Gérard de Villiers – SAS: Quello sporco mestiere di spia

luglio 1st, 2016

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Gérard de Villiers – SAS: Quello sporco mestiere di spia – N°17 luglio 2016

de villiersUna piazza di Giacarta è il luogo scelto per il contatto. Ma l’informatore indonesiano è in ritardo, e Malko Linge si sta innervosendo. C’è puzza di trappola, il suo fiuto non sbaglia. Lo dimostra il fatto che l’uomo arriva all’appuntamento giusto in tempo per morirgli fra le braccia, pugnalato selvaggiamente. Qualcuno ha voluto tappargli la bocca prima che comunicasse le notizie richieste. Tutto è collegato all’imminente arrivo in porto di un cargo con un quantitativo di armi sufficiente a equipaggiare un piccolo esercito, con tonnellate di munizioni e di esplosivi: ai ragazzi di Langley piacerebbe scoprire l’identità del destinatario. Desiderio probabilmente non condiviso da quest’ultimo, almeno a giudicare dal tentato omicidio di cui Malko è vittima poco dopo. Se c’è un’identità che è già stata scoperta, a quanto pare è la sua. E mentre la pista lo conduce a Bali, il Principe delle Spie farà bene a guardarsi le spalle in questo angolo della terra dove la follia è di casa.
L’autore incoronato dal “New York Times” come il più grande scrittore di spy story del mondo, con oltre 100 milioni di copie vendute!

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Gérard de Villiers – SAS: Scalo a Pago Pago

giugno 1st, 2016

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Gérard de Villiers – SAS: Scalo a Pago Pago – N° 16 giugno 2016

coverIsole del Pacifico meridionale, uno degli ultimi paradisi della terra. Scogliere, coralli, scorci mozzafiato… e un dito umano recuperato dal ventre di una murena, con tanto di fede nuziale appartenente a un certo Thomas Rose. Un turista annegato e finito in pasto ai pesci? Improbabile, trattandosi di uno specialista della CIA. L’unica occupazione dell’Agenzia in questo angolo sperduto del mondo, spiare gli esperimenti atomici francesi, ormai è una partita chiusa. Dunque per capire chi abbia tolto di mezzo l’americano e quale sia la posta in gioco, bisogna subito calare l’asso. Ma per l’operativo Malko Linge inviato sul campo, tra il caldo soffocante e la minaccia di un’organizzazione votata a diffondere il caos, il presunto Eden rischia di trasformarsi nell’ennesimo inferno. A quanto pare, qui il passatempo preferito consiste nel tentare di ucciderlo. Per fortuna il Principe delle Spie sa badare a se stesso, e sa anche come ricambiare la cortesia. Con gli interessi.
L’autore incoronato dal “New York Times” come il più grande scrittore di spy story del mondo, con oltre 100 milioni di copie vendute!

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Visti con il Professionista/32

ottobre 16th, 2013

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

 

SHIRI

Shiri_PosterIl cinema d’azione, il noir gangsteristico in particolare, ha ricevuto nuova linfa negli anni80/90 dalla produzione di Hong Kong.. Con il trascorrere del tempo altre cinematografie si sono evolute tecnicamente al punto da non aver nulla da invidiare ai prodotti statunitensi che, ammettiamolo, restano sempre un termine di paragone. Shiri(che vidi per la prima volta al Far East Film festival di Udine nel 1998) fu il primo sforzo per proporre un cinema d’intrattenimento basato sull’azione e sulla spettacolarità del cinema coreano. Da quell’epoca dalla Corea del Sud sono arrivati innumerevoli prodotti di grande impatto sia d’azione moderna che di fantasy cavalleresco che horror. Shiri è però il primo e forse meglio riuscito esempio di spy story orientale. Il problema politico e umano della divisione delle due Coree anche qui come in film più strettamente bellici (JSA circolato anche in Italia) è fondamentale per comprendere lo spirito della vicenda. Shiri è il nome di un pesce che vive in Corea. La divisione dei due stati ha portato branchi della stessa razza a vivere in paese diversi. Shiri è, appunto, il nome della missione suicida del commando Forza 8 che, refrattario a ogni proposta di riunificazione pacifica, si prepara dal 1992 a scatenare una guerra definitiva. In una magnifica sequenza iniziale assistiamo all’addestramento del gruppo guidato dal truce capitano Park. Sotto la pioggia, al gelo, tra uno sventolare di bandiere rosse, i soldati selezionati si battono con metodi che definire brutali è un eufemismo. Pallottole vere, sfide tra canditati all’ultimo sangue, punizioni feroci, pratica su prigionieri sacrificabili. Nel gruppo si distingue in particolar modo Hee, giovane e bella come solo certe coreane riescono a essere. Inviata a Seoul, Hee si distingue subito come sniper uccidendo una serie di funzionari statali e dei servizi di sicurezza. L’agente U2 è quasi riuscito a smascherarla rivelandone il volto e il nome ai suoi compagni ma viene trovato assassinato. Poi Hee scompare per più di un anno. Ryu e Lee, agenti dei servizi segreti, però non si rassegnano a perderne le tracce. Ryu, il più giovane e belloccio, si divide tra la fidanzata Hyun, commessa in un negozio di acquari, e le indagini. Lee, più anziano e ‘roccioso’ è ossessionato da Hee. Nella sua mente è l’unica donna che vuole e farà di tutto per rintracciarla. Improvvisamente un trafficante d’armi spaventato da una richiesta inusuale di un cliente contatta Ryu dandogli appuntamento in un grande magazzino. Qui emerge un primo elemento importante. La Corea del Sud che viene rappresentata è un paese ricco , moderno, occidentalizzato. Si prepara persino ai mondiali del 2002 con una squadra unica. Una partita tra le due nazionali alla presenza dei presidenti delle repubbliche rivali sancirà una sorta di riconciliazione. Informazione questa passata dai notiziari quasi distrattamente ma che si rivelerà importante per lo svolgimento della trama. Che procede serrata. Il mercante d’armi viene ucciso e non c’è dubbio che sia proprio Hee a giustiziarlo tornata in azione mentre Park e gli uomini dell’unità Forza 8 penetrano al Sud. Il loro obiettivo è un chimico di una società che sta eseguendo studi particolari sul CTX, esplosivo liquido che reagisce a una miscela di luce e calore che ne provocano la detonazione. Ryu e Lee riescono a risalire sino al chimico che viene eliminato ‘ prima’ che possa incontrarli. Nel frattempo Park e i suoi sottraggono con la forza un quantitativo di CTX, visto che non sono riusciti a procurarselo in altro modo. Sembra che siano sempre un passo avanti agli agenti che iniziano a sospettare una talpa. Per dirla tutta Lee qualche idea ce l’ha. In diverse occasioni Hee ha avuto nel mirino il collega Ryu ma ha sparato solo due colpi del suo fucile automatico risparmiando tre proiettili con cui avrebbe potuto mettere fuori gioco il nemico. Così, nascostamente, Lee comincia a disseminare la casa di Ryu e l’acquario dove lavora la dolcissima Hyun di microfoni. Park intanto crea un diversivo facendo esplodere un palazzo con una delle fiale di CTX. Questo ci porta alla scoperta che Park odia Ryu che ha eliminato una delle sue squadre durante un tentativo di dirottamento, anni prima.

