Poison in Jest : analisi di un romanzo di rottura

gennaio 15th, 2013 by Moderatore

Un nuovo articolo di Pietro De Palma in esclusiva per il blog de “Il Giallo Mondadori”.

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Lo Speciale N. 68 del Giallo Mondadori “Veleni Letali”,uscito nell’inverno 2012, prima di Natale,  propone 2 romanzi, il primo di John Dickson Carr, il secondo di Hillary Waugh, ed un racconto di Anthony Berkeley: di Carr è proposto “Piazza Pulita” (Poison in Jest), assente da oltre trent’anni dall’edicola; di Waugh, un romanzo ancor più difficile a trovarsi, “Veleno in Famiglia”, ( Pure Poison); di Berkeley, il rarissimo “Il Baratttolo Sbagliato” (The Wrong Jar). Tuttavia, sebbene le opere di Waugh e di Berkeley possano essere oggetto di attenzione al pari dell’opera di Carr, è chiaro che l’attesa dello Speciale da parte di molti, era giustificata dal fatto che vi fosse presentata “Piazza Pulita”, di cui molti lamentavano la non pubblicazione da molti anni a questa parte.

Poison in Jest è una delle opere senza personaggio fisso di Carr.

Apparve nel 1932. A quel tempo, l’unica serie fissa che Carr avesse allestito, era quella di Bencolin, di cui erano usciti quattro titoli (It Walks By Night, 1930; Castle Skull, 1931; The Lost Gallows, 1931). Nel 1932 uscirono altri due titoli: The Waxworks Murder, che meritò anche l’edizione americana: The Corpse In The Waxworks; e Poison in Jest, appunto.

Vediamo la storia.

Jeff  Marle va a trovare il giudice Quayle. Nella sua casa imponente vi vive tutta la sua famiglia assieme a lui: la moglie, i 4 figli (Matt, Clarissa, Jinny, Mary), il genero e marito di Clarissa, dottor Twillis, più il personale di servitù. In origine, i figli erano cinque: c’era anche Tom, che aveva però preferito andar via da casa e pertanto era stato diseredato.

Nella casa regna la tristezza,  il risentimento tra vari rappresentanti della famiglia, e nei confronti del giudice, che crede sia odiato da molti, e un orgoglio mal interpretato, perché ai fasti di un tempo, di cui sono rappresentanti le vestigia della casa, tra cui una magnifica statua dell’imperatore Caligola, cui manca una mano, fa da contraltare la miseria effettiva, giacchè il capofamiglia non ha più nessun soldo, i figli fingono che siano ancora i Quayle di un tempo, mentre l’unico che tiene in piedi la baracca è il dottor Twills, che, agiato, foraggia le necessità del vecchio.

Ecco quello che Marle trova al suo arrivo. Il giudice teme per la sua vita, parla di un suo manoscritto, e, nel mentre, accadono due oscuri fatti: qualcuno tenta effettivamente di uccidere il vecchio giudice avvelenando il sifone del seltz con idrobromuro di joscina, di cui il medico ha una bottiglia contenente circa 300 mg nella sua stanza, in virtù dei suoi trascorsi come psichiatra; e nello stesso tempo, l’avvelenatore cosparge il pane tostato della moglie del giudice, con dell’arsenico.

Il dottor Twills, rivela a Marle di avere dei sospetti su chi possa essere l’avvelenatore e teme nuovi sviluppi visto che la bottiglia contenente la joscina gli è stata sottratta. Prima che possa però arrivare al dunque, viene avvelenato mortalmente con lo stesso alcaloide.

A gestire le indagini è il Commissario di Contea Sargent. Ma se è vero che almeno ufficialmente è lui il responsabile dell’inchiesta, in realtà dietro di lui si muovono Marle, che è un poliziotto, e soprattutto un investigatore privato, Pat Rossiter, innamorato della figlia di Quayle, Jinny, chiamato lì e annunciato da un telegramma spedito prima dell’omicidio di Twills: è lui che risolverà l’enigma.

Nella casa c’è un’atmosfera di morte e di pazzia: il giudice è ossessionato da una mano bianca che si muove e gli appare (sarebbe quella persa dalla statua), qualcuno ride nel momento in cui Twills muore, qualcuno tenta di avvelenare il giudice Quale e la moglie con due diversi tipi di veleno, il giudice parla di complotto, Twills nei suoi appunti, vergati prima di morire, ha scritto che qualcosa è stato bruciato nel caminetto, ha lasciato degli strani ghirigori che potrebbero riferirsi ad uno schizzo di persona ed una formula chimica, quella della morfina. In realtà sul braccio del giudice viene individuata una serie di segni causati da iniezioni (morfina?): l’ossessione della mano quindi sarebbe il frutto di allucinazioni? Oppure la morfina viene data per altro?

Fatto sta che con un’abbondanza di indizi e di persone sospettate, Sargent non sa che pesci prendere. Si ricava solo che qualche giorno prima si era parlato di avvelenamento allorché si era ricordato il caso della Marchesa de Brinvilliers e del suo amante, il Cavaliere di Saint-Croix, celebri avvelenatori del secolo diciottesimo. E che quindi qualcuno ne aveva ricavato l’idea base.

Si sono sentiti dei passi, che la signora Quale, attribuisce ad una donna, prima che lei venisse avvelenata: passi veloci, passettini. Abbiamo un’avvelenatrice? Chi? La signora Quayle è esclusa: per quale ragione si sarebbe avvelenata? Rimangono quindi le altre due figlie: Jinny e Clarissa.

Ci sarebbe qualcuno del personale, ma viene presto escluso. A sua volta, il padre rilancia l’ipotesi di un avvelenatore maschio: mentre ricorda gli aventi di qualche giorno prima, ricorda che in quel mentre era entrato il figlio Matt ed aveva sentito tutto (ma del resto, interrogato, il giudice Quayle si affretta a dire che la porta era aperta e quindi chiunque avrebbe potuto sentire l’oggetto del suo discorso); Matt però era quello che aveva portato alla madre il pasto, in cui il pane era avvelenato.

Insomma di carne sul fuoco ce n’è in abbondanza.

Pat Rossiter arriva a casa: è Jeff che lo trova per la prima volta, ed il ritratto che ne fa è di un pazzo, se non di un personaggio altamente bislacco: “C’era un uomo seduto per terra, che stava parlando ad una scala. In una mano teneva un vecchio secchio di legno, e nell’altra qualcosa che assomigliava a una calza rotta. Una coperta incrostata si sporcizia gli pendeva dalle spalle…Sospirò e cominciò ad alzarsi in tutta la sua sorprendente statura, togliendosi la polvere dall’abito. Aveva un orrendo cappello piantato indietro sulla testa, e dal labbro inferiore gli pendeva un mozzicone di sigaretta spento…con l’espressione più felice che avessi visto su faccia umana…Poteva avere la mia stessa età, con una faccia simpatica e vivace, begli occhi ed un’eterna aria di curiosità.Aveva le spalle forti come un uomo di mare, ed era avvolto in uno strano mantelloverde: le sue scarpe erano fra le più grandi che avessi mai visto e portava una cravatta con i colori di Harrow…Ho sempre desiderato fare l’investigatore, dopo essere stato licenziato da tutti i posti di lavoro..Sedette sullo scalino..con la coperta sporca gettata sulle spalle.Buttando via il mozzicone, tirò fuori cartine e tabacco e mi guardò quasi con aria di trionfo…Dicevo che sono un po’ strano..Il vecchio, là dentro mi considera come un veleno!” (Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, cap. 11, pagg. 87-88-89).

Jeff gli annuncia che il dottor Twills è stato assassinato e ci sono stati due tentativi di avvelenamento. Rossiter si mette all’opera, anche con metodi non proprio ortodossi, per esempio quando chiede ai presenti, di provare a fare degli schizzi, delle prime cose che fossero venute in mente:

“..Tracciate un disegno. – Che cosa? – Tracciate un disegno, ripetè l’altro, con tono fermo e diventando serio. – Ma non capite l’importanza di fare un disegno? Non ne vedete l’importanza profondamente psicologica che avrà sulla soluzione del caso? – No, che mi venga un accidente se ci capisco qualcosa – disse Sargent. – Che disegno? – Uno qualsiasi. – Ma sentite – suggerii con la massima calma possibile – che senso ha tutto ciò? Io non so disegnare e credo neanche Sargent. – Ah, ma questo è il punto, non lo capite? Se aveste saputo disegnare, non ve l’avrei chiesto, vi pare?” (op. cit.  pag. 104).

