La condanna del sospetto

marzo 13th, 2010

Roberto Riccardi, vincitore del Premio Tedeschi, ci regala una riflessione intensa su un caso di cronaca, tornato, sfortunatamente sotto i riflettori.

L’articolo che riportiamo qui, sul Blog del Giallo Mondadori, appare per gentile concessione del quotidiano “Il Tempo”

Buona lettura

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Se si è ucciso doveva essere colpevole. Era innocente, non ha retto il peso di un’accusa infondata. Tutto valido, tutto opinabile. Di sicuro c’è che poche ore fa Pietrino Vanacore si è messo alla guida della sua auto. Marina di Torricella, provincia di Taranto. Ogni posto è buono, quando hai stabilito di scrivere la parola fine alla tua vita. E il portiere dello stabile B di via Poma 2, dove il 7 agosto 1990 si è spenta Simonetta Cesaroni, la sua decisione l’aveva presa. L’ha spiegata in poche righe, prima di lasciarsi affogare in un corso d’acqua: “20 anni di martirio senza colpa e di sofferenza portano al suicidio”. Vent’anni: tanto era durato il suo calvario, in un’altalena di incriminazioni che lo aveva visto più volte al centro dell’inchiesta capitolina. Nelle ore del delitto, negli uffici dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù dove Simonetta lavorava, terzo piano scala B, nessuno era entrato o uscito. A questo si legano i primi sospetti. Nella scala tre persone: la vittima, l’anziano architetto Cesare Valle e il portiere. Si aggiungono un alibi precario, macchie di sangue sui pantaloni che risulteranno dello stesso Vanacore, elementi che lo lasciano a lungo nella lista nera. Omicida, complice di Federico Valle, figlio dell’architetto, inquinatore della scena del crimine. Nulla però regge al vaglio giudiziario, in un procedimento che vede oggi un altro imputato alla sbarra.        

C’è un elemento che colpisce, nella vicenda dell’uomo Pietrino. La sua responsabilità oggettiva, perché di quella scala, nel giorno del sangue e della falce, era il custode. Pesa l’ombra di un’altra morte misteriosa: nel 1984 Renata Moscatelli era stata trovata soffocata con un cuscino, nello stesso stabile, e non c’erano segni di scasso. Il portiere come il maggiordomo, colpevole ideale se il teatro di un crimine è un palazzo, il tipico luogo in cui viviamo, dove abbiamo il diritto di sentirci protetti. Così si è innescata l’ulteriore tragedia, chiedendo il conto di una vita a chi poteva offrire solo quello delle sue azioni. Galeotto fu il mestiere. Inquietante come il Dirk Bogarde di un film anni Settanta, intellettuale come il riccio raccontato da Muriel Barbery, il portiere è una figura vicina, che intreccia le nostre vite alla sua. Secondo ricerche recenti è uno dei lavori che scompaiono, uccisi dalla tecnologia che ovunque soppianta l’uomo. Intanto è scomparso lui, Pietrino Vanacore. Il suo dolore, la sua angoscia, li ha portati con sé.                                                                                                       

Roberto Riccardi (autore di “Legame di sangue”)

“Il Tempo” il 10.03.10 (pag. 9)

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Lettera ai lettori

febbraio 10th, 2010

Care lettrici e cari lettori,

scrivo queste poche righe per porre fine, una volta per tutte, alla catena di dissidi, provocazioni e incomprensioni, riguardanti lo spazio “commenti dei lettori”.

Come ben sapete, nella serata di ieri ho chiuso tale spazio a seguito dell’esasperarsi dei toni, questo è il caso più recente, purtroppo queste “crisi” capitano quantomeno una volta al mese e fanno male a tutti. In primo luogo nuociono a Voi, che non potete usufruire di un servizio importante come quello dello scambio di opinioni, in secondo luogo fa male agli scrittori che si vedono privati di un feedback fondamentale , infine fanno male anche a me che sono costretto ad agire secondo modalità che non rientrano nel mio modo di pensare e agire e che a lungo andare mi privano della linfa necessaria (la passione) per proporre nuovi contenuti e contributi al sito.

Come possiamo uscire da questa situazione? Personalmente le ho provate tutte: Inizialmente mi sono attirato l’antipatia di tutti Voi moderando, cancellando, richiamando all’ordine,..Poi sono passato al “monitoraggio passivo”, ho cercato di lasciarvi esprimere controllando dalle retrovie che tutte procedesse per il verso giusto..non ho avuto il riscontro che mi aspettavo…Infine ho provato l’ultima strada, la più recente in ordine temporale. Ho letto i commenti (superando più volte la voglia di cancellarli istantaneamente), ho lasciato che gli screzi si risolvessero tra di Voi (superando ancora una volta la voglia di intervenire duramente quando si è scaduti nell’offesa gratuita e personale), insomma mi sono affidato al buon gusto e al buon senso. Ho, di nuovo, miseramente fallito. Tutto digeribile fin qui, sennonché questa situazione sta avendo ripercussioni anche sui miei rapporti interpersonali privati e questo, per me è un “punto di non ritorno”. Il ruolo che ricopro qui, mi porta a dover agire in modo imparziale, super-partes, il meno personalistico possibile. Sono ben conscio del fatto che si debba scindere i ruoli, come d’altronde ho fatto io i primi tempi, cercano di “capire” che le critiche e le prese in giro riguardavano il mio ruolo e non la mia persona. Detto questo, non posso permettere che il sito mantenga questa “nomea” di scannatoio, dove io passo una volta per censore, un’altra per “assenteista” con il rischio di perdere la stima che faticosamente derco di guadagnarmi giorno per giorno. Non va affatto bene. Non va bene neppure e soprattutto, che si arrivi addirittura a valicare la mera disputa letteraria andando a scadere nell’offesa e nella presa in giro. Il sito del Giallo Mondadori non può e non deve diventare un contenitore di malessere e astio. I frutti di questa condotta stanno portando i lettori a leggere e passare oltre, gli scrittori a sentirsi attaccati sul piano personale (fatto gravissimo) certi dell’inutilità di combattere contro invalicabili muri di gomma. Penso, ripeto, che continuare così non sia affatto un bene per noi tutti.