 

La realtà è che il commando Forza 8 incaricato dell’operazione Shiri ha come obiettivo la famosa partita di calcio e piazza l’esplosivo sotto i riflettori della tribuna presidenziale. Di più scopriamo che Hee in effetti è proprio Hyun. Scoperta un prima volta nel 1993 la ragazza si è fatta rifare la faccia in Giappone prendendo le generalità di una giovane coreana ammalata di AIDS e ricoverata in una lontana clinica del paese. In questo modo non solo ha potuto conquistare senza sospetti Ryu ma lo ha anche indotto a far acquistare per il suo ufficio diverse vasche di pesci rossi alcuni dei quali hanno ingerito sofisticati microfoni di sorveglianza. Tutto ciò Ryu e Lee ancora non lo sanno. Sospettano persino uno dell’altro e, un po’ maldestramente, ordiscono una trappola inventando un finto informatore al corrente del piano Shiri. Park non può correre rischi e con due dei suoi compagni si reca all’appuntamento. Una sparatoria e un inseguimento spettacolare girato con capacità di coinvolgimento e adrenalina porta alla morte di due terroristi. Hee è costretta a intervenire per salvare Park ma viene ferita. Seguendola sino al negozio di acquari Ryu comincia ad avere conferme dei sospetti del suo amico Lee. Segue la traccia della vera Hyun che trova in un sanatorio sulla costa. Nel frattempo l’operazione sta per giungere a termine. Lee si accorge quasi per caso della morte di uno dei suoi pesci rossi e trova la trasmittente. In un drammatico conforto con Hyun la fa confessare, ma Park è in agguato e lo uccide. Al tempo stesso Ryu sta tornado in città con il cuore a pezzi ma deciso a smascherare i terroristi. Trova l’amico morto ma un biglietto dello stadio indirizza verso il vero obiettivo Shiri il giovane collega. Ovviamente i suoi capi, attirati all’aeroporto da un diversivo, non vogliono dargli ascolto. Solo con la testardaggine e l’aiuto di un giovane agente Ryu penetra nella sala controllo dove Park e i suoi hanno costretto un tecnico ad accendere le luci sul palco presidenziale innescando così l’esplosivo. Una furibonda battaglia seguita a un drammatico confronto tra le ragioni dei due (un piccolo paterozzo politico , considerata la situazione, è inevitabile) riesce a evitare la catastrofe. Park muore ma Hee è ancora nello stadio con il suo micidiale fucile. Ryu lo capisce. Inseguimento,spari, evacuazione del presidente e classico Mexican Stand Off tra il buono e la sua innamorata. Mitra contro pistola. Hee, alla fine, ha passato troppo tempo sotto copertura e Ryu lo ama davvero. Non avrebbe il coraggio di premere il grilletto se non vedesse passare la macchina presidenziale e decidesse di tentare l’ultimo colpo. A quel punto Ryu non ha più scelta e deve ucciderla. Il film termina con una vena melodrammatica con il protagonista che riflette sull’amore per la donna che ha ucciso e sulla situazione politica del suo paese lacerato dalla divisione che ha portato a una situazione drammatica come quella che lo ha visto protagonista. Malgrado alcune scivolate sul melò che sono tipiche del cinema orientale anche quello più duro, Shiri è un film compatto, ottimamente filmato in grado di soddisfare per intreccio e azione gli appassionati. Inoltre ci offre la possibilità di allargare il panorama della produzione e delle tematiche all’estremo oriente che,negli ultimi anni ha proposto film decisamente interessanti. Sfortunatamente il film è di abbastanza difficile reperibilità. Io ne ho un’edizione francese con traccia originale sottotitolata e, stranamente su IMDB il film viene presentato con i nomi dei personaggi completamente differenti. Una piccola ricerca però vale la pena perché si tratta di una storia complessa e avvincente.