Questi metodi, alcuni come Sargent ritengono possano essere ascritti ad nuovo modo di investigare, altri come Marle li reputano delle stranezze, altri come il dottor Reed, il medico amico di Quayle, li definiscono delle “stupidaggini”. Persino Virginia Quale,  Jinny, “la ragazza” di Rossiter, è arrabbiata, convinta che l’investigatore, che lei ha chiamato a casa con un telegramma, stia combinando una delle sue.

Fatto sta che, per strano che possa sembrare, anche questa caratterizzazione psicologica dell’inconscio avrà una spiegazione nella soluzione finale. Rossiter, incompreso, deriso, strano e bislacco che possa sembrare, riuscirà a individuare l’assassino, non prima però che sia riapparso “il figliol prodigo”, Tom;  e che nella cantina, egli, l’omicida,  abbia piantato un’accetta nel cranio di Clarissa.

L’epilogo detterà la parola fine alla storia, riallacciandosi al prologo, in cui la storia era stata incominciata.

Il romanzo di Carr è estremamente interessante, per diversi motivi.

Innanzitutto, potrebbe apparire uno dei primi romanzi senza personaggio fisso. Apparentemente avremmo quattro titoli della serie Bencolin ed un titolo senza personaggio fisso; apparentemente, però, perché uno dei  protagonisti, Jeff Marle, compare nelle opere del ciclo di Bencolin, in qualità di narratore e amico di Bencolin e nel romanzo, almeno in un passo, si fa menzione alla mancanza del Giudice Istruttore e Capo della Polizia parigina:

“Come avrei voluto che Bencolin fosse lì con me!”(op. cit., cap. 8, pag. 63).

Fu un tentativo realizzato con lo scopo di non svalutare troppo la figura di Bencolin (al pari di quello che stavano facendo i Queen con la creazione di Barnaby Ross)? Non credo. L’assenza di Bencolin, è legata qui ad un momento di crisi nella fase creativa della produzione letteraria di Carr. Da questo momento in poi, Bencolin viene abbandonato; verrà  ripreso a distanza di cinque anni, nel 1937 con The Four False Weapons, ma sarà un Bencolin molto diverso, più umano, meno infallibile.

Tuttavia, secondo me, la cosa è ancora più interessante per la presenza di Pat Rossiter: egli fa in questo romanzo la sua unica apparizione, ma nonostante ciò si ritroverà in molte altre opere del Nostro. Come mai? E’ presto detto.

Osserviamo innanzitutto la descrizione che ho già riportato: ci appare come una persona bislacca, strana; la gente della casa lo ritiene un matto: fa fare ai presenti degli schizzi e ammonisce chi non vi vuole partecipare che possa essere accusato di intralcio alla giustizia; l’unica che lo può sopportare è la moglie del giudice Quayle, alla presenza della quale si esibisce in giochi di carte.

Faccio peraltro osservare l’abbigliamento che adotta: scarpe troppo grandi, uno strano mantello verde, una coperta piena di polvere sulle spalle, un cappello sgangherato. Talora è ritratto con la cravatta fuori posto: insomma è trasandato nel vestire. A fine libro, nell’Epilogo, dirà di aver abbandonato la professione di poliziotto per dedicarsi al titolo di baronetto, e alle sue proprietà, dopo essersi sposato con Jinny. Baronetto, lo sottolineo. Qualche rigo più in là, si farà menzione ancora una volta del suo mantellaccio e del suo cappello sgangherato.

Qualche rigo più avanti (sempre a pag. 159) inviterà il suo interlocutore, Marle, a ubriacarsi con lui.

Quale personaggio di Carr ha dei mantellacci, dei cappelli sgangherati, si ubriaca ed è goffo, diabolicamente goffo, vorrei dire? Talmente goffo da essersi dato le arie di un grandissimo pianista ed aver fatto rizzare i capelli in testa al giudice Quayle e familiari, una delle prime volte che era stato portato in casa da Jinny, cavando degli orribili suoni dalla tastiera; oppure quando aveva voluto insegnare a suonare i bicchieri ed aveva distrutto quasi l’intero servizio antico che la signora Malvert aveva portato in dote al matrimonio.

Insomma..secondo me Rossiter incarna le attitudini e le doti dei due personaggi più famosi che Carr avrebbe presentato più tardi al suo pubblico: il Dottor Fell nel 1933, e Sir Henry Merrivale nel 1934. Di Fell ha l’istrionismo e la fanfaroneria, e il modo di vestirsi (il cappello e il mantello sono un indizio importante); di Merrivale ha la goffaggine disastrosa, gli atteggiamenti buffoneschi, la profanità, e..il titolo nobiliare, lo stesso: quello di Sir, baronetto cioè.

Carr potrebbe aver accarezzato l’idea di portare avanti una serie con Rossiter, prima di scartare l’idea. Non so per quale motivo non l’avesse poi portata avanti, però è fortemente caratterizzante il come Rossiter venga presentato: Carr vi induge parecchio, e la definizione della figura è a tutto tondo; del resto, la descrizione non è effettuata solo in una ma in parecchie occasioni. Inoltre, nel momento in cui Carr lo tratteggia con particolari bislacchi e buffoneschi, non perde mai di vista il momento della trama: infatti, allorché l’atmosfera si fa greve per l’approssimarsi di un delitto, Rossiter perde i connotati strambi, diventando duro e deciso, così come più avanti di qualche anno, verrà sempre più tratteggiato soprattutto Sir Henry Merrivale. Un esempio è quando attacca Tom il figliol prodigo, attribuendogli la paternità degli scherzi di pessimo gusto che avevano fatto sprofondare nel terrore il vecchio padre.

Recentemente ho letto quel che dice S.T. Joshi nel suo studio su Carr: “John Dickson Carr: A Critical Study” . A pag. 53 si accenna a quel che ho appena introdotto:

“In a sense Rossiter could be said to anticipate both Fell ( general air of scatterbrained clownishness) and Merrivale (note the “picturesque profanity” trademark of Sir Henry. And yet, his buffoonery fails to lift the impressively oppressive atmosphere of the work, something Carr rarely equalled in later novels”.

E del resto ne ho parlato tempo fa in altro articolo, pubblicato sul mio blog italiano, quando accennai al sottotitolo dell’esordio di Merrivale, The Plague Court Murders , del 1934, che introduceva alle primitive intenzioni di Carr, per cui quella di Merrivale, sarebbe dovuta essere, invece, una serie dedicata alle gesta dell’Ispettore-Capo Masters: “A Chief-Inspector Masters Mystery”. Un caso di ripensamento da parte di Carr, cioè.

Secondo me, e mi accorgo, ancor prima di me, secondo Joshi, anche questo di Rossiter sarebbe potuto essere un esordio non poi seguito da altre avventure. Però, rispetto a Masters, Rossiter  ha una caratterizzazione più marcata; e per di più, mentre Masters comincia le indagini ma la parte del deus-ex-machina la fa Merrivale, qui accade la stessa cosa per Rossiter, che appare quando né Sargent né tantomeno Marle riescono a vedere una benché minima soluzione all’orizzonte. Inoltre Rossiter si può porre sullo stesso piano di Merrivale (soprattutto secondo me, più che Fell) per come riesca a destrutturare la drammaticità delle scene contrapponendovi le proprie macchiette, non perdendo mai il dominio di sé e di quello che gli sta intorno e quindi giungendo a soluzioni imbarazzanti per gli altri, per la sua capacità di analisi della realtà circostante.

Mi pare interessare citare quello che dice Joshi:

“I think Carr could have made a successful series detective out of Rossiter; even in this single work he is vividly realised” (op. cit. pag. 54). Che poi è ricalcato da Mauro Boncompagni nella sua “Introduzione” allo Speciale. In sostanza la pensiamo tutti alla stessa maniera.

