senso di giustizia e di “pulizia” morale. Nell’arte, (secondo quanto si apprende da “La semplice arte del delitto”), ci deve essere sempre un principio di redenzione che viene incarnato, quando si tratti del giallo realistico, dall’investigatore. Egli allora diventa l'”eroe” senza macchia e senza paura, il “tutto”. Ma questo eroe chandleriano, Philip Marlowe, appunto, si sdoppia nelle sue manifestazioni esterne brutali e ciniche perché “per una metà risponde a un codice dell’onore tutto britannico” e per l’altra metà “ostenta la crudezza colloquiale e il pratico individualismo dell’uomo americano”.

Anche la vita di Poe non è stata da meno nel colpire la mia fantasia. Soprattutto la sua fine. Il 27 settembre 1849 parte alla volta di New York, per sbrigare alcune faccende e ritornare velocemente a Richmond, in Virginia, dove vuole sposare la vedova Sarah Elmira Royster, un vecchio amore di gioventù. Ma fra il 28 settembre e il 3 ottobre sparisce. Viene ritrovato in un bar completamente fuori di testa con altri vestiti addosso e privo di soldi. Ricoverato d’urgenza in ospedale alterna momenti di delirio ad altri di una certa lucidità, ma non sa spiegare quello che gli è successo. Muore il 7 ottobre, e da allora inizia una ridda di insinuazioni e calunnie. Vi è più di una teoria, ma nulla di certo e documentato.

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Riso e sorriso (soprattutto il mio) tra furti, rapine e morti ammazzati.

ottobre 26th, 2010

Una nuova “chiacchierata tra vecchi amici” del Nostro Fabio Lotti. 

Buon divertimento.

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A scuola ero un patito del tema libero. Anzi, all’inizio, del “pensierino” libero che alle elementari si partiva da questo. Mi è rimasto impresso un pensierino di un ragazzo che fece scompisciare tutto il paese (Staggia). Verteva sulla figura del muratore. Papale papale “ Zenzerino. I maratore fa i gabinetto e poi ci caca” che, a parte gli errori ortografici, formulava una sintesi perfetta di lavoro e utilità. Il poveretto si beccò l’appellativo di “Zenzerino” per tutta la sua vita…Dicevo del tema libero. Potevo scorrazzare a mio piacimento con la fantasia e farlo lungo come mi pare. Ci infilavo di tutto e di più, mentre parecchi compagni andavano nel pallone per tirar fuori tre parole. In compenso ero io a sudare freddo, quando si trattava di mettere insieme un paio di numeri.Ah, la Natura…Eccomi dunque a sfruttare la mia presunta dote anche in campo giallistico. Parto dal riso e dal sorriso intrufolato per lo più nel romanzo poliziesco.Domanda alla Di Pietro “Che c’azzecca il sorriso e il riso con la nera signora dalla lunga falce?”.Di primo acchito sembra proprio che non c’azzecchi niente. A meno che la vista del morto non ci riporti alla mente le battute che faceva da vivo e allora una risatina (se erano passabili) sotto voce ci può anche scappare. Eppure la morte non è proprio disgiunta dal sorriso, anzi dal riso, che in certe società il dipartito si festeggia con canti e balli senza piangerci troppo sopra.

Il riso come spauracchio contro la morte,  diciamo pure uno spernacchio tanto per cercare di renderla  meno terribile.Sorriso e morte, dunque, ci può stare. Nella realtà, volevo dire, figuriamoci nei parti allucinanti e allucinati della fantasia umana. Ergo nel romanzo poliziesco (già detto). Sorriso che si può carpire in vari modi e vari espedienti sui quali un breve accenno come in una chiacchierata fra vecchi amici. Il trucco della chiacchierata è furbetto e pure vigliacchetto. Ci si può permettere un linguaggio semplice e nello stesso tempo nascondere qualche pecca culturale (se è una chiacchierata non si sta a guardare tanto per il sottile). Mentre l’aggettivo “vecchi” tende a scoraggiare qualsiasi tipo di intervento. Soprattutto degli amici che non vogliono riconoscere lo scorrere inesorabile del tempo. Meglio una pagina bianca che gli insulti (consiglio per i giovani scrittori).

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Gialli Mondadori marzo 2021

marzo 15th, 2021

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A marzo preparatevi a viaggiare con il Giallo Mondadori!

Denzil Meyrick ci catapulta nelle lontane spiagge della Scozia occidentale sulle tracce di un brutale assassinio in “Là dove scorre il sangue”; per gli Speciali del Giallo, Edward Phillips Oppenheim, Todd Downing e Victor L. Whitechurch ci portano “In viaggio con la morte” su emozionanti linee ferroviarie tra remote piantagioni messicane; e se con Virginia Perdue nel Classico del Giallo “Il seme dell’odio” partiamo per una luna di miele piuttosto travagliata sulla West Coast americana, nel Giallo Mondadori Sherlock Luca Sartori ci fa esplorare luoghi misteriosi della Londra Vittoriana in “Sherlock Holmes – L’uomo che morì due volte”.

E voi, quali binari seguirete?