 A tal proposito, certo della vostra comprensione, illustro per punti alcuni accorgimenti che adotterò da questo momento in avanti: 

  • E’ diritto di ogni utente utilizzare un nickname.
  • Nessun utente ha l’obbligo di rivelare dati personali su richiesta altrui se non lo ritiene necessario
  • Qualsiasi commento “ambiguo” o “insinuante” verrà CANCELLATO a mio insindacabile giudizio
  • E’ considerato indesiderato l’utilizzo di termini volgari anche se utilizzati in ambito amichevole.
  • Lo spazio commenti è riservato SOLO ED ESCLUSIVAMENTE all’argomento che ne dà il titolo. Qualsiasi commento OFF TOPIC/FUORI ARGOMENTO verrà cancellato.

Chiunque desideri informazioni su romanzi/saggi non ancora pubblicati può scrivere all’indirizzo collez@mondadori.it

Per qualsiasi altra richiesta di chiarimenti sulle regole di cui sopra lascio attivo lo spazio commenti sottostante.

Buon proseguimento.

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Posizione di tiro – Febbraio 2010 – Barbara Baraldi: “Bambole pericolose”

febbraio 10th, 2010

A cura di Dario pm Geraci

Autrice ormai di spicco del nuovo thriller italiano, Barbara Baraldi con questo “Bambole pericolose” ci porta negli oscuri meandri di una Bologna mai così violenta e spettrale.

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DG: Allora Barbara, pronta ai nostri cinque colpi a bruciapelo?

BB: Per citare John Carpenter: sono nata pronta. A parte gli scherzi, grazie Dario, è un onore per me essere ospite sul blog del Giallo.
DG: Se ti guardi alle spalle, come pensi si sia evoluto il tuo stile?

BB: Ho sempre cercato di adattare il mio stile alla storia da raccontare. Ne “La collezionista di sogni infranti” la vicenda parte da una riflessione sul mondo virtuale e i pericoli della rete. In questo caso ho optato per uno stile secco, con frasi brevi e incisive che ricordino l’immediatezza della chat. Seguendo questo ragionamento ho scelto di non suddividere i capitoli e il lettore si trova catapultato dalla mente di Marina a quella di Amelia, le due protagoniste, come in un gioco di specchi. Per “Bambole pericolose” ho cercato uno stile più descrittivo. C’è una Bologna gotica, notturna, combattimenti clandestini come ancestrali riti di sangue. Ci sono magia nera, tradimenti, vendetta e sentimenti primigeni come l’amore e l’odio. La vicenda è descritta in terza persona con alcuni stacchi in prima, come se una telecamera immaginaria offrisse, di tanto in tanto, il punto di vista di uno dei protagonisti.

DG: Come identifichi il tuo pubblico? Tracciaci l’identikit del tuo lettore medio.

BB: Dalle mail che ricevo non ho un lettore tipo. Ci sono ragazzine, magari attratte dallo stile a volte onirico, che si trovano vicine alla sensibilità delle mie eroine più giovani; ci sono appassionati di cinema che si divertono a scovare le citazioni che nascondo tra le righe. Una volta una mamma mi ha detto che avrebbe fatto leggere le vicende di Amelia a sua figlia, per farle aprire gli occhi sui pericoli del mondo virtuale. Con “Bambole pericolose” ho ricevuto varie mail da parte di cultori delle arti marziali. Mi ha fatto molto piacere.

DG:  Sappiamo che il mestiere dello scrittore richiede, oltrechè molta passione e dedizione, anche una grossa parte di ricerca La famosa “fase spugna” dei luoghi e dei personaggi. Ci racconteresti le fasi della lavorazione di un tuo romanzo?

BB: Sono molto scrupolosa nel lavoro di ricerca prima della stesura di un romanzo. Con “Bambole pericolose”, per esempio, mi sono documentata a lungo sulle tecniche di combattimento. Ho una passione per le arti marziali, ma avevo bisogno di approfondire l’argomento. Ho frequentato per settimane un corso di Kick boxe e ho assistito agli incontri dei Nazionali di Thai Boxe, una grandissima emozione! Ho parlato con esperti e istruttori. E poi lo ammetto, gioco da anni a Tekken J. Dopo essermi documentata ho preparato una scaletta generale, e poi via con la stesura. Successivamente c’è il lavoro di revisione, che è sempre il più duro. Perché, come ha detto qualcuno prima di me: “Scrivere vuole dire riscrivere”.