Il romanzo Poison in Jest, viene concepito così nel corso di un momento caratterizzante della carriera carriana: è un momento di crisi, di passaggio, da una realtà e da un successo acquisito, a realtà e linguaggi diversi. Si avverte cioè la necessità di abbandonare un modo di caratterizzare il soggetto, che è tipica degli anni ’20, per passare a caratterizzazioni più elaborate, e nel tempo stesso più essenziali, senza mai abbandonare del tutto le ambientazioni d’effetto, e purtuttavia riuscendo a conseguire risultati sempre maggiormente incisivi: per esempio vedasi la trama di The Hollow Man: morti che escono dalle tombe, vampiri, due Camere Chiuse una più straordinaria dell’altra, e poi una soluzione che spazza via in un sol colpo tutta l’atmosfera malsana riportando le cose ad una loro verità terrena.

Ma nel momento in cui è romanzo di passaggio, Poison in Jest, è anche, direi, uno studio generale, un esempio di “romanzo officina” che avrà conseguenze dirette nei romanzi successivi.

In quanto “romanzo officina”, “Piazza Pulita”, presenta molti altri aspetti interessanti che possono far luce sulle origini di questo romanzo. Infatti non è solo interessante per le conseguenze su personaggi sempre più presenti nelle sue opere successive (Fell e Merrivale), ma lo è anche per l’importanza che hanno nella sua struttura, le influenze di autori che dovettero pesare non poco sul primo Carr, dominato dal ciclo di Bencolin: Crofts e Connington.

Crofts si sa per cosa fosse (e sia ancor oggi) noto, soprattutto: per la sua capacità di costruire degli alibi a prova di bomba e poi riuscire con pari abilità a smontarli. Già in It Walks By Night,  l’esordio con Bencolin di Carr nel campo del romanzo poliziesco, si trova un’attenzione ossessiva ai tempi: alle pagg. 67-68, cioè nelle ultime due pagine del quinto capitolo, Bencolin riassume la situazione delle testimonianze e deposizioni, consultando il suo taccuino in cui ha ordinato i vari tempi riferiti alla situazione criminosa. La cosa però, è anche presente qui:

Volete che ve lo legga? “17.15, Clarissa arriva a casa in macchina con le provviste e il seltz. Mary porta il seltz dal giudice e resta con lui fino alle 17.30 Il seltz non è stato stappato di nuovo da quando ne ha bevuto il giudice. Clarissa va di sopra nella sua stanza a riposare. La cameriera è in cucina. Il dottor Twills nel suo ambulatorio. Virginia non ricorda esattamente dov’era, ma crede nella sua stanza a leggere”…Non è ben sicura di questo — dichiarò il commissario. – Tutto quello che ricorda è che voleva l’automobile per andare in città a prendere un libro alla biblioteca. Quando ha udito la voce di Clarissa giù da basso, è scesa, ha preso la macchi­ata e se n’è andata. Saranno state le 17.25 circa. — Poi riprese: – “17.30: il giudice Quayle lascia la biblioteca e scende in cantina. Matt arriva a casa in autobus e lo vede dirigersi verso la in cucina. Mary è in cucina ad aiutare la cameriera. Twills è sempre nell’ambulatorio, la moglie di sopra nella sua stanza. La signora Quale è pure nella sua stanza. 17.30-17.55: il giudice è nel laboratorio, gli altri nelle stanze sopra indicate. Matt scende verso le 17,50 circa, va in cucina e vi si ferma, mentre Mary prepara il vassoio per la signora Quayle. 17.55: il giudice sale le scale della cantina con una bottiglia di cognac, la lascia nella biblioteca e sale nella sua stanza a lavarsi.. 18: suona il gong per la cena”

(Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, cap. 12, pag.99). Potrei continuare.

Sono situazioni non tanto comuni in Carr, e quindi a ben donde si può stabilire un collegamento tra Carr e Crofts. Poi c’è J.J.Connington.

Da Connington, Carr prese parecchio. Si può dire che mai come in questo romanzo, ma anche in It Walks By Night, 1930  e in The Waxworks Murder, 1932, predominino le atmosfere notturne e comunque lugubri. Anzi, mi verrebbe da dire che, Poison in Jest, al di là del “Whodunnit” in se per se, è soprattutto un romanzo d’atmosfera.

Vari sono i passi che possono essere presi in considerazione; innanzitutto, nel romanzo in edicola:

“La luce del crepuscolo scendeva sul Wienerwald e sul bassopiano dove si estende la città di Vienna…Il mio compagno sedeva nell’ombra, ed io potevo scorgere solo il bagliore della sua sigaretta” (Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, Prologo). Questo inciso fa pendant con uno, direi parecchio simile e suggestivo, presente all’inizio di It Walks By Night (pag.4 edizione originale) ma stranamente non tradotto da Rossana de Michele.

Riporto il brano originale in lingua madre, con sottolineata la parte tradotta in italiano, la traduzione italiana del tempo e la mia integrazione della traduzione:

The high Iamps were blooming out over Paris as we went down the stairs to my car. He stopped in the doorway to light a cigar, and he stood for a moment looking up and down the blue-shadowed street—a tall figure silhouetted against the light of the tall doorway, cloak flung over his shoulder, leaning on his silver-headed stick”.

Parigi scintillava alla luce dei suoi mille lampioni quando scendemmo le scale e ci avviammo verso la mia auto”. (John Dickson Carr , “Il Mostro del Plenilunio”, It Walks By Night, 1930 – trad. Rossana De Michele – I Classici del Giallo Mondadori, N.196 del 1974)

“Si fermò sulla porta alla luce di un sigaro, e stette per un momento a guardare su e giù per la strada dalle ombre blu, una figura alta stagliata contro la luce dell’alta porta, il mantello gettato sulle spalle, appoggiato al suo  bastone dalla testa d’argento” (mia integrazione).

Ma ecco altri passi dal romanzo in edicola:

“Mi guardai intorno: la biblioteca era un’immensa stanza, con finestre che arrivavano fino al pavimento; un candeliere diffondeva un chiarore debole ed incerto che dava alla stanza una luce triste…In un angolo c’era ancora l’oggetto della mia domanda : una brutta statua di marmo, in grandezza naturale, dell’ imperatore Caligola, con la toga, il naso a patata, la bocca socchiusa, in piedi con un  braccio teso; il braccio però finiva in un moncherino: da quanto potevo ricordare, la mano destra  della statua era sempre mancata” (Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, cap.1, pag.18);

“Il resto della notte sembrò tutto un incubo..a metà della notte sentimmo un grido..uscii di corsa. C’era la luna piena. Vidi papà in piedi in mezzo all’atrio, in camicia da notte..ma tutto quello che riusciva a dire era di aver visto qualcosa di bianco con delle dita che correva attraverso il tavolo della biblioteca, al chiaro di luna” (op. cit., cap. 5, pag.42);

“L’ho visto alla finestra, al chiaro di luna, quando ho portato la macchina in garage! Aveva le mani appoggiate al davanzale e gli occhi sbarrati” (op.cit., cap. 6, pag.46);

“La biblioteca era tetra, illuminata solo dalla luce giallognola del gas che ondeggiava davanti ai ritratti e proiettava la grande ombra della statua sulla parete” (op.cit., cap.7, pag. 59);

“..aveva un fremito in gola. Che cosa provasse Sargent in quel momento non lo so, ma qualcosa si rivoltò nel mio stomaco, con un brivido di terrore. Guardavo la statua di Caligola, con gli occhi sporgenti e sorridenti nella luce grigiastra che veniva dalla finestra; un momento prima il rettangolo della finestra era vuoto. Ora una mano premeva contro il vetro, le dita erano piatte, il palmo rivolto verso di noi e di un bianco cereo. Dopodichè le dita cominciarono a battere e a grattare sul vetro. Il terrore mi impediva di gridare..” (op. cit., cap.12, pag. 100).

Di questi passi nel nostro romanzo ce ne sono molti altri. Un comune denominatore è l’oscurità, le luci insufficienti a rischiararla che si tratti di atmosfere interne alla casa o esterne, e soprattutto le notti al chiaro di luna.

Ora vediamo se vi siano passi simili a questi in opere di Connington. Per me sarebbe sufficiente analizzare qualche passo rivelatore di un capolavoro di Connington, direi quasi “Il Capolavoro”, se dovessi solo analizzare le atmosfere, cioè Tragedy at Raventhorpe, 1927 ( “Le tre meduse” nell’edizione italiana). In questo romanzo troviamo parecchie idee che Carr avrebbe potuto mettere in pratica, ma ce n’è una assai singolare in cui ritroveremo due caratteri del romanzo carriano: la notte al chiaro di luna e la statua.

