Il Manuale della Spia/2

ottobre 13th, 2011 by Alessio Lazzati

IL PROFESSIONISTA presenta : IL MANUALE DELLA SPIA

A cura di Stephen Gunn

L’AGENTE SEGRETO

Il mestiere della spia

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Non esistono situazioni in cui non sia necessario l’uso delle spie.” Lo diceva Sun Tzu nel suo trattato sull’Arte della guerra duecento anni prima di Cristo e, nei secoli, tale affermazione ha mantenuto la sua validità. In pace e in guerra, nelle attività di controterrorismo, quanto nelle campagne militari o nel campo altrettanto spietato della concorrenza commerciale, la “spia”, l’agente capace di carpire e trasmettere le informazioni più segrete, diventa fondamentale. Il fulcro dell’attività di intelligence è la raccolta di informazioni. Senza una conoscenza diretta delle condizioni operative del nemico (possano essere queste piani segreti, solidità politica o risorse economiche) sarebbe impossibile – e pericoloso – pianificare qualsiasi genere di intervento. Richard Sorge perse la vita in Giappone, nel 1941, per comunicare ai sevizi segreti russi che l’impero del Sol Levante non aveva intenzione di attaccare l’URSS, preferendo concentrare invece i suoi sforzi verso l’oceano Pacifico. Senza questa informazione l’impegno delle truppe sovietiche contro gli invasori tedeschi avrebbe dovuto essere ridotto per consentire una difesa da un eventuale attacco in Siberia. L’Ago, la spia tedesca inventata da Ken Follett in La cruna dell’Ago, era riuscito a scoprire la data e il punto esatto dello sbarco in Normandia, ma fu fermato prima di poter trasmettere l’informazione all’Abwher cambiando così il corso della storia. Oggi la conoscenza di piani e organigrammi è indispensabili sia per la lotta al terrorismo che al narcotraffico. Possiamo quindi affermare che, benché spesso sia necessario un ulteriore intervento, l’attività delle agenzie di intelligence, i servizi segreti, si concentra fondamentalmente nel recupero di informazioni da ogni fonte reperibile.

Sat-Int e Hum-Int

Nei tempi moderni con lo sviluppo dell’elettronica è stata alimentata l’illusione che la macchina possa sostituire l’uomo, soprattutto nel campo della raccolta dati. Una serie di casi clamorosi ha dimostrato che la Sorveglianza Satellitare (in gergo SAT-INT) è solo uno degli aspetti del mestiere della spia e che non si può prescindere dall’impiego delle risorse umane, la cosiddetta HUM-INT o, come diceva Graham Greene, il “fattore umano”. Immagino già qualche patito dell’informatica che storce il naso per manifestare il suo scetticismo. Be’, sentite questa. Nella seconda metà degli anni Ottanta gli Americani cominciarono a sorvegliare i campi di addestramento palestinesi nella valle della Bekaa, in Libano, e in altre regioni desertiche con l’uso dei satelliti che venivano predisposti per passare su una determinata regione e scandagliarla alla ricerca di attività sospetta in diverse ore della giornata. Ovviamente il satellite passava a orari regolari che venivano cambiati di tanto in tanto ma che presentavano uno schema tutto sommato prevedibile. L’attività di spionaggio delle reti terroristiche permise non solo di individuare il pericolo, ma anche di conoscere in anticipo gli orari di passaggio dei satelliti. Risultato: i costosissimi satelliti americani inquadravano quelli che apparivano come normali accampamenti nomadi nel deserto. Non appena la zona usciva dal campo visivo i terroristi tornavano allo scoperto riprendendo le loro attività, vanificando o, quantomeno alterando la strategia antiterroristica. È quanto, nel mondo della fantasia, capita nel film Giochi di Potere (il romanzo originale era Attentato alla corte d’Inghilterra di Tom Clancy) in cui l’agente Jack Ryan/Harrison Ford, assiste al computer a un assalto della Delta Force a un campo di addestramento in Libia nel quale avrebbero dovuto trovarsi i componenti di una cellula dell’IRA. Informazioni sbagliate, operazione fallita. Uno a zero per il nemico. La ricerca dei laboratori per la produzione di armi chimiche di Saddam Hussein, nel ’91, sarebbe stata vana se fosse stata condotta solo via satellite. In realtà furono gli uomini delle SAS inglesi a scovare i bersagli, infiltrandosi oltre le linee irakene e penetrando nei bunker sotterranei del dittatore di Bagdad, invisibili dal cielo. L’elettronica è diventata un’arma indispensabile nella guerra moderna, ma la visione diretta, l’informazione di prima mano fornita da spie in carne e ossa rimane irrinunciabile, quanto l’interpretazione dei dati da parte degli analisti. E meno male, dico io, perché altrimenti noi agenti free-lance rimarremmo disoccupati.