DG: Abbiamo in comune una smodata passione per il cinema, di genere soprattutto. La definiresti una passione fine a sè stessa o trovi sia funzionale alla lavorazione di un romanzo/racconto?

BB: Sicuramente questa passione ha contagiato il mio stile. Quando scrivo procedo a visioni, quasi come un film mi passasse davanti. Hanno definito la mia scrittura cinematografica: è quello che cerco di ottenere.

DG: Domanda “cult” della nostra rubrica: Se dovessi scegliere un regista a cui far trasporre un tuo romanzo al cinema, quale sceglieresti tra le tue opere e quale fra i registi (solo quelli in attività altrimenti, conoscendoti, sarebbe fin troppo facile pescare tra i nostri artigiani degli ’60/’70).

BB: Niente anni 60/70, ok. Rimango in Italia e scelgo i Manetti Bros. Ho apprezzato il loro metodo di lavoro direttamente sul set de L’Ispettore Coliandro. Soprattutto, lavorano con passione e professionalità. Forse, per cominciare, sceglierei proprio “La bambola dagli occhi di cristallo”: una Bologna oscura, insidiosa, e un ritmo sincopato.

Grazie Barbara e tienici sempre aggiornati sui tuoi progetti. I lettori del Giallo Mondadori ti seguono sempre con estrema attenzione…ah! sappi che si tratta di un avvertimento!

BB: Non manchero’

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Vita mediocre di un giallista-scacchista con un piede e tre quarti nella tomba

gennaio 23rd, 2010

Facile scrivere la vita di un uomo illustre. Ce ne sono tante in giro e il giochetto ha preso piede fin dall’antichità. Un uomo illustre ha certamente fatto delle cose importanti: ha operato, studiato, scritto, gareggiato, combattuto e insomma non è stato a bighellonare tutto il santo giorno dalla mattina alla sera. Facile trovare notizie lasciate da lui medesimo (gli uomini illustri le lasciano sempre) o da amici, parenti e affini, o addirittura dagli stessi nemici. Più difficile raccontare in breve la vita sciapita di un uomo mediocre. Una storia anonima come il grigiore della nebbia padana. Soprattutto se si tratta della mia… Arrivano i ricordi. A ondate. Spesso all’improvviso, senza accorgermene. Non so se capita anche a qualcuno di voi. Ora belli, ora brutti. Mi ci sono abituato e mi fanno compagnia. Il primo ricordo che mi assale è il pianto. Da piccolo piangevo sempre. Una belata continua che sentivano pure i vicini di casa “O Lionna (la mia mamma) o che gli fai a codesto bambino?” le chiedeva Corinna (sentite che nomi) dalla finestra di fronte. “Che gli fo, che gli fo. Niente gli fo. E piange senza motivo”. E forse un motivo ce l’avevo, una specie di presentimento, che quando ebbi undici anni il “mal di cuore” se la portò via. Così è la vita.  Di mio padre (i’ mi’ babbo) ricordo gli occhi che diventavano verde scuro quando si arrabbiava, un  numero imprecisato di pedate nel culo e un vocabolario di latino Campanini-Carboni con copertina verde pisello che mi sbatacchiò in testa (ahi!). Mai un bacio, mai un abbraccio. Allora era così. Ciao babbone!Altri ricordi dei miei amici e dei vecchi del mio paese Staggia Senese a circa diciotto chilometri da Siena. Mi arrivano a gruppi, a frotte come uno stormo di uccelli. Visi, voci, gesti, espressioni tipiche particolari con i loro nomi e soprannomi: Luigi Profeti detto i’ Pocciere perché si pocciava sempre il dito, Maurizio Logi detto Polvere perché era sempre per terra, e poi Rombolino, Mezzasega, i’ Caciaio, Pasta e Pane, Capone  e giù giù fino all’eloquente (per noi) Palloni che non è riferito al gioco del calcio. E non posso dimenticare Abelardo Tanzini detto i’ Bela, praticamente il mio fornitore personale di sigarette, non avendo mai una lira in tasca. Un saluto anche a lui che mi ha lasciato.Ricordo ancora con un pizzico di nostalgia gli scherzi che si combinavano come quando d’inverno, caduta la neve, aspettavamo sopra un ponte il passaggio delle persone che tornavano a casa dal lavoro. E che venivano bombardate da un lancio bene accurato di palle tra urla, schiamazzi, improperi e minacciosi inseguimenti. Qualche volta gli scherzi erano “pesantini” come quando si fece rotolare una piccola valanga di neve dentro la casa di una “donnina” che ci stava sulle scatole. Fu un capolavoro di calcolo matematico. Leggi tutto »

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Editoriale

dicembre 26th, 2009

Gentili Lettrici, Cari lettori:

Anzitutto i miei più calorosi e sentiti auguri per delle serene feste natalizie e per un un grande 2010.