In breve..durante una festa danzante, di sera inoltrata, qualcuno ha tolto la corrente ed un ladro ne ha approfittato per rubare. Poi è scappato. Dopo il primo attimo di sbigottimento, gli altri, tra cui Sir Clinton Driffield, decidono di acciuffarlo:

“..finalmente, attraversato il boschetto, sbucarono sull’altura. Sull’orlo del precipizio era stata eretta una balaustrata di marmo, e alcune panche di marmo..ad intervalli regolari, su dei piedistalli erano collocate delle statue a grandezza naturale” ( J.J.Connington, “Le tre meduse”, Tragedy at Raventhorpe, 1927 ; trad. Alberto Tedeschi, I Classici del Giallo Mondadori N.186 del 1974, Cap. 1 “La Casa delle Fate”, pag.13);

“..la luna piena, nel cielo senza nubi, illuminava il paesaggio quasi a giorno. In testa si scorgeva la figura bianca del fuggiasco che saliva lungo il pendio verso la pineta..Un momento dopo il chiarore lunare appariva attraverso l’arco naturale formato dagli alberi, all’estremità del bosco. A questo punto, la bianca figura dell’inseguito che sbucava sulla radura, spiccò nettamente..mentre passava all’ombra degli alberi intravide a pochi metri di distanza la sagoma di una Casa delle Fate, illuminata dai raggi della luna che filtravano attraverso il fogliame( op. cit., Cap.4 “Caccia al chiaro di luna”, pagg. 44; 46; 51).

Il ladro riesce a scappare. Verso la fine del romanzo il ladro, tenta di nuovo la stessa tecnica di eclissamento da uno spazio chiuso, in pratica una “Camera Chiusa”, quello che Carr avrebbe definito “Vanished into the air”. Si ripete la stessa caccia all’uomo per il boschetto, fino ad arrivare allo spiazzo delle statue.

“.. vi ricordate qual era la particolarità della Medusa? Mutava in pietra quelli che la guardavano, eh? Ebbene per contrapposto questo mi rammenta il caso di Pigmalione; mi son spesso domandato quale sensazione egli abbia provato vedendo la statua prender vita..Con grande stupore degli astanti, la statua bianca sussultò d’un tratto e balzò dal piedistallo” (op.cit., cap.14 “Come prima e meglio di prima”, pag.180).

Nel romanzo di Carr c’è una statua di marmo a dimensione umana e in Connington ve ne sono parecchie; in Carr il colpevole si nasconde dietro la statua, non  si traveste da essa come in Connington. E poi…le scene centrali si svolgono sempre in notti illuminate dalla luna. Ecco due  altri esempi tratti dal medesimo romanzo di Connington:

“Era una notte di luna e quindi i raggi che penetravano tra i rami dovevano formare delle zone luminose e delle zone scure, in netto contrasto: in un posto come quello e con quegli effetti di chiaroscuro, un costume come quello di Arlecchino sarebbe praticamente invisibile. Non doveva fare altro che restare immobile in un punto buio e nessuno lo avrebbe scorto” (op. cit., cap.7 “Quis, Quid, Ubi”, pag. 73);

“La luna era già alta nel cielo, ed il luogo era molto ben illuminato. Si sentiva solamente l’urlo di un vecchio gufo che dimora in un albero cavo laggiù. Sentivo il fruscio dei miei piedi sull’erba bagnata di rugiada. Ebbene mentre camminavo, tutto ad un tratto c’è stata una detonazione…come ho già detto la luna illuminava la campagna e l’esplosione proveniva da molto vicino. Ma le mie ricerche sono state vane. Nell’erba non si scorgeva nessuna traccia, mentre le mie orme erano chiaramente visibili. Nessuno si nascondeva fra le vecchie rovine” (op.cit., cap.10 “Il bianco e il nero”, pagg.138-139).

Il romanzo di Connington è utile anche per verificare altri espedienti, tipici degli anni ’10 e ’20, che negli anni ’30 verranno abbandonati, soprattutto..da Carr: i passaggi segreti.

Chi conosce l’opera di Carr, saprà che l’abduzione di Fell o Merrivale fa sì che perché il mistero sia davvero allettante e la soluzione altrettanto fenomenale, mezzucci come botole o passaggi segreti non devono esservene. Però è anche vero che questo avviene con i romanzi degli anni ’30; prima, cioè con il ciclo di Bencolin, quest’affermazione non sempre è del tutto vera. Ecco un esempio:

“Che emerito imbecille sono diventato! Ma per forza, Maleger doveva aver fatto un passaggio segreto..Bencolin si avvicinò al muro che faceva angolo retto con la porta che conduceva nell’atrio. Alzò l’arazzo che ricopriva la parete a pannelli di legno. Ebbe solo da spingere, e la parete scivolò aprendosi lentamente”  ( John Dickson Carr, “Sfida per Bencolin”, Castle Skull, 1931;  traduz. Laura Grimaldi, I  Classici del Giallo Mondadori N. 213 del 1975, cap.9, pag.84);

“Un passaggio segreto? Non ho mai sentito dire che qui esistesse un passaggio segreto. Forse al castello.. – Sentite, sono vissuta in questa casa per diciotto anni e questa mi è proprio nuova. Accidenti! Mi seccherebbe che ce ne fosse davvero uno, senza che io l’abbia mai saputo. Dove condurrebbe questo famoso passaggio? – Ho ragione di credere – le rispose il Barone – che vi si acceda dalle stanze di vostro fratello e che porti al Castello del Teschio passando sotto  il fiume..”

(op. cit.,cap.14, pag. 133-134);

“Una volta o due ho avuto proprio paura che stessero per trovare il passaggio..Balzai su e lo guardai allibito. – Allora sapete dove.. – gorgogliai. – Certo. Ci ho messo tutta la notte per trovarlo, e l’ho esplorato anche..E’ proprio dietro la porta della camera da letto. Si gira un interruttore della luce e la porta si apre nello studio. Molti ingegnoso..si sposta un intero masso di pietra che scorre su un meccanismo ben oliato e che può essere chiuso sia dall’esterno che dall’interno.” (op. cit., cap.14, pag. 138).

“Sentite bene Jeff…vi ho raccontato la storia del delitto fino al momento in cui Gina Prévost si precipita fuori dal passaggio segreto” (John Dickson Carr, “L’ultima carta”, The Corpse In The Waxworks , 1932; trad. Bruno Scurto, I  Classici del Giallo Mondadori N. 172 del 1973, cap. 11 “Le abitudini di naso rosso”, pag.100).

In Connington i passaggi segreti ci sono. Per esempio:

“Non ho bisogno di conoscere il segreto con cui la si apre. Ispettore, noi volteremo le spalle mentre il signor Chacewater farà funzionare il meccanismo..Si udì uno scatto secco, e quando essi si volsero, una porta si aprì all’estremità della sala” (J.J.Connington, “Le tre meduse”, Tragedy at Raventhorpe, 1927 ; cap. 11 “Esplorazione in profondità”, pag.146).

Ma i passaggi segreti non si trovavano solo in Connington: ce n’erano anche nei romanzi e nei racconti di molti altri esponenti del poliziesco di fine ottocento inizio novecento. Alla fine degli anni ’20, i passaggi segreti, li possiamo vedere ancora in The Crime at Black Dudley, 1929, di Margery Allingham :

“…ho visto un’antica cassapanca sotto un mucchio di scatole..L’ho liberata e l’ho aperta…ma tutto quello che ho trovato mi è parso un pezzo di una vecchia bicicletta. Ero così seccato che ci sono saltato sopra per spaccarlo, e immediatamente il congegno si è messo in funzione e il pavimento si è aperto sotto di me. Quando sono rinvenuto mi sono trovato in cima ad una scala, con la testa che stava ancora mezza fuori dalla cassapanca. Il congegno doveva aprire un passaggio segreto..finita la scala mi son trovato in una specie di tunnel pieno di topi..strisciando sono arrivato fino ad una porta che sia apriva dall’interno, l’ho spalancata e sono finito nel vostro armadio.” (Margery Allingham, “La lunga notte di Black Dudley”, The Crime at Black Dudley, 1929; trad. Anna Maria Ponti, I Classici del Giallo Mondadori N. 456 del 1984, cap.11 “Una spiegazione”, pagg. 68-69).

