Intervista a cura di Dario pm Geraci
Posizione di tiro.Un caricatore da 5 colpi.Faccia a faccia con i protagonisti del Noir Italiano.
Cari lettori del Giallo Mondadori, siamo giunti alla seconda puntata della rubrica “Posizione di tiro”. Nello scorso episodio avevamo incontrato Stefano Di Marino in occasione dell’uscita di “Montecristo/2 – Giorno Maledetto”. Ora è il turno di un altro straordinario autore italiano, che, con il Suo primo romanzo “Metal detector” ha segnato in maniera indelebile il filone del “nero” italiano. EccoVi di seguito una imperdibile mini-autobiografia dell’autore stesso e successivamente l’intervista che ci ha rilasciato.
Stefano Pigozzi – Biografia ( non autorizzata) Modenese, nato all’ombra della Ghirlandina, Stefano Pigozzi è di sana e robusta costituzione. È impiegato amministrativo presso un importante industria alimentare. Sposato ( molto felicemente). Un figlio di quattordici anni (molto sventuratamente).Fin qui tutto bene, no? Aggiungiamo che è patito di Harley-Davidson ( che non possiede perché non se la può permettere, maledizione), e denunciamo che a suo tempo ha buttato nel cesso una laurea in Fisica e Matematica ( peggio per lui, fesso!). Ha delle debolezze: negli ultimi tempi ruba l’I-Pod del figlio e si fa overdose di Gun’s, Ac-Dc e Jimi Hendrix.Poi c’è questo particolare: scrive romanzi noir. Ma perché si è messo a scrivere? Quella roba lì, poi? Bene; la risposta, secca ma vera, è che l’ ha fatto per soldi. Il nostro amico, sino ai quaranta o giù di lì, non ha mai scritto una riga, ma in quei tempi aveva iniziato a guardarsi intorno per trovare un modo per integrare lo stipendio: insomma, racimolare altro “grano”. Un esperienza di secondo lavoro come montatore di gru, sospeso a venti metri con nient’altro attorno a cui aggrapparsi se non l’aria, lo convince a tentare altre strade. Mettersi a scrivere racconti è una di queste. Ma si guadagna, in Italia, scrivendo racconti? La risposta è no… se non sai dove cercare. Ma se invece t’indirizzi verso un certo “ mercato”… Così inizia a scrivere “ novelle” per riviste femminili: racconti “noir-rosa” regolarmente, a volte profumatamente, pagati. Proprio come Scerbanenco, gente! Prosegue così per alcuni, divertenti, anni. Si applica ( perché non è poi così fesso) e le cose ama farle come dio comanda; insomma, il mestiere arriva ad impararlo (per dire, studia Bremond, Todorov, Barthes, Greimas… ma sì, anche Eco) I suoi racconti continuano ad essere pubblicati, ma comincia ad avere qualche difficoltà a piazzarli. “ Bello… ma un po’ troppo “duro” per il nostro pubblico femminile. Un po’ troppa violenza e sangue, francamente. Vuole togliere la scena dello squartamento con le forbici da sarta, per favore?”Ed allora? Allora arriva James Ellroy ed il suo “White Jazz”, il romanzo più scarnificato e be-bop del maestro losangeleno. Bang! Una rivelazione, come “ la luce” in chiesa che incanta John “Joliet” Belushi: “Beeeello… voglio scrivere un romanzo come questo!”Il romanzo è “Metal detector”. Vince il premio Tedeschi 2006. Serg Altieri, il “violento” ma illuminato editor della Mondadori, condensa tutto in una frase “ Steve, my man! One shot, one kill!”. Adesso esce questo “Rosso come il sangue” , ed in cantiere c’è il terzo. Bene, è tutto… per il momento.
Stefano, fino a pochissimo tempo fa non Ti volevi considerare uno “scrittore” professionista. Adesso, con l’uscita del Tuo secondo romanzo come cambiano le carte in tavola?
Quando mi riproporrai la domanda con il vento del Pacifico che ci costringe a chinare il capo sul bordo cosparso di zucchero del bicchiere ghiacciato di Daiquiri ( preparato con succo di cedro, non limone, mi raccomando,), ed indossando Rayban a specchio agiteremo la mano per rispondere al saluto delle ragazze in bikini che ancheggiano sul litorale… ecco, allora potrò rispondere “ Diavolo, sì. Ho fatto un po’ di soldi con i miei romanzi. Non è incredibile? Certo che questa casa sulla spiaggia mi sta davvero prosciugando”No, seriamente… ho un tale rispetto della professionalità che al momento non posso definirmi uno “scrittore professionista”. Quando potrò dedicare alla scrittura 25 ore al giorno, allora sì.