 

 

SCHEDA TECNICA. Genere. Guerra al terrore

 

Shiri(id)-Corea del Sud.1998- durata120’- regia di Kang Jegu- sceneggiatura originale di Kang Jegu- interpreti :Suk-Kyu Han: Ryu-J un-Jin-Kim: Hee- Min-Sik Choi: Park- Kang Ho Song: Lee- reperibile in DVD in edizione francese per la Imatim diffusion

 

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Il Professionista, la spy story e Segretissimo in TV

febbraio 22nd, 2013

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Andrà in onda domenica, su Canale Cultura (Digitale terrestre 130 – 132 – Channel 24) alle ore 21.00, la trasmissione Spy&Spy.

In studio, Ospite di Joe Denti, ci sarà Stefano Di Marino per parlare del Professionista, di Segretissimo e di spionaggio.

Da non perdere.

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Enzo Verrengia – Unità 731

febbraio 17th, 2013

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IL DIABOLICO COMPLOTTO DEL DOTTOR ISHI

Spesso si invocano le questioni in sospeso con la Storia per appianare i contenziosi del presente. È il caso del Giappone, protagonista scomodo di una sempre rinnovata querelle con la Cina sugli esperimenti biologici durante la seconda guerra mondiale. L’argomento era già stato oggetto di un accurato e scioccante documentario di Peter Williams e David Wallace, con la consulenza scientifica del dottor R. John Pritchard, prodotto in Gran Bretagna dalla Television South. A ripor­tarlo in auge, la scoperta nei sotterranei dell’Università di Tokyo di resti di ossa umane.

I media riscoprono così la storia sinistra del programma nipponico di guerra batteriologica e chimica.

Ne fu artefice un medico, poi assurto al grado di generale, Shiro Ishii, che per le origini aristocratiche e l’educazione religiosa (buddista) potrebbe essere soprannominato il Josef Mengele del Sol Levante. Laureatosi nel 1927 all’Università Imperiale di Kyoto con una tesi sui batteri gemelli gram positivi, il suo scopo dichiarato era sfruttare la conoscenza biologica per vantaggi mili­tari di tipo tattico e strategico. Con le epidemie si potevano distruggere prima e meglio i nemici. Il che rientrava nella filosofia espansionista dell’élite nipponica. La guerra che si preparava non aveva fondamenta ideologiche e razziali, come nel Terzo Reich, più semplicemente si puntava alla conquista di spazi e risorse. In seguito, il Giappone avrebbe rivestito la sua aggressione tout-court con un tipico eufemismo da Sol Levante, Daitoa Koyoeiken: sfera comune di benessere asiatico. Per realizzarlo, tutta una classe di imperialisti non esitò a impegnare il Paese nel gigantesco sforzo bellico che doveva culmi­nare nell’aggressione contro gli Stati Uniti a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941.

Ma il dottor Ishii aveva incominciato la sua battaglia già nel 1932, prepa­rando vaccini per immunizzare le truppe. Dopo una serie di viaggi all’estero, il Mengele nipponico non s’illudeva che in un prossimo conflitto sarebbe stato rispettato il divieto di usare gas e armi batteriologiche, sancito a Ginevra il 17 giugno 1925. Per giunta, la sua comprensione della mentalità occidentale, lo induceva a credere che gli studi in questo campo sarebbero stati seriamente circoscritti dallo spirito umanitario che impediva esperimenti su cavie umane. Nel 1933, Ishii fu dotato a Tokyo del Boeki kenkyu-shitsu, laboratorio di ri­cerca per la prevenzione delle epidemie, costato 200.000 yen dell’epoca. In se­guito, lo scienziato inventò un filtro per l’acqua in grado di depurarla dai bat­teri in tempi più brevi della tradizionale bollitura.

Fin dal 1931, truppe imperiali occupavano la Manciuria. Fu là, a 24 chilo­metri dalla città settentrionale di Harbin, in località Pingfan, che nell’agosto 1936 venne istituita la famigerata Ishii butai, unità Ishii. Con la consuetudine bellica di confondere i nomi delle installazioni, fu conosciuta anche come Unità 731, unità Togo, unità Kamo, unità Manciuria 25202, Saikin Kenkyu sho (centro batteriologico sperimentale) e Boekikyusui Bu (dipartimento di igiene e purificazione idrica). Sotto queste mutevoli vesti, il compito di preparare armi batteriologiche. Il budget era di 6.000.000 di yen, allocati tramite l’armata del Kwantung, che occupava la Manciuria. Una cifra considerevole se rapportata al bilancio dell’intera università di Tokyo, di soli 12.000.000 di yen.

Ishii reclutò il meglio dell’intelligentsia accademica per portare presto la potenzialità di produzione di germi a quote che sfioravano i 400 kg. Quanto bastava per contaminare e distruggere più volte l’intero pianeta. Le armi bat­teriologiche erano l’asso nella manica del Sol Levante, con uno status nell’impiego bellico della scienza paragonabile a quello tedesco delle V1 e V2 e a quello americano del Progetto Manhattan, la bomba atomica. Non è un caso che le potenze vincitrici abbiano poi beneficiato di queste tre linee portanti per i loro terrificanti arsenali contemporanei.

Non che all’epoca americani, inglesi e russi stessero con le mani in mano. Washington aveva compreso anzitempo l’importanza della guerra chimica e biologica istituendo un centro segreto a Camp Detrik, nel Maryland. La Gran Bretagna ne aveva uno a Porton Down. Roosevelt tuttavia, al contrario di Curchill, considerava inumano il ricorso simili armi, ossessionato dalla me­moria dell’attacco tedesco col gas a Ypres durante la prima guerra mondiale, da cui prese il nome l’iprite. I russi, dal canto loro, conducevano esperimenti in Mongolia, a Ulan Bator, non lontano dalla Manciuria dove impazzava l’Unità 731. Inoltre, i servizi segreti occidentali avevano avuto sentore dell’interesse nipponico per la guerra batteriologica da tentativi effettuati da agenti di Tokyo di acquisire virus pericolosi dai centri di ricerca medica Rockefeller a New York e in Brasile.

