Intervista a cura di Dario pm Geraci
Buongiorno Alfredo, buongiorno Edoardo, benvenuti sul blog del Giallo Mondadori. Innanzitutto: Qual è il Vostro rapporto con questa collana? Avete dei ricordi particolari legati al Giallo Mondadori?
ER: Giallo Mondadori è un pezzo d’immaginario. Per me significa non solo una teoria di grandissimi autori, ma anche direzioni autoriali. Penso, per esempio, a Oreste del Buono, Laura Grimaldi… E che dire dell’illustratore Carlo Jacono? Sono griffe che lasciano il segno. E’ davvero un grandissimo onore vedersi lì, su quella copertina, che ormai fa parte del nostro Dna culturale.
AC: Ho cominciato a leggere i Gialli Mondadori alle medie. L’idea che un giorno avrei visto il mio nome sulla copertina non mi sfiorava neppure. Fare parte di questa collana è un po’ come essere un passeggero dell’Enterprise…
Veniamo al romanzo attualmente in edicola. Vi cimentate con il medical-thriller, genere che nel nostro paese non è molto “praticato”. Recentemente, Edoardo, abbiamo letto sulle pagine di Segretissimo, un romanzo che ha qualche punto di contatto con questo: “La croce sulle labbra”, scritto con Danilo Arona. Quali sono stati i Vostri punti di riferimento (sia letterari che cinematografici) per la stesura del romanzo? Ci sono stati romanzi, film o serie televisive che Vi hanno colpito particolarmente?
ER: Il mio romanzo breve non è propriamente un giallo. E forse potrà far storcere il naso ai “puristi” di questa narrativa. E’ più un fantamedical, che s’intrufola nei meandri della genetica e indugia sulla sua anima nera (per usare un termine caro all’amico Sergio Altieri). Con quel sottotitolo, “Una fiaba biotech”, ho voluto rimarcare esattamente tale aspetto (il “C’era una volta”, all’inizio, cerca di mettere in chiaro da subito quest’intenzione…). Con una nota in più: è un plot che verte maggiormente sugli enigmi del corpo piuttosto che sui misteri in corsia. Ecco, allora, nel racconto, qualche mia “svisata” tecnica sulle cose della medicina… E’ vero, però: il medical non è una strada particolarmente battuta in Italia… E’ un fronte, però, che m’intriga, capace anche di svolgere una sua funzione “didascalica” (e qui c’è un po’ di deformazione professionale: sono giornalista medico-scientifico da 20 anni). I miei numi tutelari? Matheson, Crichton e Cronenberg.
AC: Il mio invece è un giallo. Mentre lo scrivevo, non ho preso a modello nessuno (almeno a livello conscio), ma so bene che Michael Crichton (per la serie E.R.) c’entra qualcosa. Gli autori di riferimento, anche per questo romanzo, sono quelli di sempre: Manchette, Izzo, e tanti altri.
Avete adottato due tipi di prosa sostanzialmente diversi, approcciando però il complotto medico con sfumature accostabili. Da ciò sembra trasparire un’idea simile del “marciume” che si cela dietro a certe macchinazioni politico/finanziarie. La domanda che nasce spontanea a questo punto è, se nel momento in cui stendevate i due lavori, Vi siete scambiati delle idee o i Vostri sono stati due travagli indipendenti che hanno partorito lo stesso “mostro”.
ER: Sono stati “travagli indipendenti”. Ma è sempre trainante l’idea delle manovre occulte dietro quella che dovrebbe essere, invece, una missione dura e pura: la difesa della salute umana. Su un tavolo operatorio siamo in balia di due mani guantate armate di un bisturi… E ci fidiamo ciecamente dei farmaci… E se quelle mani di gomma operano con secondi fini? E se quella pillola fa parte di un test di cui siamo ignare cavie?
AC: Del tutto indipendenti. È il marciume diffuso anche a livello medico e ospedaliero che determina le eventuali similitudini tra le nostre due storie. Io ho sempre avuto paura dell’anestesia. E quando scrivo, ovviamente esorcizzo i miei incubi…
Leggendo la raccolta non si può fare e meno di pensare ai numerosi casi di “malasanità” che continuano a verificarsi, in modo crescente, nel nostro paese. Lo spunto per la nascita di questo lavoro da cosa è nato? C’è qualche punto di contatto con la realtà o avete preferito non farvi condizionare dai fatti di cronaca?
ER: Per quel che mi riguarda, direi proprio di no. Mi piaceva l’idea che il corpo potesse essere (cronenberghianamente, mi verrebbe da dire…) il motore dell’azione. Più che dalle questioni di malasanità (un neologismo giornalistico, ma, per inciso, preferisco parlare di malpractice, che invece fa capo a un singolo idiota che nel curare il malato gli procura un danno), resto affascinato dai mirabili ingranaggi del nostro organismo… Ormoni che ci fanno sentire felici, staminali che ricreano pezzi del corpo danneggiati, neuroni specchio, guarigioni inspiegabili… Sono questi i veri “gialli” della medicina…
AC: Ho preferito non farmi condizionare da fatti di cronaca precisi. Tuttavia l’enigma centrale del romanzo è stato controllato e ritenuto plausibile da amici medici, e anche la clinica Villa Claudia, pur essendo inesistente, è modellata su una clinica reale, che ho visitato fin nei recessi più nascosti, con la complicità di un amico scrittore che è anche medico.
Pensate, di proseguire con questo genere, già praticato con successo ad esempio dall’accoppiata Novelli-Zarini, o in futuro vi dedicherete ad altri territori letterari poco esplorati?
ER: La volontà è continuare a sperimentare sul genere medical. Nella narrativa, il mio carnet è giovane (mi sento davvero “piccino” di fronte ai nomi che svettano in questa collana), contando un paio di romanzi e tre racconti… C’è ancora così tanto da inventare…
AC: Io per il momento mi dedicherò al thriller storico. Dopo Cuore di Ferro (Piemme) sono previsti altri due volumi. Poi vedremo. Curiosamente, però, anche il protagonista di questi thriller medievali è un medico, Mondino de’ Liuzzi, personaggio realmente esistito.
Vi ringrazio per il tempo che ci avete concesso e alla prossima; magari nuovamente sulle pagine del Giallo Mondadori…
AC : Grazie a te, Dario, e a tutti i lettori del Giallo Mondadori!
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