“Rosso come il sangue” può essere definito un sequel del Tuo bello e fortunato “Metal detector”, vincitore del premio Tedeschi e cult-book degli ultimi anni nel panorama del noir italiano. Cosa è cambiato (se qualcosa è cambiato) nel Tuo modo di scrivere e/o vedere le cose dopo quell’esordio?
Un sequel? Sì, certo… ma, forse, più semplicemente posso affermare di aver ripescato alcuni personaggi, ed anche un certo milieu, e di averli “frullati” in una nuova storia con quell’ atteggiamento di convenienza che un autore ha nei confronti dei propri personaggi. Nessuna “empatia”: li sbatti di qua e di là costringendoli a tirare fuori tutto quello che possono dare. Poi li abbandoni. In fondo, questo è l’unico modo per farli “vivere” realmente, ed è l’unico atto d’amore che l’autore può compiere nei loro confronti. Un aneddoto: il titolo originale del nuovo romanzo era “Tripla A” ed indicava le iniziali dei personaggi; un giorno ricevo una telefonata un po’ preoccupata dell’editor (a cui mi inchino): “Ragazzo, rischiamo di trovarci dei guai con la potentissima “AAA -American Automobile Association”. Trovami un titolo diverso, ok?”. Ed ecco “Rosso come il sangue”.Una costante rispetto a “Metal detector è il ritmo della narrazione: questo per mantenere una “voce” riconoscibile ( una scelta anche di comodo, ammettiamolo). A proposito di “stile”… i periodi secchi, le ripetizioni, certi accorgimenti retorici, sono tutti finalizzati ad ottenere un ritmo dum-dum-dum: può piacere oppure no, ma è comunque una scelta consapevole.
A differenza del Tuo lavoro precedente, qui in “Rosso come il sangue” hai deciso di spostare parte dell’ambientazione in territorio extra-italiano? Questa decisione è stata frutto unicamente di una necessità narrativa o c’è altro dietro questa scelta?
Si parla, spesso in termini positivi, di contaminazione dei “generi” letterari differenti, vero? Bene, da appassionato lettore – oltre, naturalmente, di GM- di Segretissimo, ho voluto strizzare l’occhio alla spy-story ( e qui, inviando un tributo ammirato all’Italian Legion, permettimi di lodare/salutare direttamente un maestro, “il professionista” Stefano Di Marino: ero un suo fan ed ora, potermi definire suo “collega”, mi da alla testa più del Daiquiri…) Ho quindi aggiunto un tocco di spy introducendo l’affaire del “gas russo”; ma, chiariamo, i temi tipici della spy-story qui sono solo accennati. Ho le radici ben piantate nel noir e mi ci trovo bene (ed attendo sempre che qualcuno pubblichi un bel saggio con un titolo del tipo “ Quando il Noir vinse il Nobel”)
Gli ultimi anni, sono stati molto significativi per la narrativa “di genere” italiana e per il noir in particolar modo. Cosa prevedi per il Tuo futuro di scrittore e come si evolverà secondo Te la condizione del “genere” in Italia nei prossimi anni?
Il siderale e bellissimo “ Non è un paese per vecchi”, hai presente? C’era tutto: noir, western, horror. C’era tutto, un esempio di contaminazione a cui ho già accennato, ma con l’intento di mostrare i limiti della contaminazione stessa, di come i meccanismi possono/devono incepparsi.Quindi credo che i “generi” continueranno ad esistere per classificare opere con caratteristiche e pubblico ben definito ( esigenza anche dell’industria editoriale) ma certamente proseguirà una sorta di ibridazione che dovrà però essere assolutamente ben strutturata e controllata per evitare di divenire un blog incomprensibile. Per quel che mi riguarda sto lavorando al nuovo romanzo che completerà una trilogia Metal detector. Mi sto sforzando di rendere tutto più cupo… più noir, appunto. Sto cercando di far sanguinare letteralmente le anime dei personaggi… non so, forse sto pure esagerando… Quanto al noir in Italia… siamo su onda lunga che credo proseguirà nel tempo: il noir, “ un colore che sporca”, è molto in tono con i nostri giorni.
Facciamo un gioco. Se una casa di produzione cinematografica Ti proponesse la riduzione di un Tuo romanzo per il cinema, quale sceglieresti e chi vorresti dietro la macchina da presa?
È un gioco, d’accordo… ed allora, subito, inizio barando perché ti rispondo “Rosso come il sangue” e dietro la macchina da presa resuscito un mito… Don Siegel. Gente, ricordate il masterpiece “Chi ucciderà Charley Varrick”? ed ancora “ Contratto per uccidere”? ( ispirato ad Hemingway, per tornare al noir/letteratura alta). Ma, credimi, non mi sono montato la testa citando questo mostro sacro… ho solo colto l’occasione offerta dalla tua domanda per manifestare un sincero atto d’amore nei confronti di quel cinema e di quel “linguaggio”. Un amore che credo sia condiviso da tutti i lettori di questo blog.
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