Gli uomini di Ishii svilupparono nove differenti tipi di bombe per diffon­dere epidemie in territorio nemico: le I, Ro, Ha, Ni e U in ferro; le Uji,Uji tipo 50 e Uji tipo 100 di porcellana; le Ga di vetro. Gli ordigni venivano cari­cati di colture di germi e detonavano senza esplodere, solo liberandoli nell’aria. Un altro sistema era quello di bombardare le aree da contaminare con riso, batuffoli di cotone e topi carichi di pulci e zecche portatrici di an­trace e peste bubbonica.

Parallelamente, l’Unità 100, agli ordini del veterinario Yujiro Wakamatsu, lavorava a Mogatong su sistemi di distruzione delle mandrie attraverso contagi epizootici. E ancora, l’Unità 516 sull’isola di Okuno, prospiciente Hiroshima, sperimentava i gas. La Marina, dal canto proprio, lavorava al siluro Mark VII, in grado di convogliare colture batteriologiche contro il nemico, e i palloni Fu, alcuni dei quali trasportati dal vento precipitarono negli Stati Uniti provo­cando la morte per ustioni di una donna e dei suoi cinque figli.

Il capitolo più spaventoso del programma batteriologico giapponese è quello ancora coperto dal segreto. Gli esperimenti su cavie umane. Maruta, o «ciocchi di legno», questo il tremendo appellativo dei prigionieri destinati a morti atroci quanto e forse più di quelle perpetrate dai nazisti. Cinesi e russi immi­grati in Manciuria furono le prime vittime del programma di Ishii. Nessuna gratuita crudeltà in questo, secondo successive testimonianze. Per gli alfieri della guerra batteriologica si trattava di acquisire dati sulle reazioni del corpo umano a vaccini e malattie indotte deliberatamente. Altrettanto orrore si pro­vocò per studiare gli effetti della denutrizione e del congelamento.

Poi Ishii ebbe un dubbio: e se il metabolismo dei caucasici, cioè gli occiden­tali, fosse differente? Dopo la caduta di Bataan e il crollo delle Filippine, i carnefici dell’Unità 731 ebbero materiale in abbondanza fra i prigionieri di guerra. Per loro l’inferno aveva il nome del campo di Mudken, sempre in Manciuria. Qui tuttavia i maltrattamenti si alternarono a un ambiguo regime di stretta sorveglianza medica che rese a lungo impossibile discernere la verità. Tanto da poter accreditare la tesi dei medici giapponesi che sostenevano di ino­culare vaccini, non virus, agli internati.

Sta di fatto che i prelevati per trattamenti speciali non tornarono mai indie­tro. Divennero maruta. I pochi scampati provocarono una ridda di interroga­tivi burocratici in patria sugli indennizzi per i danni spesso irreversibili con­tratti sotto le «cure» dei dottori del Sol Levante.

Il 2 settembre 1945 il generale Douglas MacArthur sbarcava a Tokyo per la firma della resa incondizionata da parte del Giappone. Gli alleati avevano stabilito a Potsdam nella conferenza del 25 luglio che la popolazione nipponica non doveva essere piegata a un regime di schiavitù, bensì spinta verso la demo­crazia, per evitare che cadesse sotto l’influenza sovietica. Con la guerra fredda che incalzava, MacArthur raccomandò ai suoi collaboratori di non includere l’imperatore Hirohito fra i criminali di guerra. E neppure gli scienziati che avevano contribuito al programma batteriologico. Con un patto sconcertante, il dottor Naito, collaboratore di Ishii, ottenne l’immunità per sé e gli altri dell’Unità 731 in cambio di informazioni scientifiche agli alleati che non dove­vano essere condivise con i russi.

Ishii, dapprima dato per morto, si era in realtà rifugiato in Corea, dove voci controverse lo diedero per tornato durante la guerra che oppose truppe dell’ONU e cinesi agli inizi degli anni ‘50 sulla linea famigerata del 38° paral­lelo. A quell’epoca, Mosca e Pechino sostennero che gli americani impiegavano armi batteriologiche realizzate con il contributo determinante degli ex compo­nenti dell’Unità 731. Peraltro, il comandante in capo occidentale fu MacArthur, prima che Truman lo sostituisse con Ridway.

Ishii morì il 9 ottobre del 1959 dopo essersi convertito al cattolicesimo. Sua figlia Harumi negò che il padre fosse il mostro dipinto da una Storia più sus­surrata che denunciata. L’apporto dello scienziato alle ricerche batteriologiche degli alleati nel dopoguerra non fu mai provato con assoluta certezza. I sovie­tici tentarono con il processo di Khabarovsk di far emergere quelle verità ta­ciute dalla corte di Yokoama, che aveva condannato i vertici nipponici come criminali di guerra omettendo di citare in giudizio gli scienziati dell’Unità 731. La guerra fredda fece leggere l’episodio come mera propaganda comunista.

Gran parte dei collaboratori di Ishii si votò al silenzio e raggiunse posti di prestigio, soprattutto nello zaibatsu, il complesso finanziario e industriale giapponese. Uno di loro, Shiro Kashara, ha dichiarato: «Anche a Pingfan lo spirito era quello dei kamikaze: dire sì senza condizioni, entrare in una strada senza via d’uscita, senza alcuna rifles­sione.»

