Patricia McGerr Vs Anthony Berkeley: Storia di un modello non riconosciuto

novembre 12th, 2014 by Moderatore

Questo mese ospitiamo un interessante articolo di Pietro De Palma su due autori che siamo sicuri , gli amanti de Il Giallo Mondadori apprezzeranno .

Buona lettura .

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La categoria dei romanzieri dedicati al genere poliziesco, potrebbe essere divisa sostanzialmente in due grandi gruppi: gli innovatori e i manieristi. I primi sono coloro che hanno inventato soluzioni di certo tipo che poi hanno fatto storia, gli altri quelli che hanno ripetuto, magari variando, quelle soluzioni inventate dai primi. Carr, per quanto grande egli sia, e secondo me è il più grande, non ha inventato nulla di nuovo ma ha applicato infinite volte gli stessi cliche: per cui è un manierista; Agatha Christie, Philip MacDonald, S.-A. Steeman degli innovatori. Ma non sono solo questi. Ce ne sono anche degli altri.
La prima è Patricia McGerr. Parecchi tra quelli che mi leggono, sono sicuro che non sanno lontanamente chi ella possa essere stata: trattasi di scrittrice americana, del tempo di Ellery Queen, assai meno conosciuta dei due cugini. La storia della critica poliziesca le ascrive un guizzo di genio che avrebbe applicato in un suo romanzo: una procedura deduttiva non nuova ma assai originale. Prima che ci pensasse lei, il genere più utilizzato era il “Whodunnit”: cioè la scoperta del colpevole: data una certa ridda di sospetti e dato un omicidio, bisogna scoprire l’assassino. In altre parole, il Cluedo in carta stampata.
Una prima variazione a tale procedimento, era stata la cosiddetta “inverted story”: conosciuto già l’assassino, il romanzo verteva su come si era arrivati a sospettare di lui, insomma una ricostruzione dei fatti che avevano portato alla cattura del responsabile. E poi c’era ovviamente una seconda variazione: conosciuta la vittima e noto qualcuno che la volesse uccidere, il plot era concentrato sul fatto che la macchinazione andasse a buon fine o no, e che ovviamente il colpevole venisse preso oppure sfuggisse alla cattura. Nessuno aveva però pensato ad una terza variazione. A questo vi pensò Patricia McGerr, almeno per quello che comunemente si legge: a lei viene ascritto un altro modo, con cui si dice abbia innovato il genere. In altre parole, avrebbe spostato l’indagine, che è concentrata normalmente sull’identificazione del colpevole, sul suo opposto, ossia sulla vittima.
Patricia (“Pat”) McGerr (1917-1985) è stata uno scrittrice poliziesca statunitense. Vinse un Ellery Queen Magazine / MWA, per una sua storia e il Grand Prix de Littérature policière nel 1952 per il suo romanzo dell’anno prima, Follow, As the Night . Era nata in Nebraska dove si era laureata, e poi aveva preso un master in giornalismo alla Columbia University.
La sua fama è legata principalmente al suo primo successo, Pick Your Victim (1946), in cui si narra la storia di un gruppo di marines americani, di stanza sulle isole Aleutine, nel corso della seconda guerra mondiale, che, per ingannare il tempo, e superare la noia, legge tutto quello che capita a tiro. Ben presto i giornali, i libri, dopo aver fatto il giro di tutti i soldati, si deteriorano. E quindi, per avere qualcos’altro da leggere, sfruttano ogni situazione persino la più originale per poter ingannare il tempo.
