Visti con il Professionista/1: Chiamata per il Morto
CHIAMATA PER IL MORTO
A cura di Stephen Gunn
Esordiamo ripescando un piccolo capolavoro tratto da un spy-story d’annata, firmata da maestri del genere. Il romanzo “Chiamata per il morto”(The Deadley Affair) di John LeCarré era del 1961, Sidney Lumet lo diresse nel 1966. Siamo in piena Guerra Fredda ma anche nel momento di maggior fulgore del cinema di spionaggio nella sua versione spettacolare. Sono gli anni, infatti, di James Bond-Sean Connery, quelli in cui Segretissimo con le copertine stuzzicanti di Carlo Jacono vendeva decine di migliaia di copie… ogni settimana.
Apparentemente il film di Lumet va contro corrente rispetto alla moda glamour-avventurosa del momento. Racconta una storia di spionaggio senza eroismi, apparentemente poco esotica, una caccia alla Talpa che si svolge nei quartieri più proletari di Londra (i pub e le autofficine di Battersea, la zona dei moli sul Tamigi) e sfiora solo a volo d’aquila gli uffici del Foreign Office e un centralissimo teatro londinese dove si svolge la scena culminante della vicenda. Eppure anche nei personaggi, così disperati, volutamente “squallidi” ci sono non azzardate somiglianze con il filone ispirato a 007. Difficile da credere? Charles Dobbs (James Mason) è il nome del personaggio che, nel romanzo, è George Smiley, l’ometto grigio, eroe di tutta la saga di LeCarré. Da buona spia ama mimetizzarsi ma non si capisce bene la ragione di cambiarne il nome nel film. Dobbs è un uomo non più giovane, vecchia spia inglese, ligio al dovere e implacabile nella lotta al Comunismo che, all’epoca, è ancora il più odiato e principale avversario di Sua Maestà. Dobbs non ha le qualità atletiche di 007 e la sua vita sentimentale è un fallimento. La giovane moglie Ann (Harriet Andersson) è una ninfomane pronta a gettarsi nei letti di chiunque, eppure ambiguamente legata al marito. La disillusione dell’amore per una donna più giovane è una delle costanti narrative di LeCarré e il rapporto tra Smiley (Dobbs) e Ann sarà il tema portante di tutti i suoi romanzi. Però… Dobbs (lo chiameremo così per rigore verso il film in oggetto) ha un rapporto quasi sadomasochista con la moglie alla quale arriva a perdonare tutto e, così facendo, riesce sempre a portarla di nuovo a casa. Ma le debolezze personali di Dobbs sono controbilanciate dall’estrema efficienza nel lavoro. Contro le spie avversarie il “piccolo ometto grigio” è spietato, implacabile esattamente come 007. Si serve di altre armi perché in queste storie la violenza non è così spettacolare. Ma, alla resa dei conti, smascherato l’agente nemico che ha cercato anche di fregargli la moglie solo per depistalo, Dobbs diventa una furia. Pur con un braccio rotto si batte con ferocia ed elimina l’avversario. E mostra un’identica freddezza quando smaschera una rete di spie o tratta con superiori inetti, preoccupati solo di non alterare il sistema di alleanze ed equilibri tra i dipartimenti. Il Servizio segreto visto come l’apparato burocratico di una grande azienda: questa è la visione di Le Carré riportata anche in questo film. Il capo è un vanesio soprannominato nei dipartimenti rivali “Marlene Dietrich”, pronto a coprire tutto e a rinunciare a capire pur di non sollevare polveroni. E Dobbs si costruisce un suo esercito personale con “vecchi rottami” come l’agente in pensione Mendel o giovani inesperti quale Appleby che ne rispettano il carisma anche a rischio della vita. La vicenda è, come molte storie di spionaggio britanniche, ispirata alla più grande paura dei servizi inglesi del dopoguerra. L’infiltrazione dei Russi nei loro organici. La storia di Philby e McLean, reclutati nelle università dal partito comunista negli anni ‘30 e rivelatisi dopo la guerra efficientissime spie del KGB, fu uno scandalo che allontanò USA e Gran Bretagna per anni alimentando una voragine tra i rispettivi servizi. Qui una lettera anonima getta su un funzionario inglese il sospetto di tradimento. Dobbs indaga scoprendo null’altro che un passato di giovanili simpatie per la causa marxista. Ma l’uomo viene ritrovato apparentemente suicida nel corso della notte. Facile accusare Dobbs di aver tartassato inutilmente un innocente. Qui scatta lo spirito guerriero del vecchio agente che comincia scoprire incongruenze (la sveglia telefonica predisposta dall’assassinato che dà il titolo al film), l’ambiguità della vedova (Elsa, con il viso di Simone Signoret) , un misterioso Biondo che comincia a pedinare lo stesso Dobbs per Londra. In più nella sua vita ricompare brevemente l’affascinante Dieter Frey (Maximilian Schell), agente di Dobbs in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Il suo giudizio sembra velarsi perché al giovane Dobbs è realmente affezionato e il tradimento di sua moglie proprio con Frey rischia di mescolare le carte in tavola. Ma sono il senso del dovere a tutti i costi, la freddezza a dispetto di ogni sentimento che consentono a Dobbs e ai suoi aiutanti di intrappolare la vera Talpa e il suo “controllo”. Senza addentrarci troppo nei dettagli della trama per non rovinare il piacere a chi volesse rivedere questo film da poco ristampata in una versione rimasterizzata di ottima qualità, diremo che Lumet gioca al meglio le sue carte in una memorabile sequenza a teatro. Con lo sfondo emblematico della scena madre dell’Edoardo II, spie e controspie tirano di fioretto alzando la tensione, senza risparmiarsi morti ammazzati e drammatici confronti. Un film emblematico della Guerra Fredda ma anche una delle migliori trasposizioni (benché non fedelissima) dell’opera di Le Carré sugli schermi. La ricostruzione di una Londra degradata dove è comprensibile trovare disperati disposti a vendere il proprio Paese, illusi da speranze di eguaglianza sociale, è perfetta. Alla fine non ci sono buoni o cattivi, né esistono stereotipi assoluti di mariti modello, mogli irrimediabilmente imperfette, seduttori senza umanità. I personaggi sono…umani, con una miscela a volte sconcertante di qualità e lati oscuri.