È con il medesimo calore che desidero anche ringraziare ognuno di voi per la consistenza con cui continuate a seguire il Giallo Mondadori e per la passione dei vostri interventi su Gialloblog. Ogni singolo lettore e’ importante, ogni singolo commento merita attenzione. E’ infatti solo attraverso il dialogo con tutti voi che noi della squadra del Giallo possiamo mettere costantemente alla prova sia le nostre scelte che le nostre prospettive.

Come sapete, questo anno 2009 che sta per chiudersi ha segnato i ben ottant’anni di esistenza del Giallo Mondadori. Un simile traguardo rende il Giallo Mondadori se non il marchio periodico più longevo in assoluto, di certo uno dei più longevi in senso lato della editoria non solamente italiana.

Il 2010 segnerà il mio quinto anno quale Direttore Editoriale del Giallo Mondadori. Da responsabile di tali e tante scelte editoriali, non posso che ritenermi onorato e lusingato di poter continuare la tradizione iniziata dal grande Alberto Tedeschi e continuata da straordinari uomini e donne di editoria quali Oreste del Buono, Laura Grimaldi, Gianfranco Orsi, Lia Volpatti.

Ecco quindi alcune anticipazioni sull’anno che sta per iniziare.

Tutte le nostre testate — Giallo, Classici del Giallo, Giallo Oro, Supergiallo — continueranno a essere distribuite secondo la ormai collaudata periodicità.

Mentre i Classici del Giallo non cesseranno di presentare le opere dei grandi Maestri — Christie, Stout, Gardner, McBain, Woolrich, solo per citare gli autori-pietre miliari — nel Giallo appariranno sia solidi talenti stranieri che inaspettati fuoriclasse italiani.

Un traguardo d’eccezione che verra’ raggiunto nel marzo 2010 e’ quello del Giallo Mondadori numero 3000. Occasione per la quale offriremo un vero e proprio piece de resistance: “Hannibal Lecter, Le Origini del Male”, il testo a firma Thomas Harris che apre cronologicamente la saga di uno dei piu’ affascinanti e diabolici serial-killer della letteratura a suspense.

Sempre sul fronte della narrativa di lingua anglosassone, con “Dexter l’Oscuro” presenteremo il quarto volume inedito della corrosiva saga di Jeff Lindsay diventata culto tv.

Passando agli autori italiani, tutti in folgorante crescita tematica e stilistica, con “Bambole Pericolose”, seguito de “La Bambola di Cristallo”, vedremo l’atteso ritorno di Barbara Baraldi, autrice rivelazione del gothic-thriller Italian-style.

A Baraldi andranno ad affiancarsi Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini con il loro monumentale forensic thriller “Per Esclusione”, e lo straordinario Patrick Fogli con “L’Innocenza Sepolta”.

Nel Supergiallo, sulla scia del consenso che a tutt’oggi continua a riscuotere l’antologia “Il mio vizio e’ una stanza chiusa”, proporremo di nuove, trasgressive opere antologiche tutte italiane. Da “Sul filo del rasoio”, micidiale cocktail thriller-futuribile a cura di Gianfranco De Turris, a “Eros & Thanatos”, folgorante vortice di sole signore sulla tematica amore/morte.

Mi fermerei qui per non guastare… la suspense, appunto.

L’avventura nelle caleidoscopiche dimensioni dell’intrigo non si ferma. Di nuovo, a tutti voi che ci seguite, porgo i miei più sentiti auguri e la mia più profonda riconoscenza per permettere a noi della squadra del Giallo di vivere quell’avventura assieme a voi.

Con la massima cordialità,

                                                          Sergio “Alan D.” Altieri

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Alta cucina

dicembre 23rd, 2009

Oggi vogliamo regalarvi un bell’articolo di Enrico Luceri su Rex Stout. C’è forse modo migliore di prepararsi al Natale?

Pubblicato negli Stati Uniti nel 1938 (e per la prima volta in Italia l’anno dopo nella collana Mondadori Libri Gialli), Alta cucina (Too many coocks) è il quinto romanzo di Rex Stout di cui è protagonista Nero Wolfe. Appartiene alla ristretta serie di indagini che vedono il pachidermico investigatore costretto ad abbandonare la sua comoda casa di arenaria nella 35° Strada ovest di New York per una destinazione lontana, anche se in occasione di una circostanza piacevole, almeno in teoria: partecipare in qualità di ospite d’onore alla riunione quinquennale dei Quinze maitres, la crema (è il caso di dire) dei migliori cuochi mondiali. La culinaria a livelli di eccellenza è infatti una delle due grandi passioni del geniale investigatore (l’altra è la coltivazione delle orchidee), le uniche che riescano a svellerlo dalla poltrona costruita appositamente per accogliere la sua mole pesante un settimo di tonnellata. Wolfe esercita infatti la professione di detective privato al solo scopo di procurarsi le salatissime parcelle con cui garantire il tenore di vita suo e dei propri collaboratori. Fra i quali il principale è senz’altro Archie Goodwin, dinamico e disinvolto quanto il suo principale è sedentario e misantropo (con una acclarata propensione alla misoginia), nonché suo biografo ufficiale e in tale veste vero e proprio io narrante di ogni storia. Per essere precisi non è solo l’onore di partecipare a un tale convegno la molla che spinge Wolfe ad affrontare il viaggio in treno che lo porterà fino a Kanawha Spa, nella Virginia occidentale, ma anche la prospettiva di conoscere il raffinato chef catalano Berin, creatore di una ricetta esclusiva, quella delle Salsicce mezzanotte, per la quale il monumentale investigatore sarebbe disposto a fare follie.