Shiro-ishii

 

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H305 di Enzo Verrengia

novembre 4th, 2012

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Cari lettori e lettrici di Segretissimo, da oggi al blog si aggiunge una nuova firma. Di seguito infatti trovate un articolo scritto da Enzo Verrengia, eccellente autore (sì, anche della nostra collana) e traduttore. Enzo presenterà approfondimenti storici sul mondo dell’intrigo e dello spionaggio: una serie di imperdibili e dettagliati “dietro le quinte”. In questo primo articolo scopriremo cosa si nasconde dietro la misteriosa sigla “H305″.

H305

A volte la Storia si fa in una stanza. Quella in cui danno udienza i custodi dei custodi, cioè i supervisori dell’intelligence negli Stati Uniti è nota con una sigla alquanto scarna: H305. È un ambiente grande quanto un campo da tennis, con pareti insonorizzate e porte imbottite. Si trova nel cuore del Campidoglio, a Washington, una città dove al sapore di patriottismo che trasuda dai monu­menti e dalle strade, si accompagnano retroscena di intrighi. Come quelli spionistici, che nella stanza H305 hanno sempre il loro scioglimento finale, perché è la sede del potentissimo Comitato del Congresso sui Servizi Segreti. Qui finisce lo scaricabarile, come aveva fatto scrivere Roosevelt sulla sua scri­vania. Nel senso che tutti gli scandali e scandaletti, le sempiterne magagne dell’underworld spionistico divengono nodi da passare al pettine.

Nella stanza H305 del Campidoglio si svolsero, a suo tempo, degli imbarazzanti interrogatori, in assenza dei veri imputati. Che erano Aldrich Hazen Ames, analista della CIA, e la moglie colombiana, Maria del Rosario Casas Dupuy. Lui, occhiali e capelli radi, aveva proprio le phisique du rôle della talpa. Solo che era ormai fuori tempo: si fece sorprendere con le mani nel sacco a passare informazioni a Mosca quando la Guerra Fredda non entrava più neanche nei romanzi di spionaggio e apparteneva semmai al modernariato geopolitico. Lei, bruni tratti sudamericani, non era neanche la parodia di una Bond-girl, tutt’altro che la compagna fascinosa di uno 007. I due, dal 1985, avevano rim­pinguato di pratiche top-secret gli archivi del KGB e del suo primo sostituto, il MBRF, Ministero della Sicurezza Russo. Una farsa tardiva del mondo diviso in blocchi che non riusciva a scrollarsi i ruoli del vecchio gioco planetario a gu­ardie e ladri. Se non fosse che ai severi parlamentari della stanza H305 intereessava l’aspetto più prosaico della vicenda: il denaro. Durante la sua carriera di doppio agente, Ames superava di gran lunga il salario annuale di 69.843 dol­lari. Per esempio, dove aveva pescato i 540.000 dollari in contanti per compe­rarsi la nuova abitazione?

Lo sguardo e le voci inquisitorie dei componenti del Comitato del Congresso sui Servizi Segreti si appuntarono contro R. James Woolsey, all’epoca direttore in carica della CIA. La sua responsabilità includeva quella di tutte le agenzie governative di informazione, ed in questa sorta di onnipotenza federale, lo smacco del caso Ames appariva intollerabile. Tanto più se si tentava di accampare argomenti che apparivano troppo esili a difesa dell’operato dell’Agenzia. Come l’impossibilità di verificare in Colombia se era vera la notizia di un’eredità ricevuta dalla moglie, cui Ames attribuiva la sua improvvisa ricchezza. Woolsey affer­mò che nel Paese della signora Dupuy i testamenti non vengono iscritti all’Ufficio del Registro. «Per favore!» sbottò un congressista del Comitato. E un altro: «Andiamo, ci sono altri posti in Colombia in cui si può cercare di sapere se la famiglia è benestante».

A questo punto, la scena si spostava al senato, dove Dennis DeConcini, presidente dell’apposita commissione d’inchiesta, ripesca un’antica questione. I rapporti tra CIA e FBI. Il secondo è preposto per legge alle operazioni di sicurezza in territorio statunitense, dove al contrario, i ragazzi di Langley, sede dell’Agenzia, non possono operare arresti. DeConcini ricordava che esisteva un memorandum del 1988 che stabilisce lo scambio di informazioni tra CIA e FBI nel caso di inchieste interne. Perché non c’era stata sinergia fra i due colossi della sicurezza made in USA?

Semplice, perché a sua volta l’FBI è un’altra istituzione gelosa delle proprie competenze. Soprattutto quando, a non intervenire per tempo, si lasciano affiorare i peccatucci della concorrenza. Salvo poi accordarsi quando le cose diventano imbarazzanti per tutto l’establishment. Come dopo l’assassinio di Dallas o durante il Watergate. Nelle due crisi che hanno segnato la vita americana, CIA, FBI ed altri uffici più oscuri del governo hanno collaborato all’insabbiamento. Ma in fatto di spionaggio, le competenze non erano mai rigide. Tanto che durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, l’FBI riuscì a costruirsi il miti di ba­luardo anti-comunista, smascherando vere e presunte spie. Mentre la CIA, dal canto suo, si dotava di una tentacolare sezione di controspionaggio, affidandola al controverso James Jesus Angleton.