La situazione cambia in meglio, quando, uno di loro, Pete, riceve dalla famiglia un pacco di viveri: la madre, per evitare che i barattoli non si rompessero, li ha avvolti in carta di giornale, E proprio su questi ritagli si appunta l’attenzione dei soldati, particolarmente su uno di essi che narra dell’omicidio da parte di un conoscente del possessore del pacco di viveri, di altra persona: Paul Stetson, l’assassino, è il padrone incontrastato di STUDS, un’associazione nata con lo scopo di porre lenimento con consigli e indicazioni alle mansioni di quelle donne che vivono particolarmente sfavorevoli condizioni lavorative, una specie di protettorato, quasi un sindacato, che si occupi di loro, e proteggendole, protegga anche il loro ambiente di lavoro, l’attività domestica, a cui tutte le donne, secondo i fini di chi ha fondalo la società, sono deputate : cuoche, cameriere, guardarobiere, le donne meno difese fra tutte, perché svolgenti mansioni umili nell’ambito domestico. Ora, nell’articolo si narra proprio della condanna di Paul reo di aver ucciso uno dei dirigenti della sua società; solo che è ignoto il nome della vittima, perché, laddove ci sarebbe dovuto essere il suo nome, vi è uno strappo, mancando un pezzo di giornale. Nonostante i soldati mettano assieme i vari pezzi, a voler formare la pagina, in realtà il buco rimane lì.

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I soldati allora scommettono fra loro: puntando una certa somma qualcuno, e raccontando il narratore della sua vicenda lavorativa in STUDS, non omettendo nulla e quindi fornendo una certa mole di indizi che dovrà essere convenientemente dai suoi commilitoni, vincerà chi, sulla base del racconto, sarà riuscito a formulare il nome dell’assassino, posto che il narratore non potrà partecipare alla scommessa e allo stesso modo sarà il solo ad aver per primo la risposta, visto che l’ha chiesto ad una sua collega, Sheila, tramite lettera.
L’escamotage del romanzo della McGerr è chiaro: i soldati per ingannare il tempo, scommettono, come scommetterebbero su qualsiasi cosa: questa volta, la posta è riuscire a mettere il nome mancante a causa di quel buco:
Washington, 6 settembre – Paul
W. Stetson, Direttore Generale
della Society to Uplift Do
Stic Service, la
Sato alla pol
Strangolato
Negli uf
Day.
Anche la vittima
Gente della organizz
Nazionale. La sco
Del corpo, con una sciarpa
Di lana marrone annodata
La gola, fu fatta da Tom Ad
Impiegato della SUDS, alle pri
Ore ieri mattina. Egli chia
La polizia che arrivò im
[Paula McGerr, Scegliete la vostra vittima (Pick Your Victim,1944) – trad. Glauco De Rossi – Il Romanzo per Tutti, Anno XI N.13, 1955]
Per farlo, il narratore, Pete, conosce tutti i dieci dirigenti dell’azienda (Presidente: Hunter Willoughby, Vice-presidenti: Frank Johnson (capo dell’Ufficio Legale), Chester Whipple (capo della Pubblicità), Anna Coleman (incaricata dell’istruzione), Carl Doherty (incaricato dell’Albo dei Soci), Ray Saunders (dell’Uffico del Presidente), Loretta Knox ( incaricata della Costa Occidentale), Harold L. Sullivan (incaricato delle ricerche), Segretaria: Bertha Harding, Tesoriere: George Biggers. Fornirà di ognuno di essi un profilo, sulla base delle proprie esperienze lavorative e della sua conoscenza diretta delle possibili vittime. Quindi in sostanza, non sarà “una scommessa al buio” come avrebbe voluto fare altro commilitone, lasciando decidere alla fortuna il nome del vincitore, ma sarà una sorta di “Giochiamo all’assassino”, un Cluedo invertito, laddove normalmente si parte dalla vittima e grazie ad una serie di indizi, si cerca di dare un volto al colpevole. Qui invece è l’opposto: il colpevole è noto, ma non si sa chi, tra i dieci dirigenti, sia stata la vittima. E questa la si potrà evincere solo sulla base del racconto fatto dal narratore, lavorante nell’Uffico Stampa di quell’azienda.