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Se l’arte dei Quinze maitres è l’alta cucina, e quella di Wolfe consiste nell’incastrare gli assassini e spedirli in carcere (o sul patibolo), Rex Stout è invece un abile e prolifico architetto di gialli in cui la suspense si stempera spesso nell’humour e nel sarcasmo. Egli dipinge con un pennello intinto nel vetriolo le personalità degli assi del fornello, un’accolita di divi capricciosi, invidiosi e capaci di colpi bassi tanto meschini quanto puerili pur di non riconoscere i meriti dei colleghi. Niente da stupirsi se la vittima dell’inevitabile omicidio è Philip Laszio, così spregiudicato da permettersi la licenza di sottrarre spudoratamente ai colleghi ricette segrete, incarichi in ristoranti di lusso e perfino le mogli. Eccentrica è anche la scena del crimine: una sala in cui a turno i grandi cuochi si cimentano nell’impresa di individuare gli ingredienti mancanti in una salsa del tutto speciale.

Bisogna ammettere che in condizioni particolari, privo del conforto del proprio ambiente e delle piacevoli consuetudini di una giornata scandita da rituali di maniacale precisione (visita mattutina e pomeridiana alla serra, boccali di birra serviti nello studio, letture impegnative che rappresentano un formidabile incentivo alle sue fulminanti intuizioni investigative) Wolfe se la cava benissimo. La sua indagine è la meticolosa e paziente ricerca di una piccola ma determinante crepa nella diga eretta dall’assassino, che opportunamente allargata attraverso una serie di magistrali interrogatori di testi inconsapevoli o reticenti permette una lucida ricostruzione del delitto, smantellando un alibi ingegnoso costruito sul filo dei minuti. E di conseguenza l’identità dell’omicida, il movente che l’ha spinto ad agire e le complicità di cui ha goduto.

Mai come in questa circostanza l’inveterata misoginia di Wolfe (che almeno in teoria il suo creatore non condivide) viene ampiamente giustificata dalla presenza di una maliarda corrotta e amorale. Archie Goodwin, che sempre in teoria dovrebbe essere complementare al suo principale, e dunque convinto ammiratore delle donne, predica male e razzola bene, ovvero si limita a un’ammirazione platonica (e qui Stout si dimostra accortamente discreto o prudentemente bacchettone a seconda dei punti di vista). Infatti quando inciampa nei bellissimi occhi di Constance, la figlia dello chef Berin, Archie non trova di meglio che schermirsi, inventandosi una moglie e una numerosissima prole. Finisce così per ritagliarsi un ruolo da Cupido che favorisce l’idillio fra la passionale ragazza e l’imbranato (con l’altro sesso, e in parte anche come magistrato) sostituto procuratore Barry Tolman.

Alta cucina non è solo un giallo costruito come un manicaretto in cui i sapori si esaltano a ogni boccone ma anche una miniera di spigolature per gli amanti del più monumentale detective della narrativa mistery. Tanto per cominciare, a pagina 159 (nell’edizione de I Classici del Giallo di cui si tratterà più avanti) Nero Wolfe afferma di non essere nato negli Stati Uniti: ebbene, per lungo tempo le biografie apocrife del geniale detective lo volevano originario di Trenton, nel New Jersey e solo qualche anno dopo di ritorno con la madre in Europa. Strano, anche perchè nel romanzo Nero Wolfe fa la spia (1954), Stout costringe (è il caso di dire) il suo personaggio più famoso a tornare addirittura nel suo paese natale, il Montenegro (e infatti il titolo originale dell’opera è The Black Mountain) per acciuffare l’assassino del suo migliore amico (nonché cuoco di punta del ristorante Rusterman di New York, e a buon diritto membro dei Quinze maitres) Marko Vukcic.

Ma c’è di più: sebbene Rex Stout sia stato un libero pensatore, dichiaratamente anticonformista e polemista ribelle alle convenzioni ipocrite di una certa società, non è però immune da espressioni assai poco politically correct di sapore vagamente (e certo involontariamente) razzista. Nel definire i camerieri afroamericani dell’albergo Kanawha Spa lo scrittore va per le spicce: essi sono negri, moretti, pronipoti dello zio Tom (quello dell’omonima capanna ai tempi più bui dello schiavismo), si rivolgono con deferenza quasi servile ai clienti dicendo “Sissignore”, vengono presi di mira, testimoni dapprima riluttanti ma in seguito decisi a compiere il proprio dovere civico, da uno sceriffo ottuso e sbrigativo (che Stout rappresenta strabico, con una fisiognomica straordinaria che allude all’incapacità del personaggio a distinguere la verità), espressione di uno stato conservatore del profondo sud statunitense come la Virginia occidentale dell’epoca, la fine degli anni ’30 del secolo scorso.