Il mondo delle spie è fatto di grigi. Ed è significativo che Dobbs rimpianga lo spionaggio contro i nazisti. Quella, gli sembra, era una guerra dove i ruoli erano ben chiari. La stessa frase che, oggi, sentiamo ripetere dai vecchi agenti dei romanzi e dei film a proposito della Guerra Fredda.
Un caso? Forse la conferma che la guerra “vecchia” sembra sempre più pulita e leale di quella “nuova”.
Fa parte anche questo della visione distorta del mondo delle spie.
Scheda tecnica – Genere: Guerra Fredda
CHIAMATA PER IL MORTO-The Deadly Affair- 1966 diretto da Sidney Lumet- sceneggiatura Paul Dehn dal romanzo di John Le Carré. Durata 107′ interpreti: James- Mason: Dobbs – Maximilian Schell : Dieter Frey – Simone Signoret: Elsa Fennan: – Harriet Andersson: Ann – Harry Andrews: Mendel.- Kenneth Haig: Appleby- realizzato da Columbia- disponibile in DVD nel 2007 da Sony
Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista
febbraio 10th, 2009 at 13:28
Posso fare una piccola correzione? Il titolo originale del romanzo di John le Carré è “Call for the Dead”, non “The Deadly Affair”, che è invece il titolo del film.
Per il resto, eccellente articolo del Prof, come sempre.
febbraio 10th, 2009 at 21:19
Un caso? Forse la conferma che la guerra “vecchia” sembra sempre più pulita e leale di quella “nuova”.
proprio vero… oggi è tutto più confuso, ma chissà, forse alla fine la nuova guerra risulterà simile alla precedente, magari torneremo a scenari antecendenti alla guerra fredda?
Grazie al Professionista per averci illustrato sapientemente Chiamata per il morto, non l’ho visto ne letto, ma sicuramente cercherò di procurarmelo
febbraio 11th, 2009 at 10:22
Il film è bellissimo ed è un classico, ma per esordire, se mi perdoni, io al posto tuo avrei esordito non con un film di spionaggio di piena guerra fredda ma con un film che tratta l’inizio : o IL TERZO UOMO o FUNERALE A BERLINO (oppure IPCRESS, che poi è della stessa serie con Michael Caine che interpreta Palmer).
Poi il tuo articolo non è niente male, e allora…
febbraio 11th, 2009 at 10:47
Anzi mi correggo, solo con IL TERZO UOMO, perchè gli altri due sono di piena guerra fredda.
Poi IL TERZO UOMO è spionaggio, in bianco nero, che sconfina con il NOIR ( Orson Welles personifica il Male ed entra in scena un’ora dopo l’inizio del film, mi ricordo in un portone) e con una atmosfera cupa, quindi a te dovrebbe piacere parecchio : regia di Carol Reeed, attori Orson Wells, Joseph Cotten, Alida Valli, Trevor Howard; da un soggetto di Graham Greene (romanzo), che ne adattò la sceneggiatura insieme ad altri. Poi c’era il motivetto con la cetra, famoso..
Mi aspetto che tu vi faccia un articolo, perchè sicuramente era tra i films che avresti proposto. Immagino
febbraio 12th, 2009 at 12:51
ci sarà anche il terzo uomo..in realtà la scelta dei film è molto personale e tenderebbe a proporre un classico e un film moderno.
Evidentemente anche i testi di riferimento sbagliano perchè l’edizione del romanzo di le carrè che ho io indica proprio The deadley affair come titolo originale…
febbraio 23rd, 2009 at 11:19
Stefano, forse l’edizione che hai tu è una cosiddetta “Tie-in”, ovvero una ristampa legata all’uscita di un film (e in cui viene cambiato il titolo per adattarlo, appunto, a quello del film). Io possiedo la prima edizione inglese del romanzo di le Carré e il titolo è proprio “Call for the Dead”.