Il racconto che Pete fa ai commilitoni, comincia con il suo inserimento nell’organizzazione della Società SCUDS, ad opera di Chet Whipple, il primo dei dieci dirigenti che lui ha conosciuto, perché è per opera sua che lui è stato assunto:
Chet Whipple fu il primo dirigente della SUDS che conobbi, Solo che allora non era ancora un dirigente e l’organizzazione non si chiamava SUDS. Eravamo nell’estate del 1939 e si chiamava ancora Homemakers Information Bureau, il che mi dette l’idea di un gruppo di gente suonata. (op. cit. pag. 6). Di lui tratteggia i dati indicativi della personalità, la sua presunzione, l’adulazione del capo e il disprezzo per i suoi colleghi, unito ad una buona parte di pettegolezzi sull’operato di essi, che lui, “marito integerrimo”, gira alla moglie, per poi tirarsi indietro quando accusato.
“…nessuno può impedirti di fabbricare le tue bugie e di raccontarle a casa per eccitare tua moglie..di diffonderle nell’ufficio..continua così. Divertiti. Ma un giorno qualcuno ti caccerà i denti in gola. Se non avrò la fortuna di poterlo fare io stesso spero di trovarmi presente quando accadrà” ( op. cit. pag.18).
Quindi Pete già indica una possibile vittima, perché c’è qualcuno che potrebbe aver avuto motivi di risentimento, per le calunnie profferite da Chet e dalla moglie nei confronti non solo di Mary Dalton, l’accompagnatrice di Biggers, ma anche di altre persone..
E così ogni capitolo. Così qualche pagina avanti si viene a sapere che nella società c’erano due donne tra i dieci dirigenti.
“Le donne sono un veleno in una impresa commerciale. Con una sola donzella, se fate attenzione, potete cavarvela. Mettetene due insieme e vi troverete tra due gatti selvatici” (op.cit.pag.20). George Biggers, parla a Pete e gli tratteggia le due donne dell’azienda Anne Coleman e Bertha Harding, una contro l’altra (si vedrà che è la seconda contro la prima). In realtà Bertha “è dura come un chiodo, diretta nell’azione, incisiva nel discorso”. Si veste con tailleur, scarpe basse, capelli acconciati in pose molto severe e così si manifesta agli altri. Tuttavia, seppure molto apprezzata per le sue doti manageriali, in realtà nessuna la guarda per altro. E di questo si avvantaggia la Coleman che invece ha “i capelli d’oro rosso che cadevano in morbide onde, gli abiti attillati, i braccialetti tintinnanti e scarpine col tacco a spillo..sembrava più a suo agio con un uomo, e alla SUDS questo aveva molta importanza” (op. cit. pag.20). In breve Anne Coleman diventa l’amante di Paul Stetson, il Capo della Società, che è in rotta con la moglie. Un giorno il narratore e la sua amica Sheila insospettendosi perché la Coleman che sarebbe dovuta essere presente ad una manifestazione per sua stessa dichiarazione e non vi è invece andata, si recano a casa sua, e la trovano in fin di vita, perché ha tentato di uccidersi coi barbiturici, e tutto in seguito ad una lettera velenosa che ha ricevuto, in cui a firma della moglie di Stetson, Claire, le viene restituita la chiave del suo appartamento utilizzata dall’amante, perché i due hanno deciso di fare pace. In realtà, come scopre Sheila, i due non hanno fatto pace.
“La lettera deve averla scritta qualcuno che odia la Coleman – qualcuno che sperava reagisse proprio come ha fatto, avvelenandosi…la signorina Harding è quella che avrebbe beneficiato dalla sparizione della Coleman..”(op. cit. pag. 26). Ma la Harding non è sola. E’ legata a Ray Saunders, un altro dei vice-presidenti. E’ lui che può averle passato la chiave dell’appartamento che era nell’automobile del Capo che “..Saunders ha usato per la fine della settimana”. Insomma tutti contro tutti, un nido di vipere.
E così abbiamo altri potenziali vittime: Paul Stetson avrebbe potuto strangolare sua moglie, per poter vivere con l’amante; l’amante, per ritornare a vivere con la moglie; la Harding, per aver tentato di far suicidare la Coleman; Saunders perché cospirante contro di lui e la sua amante. Avrebbe potuto strangolare Chet Whipple per la campagna di calunnie montata da lui nei confronti di altri (magari anche della Coleman). Anche se in questo caso sarebbe stato molto più semplice licenziarlo.