Infine, Stout chiama l’elite dei cuochi mondiali “maitres” (che in un ristorante hanno ben altro ruolo) invece di usare il termine chef che sembra molto più appropriato. D’altra parte nel prologo del romanzo il biografo-segretario-collaboratore tuttofare Archie Goodwin precisa che nel testo ricorrono termini stranieri (cioè francesi) che egli non padroneggia, dunque potrebbe essere incorso in qualche errore di locuzione o parola. Un lapsus freudiano di Rex Stout?

Pubblicato nel gennaio del 1974 nella collana I Classici del Giallo (n.181), il romanzo appare anche nell’Omnibus giallo dello stesso anno L’alta cucina del delitto, sempre nell’accurata e fedele traduzione di Alfredo Pitta. Quest’ultimo volume è arricchito da una serie di schede con le ricette più raffinate (e stravaganti) preferite da Nero Wolfe, fra cui la salsa “Printemps”, protagonista involontaria della scena del crimine a Kanawha Spa.

Un esperimento che evidentemente piacque ai lettori dei gialli di Nero Wolfe, visto che nel 1975 venne allegato all’Omnibus giallo Nero Wolfe, Archie Goodwin & Company addirittura un ricettario completo di prelibatezze citate nella vasta bibliografia del più goloso degli investigatori. Leccornie fra le quali non può mancare il menù della cena di gala al Kanawha Spa.

Dal romanzo Alta cucina venne tratto anche un episodio dello sceneggiato televisivo diretto da Giuliana Berlinguer Nero Wolfe, trasmesso il 23 febbraio del 1971 sul Programma Nazionale (l’attuale Rai1) con il titolo Salsicce Mezzanotte. Lasciando inalterato l’impianto narrativo della vicenda, l’adattamento televisivo di Belisario Randone semplifica in alcuni punti la trama (per esempio elimina del tutto la parte iniziale e finale del romanzo ambientata in treno) e riduce il numero dei personaggi, piegando lo sviluppo del giallo alle esigenze di una sceneggiatura compressa per esigenze di tempi televisivi. Oltre ai due protagonisti Nero Wolfe (un ineguagliabile e immenso, non solo fisicamente, Tino Buazzelli) e Archie Goodwin (il sornione e disinvolto Paolo Ferrari) compare anche il cuoco Fritz Brenner (Pupo De Luca, compassato e puntuale come un autentico cuoco… svizzero), assente nel romanzo.

                 

                                                                                                                                                    

(articolo precedentemente pubblicato da “RomaGialloFactory”)

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Posizione di tiro – Legame di sangue – Roberto Riccardi

dicembre 18th, 2009

Intervista a cura di Dario pm Geraci 

DG: Tenente Colonnello Riccardi, è un piacere averla qui sulle pagine del nostro sito. Che sensazione si prova ad aver vinto un premio così prestigioso nell’ambito della narrativa thriller?

RR: Una bellissima soddisfazione. Il Premio Tedeschi, il Giallo Mondadori, sono la storia del genere letterario in Italia. Per mia natura sono portato a non prendermi troppo sul serio. In questo caso, catapultato  al  Noir in Festival di Courmayeur per la premiazione, in mezzo a veri Maestri del settore, sono stato costretto a farlo! 

DG: Il Suo è quello che viene comunemente considerato un “esordio al fulmicotone”. Qual è stata la Sua “formazione” nel thriller? Da lettore, quali sono i suoi gusti?

RR: Premetto che sono, da sempre, un lettore tendenzialmente onnivoro. Da adolescente leggevo libri di avventure, classici e… Gialli Mondadori! La prima autrice che ho divorato è stata Agatha Christie. Nel tempo mi sono affezionato ad altri, come Simenon, Chandler e soprattutto Sciascia, che per Legame di sangue è forse il riferimento più presente.  

DG: Cosa pensa possa distinguere il Suo romanzo, rispetto ad altri prodotti che trattano temi simili, come ad esempio lo “spinoso” rapporto con la mafia?

RR: Non so se oggi qualcuno possa ritenere di scrivere cose autenticamente originali. La produzione letteraria è sterminata, inconoscibile. Ho messo nella mia storia, che ha una trama di fantasia, un realismo che deriva dall’aver maturato esperienze simili a quelle di Roversi, il protagonista del romanzo. Come lui sono stato un giovane capitano dell’Arma impegnato in Sicilia, e ho svolto indagini su delitti di mafia. Forse questo è un tratto peculiare del mio libro.  

DG: Sta già lavorando su un nuovo testo o vuole prima godersi appieno i fasti di questa vittoria?

RR: Scrivere è una malattia difficilmente curabile. Sto lavorando ad altri soggetti, non solo dello stesso genere. Ho imparato poche cose nella vita. Una è che i fasti non tornano da chi sta fermo a goderseli. Per raccogliere occorre seminare. Sempre. Come nelle indagini.

DG: Domanda ricorrente qui a “Posizione di tiro”: Se dovesse scegliere un regista (Italiano o Straniero) al quale far dirigere l’adattamento cinematografico di questo Suo romanzo, chi sceglierebbe?