E’ il feuelliton sposato al poliziesco d’avventura.

In Poison in Jest, però, i passaggi segreti mancano: ecco una evidente rottura. Significa che Carr rompe con il feuelliton ed il romanzo d’avventura (ma questo non significa che qualche Bencolin dovesse esserlo per forza: basta leggere per es. The Lost Gallows, per convincersi di un romanzo “nero, ma più nero che non si può”; e molto spinto in avanti).

Bencolin è però anche… “gotico”.

Il gotico, che con le sue atmosfere lugubri e d’effetto, e con le sue scene macabre,è impregnato sino al midollo nelle opere del ciclo di Bencolin, anche nel nostro romanzo è presente, ma in una forma diversa, anche se di sangue… ce n’è sempre.

In Poison in Jest, come in tutti i precedenti lavori con Bencolin, abbondano le descrizioni orrorifiche; tuttavia esse non attingono all’orrore descrittivo, reale, e splatter, al macabro puro (ricordo il cadavere in decomposizione incatenato nella torre in Castle Skull o quello murato in cantina, e la testa decapitata nel catino pieno di sangue, in It Walks By Night), ma a quello immaginario, frutto di allucinazioni provocate da droghe o da situazioni al limite, che però poi si sgonfiano. C’è solo una scena veramente grandguignolesca: quando Marle e Rossiter, prima vedono emergere il giudice Quayle sporco di sangue dalla cantina, e poi scesi, trovano Clarissa con una scure conficcata nel suo cranio, vicino alla cassa del carbone, col sangue che scorre dalla testa fracassata, nascosta dai capelli scompigliati, mischiato a whisky proveniente da una bottiglia rotta, ed il corpo di Clarissa ingenerosamente esposto con la sua sottoveste nera, le sue calze nere e le sue giarrettiere in bella vista (Speciale del Giallo Mondadori N.68, Dicembre 2012, John Dickson Carr, Poison in Jest, traduz. Iti Dussich Knowles, cap.16, pagg. 124-125).

Al di là di questo, la costruzione della tensione narrativa non è sostanzialmente diversa da quella utilizzata in suoi romanzi precedenti.

Ne “Il Mostro del Plenilunio”, Jeff Marle e Sharon Grey sono assieme nella villa di lei.

Dapprima conversano: “ – Lewis Carroll..è fantastico! Io non avevo mai letto “Alice”! – Raoul.. – esitò un attimo poi proseguì – ..un mio amico me ne doveva portare una copia..Non è delizioso il ricevimento del Cappellaio Pazzo? E quando portano in giro i fenicotteri, e lui dice: Taglia, taglia la sua testa!..” (John Dickson Carr , “Il Mostro del Plenilunio”, It Walks By Night, 1930 – trad. Rossana De Michele – I Classici del Giallo Mondadori, N.196 del 1974, pag.136).

Si siedono su una panchina rustica, vicino al muro posteriore:

“..quando passammo davanti alla panchina rustica, toccai il braccio di Sharon che si sedette: nella poca luce che filtrava attraverso i rami dei cipressi,, potevo scorgere il pallore del volto di lei, alzato verso la luna: quel volto,eccettuati gli occhi, sembrava quello di una morta, e anche il suo corpo sembrava morto” (op. cit., pag.137). E ancora a seguire:

“– Com’è gelida la vostra mano, sulla mia spalla!…le parole penetrarono nel mio cervello…mi resi conto con orrore che le mie mani erano intrecciate insieme, davanti a me. Proprio così…poi le sue parole risuonarono nella mia mente in un rapido, tremendo sospetto. – Alzatevi – dissi, udendo a malapena la mia stessa voce. – Alzatevi di lì un secondo, per favore. – Perché? Cosa succede? Sembrate.. – Alzatevi di lì. La trascinai via dalla panchina, dietro di me, poi mi precipitai di nuovo verso il sedile. Fui sopraffatto da un senso di repulsione..il chiaro di luna, attraverso i cipressi, rivelava la mano di un uomo che sporgeva immobile dalla spalliera della panchina. Spostai il sedile e vidi un corpo umano che si adagiò per terra, dandomi impressione quasi di cosa viva..rimasi curvo,pervaso da un forte senso di nausea; la fontana mandava un suono stridulo, come una risata…La sua testa quasi staccata dal corpo. Adesso la sua faccia bianca e rigata di sporco era rivolta verso la luna: Era Edouard Vautrelle; aveva le labbra rialzate sui denti, in una smorfia di derisione, e il monocolo ancora fermo nell’occhio senza più luce (op. cit., pag. 137-138).

Noto la successione dei vari momenti, che si rincorrono sempre con maggiore tensione verso il catartico ritrovamento di Vautrelle: innanzitutto il riferimento alla decapitazione in “Alice nel paese delle meraviglie”. Poi il riferimento alle candele che man mano si spengono (ho saltato il riferimento di pag.137). Poi la passeggiata nel parco della villa, soli, al chiaro di luna, senza altre luci. Il riferimento ai cipressi (alberi da cimitero) introduce un nuovo elemento di tensione. Ma la fontana col suo rumore cristallino smorza la tensione, almeno..parrebbe che la smorzasse. Poi..il pallore nel volto di lei, che sembra quello di una morta. Ancora un riferimento macabro.  Poi si siedono sulla panchina, e ancora una volta sembrebbe che la tensione si svaporasse, quando..un nuovo elemento di tensione ancora più acuto si affaccia: la mano gelida. Che porta all’orrore di vedere le proprie mani conserte. E di chi è allora quell’altra mano? La sua voce è inudibile, in preda allo spavento. La luce della luna che attraversa i cipressi (ancora loro!) rivela una mano umana appoggiata alla spalliera della panchina. Ora il rumore dell’acqua della fontana non è più rilassante ma assomiglia al suono di una risata aggiungerei..maligna. E poi ..un corpo con la testa quasi staccata dal corpo. E infine la rivelazione che si tratta di Vautrelle. Vautrelle? Ma se si era quasi stati portati a sospettarlo di omicidio?

Faccio notare come gli stessi oggetti, a seconda dello stato emozionale in cui vengono a trovarsi i soggetti, possano mutare diametralmente il loro significato. Per es. la fontana della Villa di Versailles, prima ha un suono cristallino, poi è come se ridesse (ma non è una risata allegra ma beffarda, sardonica, che accompagna la scoperta dell’omicidio; e poi come le stesse cose possano avere un significato diverso a seconda da come le si usi: per es. la Villa di Versailles, che tenuta al buio e rischiarata dalle candele ha un’aura romantica ma piena di presagi di morte, dopo la morte, rischiarata dalla luce elettrica perde la propria aura spettrale per ricavarne una più fredda.

Ancora da notare è come il procedimento usato da Carr per generare tensione sia quello cosiddetto accrescitivo, usato con estrema accortezza, molto simile al sistema usato dai compositori dell’ottocento per accrescere la tensione drammatica nella musica: se si fosse puntato infatti su un’unica linea, procedendo dalla tensione minima alla tensione massima, non si sarebbe potuto andar avanti per molto tempo; e dopo un poco la tensione si sarebbe esaurita. Invece qui, per accrescere una tensione drammatica e portarla a livelli insostenibili, Carr si ferma ogni tanto, quasi seguendo delle tappe, e da ogni tappa riparte con una forza maggiore e con elementi che pur essendo simili a quelli originari, portano a situazioni più sconvolgenti.

Anche in Poison in Jest , la tensione viene generata per un meccanismo accrescitivo. Ecco un esempio: “- Laggiù !