Le qualità di un agente segreto

Non si tratta solo di raccogliere le informazioni, ma anche di interpretarle, farne l’uso più corretto e, spesso diffondere notizie false per indurre il nemico a passi errati o minarne la sicurezza. È ovvio che, per poter operare nella maniera più efficace, all’agente segreto siano richieste due fondamentali qualità che l’addestramento specifico può aiutare a sviluppare ma non creare dal nulla. Come per un atleta velocità e forza possono essere migliorate, ma devono essere già presenti a livello naturale, l’intelligenza e la capacità di passare inosservati sono per la spia qualità naturali, e chi ne è sprovvisto difficilmente potrà procurarsene. Nel campo specifico l’intelligenza è la capacità di adattarsi a situazioni nuove e impreviste, prendere decisioni rapide e valutare correttamente le proprie opzioni in base a un rapido mutamento dell’ambiente. È vero che una precisa informazione sulle circostanze della missione è possibile solo grazie a un briefing dettagliato e che molte tecniche s’imparano, ma la spia “ideale” è un uomo dotato di visioni aperte, spirito di osservazione e capacità di decisioni immediate. Per quanto riguarda il secondo aspetto… be’, bisogna ammettere che nel campo della narrativa di spionaggio rileviamo diverse eccezioni. I Ninja, forse la migliore organizzazione spionistica dell’antichità, praticavano l’arte dell’Invisibilità ( il Ninjitsu). Erano uomini dall’aspetto assolutamente ‘inapparente’, gente normale che si confondeva con l’ambiente circostante. I loro compiti erano fondamentalmente raccogliere informazioni sulle postazioni militari senza dare nell’occhio, ma anche arrivare così vicini ai granai del nemico da poterli bruciare, convincere il signore feudale che la moglie lo tradiva con il suo miglior samurai, in pratica tutte le attività praticate anche dalle spie moderne. Per far questo si addestravano a camminare, parlare e comportarsi come le persone nel gruppo in cui s’infiltravano. Ne studiavano le caratteristiche e vi si adattavano, aderendovi fisicamente. Se qualcuno di voi è mai stato in Giappone può rendersi conto che anche oggi in questo paese si trova la più alta assuefazione dell’individuo al suo gruppo di appartenenza. Caratteristiche fisiche troppo marcate, tratti particolari sono quindi un handicap, al contrario di quanto avviene (per ragioni… artistiche) nel caso di alcuni dei miei colleghi letterari e cinematografici. Per intenderci, avere gli occhi color oro, non è certo una caratteristica che passa inosservata e un agente che ambisse al totale anonimato dovrebbe quantomeno mascherare il suo aspetto… in alcune occasioni, però, il fascino della seduzione diventa fondamentale, se non una vera e propria arma, come accade nel caso di Malko Linge che ha sempre sfruttato la sua singolare caratteristica fisica per far breccia tra le sue avversarie, salvando a questo modo l’esito di una missione. Questo paradosso è solo la dimostrazione della necessità della prima dote di cui abbiamo parlato. Un agente abile come SAS saprà come sfruttare il carisma personale e l’avvenenza fisica per portare a termine il suo incarico distinguendo immediatamente le circostanze e le persone con cui sarà utile impiegarlo, lasciando spazio alla discrezione e alla furtività quando sono richieste.

Il reclutamento

I grandi servizi segreti sono ben consapevoli della necessità di disporre di persone brillanti e, benché il lavoro della spia sia in realtà diviso in settori di specializzazione, per reclutare i propri capi missione o comunque gli agenti che avranno la responsabilità di intere reti o complesse operazioni sul campo si affidano alle università o agli alti ranghi dell’esercito. Di solito il potenziale agente viene studiato e valutato a lungo prima di essere avvicinato da una “persona di fiducia” magari qualcuno che gli è familiare e lavora nel suo ambito svolgendo in maniera insospettabile il compito di talent-scout. La CIA e l’FBI attingono principalmente dalle università più prestigiose d’America, seguendo il principio che siano frequentate da giovani intellettualmente dotati, provenienti da un ambiente sociale con saldi valori patriottici. L’Intelligence Service inglese, invece, predilige scegliere i suoi operativi tra gli ufficiali dei servizi d’informazione della Marina (un esempio eclatante è il celeberrimo “Comandante” Bond che durante la guerra aveva prestato servizio appunto nella Royal Navy). Il KGB russo reclutava i suoi agenti migliori disdegnando i ranghi del partito, preferendo affidarsi alla professionalità e all’abilità degli ufficiali delle truppe speciali addestrati nella base di Kuchino, in Siberia.

– continua

Posted in Il Manuale della spia

3 Responses

  1. il professionista

    :-) buon divertimento dal Prof

  2. David O'Rich

    Giustissima l’osservazione sull’importanza dell’intelligence umano. Durante la guerra fredda la CIA disponeva di tecnologie satellitari che permettevano persino di contare i carri armati russi, ma non aveva veri infiltrati o informatori che potessero aiutarla a capire davvero il nemico e i suoi piani.

  3. carlo112233

    http://www.spystoreitalia.it

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