Intervista a cura di Dario pm Geraci
Questo mese, abbiamo intervistato Enrico Luceri, il vincitore del Premio Tedeschi 2008. Un occasione imperdibile per conoscere meglio un autore che impareremo a conoscere nel tempo. Buona lettura
Possiamo iniziare con una domanda banale? Ora che ha vinto il Premio Tedeschi, cambierà qualcosa per il Luceri narratore? Pensa in qualche modo che il premio la proietti nell’”olimpo” dei professionisti?
Penso che la risposta “politicamente corretta” più adeguata e convenzionale sarebbe: è un punto d’arrivo e di partenza, ecc. ecc. C’è del vero e del giusto, ma nel mio caso la situazione è diversa. Leggo i Gialli Mondadori dall’Agosto del 1970. Lo ricordo bene, il primo giallo è come il primo amore, non si scorda mai, e quello poi era indimenticabile, per me che ero adolescente: “La morte fa l’autostop” di Chase (scusa se è poco!). Da quel momento è iniziata una storia, un legame che dura ancora oggi. Quasi quarant’anni di Gialli Mondadori (ma anche altre collane dello stesso editore, gli Omnibus gialli, gli Oscar del crimine, e così via), cioè la mia vita fino a ora: se ne pesco a caso uno dalla libreria e guardo la data di pubblicazione, probabilmente affiorerà un ricordo (più sbiadito o più nitido a seconda dei casi) di quel periodo, vicino o lontano che sia. Gioie e dolori, delusioni e speranze che si riflettono (un altro specchio, ma questo non è un volto) nelle copertine del grande Carlo Jacono o di qualche altro artista. Il Giallo Mondadori è una presenza costante, familiare, un amico che non tradisce. E se qualche volta capita di restare delusi da questo amico (perchè magari un romanzo si è rivelato inferiore elle mie attese), è meglio valutare con calma e serenità il suo comportamento (cioè rileggere quel libro, senza pregiudizi), per scoprire che forse è stato tutto un malinteso (e il romanzo in fondo era valido). Per quasi quattro decenni il Giallo Mondadori è stato lo specchio (ancora!)che Alice guarda affascinata, e io con lei. Il premio Tedeschi mi ha permesso di attraversare lo specchio. Adesso sono dall’altra parte, non so quanto ci resterò ma come nelle favole ci sto bene e non vorrei più tornare indietro.
Da dove nasce l’idea de “Il mio volto è uno specchio”? Leggendo il romanzo, verrebbe da chiedersi se l’abbiano influenzata maggiormente i romanzi che ha letto o i film che ha visto.
Ogni storia che ho scritto, romanzo o racconto o soggetto cinematografico, nasce da un’esperienza, o un ricordo, su cui la mia fantasia costruisce una trama. Quest’ultima viene poi piegata alle esigenze narrative di genere per mezzo di riferimenti più o meno indiretti a film o romanzi. Nel caso del romanzo “Il mio volto è uno specchio” oltre alla citazione esplicita de “La sposa in nero” di Irish/Woolrich (ma anche al film di Truffaut), sono presenti situazioni ispirate a un paio di romanzi di Biggers con Charlie Chan(“La donna inesistente” e “Il cammello nero”, del quale ho scritto qui (http://romagiallofactory.blogspot.com/2008/07/recensioni-charlie-chan-e-il-cammello.html) e dell’inevitabile Christie di “Un delitto avrà luogo”. Nel descrivere l’ambiente claustrofobico di “Villa sul lago” avevo in mente “L’albergo delle tre rose” di De Angelis (di cui ho scritto qualcosa qui (http://romagiallofactory.blogspot.com/2008/12/recensioni-lalbergo-delle-tre-rose-di.html). Il cigolio ossessionante del ventilatore, che ritorna nella memoria di un personaggio in maniera quasi traumatica mi ricorda un’analoga scena dal film “Angel Heart” di Alan Parker. Infine, i momenti che precedono alcuni omicidi vengono descritti attraverso il punto di vista di un personaggio in una costruzione simile alle inquadrature di certi film thrilling di qualche anno fa, come le soggettive argentiane.
Il romanzo, si ricollega in qualche modo alla tradizione del “gotico italiano”; a tratti paiono comparire echi scapigliati e scene che riportano alla mente certi film italiani degli anni ’60. Quelli di Freda, Bava, Polselli..E’ una cosa voluta o Le è venuta così, in modo naturale?
Sono oltre dieci anni che scrivo, consapevolmente intendo. Inconsciamente si può dire che lo faccio dagli anni ’70 del secolo scorso: durante l’estate, quando i cinema e le arene erano un sollievo alla noia e al caldo, ho trascorso ore e ore incollato alla sedia a vedere la grande stagione del thrilling all’italiana. E naturalmente leggevo tanti gialli. Insomma, per quasi due decenni ho costruito a mia volta le storie che avrei voluto vedere o leggere, con la fantasia e l’immaginazione stimolata da quelle pagine e quelle sequenze. Quando ho cominciato a scrivere sul serio, mi è sembrato naturale fondere queste due influenze: il giallo classico, cioè un “whodunit” aggiornato ai tempi, immerso nell’atmosfera di tensione e suspense creata in maniera quasi cinematografica. Su questo argomento ho scritto un breve saggio pubblicato in tre puntate qui http://www.milanonera.com/?p=562 http://www.milanonera.com/?p=563 http://www.milanonera.com/?p=564
Se dovesse descrivere il suo modo di fare letteratura, oggi, come lo definirebbe? Vede in Italia, i margini per la rinascita di un certo tipo di “Giallo”?
Scrivo gialli con la consapevolezza di non voler fare nulla di diverso. Questa struttura mi permette di costruire meccanismi diversi uno dall’altro e al tempo stesso molto simili, realistici e verosimili (e quindi né reali né veri altrimenti sarebbe un saggio e non un’opera di narrativa), con la precisione e la cura di chi crede in quello che fa e non si cura delle mode effimere e passeggere e delle critiche mossa da pregiudizi e interessi personali. Credo che il giallo inteso in senso tradizionale possa sopravvivere solo se ci sarà una richiesta dal “basso” (inteso non in senso limitativo), cioè dal pubblico dei lettori, perchè fra gli addetti ai lavori c’è una corrente (molto influente) che non nasconde la sua ostilità verso le trame classiche.
Se aprissimo il “cassetto” di Enrico Luceri, cosa troveremmo? Quali sono i Suoi programmi per il futuro (immediato e su larga scala)?
Ho ancora diversi inediti: due romanzi e un’antologia di 16 racconti. Ma anche una “dispensa” ben fornita di idee e soggetti: le scalette di altri quattro romanzi e una dozzina di racconti. Solo il futuro dirà quale di queste opere troverà per prima il proprio destino editoriale. Nella seconda metà del 2009 un mio saggio su una particolare tematica del giallo verrà pubblicato in appendice al Giallo Mondadori. E poi mi auguro di continuare a leggere quello che mi piace e a scrivere quello in cui credo. Che poi sono la stessa cosa. Ma la motivazione vera, profonda, irresistibile che mi spinge a scrivere (finora quasi 2200 pagine!) è una sola. Non è la fama, o il successo, o il guadagno, o la rivincita verso qualcuno o qualcosa. Niente di tutto ciò. È il mio desiderio, la mia speranza, diciamo pure la mia necessità di sentirmi amato. Se fra tutti i lettori del romanzo “Il mio volto è uno specchio” ci sarà qualcuno che troverà fra le righe l’impulso, forse irrazionale, di provare affetto per me, ebbene questa sensazione elementare mi sarà di conforto e sollievo più di ogni altra ricompensa.
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