L’FBI visse per quasi mezzo secolo sotto il tallone di ferro di John Edgar Hoover, che aveva schedato praticamente l’intera nazione. Sfruttando le infor­mazioni più scottanti, l’uomo ricat­tava chiunque, ma soprattutto i vertici della classe politica, non esclusi i presi­denti, per mantenere ed accrescere il proprio potere. Fu comunque grazie a Hoover che si ebbe il decollo di un organismo di polizia istituito inizialmente con lo scopo di vigilare sull’applicazione del Mann Act, una legge che proibisce di portare una donna da uno stato americano all’altro con scopi immorali. Una sorta di supersquadra buoncostume che in seguito divenne determinante nella lotta al gangsterismo e annoverò tra i pro­pri uomini Melvin Purvis, quello che uccise John Dillinger… o almeno così fece credere.

Enzo Verrengia

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Visti con il Professionista/20

agosto 19th, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

IL SIPARIO STRAPPATO

A cura di Stephen Gunn

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Compito non facile selezionare un film di spionaggio nell’opera di Alfred Hitchcock. Maestro del thriller(da Psycho a Marnie a Frenzy la scelta nel campo è vastissimo) ‘Hitch’ frequentò spesso anche il filone spionistico. Dai 39 scalini (adattamento di un romanzo classico di Buchan) a Notorius, Topaz, al celeberrimo Intrigo internazionale, la possibilità di inserire un titolo in questa rassegna sembrava semplice.

Il problema è di coerenza con la rubrica, che segue… i criteri del Professionista. Questi per quanto possano essere discutibili, cercano di formare una cineteca ideale ed eterogenea ma secondo un gusto particolare. La re-visione dei titoli sopracitati mi ha portato alla conclusione che, pur trattandosi di ottimi film, molti di essi inserivano l’elemento propriamente spionistico sullo sfondo. Di fatto sono storie sentimentali in cui spesso il climax è fuori scena (si veda il finale di Notorius dove l’azione definitiva viene raccontata…) e i meccanismi del Grande Gioco non sono sempre efficacissimi, almeno per i fan del settore. Ho scelto quindi questo Sipario strappato, tratto da un romanzo di Richard Wormser pubblicato da Segretissimo, perché meglio di altri si adattava a questa raccolta. È una vicenda di Guerra fredda dove sicuramente il tema sentimentale è declinato con gli immancabili elementi di ambiguità, conflitti e risoluzione. La storia d’amore che coinvolge il professor Michael Armstrong ( Paul Newman) e la sua assistente fidanzata Sarah Sherman ( Julie Andrews) predomina ma la varietà di ambienti e tutta l’ultima parte giocata sulla fuga verso l’Occidente meritano una visione. Sicuro, una volta che l’amore è salvo e anche la fidanzata di Armstrong capisce che l’amato bene non è un traditore, tutto sembra più ‘lieve’ ma le regole della suspense, anche se giocate su alcuni cliché che nel ‘66 erano già piuttosto abusati, tengono.

Inizio spettacolare, in un fiordo norvegese a bordo di una nave da crociera che ospita un convegno di studiosi di fisica che avrà il suo culmine a Copenhagen. Qui abbiamo modo di conoscere l’aitante professor Armstrong deluso (a prima vista) del trattamento riservato dal governo americano ai suoi studi su un missile difensivo in grado di neutralizzare quelli offensivi del Patto di Varsavia. Scopriamo anche che il bel professore ha promesso all’adorante assistente di sposarla al ritorno dal convegno ma che, per qualche ragione, avrebbe preferito viaggiare da solo. Non certo per sollazzarsi con le bellezze nordiche… Armstrong, infatti, sin dal tragitto in nave, riceve misteriosi cablogrammi che gli fissano un appuntamento misterioso in una libreria nella capitale danese. C’è anche la presenza ingombrante del non certo avvenente collega, il professor Karl Manfred, che corteggia Sarah e sembra particolarmente deluso quando scopre l’imminente matrimonio tra i due colombi. Ma dietro questi siparietti da commedia si ordisce una trama più oscura.