Il posto era pieno di odor di mele,’d’umidità e di carbone, ma, più avanti, potevo scorgere il bagliore di una luce e mi parve, per un attimo, di vedere del sangue sul pavimento… Ci muove­vamo maldestri; Rossiter incespicò in un cestino e lo buttò di lato. La parte anteriore della cantina si abbassava e vi si arri­vava con tre scalini. Ci fermammo. Nell’angolo della parete di sinistra c’erano un banco da lavoro e alcuni scaffali. Vicino a questi scaffali sporgeva la cassa del carbone, proiettando una grande ombra sul pavimento. Una candela in un candeliere di latta ardeva sul tavolo da lavoro, gettando dei bagliori sulle pa­reti, sui vetri polverosi della finestra e degli scaffali. Per un atti­mo fissammo l’ondulare della fiamma, poi i nostri occhi furono attratti da qualcosa che si muoveva. Era un liquido scuro che scendeva sul pavimento e proveniva dalla cassa del carbone, la cui scia si dirigeva verso di noi…

Avvertivo il sudore sulla mia pelle e mi sentivo fisicamente incapace di muovermi; mi sembrava che tutto, intorno a me, si sgretolasse e che qualcosa di orribile si agitasse nella fiam­ma della candela. Niente sembrava reale! Un rivoletto di san­gue colava verso di noi. Il mio stomaco sembrava uno straccio bagnato che venisse strizzato lentamente. Rossiter mi spin­se, ma non riuscii a muovermi; dal focolare uscivano onde di vapore…

L’enorme figura di Rossiter scese maldestra i tre scalini e si mosse verso la cassa del carbone. Le mie gambe erano malfer­me, ma non potei fare a meno di seguirlo.

Ma qui c’è il manico di qualcosa! — esclamò. — Sembra una scure!

Sporse il volto, che era diventato terreo. — È proprio una scure… È stata lanciata contro la parte posteriore del capo. È Clarissa, la moglie di Twills. È meglio che veniate qui.

Era orribile, come quando non si è abituati a portare gli oc­chiali e si prova a guardare attraverso gli occhiali di un altro. Udii le parole del giovane, ma non potevo crederci. Era troppo mostruoso! Il piede di Rossiter inciampò in un pezzo di carbo­ne, altri più piccoli rotolarono e caddero sul pavimento. Notai che c’erano delle ragnatele nell’angolo della parete. Tentai dispe­ratamente di fermarmi su questi dettagli per potermi astrarre” (op. cit. , cap.16, pag. 124).

Ci si ferma e si riparte, e ogni volta che si riparte c’è sempre qualcosa in più; e gli stacchi sono sempre più rapidi fino alla conclusione basata su quattro picchi:

C’è un primo accenno di tensione, quando si parla di sangue sul pavimento, ma è solo una cosa che sembra(fermata)  La cassa del carbone (ripartenza). Proietta la sua ombra, per una candela. (fermata). Fissano la fiamma, ed il movimento di essa richiama qualcos’altro che si muove strisciando sul pavimento, sangue, (ripartenza) che proviene da dove? Dalla cassa di carbone. L’attenzione di nuovo si concentra su di essa (fermata). Ma ora è più attenta, vuol capire il perché di quel rivolo di sangue che non accenna a fermarsi (ripartenza).

Poi vedono il manico di qualcosa (1° picco), capiscono che è una scure (2° picco), che è affondata nella parte posteriore destra della testa di una donna(3° picco). E che quella donna è  Clarissa.(4° picco).

Mi vien da soffermarmi anche sul colpevole: anche questa è una cosa interessante..

Nel romanzo di Carr si possono individuare almeno quattro colpevoli: intendiamoci, non quattro persone corree, ma quattro diverse identità associabili a quella del colpevole.

Il primo è Clarissa, ed è evidente che sia la prima ad essere sospettata: eredita i soldi del marito, e diventa automaticamente la padrona della casa; in questo modo potrebbe imporre ai genitori in virtù dei suoi soldi, che vada a vivere da sola altrove (ma continuo a non capire per quale motivo lei e il marito avrebbero dovuto subire la volontà del padre di rimanere in quella casa, se i soldi erano quelli del marito e non del padre: mah..). Inoltre avrebbe avuto tutti i mezzi per uccidere il marito, stando vicino, e non destando sospetti. E’ il dottor Reed che punta il diro contro di lei.

Il secondo è il giudice Quayle, che si inietta dosi di morfina, e come tale è soggetto a stati di delirio e allucinazione: lui avrebbe potuto, nel suo delirio, ritenersi vittima di un complotto ed uccidere, assumendo una dose di joscina per sviare i sospetti, e il dottor Reed, suo amico da molto tempo, pensando ciò, avrebbe tentato di far emettere nel caso della morte del dottor Twills, un verdetto di suicidio, per coprirlo; e questa è anche la conclusione di Rossiter, nell’Epilogo. Come si vede il dottor Reed nel momento in cui accusa Clarissa è lesto a suscitare la possibilità dell’emissione di un verdetto di suicidio, quando capisce che potrebbe essere accusato l’amico, il giudice Quayle.

Poi c’è ovviamente l’assassino, insospettabile. Che coglie il lettore impreparato.

E poi c’è il quarto, di cui Carr, qua e là dice e non dice. Ecco io non so fino a che punto il colpevole sia stato nelle intenzioni di Carr, quello che Rossiter scopre alla fine del libro.

In più d’una occasione, infatti, si intravede il personaggio di Matt, uno dei cinque figli.

E’ lui che ha portato il vassoio alla madre, contenente il pane tostato generosamente cosparso di arsenico: “ – Un momento solo, ti prego. Mary mi ha detto che eri in cucina e che hai portato tu di sopra alla mamma il vassoio della cena” (op. cit., pag.49) ;

è lui che il padre accusa di aver sentito il discorso tra lui e Twills circa la Marchesa de Brinvilliers ed il suo amante, il Cavaliere di Saint-Croix, e le osservazioni circa i veleni:

“ – Mi pare di aver capito – dissi – che non c’era nessun’altra persona nella stanza, quando parlavate di queste cose. – Vi sbagliate. Non ho detto così. Ho detto solo che non avevo l’abitudine di parlare di queste cose durante una conversazione generale. Continuava a tamburellare le dita sul tavolo. – Effettivamente, credo che qualcuno sia stato presente, sia pure per poco nel corso di queste chiacchierate. Quando, non ricordo bene, se prima o dopo aver menzionato la josciamina. Eravamo seduti in questa stanza, verso le otto di sera, e mio figlio Matt entrò e si mise a pettinarsi davanti allo specchio, mentre noi parlavamo: doveva uscire…– Ma naturalmente chiunque può aver sentito quella conversazione: la porta che dà nell’atrio era aperta? – Certo. Erano tutti a casa” (op.cit., pag. 84-85);

è lui che il padre indica come l’amministratore dei beni di Twills e come il procuratore di Twills:

“ – Dov’è il testamento, ora? – E’in possesso di mio figlio Mat, depsitato nella cassaforte del suo ufficio… – Il dottor Twills era ricco? – Credo di sì. Ebbe una leggera esitazione. – Ma non sono nella posizione di stabilirlo esattamente, ora. Mio figlio Matt sarà senz’altro in grado di dirvelo. Lui curava gli affari finanziari del medico. Mio genero aveva ereditato il suo denaro, ma non se ne interessava in modo particolare. – Vostro figlio aveva poteri di procuratore? – Sì” (op.cit., pagg.120-121);

è sempre a lui che la sorella Clarissa indirizza una frecciata molto velenosa:

“…So che Matt ha fatto un po’ di confusione nei conti di Walter, ma io non passerò per stupida, e scoprirò tutto; non m’imbroglieranno!” (op.cit., pag.113);

è infine lui che rivela una cosa dettagli da Twills che potrebbe essere assunta come un motivo per eliminarlo, un movente insomma:

“ – Sai che cosa mi ha detto Twills? – esclamò Matt. – Mi ha detto: “Ora qui comando io. La vostra vita dipende da me”..Questo è arsenico..e la cosa più importante è che so chi l’ha messo nel pane tostato…Io so anche chi ha messo il veleno nel seltz” (op. cit., cap.5, pag. 43).