RR: Resto in patria, credo che un’ambientazione come quella di Legame di sangue possa essere resa meglio da chi ha un’idea più precisa del fenomeno mafioso siciliano, che ha poco a che fare con film (pur bellissimi) come Il padrino o The untouchables. Posso sparare qualche nome enorme? Giuseppe Tornatore e Roberto Faenza, per citare registi che  hanno raccontato molto bene la Sicilia. Oppure Gabriele Salvatores, che ha diretto diversi thriller di elevato livello. Ma il mio è un sognare ad occhi aperti, me ne rendo conto.    

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Un manierista del Ventennio : Ezio d’Errico

dicembre 10th, 2009

Questo mese vogliamo proporVi un articolo di Pietro De Palma, su uno dei grandi autori del Giallo Italiano troppo a lungo dimenticati: Ezio D’Errico.

 Buona lettura

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Ezio d’Errico fu figura avventurosa: giornalista,  autore radiofonico, pittore astrattista assai conosciuto e geniale romanziere, anche di polizieschi; un personaggio sempre alla ricerca di qualcosa, di nuovi stimoli, estremamente curioso: Carlo Carrà, in una critica su una mostra di quadri astrattisti di Ezio d’Errico, pubblicata sull’ “Ambrosiano” nel 1936, lo definì “pittore irrequieto”. Una caratteristica che notiamo in altri spiriti ribelli dell’epoca: Pound, Antheil. Ma loro si indirizzarono in un filone di pensiero che guardava con simpatia al nazismo e ad un certo elitarismo spirituale; D’Errico, era invece semplicemente, secondo me, quello che comunemente si dice di un artista, che crede in se stesso e nella sua arte e che non riconosce altri padroni a se stesso che non essa stessa: se non un “un anarchico”, almeno “un anarcoide”.

D’Errico aveva già insegnato grafica in una scuola per tipografi, e pubblicato “un Primo e un Secondo Manifesto dell’Arte tipografica”, qualificandosi come elemento di spicco dell’astrattismo italiano, rivestendo anche una posizione di critica delle correnti pittoriche europee; ma non sopportava l’irregimentazione, non sopportava un potere superiore al suo cui piegarsi e per questo non aveva proseguito nella carriera di ufficiale dei carabinieri, pur essendo arrivato al ruolo di Maggiore.

Nel 1936 cominciò la sua carriera di scrittore di romanzi polizieschi, dando alle stampe il suo primo romanzo, molto interessante proprio per capire le sue caratteristiche peculiari, Qualcuno ha bussato alla porta, cui seguirono molti altri romanzi, in tutto una ventina.

Dopo la Guerra, dopo aver pubblicato nel 1947 il ventesimo romanzo col commissario Richard, “La nota della lavandaia”, ripudiò tutti i romanzi gialli da lui prodotti precedentemente e si oppose alla loro ripubblicazione, e per un certo tempo diresse la rivista “Crimen”, per poi interessarsi al teatro: scrisse dei lavori che lo imposero nel cosiddetto “Teatro dell’Assurdo” di cui divenne un elemento di spicco. Durante l’occupazione di Roma, pare avesse svolto un’attività clandestina di stampa antifascista, e del resto Louis Kibler in Ezio d’Errico’s Theater of the Absurd: Three Plays, lo definisce “a rabid anti-fascist” (Introduction, pag.14).

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Nell’ambito del poliziesco, nato in Italia sotto l’egida della Mondadori, egli si mosse intelligentemente: diversamente da De Angelis, anche per non trovarsi in certo modo limitato dall’ottusità delle censura di regime che indicava persino gli scenari in cui doveva muoversi un autore che volesse ambientare in Italia le sue storie poliziesche, egli scelse come fondo per i propri drammi la Parigi simenoniana. E proprio a Simenon egli si rifece, scegliendo di iniziare le avventure del suo personaggio fisso, il Commissario Richard, nel momento in cui  il Commissario Maigret di Simenon scomparve dalla scena letteraria: infatti Simenon, come accade a tutti coloro che diventano famosi per qualcosa e poi vi restano appiccicati contro la loro volontà, si scocciò e nel 1933 mandò in pensione il suo Commissario Maigret, dopo aver risolto il suo ultimo ufficiale caso, L’écluse n°1, anzi, più propriamente, lo mandò a occuparsi del giardino di una villetta sulla riva della Loira – quasi che fosse un altro Nero Wolfe – abitandovi assieme alla moglie.

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Premio Tedeschi 2009: comunicato

novembre 30th, 2009

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Il Giallo Mondadori è lieto di comunicare ai propri lettori che il Premio Tedeschi 2009 è stato assegnato al Tenente Colonello Roberto Riccardi, autore del romanzo: Legame di sangue.

Il romanzo sarà in edicola nel mese di Dicembre (n. 2993). La premiazione avverrà al Courmayeur Noir in Festival.

A breve l’intervista esclusiva con l’autore.

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Posizione di tiro – Novembre 2009 – Il mio vizio..

novembre 9th, 2009

Intervista a cura di Dario pm Geraci 

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Torniamo piacevolmente a scambiare quattro chiacchiere con Stefano Di Marino che, a differenza

delle altre volte, non è qui a presentare un suo nuovo romanzo, bensì una raccolta (da lui curata)

di racconti ispirati al cinema italiano degli anni ’70. Quello che viene comunemente etichettato

come thrilling o spaghetti horror. Allora Stefano, pronto per la nostra raffica?