Al suo arrivo a Copenhagen, Armstrong non può evitare che sia Sarah a ritirare il libro per lui (il libraio-spia è un classico) ma legge il messaggio che gli comunica di rivolgersi in caso di difficoltà a un misterioso π. La vicenda si addormenta un poco sino a quando veniamo a conoscenza del piano di Armstrong di recarsi a Berlino est e poi a Lipsia con l’aiuto di Manfred per realizzare oltre la Cortina di Ferro il suo super missile, finanziato dai russi. Sconvolta, Sarah lo segue cercando di dissuaderlo da quello che ritiene un tradimento. Che Armstrong con la sua faccia pulita e gli occhioni cerulei voglia passare la nemico sembra essere solo l’ingenua Sarah a crederlo. Gli uomini della STASI sono i primi a dubitarne, infatti mettono alle costole del professore un controllore, Gromek, che, con il cappottone di pelle e la faccia da gangster sa veramente un po’ troppo di macchietta. Armstrong in realtà si è offerto come spia. Il suo piano è arrivare al professor Lindt dell’università di Lipsia e provocarlo in un gioco intellettuale per carpire i segreti che ancora gli mancano per la realizzazione del famoso missile. Per fuggire (e a questo punto portarsi dietro la recalcitrante Sarah cui non ha ancora rivelato nulla) deve affidarsi agli uomini del π. Qui in una delle sequenze spionisticamente migliori , Armstrong incontra i suoi contatti in una fattoria sperduta nella campagna tedesca ma, sorpreso, è costretto a sopprimere Gromek occultandone corpo e motocicletta. La sequenza è, pur nella sua mancanza di dinamicità, notevolmente cruda. Pensate: Gromek viene strangolato, pugnalato e pestato con una vanga prima di cedere. La sua scomparsa non resterà celata per molto. Nel frattempo Armstrong e Sarah raggiungono Lipsia e qui finalmente il professore rivela alla fidanzata la verità prima che questa rovini tutto. Si produce poi in una sequenza abbastanza divertente se non realistica e carpisce i segreti al vecchio professore più preoccupato del suo orgoglio professionale che della sicurezza. I mastini della STASI, però, hanno stretto la morsa. E qui inizia una fuga prima verso Berlino ovest e in seguito sino alle coste della Finlandia dove la corsa contro il tempo la concitazione rendono la vicenda realmente emozionante. Prima i due fuggiaschi fuggono a bordo su un finto autobus di linea con i membri dell’organizzazione capitanti dal signor Jacobi (un grande David Opatoshu, caratterista proveniente dal Dottor Zivago). Arrivati miracolosamente a Berlino, Armstrong e Sarah si sentono sperduti, impacciati più che aiutati da una contessa polacca desiderosa di passare il muro se la cavano sempre grazie all’intervento degli uomini del π che li imbarcano tra i bagagli di una compagnia di balletto. Qui torna utile una gag vista all’arrivo a Berlino del professore. Una famosa ballerina aveva mostrato irritazione di fronte allo scarso interesse dei fotografi per la sua persona, attenzione riservata invece al professore transfuga. Sfortuna vuole che la ballerina riconosca Armstrong a teatro durante il passaggio sino alla nave e cerchi di denunciarlo, se non altro per vendicare il suo onore. Anche qui la sequenza è un po’ troppo caricata per risultare realmente realistica ma funziona. Fortunatamente l’uomo incaricato di portare i transfughi oltre cortina attua uno stratagemma e tutto finisce in gloria. Anche se il film sotto un profilo drammatico spionistico non risulta del tutto convincete, ha ritmo e certamente regia, fotografia e interpreti assicurano un reale divertimento per lo spettatore. Siamo ancora in un’epoca in cui la fotografia è illuminata da luci cartolinesche e tutto sembra vagamente irreale. Sicuramente il thriller puro si adattava più ai gusti del maestro o forse, lo spionaggio gli sembrava più adatto a narrare vicende sentimentali venate di sfumature da commedia.

SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra Fredda

Il Sipario Strappato (Torn Curtain).USA, 1966 regia di Alfred Hitchcock – sceneggiatura di Brian Moore dal romanzo omonimo di Richard Wromser- durata 123’- Interpreti. Paul Newman: Michael Armstrong:. Julie Andrews: Sarah Sherwood- David Opatoshu:Jacobi – Tamara Tomanova: La ballerina. Realizzato dalla Universal è disponibile in ottime versioni in DVD con ottimi extra e master digitalizzato dal 2001

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Spy Fiction: Italian Ways/III di Fabio Novel

dicembre 18th, 2009

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Cari lettori e lettrici, a voi la terza (e per ora) ultima parte dell’articolo/saggio di Fabio Novel sulla toria della Spy Fiction Italiana. Nei prossimi giorni, con qualche giorno di anticipo rispetto al solito e per via delle festività incombenti, potrete visionare le anteprime di Segretissimo e Segretissimo SAS, Gennaio 2010!

Spy Fiction: Italian Ways/III di Fabio Novel

Stefano Di Marino, dal canto suo, continua ad essere portabandiera di una moderna spy story anche in libreria. Mentre TEA inizia dal 2004 a ristampare la fortunata serie del Professionista, la Nord da’ piena fiducia all’autore milanese mandando in stampa le quasi 700 pagine di Ora Zero, coinvolgente thriller ad ambientazione (e anima) europea. Dove l’adrenalina scorre a fiumi, ma non ottenebra le menti di chi vuole pensare anche con dell’ottima evasione. Ad Ora Zero farà seguito, nel 2007, il sequel Sole di fuoco (TEA). Nello stesso anno, in edicola esce uno speciale Segretissimo dedicato al Professionista e a Stephen Gunn: Professional Gun. Il volume antologizza un romanzo, un romanzo breve e tre racconti di Gunn/Di Marino più una serie di racconti scritti da altri autori (Altieri, Narciso, Cappi, Nerozzi, Zucca, Maggi, Novel), tutti impegnati a rivisitare il Professionista, mettendolo (nel caso degli autori della Foreign Legion) in compagnia degli altri protagonisti seriali di Segretissimo.

Su Segretissimo, la situazione va intanto ulteriormente maturando. Arrivano altri romanzieri, affermati ed esordienti. Viene meno la preferenza per lo pseudonimo straniero. Un ingresso imprevedibile è quello di Claudia Salvatori, che inaugura lo spionaggio a sfondo storico di Walkiria Nera, con i suoi scenari Anni Trenta, ricchi d’atmosfera. Due i romanzi sinora usciti: La genesi del male (2007) e Golden Dawn (2008). L’eroina della Salvatori, Kira von Durcheim, è assolutamente fuori schema. Un’infanzia sbagliata, un’adolescenza travagliata e illecita, Kira è un personaggio non negativo che si muove e agisce per un mondo negativo: diventa infatti uno straordinario agente segreto al servizio del nazismo.

Dopo la Salvatori, fa la sua apparizione Danilo Arona che propone un bel one shot (commisto sino ai limiti del genere di collana) intitolato Finis Terrae (2007). Farà seguito un “quattro mani”, in coppia con Edoardo Rosati: La croce sulle labbra (2008).

Luglio 2008 è una data importante per la spy fiction in Segretissimo. La Mondadori celebra infatti i suoi autori della Foreign Legion dedicando loro l’antologia Legion, che raccoglie dieci racconti (firmati Altieri, Cappi, Di Marino, Faraci, Forte, Mazzoni, Narciso, Nerozzi, Salvatori, Signoroni).