 

Luca Sartori, "Sherlock Holmes. L'uomo che morì due volte", Il Giallo Mondadori Sherlock n. 79, marzo 2021

Luca Sartori, “Sherlock Holmes. L’uomo che morì due volte”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 79, marzo 2021

Virginia Perdue, "Il seme dell’odio", I Classici del Giallo n. 1442, marzo 2021

Virginia Perdue, “Il seme dell’odio”, I Classici del Giallo n. 1442, marzo 2021

Edward Phillips Oppenheim, Todd Downing, Victor L. Whitechurch, "In viaggio con la morte", Gli Speciali del Giallo n. 97, marzo 2021

 Oppenheim, Downing, Whitechurch, “In viaggio con la morte”, Gli Speciali del Giallo n. 97, marzo 2021

Denzil Meyrick, "Là dove scorre il sangue", Il Giallo Mondadori n. 3201, marzo 2021

Denzil Meyrick, “Là dove scorre il sangue”, Il Giallo Mondadori n. 3201, marzo 2021

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Giallo Mondadori Sherlock 96: Margaret Walsh, “Sherlock Holmes. I delitti del porto di Londra

luglio 31st, 2022

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Margaret Walsh, “Sherlock Holmes. I delitti del porto di Londra”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 96, agosto 2022

Margaret Walsh, “Sherlock Holmes. I delitti del porto di Londra”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 96, agosto 2022

Margaret Walsh, “Sherlock Holmes. I delitti del porto di Londra”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 96, agosto 2022

 

Londra è in subbuglio. Oltre al caldo soffocante dell’estate, è scossa da una gigantesca rivolta dei portuali.

Quella povera gente, costretta dai proprietari degli scali a lavorare per un tozzo di pane, si è organizzata in un sindacato, iniziando a scioperare e ad alzare la voce. E non sono mancati tentativi di repressione delle proteste ed episodi di violenza…

In questo clima di crescente tensione, un tardo pomeriggio della fine di agosto del 1889, un uomo di nome Micheal Geraghty bussa al 221B di Baker Street.

Suo fratello John è stato trovato morto in un vicolo dietro il pub Ten Bells, con un coltello piantato nella schiena, e Scotland Yard ha liquidato il decesso come il risultato di una semplice rissa tra ubriaconi. L’Est End è uno dei posti più malfamati di Londra,  non è la prima volta che al Ten Bells si vede scorrere del sangue, dato che un certo Squartatore operava proprio in quella zona…

Peccato solo che i conti non tornino: John non aveva alcun motivo per trovarsi in quel pub, essendo un astemio convinto e persino un membro dell’associazione Nastro Blu, che condannava il vizio del bicchiere e in l’esistenza stessa di posti del genere. Inoltre, quella sera John avrebbe dovuto trovarsi da tutt’altra parte, e cioè al molo Duncran, proprietà della loro famiglia da generazioni…

Sherlock Holmes accetta il caso, ma con il caos dello sciopero dei portuali fare indagini accurate sarà difficile come cercare un ago in un pagliaio. È tempo di ricorrere a tutto l’aiuto possibile, al costo di sporcarsi le mani e rimestare nel torbido, tra le case fatiscenti e i vicoli bui del cuore nero della metropoli.

 

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Scorribande giallistiche V

gennaio 22nd, 2014

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Con lievi spunti personali…
Stante il successo dell’ultimo pezzo (e chi può contestarlo?) continuo imperterrito in questo mio saltellare spensierato. Inizio sempre così (sono un pigrone del Toro).
Marco Malvaldi in piena forma. Dopo la combriccola dei vecchietti del BarLume e il Pellegrino Artusi di Odore di chiuso, ecco spiccare il volo con Argento vivo, pubblicato anch’esso dalla Sellerio. Componenti del successo l’umorismo, la presa in giro da toscanaccio, qualche punta di surreale, personaggi vivi che si incontrano per strada con il loro gergo popolare. E anche un po’ di bu’o di ‘ulo che non guasta, via! (un salutone a Marco).
E già che si parla di sorriso Kaminski favoloso con Giocarsi la pelle del nostro imperituro G.M. Racconto veloce. Rocambolesco. Situazioni comico-paradossali (il personaggio principale, Toby Peters, viene addirittura scambiato per uno scrittore ad un convegno di psicanalisti), morti ammazzati pure nell’armadio, ritmo serrato, scrittura ironica, gradevole e frizzante come un vinello che conosco e tengo da parte. In perfetta sintonia con lo spirito dell’autore poteva benissimo essere intitolato Giocarsi le palle.
Armadio che è stato un gran contenitore di cadaveri nella letteratura poliziesca. C’è addirittura un libro di Rufus King Il morto nell’armadio a ricordarcelo. Uno splendido lavoro che viene inserito da Howard Haycraft e Ellery Queen tra le pietre miliari del giallo.
Uno dei libri che più mi hanno divertito in questi ultimi tempi è Hanno ammazzato Montalbano di Mario Quattrucci, Robin edizioni 2013. Un libretto tascabile. Piccolo, piccolo, da mettere in tasca (appunto), portarselo dietro e tirarlo fuori al bisogno (il libretto). In qualsiasi luogo e qualsiasi momento. Leggerezza. Ecco, se dovessi esprimere la mia prima sensazione dopo lettura, direi leggerezza. Di stile e contenuto. Cinque racconti leggeri, gradevoli, spiritosi. Ironici e autoironici. Con il commissario Marè (Marelli) che si intrufola nelle storie come fosse a casa sua. Bellino!

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