DG  Perché una raccolta sul thriller cinematografico italiano degli anni ’70?

In cosa differisce il thriller letterario italiano odierno da quello cinematografico di quel decennio?

SDM. È mia opinione (discutibile ma non priva di fondamento) che i migliori talenti della

narrativa thriller italiana abbiano nel loro bagaglio culturale il cinema ‘argentiano’.

Con questo termine intendo però una produzione che ha inizio una decina di anni prima dell’uscita

dell’Uccello dalle piume di cristallo. Intendiamoci di  Gialli in Italia se ne sono

sempre scritti ma il classico  ‘italian giallo’che sfiora a volte il paranormale ma ha come

solida base la suspense e lacaccia all’assassino ha una fortissima connotazione cinematografica.

Ovviamente i tempi cambiano e a quel genere di tradizione se ne sono  aggiunte altre.

Resto convinto però che la radice del thriller italiano emergente sia quella. Certo si tratta di un’influenza,

una rilettura che ogni autore interpreta alla sua maniera.

–  

DG Con che criterio hai scelto gli autori? Sei soddisfatto del risultato?

C’è un nome eccellente che avresti volutoassoldare nella squadra?

SDM. Il progetto è nato, come altri, da uno scambio di idee con Sergio Altieri.

A lui ho presentato il progetto assieme a un concetto di come avrei voluto che ogni autore

si muovesse(lunghezza e aderenza al genere) pur restando libero di

sviluppare come voleva il suo racconto. L ‘idea è piaciuta  e siamo passati

a contattare una serie di amici e colleghi che immaginavamo avessero la sensibilità per

inserirsi nell’antologia. L’idea era di selezionare poche storie di una certa

consistenza. Racconti che cogliessero l’atmosfera di quel cinema ma che, fondamentalmente,

raccontassero delle storie. Dei  piccoli film, se vuoi. Ovviamente, come per tutti i libri,

abbiamo dovuto fare i conti con tempi, budget e paginazione. Sono soddisfatto dell’entusiasmo

dimostrato dagli autori che hanno aderito subito alla mia proposta. Una volta formata la

squadra il volume era già praticamente composto. Impossibile aggiungere altri nomi.

Al di là del fatto che tra i miei colleghi non considero nessuno ‘più eccellente’ di altri,

ci sono però un paio di nomi (un’autrice in particolare) che, con più spazio e tempo per la realizzazione,

mi sarebbe piaciuto inserire. La scelta del format e la tabella di lavorazione

erano però rigidi ma, spero, ci saranno altre occasioni per replicare l’iniziativa…

DG  Il Tuo contributo stavolta, non è di stampo narrativo bensì saggistico.

Come mai questa scelta?

SDM. ‘L’avventura del thrilling italiano’ è in sé un racconto di un pezzo

della nostra storia cinematografica. Una precisazione. Anche per me valeva la regola

di un numero consistente ma non illimitato di pagine. Pur avendo visionato negli anni e per

questa occasione un gran numero di film si tratta di un testo introduttivo per chi volesse muoversi in

questo filone del thriller italiano. Omissioni e scelte di gusto personale sono quindi  inevitabili,

non me ne vogliano registi e sceneggiatori che non si ritrovano nello spazio che magari ritengono

più adeguato alla loro opera. Di fatto ho contenuto la mia analisi a quei film che trattano vicende

da cui è bandito l’horror e il fantastico, se non tangenzialmente. Buone vecchie storie di assassini e maniaci in carne e ossa quindi.

Recentemente ho scritto per una rivista popolare(‘Confidenze’) due  thrilling di

successo(Io sono la tua ombra e Sortilegio) ai quali ho applicato solo un director’s cut eliminando

i momenti più cruenti ma che sono la mia interpretazione del filone. Qui volevo che i

protagonisti fossero i colleghi che si sono cimentati con la narrativa.

DG Quali sono stati secondo te i registi simbolo del Thrilling italiano?

SDM lo scoprirete leggendo appunto L’avventura del thrilling italiano…

scherzi a parte è stato un cinema estremamente prolifico e ricco di idee. Impossibile non citare Mario Bava,

Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi e Sergio Martino.

Se devo esprimere un giudizio strettamente personale ritengo Chi l’ha vista morire di Aldo Lado

uno dei capolavori del filone… ma come dicevo,  una volta formulato un nome ne vengono

alla mente mille altri: Tessari, Cavara, Bido, Miraglia, Ercoli, Pradeaux, Dallamano…ù

DG Pensi che sia ipotizzabile un ritorno al cinema di genere in Italia o i tempi e le mode di

oggi non lo permetterebbero?

SDM Io me lo auguro proprio. I segnali non sono particolarmente positivi in questo senso

ma qualcosa ogni tanto si muove. Mi piacerebbe molto che i racconti dei colleghi raccolti

in questo volume diventassero una serie di telefilm.

I numeri ce li hanno sicuramente…

 Grazie e a presto qui su Posizione di tiro.

Il sito dell’antologia http://ilmiovizio.horror.it/

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