Insomma per quale ragione Matt non sarebbe potuto essere un valido assassino? Avrebbe potuto uccidere per impedire che si sapesse per esempio di una sua non oculata amministrazione del patrimonio; e così eliminando prima Twills, poi chi avrebbe dovuto ereditare il patrimonio di Twills, cioè Clarissa, che a Marle aveva rivelato la storia della confusione nei conti di Twills, si sarebbe assicurato l’impunità. E affermando la rivelazione di Twills avrebbe fornito una pista che includeva tutti assieme come possibili sospettati. Non so, ma queste tracce che vengono lasciate qua e là, se non sono intenzionali false piste, potrebbero essere anche dei residui di una prima stesura del romanzo, poi abbandonata. La cosa mi attira alquanto poiché nella spiegazione finale di Rossiter non se ne fa il benché minimo accenno, e questa cosa mi sembra strana. Perché vengono tutti menzionati e non Matt? E’ come se Carr si fosse dimenticato di aver lasciato queste false tracce, il che mi sembra strano. Per esempio potrebbe essere che in una prima stesura esistessero solo gli omicidi e non i tentati omicidi. Del resto il coinvolgimento di Matt diventa assurdo solo alla luce del tentato omicidio dei genitori. Ma poi, ripeto, emergono queste tracce strane ed incomprensibili. E allora…

Ritornando al macabro e alla sua rivalutazione, e all’abbandono degli elementi più granguignoleschi a favore di quelli più psicologici, in Poison in Jest, si può contrapporre la raffigurazione di

corpi decomposti o teste mozzate a quella della mano che danza sul tavolo di notte alla luce del chiarore notturno o all’ombra della statua che si staglia nella biblioteca illuminata da una luce tetra. Una scena ben distinta, può avere ora, anche un altro modo per essere resa: i passi nella notte.

In It Walks By Night, Gersoult, valletto di Saligny, mentre il suo padrone giace nella bara, con la testa staccata dal corpo, dice : “ –Lo so – disse. Lo so, signore: voi andate a cercare le cose morte che camminano in cantina: le ho sentite le cose morte, stropicciare i piedi, là sotto..” (pag. 169). Brr…

Gli stessi passi in Poison in Jest sono resi diversamente:

“..Le mie orecchie sono buone. Non era un passo pesante come quello di Matt o del signor Quale. I passi erano leggeri e veloci..Era già buioqui e non potevo vedere granchè, in ogni modo. Ma ho sentito qualcuno entrare: ho chiesto chi fosse, però non ho avuto risposta. Allora mis ono spaventata, non so perché. Da quando non vedo più molto bene, ho sempre paura che qualcuno mi assalga nel buio o mi metta del veleno nel cibo” (op. cit., cap.14, pag.109).

C’è l’abbandono della descrizione fantastica, a favore di una basata sui sensi e quindi sul reale.

E’ questa la crisi che attraversa Carr. E’ questa la crisi che porta all’abbandono di Bencolin e alla creazione di Fell e Merrivale, attraverso la figura di Pat Rossiter: è l’abbandono di un fantastico suggestivo e barocco, a favore di uno più che altro positivista.

Non dimenticando però che Poison in  Jest, pur essendo un romanzo di rottura, ha ancora parecchi caratteri dei lavori precedenti. Forse non come in Castle Skull o The Corpse In The Waxworks, ma pur sempre riconoscibili..

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24 Responses

  1. piero

    Successivamente a Carr, qualche autore ricorse tuttavia ancora ai passaggi segreti. E’ il caso di ricordare “Wilders Walk Away” di Herbert Brean, amico di Carr, ma che a differenza dell’amico, mise un bel passaggio segreto nella legnaia del suo romanzo, pubblicato nel 1949, e tradotto in Italia da Mondadori col titolo “Agguato nell’Invisibile” (tra l’altro ripubblicato nei Classici 3 anni fa).

  2. Sergio (Tipping My Fedora)

    Grande analisi Piero, bravissimo. Sono passati molti anni da quando ho letto il romanzo a non credi di aver fatto il nesso tra Rossiter a fell/Merrvale. Comunque e’ certamente un personaggio piu interessante del Galt di BOWSTRING MURDERS. Il paragone con Connington e’ davvero affascinante ma questo e’ uno scrittore che ancora non conosco.

  3. stefano

    L’analisi è corretta, molto ben argomentata e concede parecchi spunti su cui lavorare. Io credo davvero che a volte si dia troppa importanza, in un certo tipo di esegesi, allo studio artificiale post-rem e ci si abbandoni poco al piacere immediato e sensoriale del “mentre”. In questo caso secondo me hai dimostrato come si possa godere del primo Carr, dei suoi chiari di luna e delle sue torbide e a volte eccessive oscurità gotiche, trovando immediati rimandi e correlazioni a quel libro o quel racconto o quell’altro autore.
    Non ho ancora confrontato la nuova edizione con quella vecchia dei classici; scusami se l’hai scritto, ma la nuova versione è stata rinfrescata oppure è sempre la stessa?

  4. piero

    E’ stata rinfrescata. Ma non integrata, se ho visto bene.

  5. piero

    Stefano, quello che dici tu è vero, ma..un’analisi come la mia la si può fare solo dopo aver letto molti altri libri. Trenta anni fa, quando lessi per la prima volta il libro, molto di quello che ho scoperto non lo avrei minimamente messo in correlazione perchè non avevo le basi per creare i necessari collegamenti. Certo è affascinante, e per me lo è stato. Ma, accade spesso che leggendo un romanzo, mi vengano in mente delle associazioni affascinanti. Io uso la mia fantasia (supportata dalle fonti) per tentare delle ipotesi ardite: le più ardite ma nondimeno affascinanti le ho fatte quando ho analizzato “The Third Bullet” e mi sono accorto dei parallelismi tra questo romanzo breve e “The Bourning Court”, cosa che è stata osservata da alcuni amici di lingua anglosassone, e che mi ha colpito perchè significa che nessun altro ha supposto le stesse cose prima.
    Questo significa, in ultima analisi, che a parere mio, molto si può ancora dire su Carr, nonostante lo splendido libro di Doug Greene.
    Invece nel caso di quest’ultimo articolo, non vi sono ipotesi ma certezze (a Mauro devo dire che è piaciuto: lui parla di una mia devozione a Carr. E’ vero. Ma non è il solo autore che amo). Meriterebbero una riscoperta gli autori degli anni ’20, perchè lì si trovano le basi del decennio successivo: un po’ come dire che se non avessimo avuto il tenebroso ma splendido periodo del Medioevo, non avremmo neanche avuto il Rinascimento.
    Ma volevo dire un’ultima cosa:
    notate quale influsso dovette esercitare su Carr “l’affaire des poisons” della Marchesa di Brinvilliers e del suo amante Godin de Sainte-Croix.
    Almeno in tre romanzi di Carr se ne trovano riferimenti: Poison in Jest, appunto; The Bourning Court; The Third Bullet (secondo la mia ipotesi).

  6. piero

    Pubblicato sul mio blog italiano, articolo su “The Jack of Diamonds”, Il Fante di Denari, di Patrick Quentin:

    http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2013/01/15/uno-dei-primi-patrick-quentin.html#comments

  7. Antonino Fazio

    Bellissimo articolo! La profondità analitica di Piero è stupefacente.

  8. stefano

    Sul fatto che riguardo Carr si possa ancora dire tantissimo sono d’accordo. Se trovassi un docente potrei provarci anche io per la mia laurea magistrale, chi lo sa :)
    Ma spero che tu possa scriverne ancora centinaia di questi articoli Piero.

  9. piero

    Grazie, Antonino.
    Questo articolo è stato da me voluto soprattutto col fine di favorire l’acquisto dello Speciale curato da Mauro, perchè vorrei che altra gente leggesse questo romanzo, veramente una delle perle di Carr. Tanto più che lo Speciale è uscito un po’ più di un mese fa, e quindi, presso alcune rivendite potrebbe essere ancora disponibile. Sarebbe un peccato non prenderlo.