Sempre in edicola, ma nell’ambito della collana Il Giallo Mondadori Presenta, è ancora Stefano Di Marino a dominare la scena: tra il 2008 e il 2009 viene proposta la sua trilogia di Montecristo (Un uomo da abbattere, Giorno maledetto e Stagione di fuoco). Più di 800 pagine di adrenalinico thriller, a modo suo decisamente politico. L’Italia ne viene fuori con le ossa rotte.

Sempre nel 2008, la Fanucci distribuisce in libreria Il gioco estremo, di Adriano Casassa: viene definito un thriller ecologico per il messaggio che vuole dare, ma nell’impianto di certo fa ampio utilizzo di attributi propri dello spy thriller.

Anche la Armando Curcio Editore gioca la carta dello spionaggio d’azione con James C. Copertino, un altro italiano “sotto copertura”, ma in questo caso per celare la sua identità di ex appartenente ai corpi speciali e di consulente per la sicurezza. I suoi romanzi sono evidentemente caratterizzati da una conoscenza professionale degli aspetti tecnici, con una propensione all’azione. Il romanzo proposto si intitola La coda del diavolo. Verrà riproposto in economica nella primavera dell’anno successivo, nella collana BM-Noir della Curcio, seguito di lì a poco dall’inedito Angeli neri.

Nel 2009, Segretissimo ristampa Grande Madre Rossa, di Giuseppe Genna.

A giugno, è la volta dello scrittore, giornalista ed editore Franco Forte a lanciare un nuovo protagonista seriale per Segretissimo (in realtà, apparso per la prima volta in uno dei racconti di Legion). Si tratta del moldavo Redka “Stal” Starnelov, un ex-spetsnaz, ora professionista free lance. Estrema freddezza e pochissimi scrupoli (a dire il vero, con qualche residuo morale), con solo due punti deboli. Operazione Copernico è il titolo del primo romanzo della serie.

Con lo speciale Estate Spia 2009, Segretissimo offre anche al pubblico dell’edicola la possibilità di leggere Confine di stato, il felice esordio narrativo di Simone Sarasso, già pubblicato in libreria prima da Effequ (2006), poi da Marsilio (2007). Con Confine di stato, torna alla ribalta la storia italiana e suoi “segreti”. Il romanzo – adottando uno stile particolare e usando nomi fittizi – parte dagli anni ’50 e, concentrandosi sul delitto Mattei, arriva sino alla strage di Piazza Fontana e alla morte di Giangiacomo Feltrinelli. Il libro è parte di un progetto più ampio (la trilogia sporca dell’Italia), il cui secondo romanzo, incentrato sugli Anni di Piombo e intitolato Settanta, è stato pubblicato da Marsilio a maggio di quest’anno.

E qui chiudo. In attesa, fiduciosa, degli sviluppi che verranno…

Spero che il “bignamino” che vi abbiamo proposto possa essere stato apprezzato.

Vi invito comunque a colmare le eventuali lacune della panoramica con i vostri commenti, approfittando del tool di condivisione a nostra disposizione. Il vostro apporto è importante. Del resto, è senz’altro possibile che io mi sia perso qualcuno qualche titolo per strada, forse persino tra quelli più significativi. Tenete conto che, anche laddove il peccato non stia effettivamente in gap di competenza, la memoria può giocare brutti scherzi. Inoltre, siccome i confini del genere, abbiamo visto, sono flessibili e permeabili, ci saranno sicuramente idee differenti su cosa debba stare fuori dal contenitore “spy fiction” (inteso, ripeto, nel senso lato precisato all’inizio del mio intervento), e cosa possa starci dentro.

Insomma: questo articolo, pur nella sua superficialità dal punto di vista dell’analisi, si propone come spunto di discussione.

Quindi, amici: a voi la palla…

  Fabio Novel

 

 

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Robert Littell – The Company/II

maggio 4th, 2009

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La chiamano Guerra Fredda. Ma, sulla scia della crisi di Berlino, tutto è ormai rovente nel confronto diretto tra le due superpotenze. La scacchiera è il mondo. La posta in gioco è l’annientamento. Dalla feroce repressione dell’insurrezione antisovietica in Ungheria alla minaccia dell’olocausto nucleare per i missili russi a Cuba, CIA e KGB sono una alla gola dell’altro. Uno scontro su cui continua a pesare l’ombra di CHOLSTOMER, l’enigmatico piano sovietico che potrebbe annullare la realtà stessa dell’Occidente. La parte centrale di un capolavoro della spy story.

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Robert Littell – The Company/I – Supplemento al N° 1545

ottobre 25th, 2008

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Robert Littell – The Company – Segretissimo Speciale Supplemento al N° 1545

companyfront.jpg Berlino, 1950. La Germania nazista è cenere, la guerra è finita. Giusto? Sbagliato! La nuova guerra, molto più subdola ma ugualmente letale è appena cominciata. Uno scontro tra ideologie inconciliabili, inganni destabilizzanti e poteri ombra. Da un lato la CIA americana, Central Intelligence Agency, The Company, erede diretta dell’OSS. Dall’altro il KGB sovietico,  Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti, Comitato per la Sicureza Nazionale. Jack McAuliffe e Leo Kritzky sono le nuove leve dell’intelligence di Langley. Evgenji Tsipin è il loro avversario più diretto a Mosca.  Tra loro, in una Berlino devastata e malefica, c’è Harvey Torriti detto Sorcerer, lo Stregone, vero e proprio profeta dello spionaggio. E su tutti loro, l’ombra di un’inafferrabile, enigmatica talpa. Da uno dei più grandi autori contemporanei dell’intrigo, la prima parte di una straordinaria saga della Guerra Fredda.

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