Il risentimento nei confronti della Harding diventa tangibile qualche pagina dopo, quando durante una partita a poker, la Harding parla troppo e rinfaccia al suo Capo uno sbaglio colossale nel giocare, umiliandolo dinanzi a tutti: “..o non avete visto bene le vostre carte oppure il caldo della stanza vi ha dato alla testa” (op.cit. pag. 32).
Poi vi è una spinta che Stetson rifila a Whipple sulla scalinata del Campidoglio dopo la bocciatura di una legge in cui Steson sperava, che a sentire Whipple e la sua campagna di stampa, avrebbe dovuto esser stata approvata, costituendo così un fondo di stato di cento milioni di dollari per l’istituzione di una accademia per le mansioni domestiche delle donne.
Ancora, vi è nelle pagine seguenti il tentativo di Stetson di approfittare di Mary Dalton, l’ira di Biggers e le amare considerazioni sulla ricattabilità di un personaggio pubblico, quando non si prendono opportune misure di riservatezza.
Insomma..ogni capitolo riserva nuove prospettive per individuare nuove potenziali vittime di Stetson. Dei commilitoni di Pete, è Joe che capisce tutto e indica la vittima, alla fine di un certo ragionamento, la cui giustezza viene confermata allorquando, qualche giorno dopo, arriva la missiva di Sheila a Pete contenente un ritaglio di giornale, gemello di quello deteriorato arrivato ai militari, in cui viene menzionato il nome della vittima dello strangolamento.
Questo romanzo, non fu comunque l’unico tentativo di Patricia McGerr di cambiare i connotati del Whodunnit classico: infatti, ripetè in altro romanzo, la stessa idea base utilizzata in Pick Your Victim, in Follow As the Night (1950) pubblicato già un anno prima con altro titolo, Save the Witness, che sarà tradotto in un film cinematografico da Henri Decoin, Bonnes a tuer (=Buone da uccidere): Larry Rock ha deciso di uccidere una delle quattro donne che ha amato. Ma quale, tra la moglie, la ex-moglie, l’attuale sua accompagnatrice oppure l’amante? Nel 1947, invece, pubblicò l’altro suo romanzo che le dette fama, The Seven Deadly Sisters (1947) in cui al lettore spetta l’individuazione non solo della vittima ma anche dell’assassino: la statunitense Sally Bowen, si trasferisce in Inghilterra e lì una lettera la informa che una sua zia ha ucciso il marito. Ma quale? Nella lettera non si fa il nome dell’assassina, né della vittima. E’ un problema individuarli, perché Sally ha sette zie tutte sposate.
Si sa che Patricia McGerr piaceva al Presidente Truman. Almeno piacevano certi suoi libri, di forte ispirazione religiosa: Martha, Martha ( Marta, la sorella di Lazzaro, l’amico di Gesù da lui resuscitato) o The Missing Years. La McGerr era una fervente cattolica, tradizionalista, e nei suoi romanzi si colgono certi accenni, sul ruolo tradizionale della donna per esempio nella società e nella famiglia americana. Infatti, almeno questi due libri, sono stati trovati nello studio di Harry S. Trouman, a casa sua.
A questo punto, sarebbe chiaro che Patricia McGerr, sebbene non popolarissima e considerata quasi solo dagli addetti del settore, sia stata una innovatrice del Whodunnit, ascrivendo a lei l’invenzione dello spostamento dell’indagine non tanto sul colpevole, nota la vittima, ma sulla vittima, noto il colpevole, basandosi su un resoconto di fatti attinenti. Almeno così parlano un po’ tutte le fonti.
Anche Gadetection, al momento il sito più specialistico sulla Crime Fiction, ne parla in questi termini:
“A stunning tour de force, from a then-debutant author. Reversing whodunit’s priorities in a revolutionary fashion, Mc Gerr reveals the guilty party from the start and turns on an unusual, compelling problem. Who has died? The answer is as surprising as expected, and wholly fair-play. As usual with McGerr, however, the book doesn’t limit to a well-exploited gimmick. We have in bonus some delightful characterization and a lively office-life evocation. Barzun and Taylor raved about this book. They were right.”