  10. piero

    Il personaggio di cui parla Sergio, creatore fra l’altro di un bellissimo blog in lingua inglese, molto vicino al mio (ma dovrei dire che il mio è molto vicino al suo), è John Gaunt.
    Mi piace ancora una volta soffermarmi su Carr, non solo romanziere, ma studioso di fonti storiche. Curioso che abbia chiamato un suo personaggio John Gaunt.
    Famoso fu John Gaunt. Quartogenito di Edoardo III e fratello di Edoardo, il Principe Nero, fu il tutore di Riccardo II (figlio del Principe Nero, eroe della Guerra dei cent’anni), e fondatore del casato di Lancaster (fu il primo Duca). Durante il suo periodo di reggenza, ci fu una famosa sommossa popolare: Peasants’ Revolt (1381), causata dalle pesanti tasse gravanti sui ceti popolari e sui piccoli proprietari terrieri e contadini, che reclamavano l’abolizione della tassa (su ogni figlio di oltre sedici anni) e della servitù. Alcuni di essi marciarono su Londra, dove vennero sostenuti da alcuni cittadini; il Palazzo di John di Gaunt venne saccheggiato e l’Arcivescovo assassinato e fu solo il giovane Riccardo II che impedì l’allargarsi della rivolta, facendo promesse che poi disattese e dimenticò facendo impiccare i capi della rivolta, tra cui Wat Tyler.
    E’ il periodo di reggenza tra l’altro in cui Paul Doherty ambienta le storie di Fratello Athelstan.

  11. Alessandro B.

    Ottimo articolo, come sempre da parte di Piero, l’ho letto con grande interesse. Anche io ho letto questo romanzo una trentina di anni fa,e non c’è dubbio che all’epoca, data la più giovane età e il fatto che il mio bagaglio giallistico non era quello di adesso, non colsi le sfumature e i collegamenti che Piero sottolinea. Ecco perché, a mio avviso, i gialli (e i libri interessanti in genere) vanno sempre letti almeno due volte, a parte il fatto che dopo vent’anni sfido chiunque a ricordare per filo e per segno la trama di un romanzo complicato come quelli di Carr.

  12. piero

    Grazie ancora Stefano, ma comincio a pensare che siano tentativi fini a se stessi.
    Quando ho cominciato a collaborare, e Dario mi ha dato la possibilità di farlo (immagino che fosse d’accordo anche l’editor, ma poi non so), il mio intendimento era ovviamente quello di una maggiore visibilità, ma anche e soprattutto cementare e saldare nuove amicizie, rapporti interpersonali, da cui avessi una qualche soddisfazione morale, che mi consentissero di avere altri amici, perchè con Internet mi apro al mondo (la mia vita è piuttosto chiusa: lavoro e famiglia).
    Ma qui, chi viene a leggere, raramente lascia una traccia del suo passaggio (tu se uno dei pochi che lo fa). E sarà da qualche tempo che mi sono chiuso in me, e quindi vedo nero in giro, ma al momento scarse sono le possibilità che continui a scrivere ancora “centinaia di questi articoli”.
    Non lo so.
    Dario ha tra le mani un altro lungo articolo su La Canarina assassinata di Van Dine. E non so quando la pubblicherà.
    Poi vedrò..
    Magari questo è solo un periodo di riflusso. Mah..
    Del resto non ho mai chiesto nulla, e non mi hanno mai offerto nulla. Le uniche soddisfazioni sono quelle che mi ha offerto Dario e quelle che mi ha offerto Luigi Pachì di Sherlock Magazine (Delos Book) anche per l’antologia che è uscita per Natale in cui ha inserito un mio romanzo breve. E il proficuo e gratificante continuo dialogo con Mauro Boncompagni.
    Con Fabio ci si sente poco, con altra gente che veniva qui, anche meno.
    Poi c’è addirittura chi è scomparso (non defunto).
    Per il resto sono soddisfazioni personali relative ai miei due blog (uno in italiano e uno in inglese) dedicati alla Letteratura poliziesca e che mi permettono di interagire con parecchi critici e bloggers che vengono a dire la loro :Curtis Evans, John Norris, Sergio Angelini, lo scrittore Martin Edwards, etc..

  13. Fabio Lotti

    Leggo sempre il blog di Piero anche se non intervengo e intervengo poco pure in altri blog impegnatissimo con Jonathan e tra breve anche con una nipotina.A Piero dico di continuare che gli apprezzamenti non gli mancheranno.

  14. Alessandro B.

    Dai Piero, non abbatterti, anche per me non è un momento facile, ma bisogna andare avanti, e poi sono sicuro che ci sono tra i frequentatori di questo blog tante persone che ti apprezzano. Io, per esempio, leggo sempre il tuo blog, anche se non lascio tracce del mio “passaggio”. Ad ogni modo non vedo l’ora di leggere l’articolo su La canarina assassinata, anche perché Van Dine è l’autore che amo di più, persino più di Carr.

  15. Mauro Boncompagni

    Caro Piero, non demordere. Il momento non è dei migliori, e pare che la crisi generale che ci attanaglia si sia estesa anche ai partecipanti del Blog, fattisi all’improvviso più timidi e meno presenzialisti. Tranquilli, tra le voci del redditometro le incursioni sul Blog del giallo non sono comprese, perciò (e badate che vi parlo da Genova) da questo punto di vista dovremmo stare tranquilli.
    Spero, e qui torno ad essere serio, che il tuo intervento, così sottile, analitico e incisivo attiri altri consensi, assolutamente meritati. La devozione che mostri per Carr, e non solo per lui, è un segno di come il giallo possa essere letto intelligentemente, al pari del resto della letteratura, che sia di genere oppure no. Perciò, ripeto, non demordere. Saluti a tutti.

  16. piero

    Sì Alessandro i libri andrebbero letti più volte, almeno quelli interessanti.
    Posso capire che ad una certa età si sia maggiormente interessati allo svolgimento e alla soluzione, ma alla nostra emergono altri interessi: la metalettura, il voler capire cosa ci sia dietro un certo modo di scrivere, il piacere di immergersi nello stile di uno scrittore. E quindi anche la volontà di cercare di leggere in senso trasversale un testo.

  17. piero

    Auspico anche che il blog possa essere onorato talora dalla presenza dell’editor, alquanto timido e restio a mostrarsi. La sua presenza, qua e là, darehbe la sensazione ai lettori che non siano abbandonati ma che le loro richieste, osservazioni, etc..possano trovare un paziente e benevolo riscontro.
    Del resto Marzio Biancolino, sul Blog di Romanzi, interviene spesso con le lettrici. E allora, per qual motivo, la stessa cosa non accade qui con l’editor, che, mancando un curatore autonomo delle collane gialle, è lui stesso curatore?

  18. Francesco

    A me il personaggio di Pat Rossiter è piaciuto moltissimo.Mi ha ricordato Sherlock Holmes nella genialità, e come il grande Segugio, anche lui appare bizzarro in alcuni momenti agli occhi degli altri.
    Alla fine, quando chiama Marle vecchio mio,mi sembra proprio di vedere Sherlock Holmes con Watson.

  19. piero

    Con la sola differenza che Holmes scherza bonariamente con Watson perchè tra loro c’è rispetto e stima se non amicizia, il tutto dato da una certa frequantazione precedente, mentre invece Rossiter conosce Jeff Marle a romanzo cominciato. Gli unici che Rossiter conosce già, sono alcuni esponenti della famiglia Quayle

  20. piero

    leggasi “frequentazione”: è scappata :-)

  21. piero

    Pubblicato nuovo articolo sul mio blog:
    La Fabbrica di Frankenstein (The Frankenstein Factory, 1975) di Edward Dentiger Hoch

    http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2013/02/09/e-anche-edward-d-hoch-fece-l-occhiolino-ad-agatha-christie.html

  22. guido

    Non pertinente con l’articolo del Signor Piero, ma con JD Carr: volevo segnalare l’uscita in libreria negli Oscar Mondadori de “Le Tre Bare” capolavoro assoluto di Carr, nella solita traduzione di Maria Luisa Bocchino: un occasione da on perdere per chi ancora non possedesse il libro.
    Saluti
    Guido

  23. piero

    Pubblicato altro articolo, questa volta sul primo romanzo di Abbot: L’omicidio di Geraldine Foster

    http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2013/02/16/l-inizio-sfolgorante-di-un-grande-vandiniano-anthony-abbot-l.html

  24. piero

    Guido, tutto ciò che è pertinente con Carr lo è anche per me, non ti preoccupare.
    Hai fatto bene a ricordare l’uscita in libreria di uno dei capolavori massimi di Carr.
    Così dovrebbe essere per tanti altri.
    Solo avendo in libreria, a disposizione l’intero catalogo delle opere di Carr come è avvenuto per Agatha Christie, si porrebbero le basi perchè possa uscire un’opera di critica su Carr, magari l’imponente e fondamentale lavoro di Doug Greene.

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