Il giudizio di Xaver Lechard è anche più diretto:
“Pat McGerr’s “Pick Your Victim” is a comparatively little-known entry into the annals of crime fiction, but which is nevertheless held in high esteem among a small group of knowledgeable and well read Connoisseurs of Crime – praising the story for it’s unique take on the classic detective format, that’s both original and successful.”
E gli addetti ai lavori le riconoscono un merito indubbio. Ma…è veramente tale? Cioè, davvero lei per la prima volta ha rovesciato i termini di paragone del Whodunnit?
Ebbene No, Signori. Il primo è stato un altro, qualche anno prima. La storia dovrà essere riscritta.
Nel 1932 Anthony Berkeley, aveva scritto e pubblicato, Murder in the Basement ,1932 ( Assassinio in Cantina – trad. Mauro Boncompagni – I Classici del Giallo Mondadori, N.1056, del 2005). Il romanzo risale al periodo di maggior successo internazionale e al pieno della sua attività formativa: dello stesso anno è infatti Before the Fact (Il sospetto) tradotto sul grande schermo nel 1941 da Alfred Hitchcock in un film di grandissima notorietà, con Cary Grant e Joan Fontaine, Suspicion (Il Sospetto); l’anno prima, Berkeley aveva pubblicato un altro suo grande successo, Malice Aforethought (1931). E nel 1933 pubblicherà un altro romanzo fondamentale , Jumping Jenny.
Berkeley, già con The Poisoned Chocolates Case (1929) e prima ancora con The Wychford Poisoning Case (1926) aveva innovato il genere puntando su romanzi di grande penetrazione psicologica e sulla molteplicità delle soluzioni contemplate nei romanzi, poi abbandonate a favore di quella giusta e definitiva.
Quindi Berkeley è un altro innovatore. A noi interessa però perché è stato anche il solo ad aver innovato il Whodunnit classico, nella forma adottata da Patricia McGerr, ben prima che lei scrivesse il suo romanzo, Pick Your Victim. La cosa strana è che nessuno se ne sia accorto finora e tanto più è strano perché tra il romanzo di Berkeley e quello della McGerr ci sono ben 14 anni. Non solo. Non se n’è neanche accorto Malcolm J. Turnbull che nel 1996 ha firmato l’unica biografia dedicata a Berkeley, Elusion Aforethought: The Life and Writing of Anthony Berkeley.
La trama del romanzo è parecchio macabra.
Una coppietta di sposini ritorna dal viaggio di nozze e prende dimora in una casa affittata. Mentre lei disfa le valigie, lui non trova di meglio che andare ad ispezionare la casa, e in particolare la cantina dove vorrebbe custodire i suoi vini. Ma ecco che un particolare cattura la sua attenzione: in un angolo, il pavimento di mattoni si è come infossato, come se qualcuno avesse scavato per nasconderci qualcosa. Lui pensa ad un forziere, ma invece vi trova..un cadavere vecchio di almeno sei mesi, talmente irriconoscibile e decomposto che per puro caso si riesce a capire che era una femmina giovane e che aveva una cicatrice all’interno di una delle cosce. Il cadavere è nudo, ma su quello che rimane delle mani vi è un paio di guanti.
L’Ispettore Moresby di Scotland Yard naviga nel buio: chi era la donna? E come è finita in quella cantina? La precedente affittuaria era una vecchia al di sopra di ogni sospetto, e la data della morte sembrerebbe coincidere nel periodo di agosto, in cui la vecchia era in vacanza e la casa era vuota: chi mai avrebbe potuto avere le chiavi? Dei parenti? I due soli sono due nipoti che però hanno degli alibi talmente solidi da essere subito estromessi dalle indagini. E allora? Alla minuziosa indagine della polizia non sfugge nulla. Eppure Moresby non riesce a dare un nome al corpo! Basterebbe saperlo e – lui ne è sicuro – si sarebbe a cavallo, perché l’assassino non avrebbe scampo. Ma… non si trova nulla. Finchè vi è una sua intuizione: la cicatrice. Sulla base dell’autopsia si stabilisce che la vittima era stata operata al femore e gli era stata applicata una placca di metallo per saldare l’osso dopo una frattura: la fortuna che gli arride è data dal fatto che la placca è fatta di un materiale subito abbandonato, utilizzato solo come esperimento in pochi e certificati casi. Insomma, scartando tutti i soggetti che non risultavano essere scomparsi e i cui parenti ne avrebbero subito denunciato la scomparsa, si arriva a individuare la vittima in una ladra borseggiatrice che era scivolata al momento della cattura della polizia, rompendosi una gamba, e che tempo dopo, ravvedutasi, dopo un corso di stenodattilografia e alcuni altri lavori, e con un cognome falso era riuscita a farsi assumere in una scuola privata di Allingford, Roland House, nel personale amministrativo..
Ora, in cosa i romanzi di McGerr e Berkeley si assomiglierebbero tanto da poter essere comparati, se si conosce già l’identità della vittima in The Murder in the Basement?
Nel fatto che l’Ispettore Moresby, ricordandosi del fatto che Roger Sherringham, di cui egli si è già servito come esterno in indagini poliziesche, è stato a Roland House in passato, lo interpella, e gioca con lui a rimpiattino: non gli rivela subito il nome della vittima, ma sfida Sherringham a scoprirlo da solo, sulla base di quello che lui si ricorda dell’ambiente, e soprattutto basandosi su una traccia, un canovaccio che Roger ha scritto l’estate prima volendolo dapprima usare per un romanzo, ma che è stato abbandonato. Proprio questo racconto, che viene compreso nel romanzo e di cui viene reso cosciente il lettore, diviene la base del ragionamento psicologico di Sherringham. Che arriva ad individuare la vittima, poi confermato il tutto da Moresby.
Abbiamo cioè due fonti talmente simili e con caratteristiche talmente sovrapponibili da non poter essere inquadrati come due casi isolati: entrambi i romanzi si basano sui ricordi di una persona che non è coinvolta nel caso in quanto sospettabile ma nello stesso tempo conosce l’ambiente tanto da poter estrapolarne i caratteri psicologici più pregnanti; in entrambi i romanzi colui che illustra il quadro psicologico generale e i soggetti interessati non conosce in primis l’identità della vittima; in entrambi i casi, l’individuazione dell’identità della vittima, avviene nel corso di una sfida, di una scommessa; in entrambi i casi, l’identità supposta della vittima viene confrontata con chi ne è perfettamente a conoscenza (Sheila nel primo caso, Moresby nel secondo); in tutti e due i casi vi sono rievocazioni personali in cui sono compresi tutti i personaggi del caso; in tutti e due i romanzi la vittima svolge le stesse mansioni; in tutti e due i romanzi l’assassino ha stesse funzioni dirigenziali, pur nella diversità di ambienti di lavoro (una società commerciale e una scuola); in tutti e due i casi il movente dell’assassinio è il ricatto, di cui è vittima l’assassino da parte della vittima. Le uniche 2 differenze sostanziali sono che il racconto su cui si base l’individuazione della vittima nel primo è l’anima del plot mentre nel romanzo di Berkeley è solo un inciso, che potrebbe non avere nessuna utilità perché Moresby conosce già l’identità della vittima ma che dà a Roger il potere ancora una volta di affermare le sue doti di introspezione psicologica; e che mentre nel romanzo della McGerr tutto il romanzo si basa solo sull’identificazione della vittima, mentre dell’assassino si conosce già il nominativo, nel romanzo di Berkeley, vengono analizzati e entrambi vengono scoperti da Sherringham: vittima e assassino. Perchè sulla base di detto racconto, si evidenzieranno degli utili indizi per arrivare alla soluzione finale.
Si avrebbe cioè una risultanza ancora più sconvolgente: Patricia McGerr non sarebbe solo debitrice a Berkeley dell’inversione tra assassino e vittima in Pick Your Victim, ma anche il successivo The Seven Deadly Sisters che presenta un’altra variazione – scoperta di vittima e assassino – non sarebbe affatto originale, in quanto tale variazione del Whodunnit, è già l’anima del romanzo di Berkeley, in cui appunto Sherringham scopre nel corso di una scommessa con Moresby, quale sia la vittima, ma anche poi, alla fine del romanzo, l’assassino.
Sarebbe interessante vedere quando l’opera di Berkeley fu per la prima volta tradotta e pubblicata in America: ebbene, nello stesso anno della prima edizione inglese, 1932, Doubleday Crime Club, di New York, firmava la prima edizione statunitense del romanzo di Berkeley. A questo punto sarebbe interessante investigare sull’influenza che potrebbe aver avuto questo romanzo di Berkeley su Patricia McGerr, sempre che si provasse però che a lei piacevano i romanzi polizieschi inglesi.
Nessuno dice espressamente che vi sia stato plagio, ma cosa può essere accaduto se i due autori hanno formulato due storie così sovrapponibili l’una all’altra? Un caso simile a quello di Hilary St George Saunders che prese come modello per il suo The Sleeping Bacchus, la celeberrima Camera Chiusa di Pierre Boileau, Le repos de Bacchus? Solo che La McGerr rivendicava il suo genio con queste parole :
“From my reading I knew that a classic mystery included a murderer, a victim, and several suspects. So I began by assembling the cast of characters. But when I began to assign roles, it was obvious that only one of them could commit murder, whereas any of the other ten might be his victim. So, reversing the formula, I named the murderer on page one and centred the mystery around the identity of the victim.”
E quindi non menzionava in nulla il modello originario di Berkeley.
E perché mai Berkeley, e questa è la cosa che più mi incuriosisce, non avrebbe rivendicato la paternità della genialità da lui inventata ben prima che vi ci accingesse Patricia McGerr? Possibile che si fosse tanto disinteressato dal mondo del poliziesco da rifiutare persino di accampare diritti su qualcosa di cui altra si dichiarava genitrice?
Mah.
Certo che la critica poliziesca d’ora in poi avrà un altro mistero da risolvere.

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25 Responses

  1. Alessandro B.

    Interessante parallelismo tra l’opera di Berkeley (che ho letto) e quella della McGerr (che, francamente, non conoscevo). Berkeley probabilmente ha avuto per primo l’intuizione di spostare l’attenzione dall’identità del colpevole a quella della vittima, ma mi pare di capire che la McGerr l’abbia portata alle estreme conseguenze, facendone il fulcro della trama e dell’indagine investigativa; forse è per questo che i critici hanno attribuito tale merito a lei (e forse Berkeley non ha rivendicato il suo primato perché non glie ne importava molto, o addirittura non era a conoscenza di tutto ciò).
    Io, comunque, preferisco i “manieristi”, come li chiama Piero.

  2. Stefano

    Molta carne al fuoco, d’altronde sono due autori piuttosto sottovalutati, nonostante i valori assoluti siano decisamente sbilanciati.
    Io credo che l’equivoco nasca dal fatto che Murder in the Basement è uno tra i meno famosi romanzi di Berkeley, mentre quello della McGerr è il più celebre. C’è anche un altro testo che anticipa l’idea della McGerr, anche se non ne approfondisce completamente il discorso, che è Measure for Murder (1941) di Clifford Witting.
    Martin Edwards, che oltre ad essere un abilissimo romanziere è anche un brillante recensore, in un post di luglio 2013 nel suo bel blog analizza Murder in the Basement di Berkeley e sottolinea proprio la sua eccezionalità e il suo essere in anticipo sui tempi (e sulla McGerr).

  3. Stefano

    Aggiungo anche che il discorso di Alessandro lo condivido, e che tu, Piero, hai spiegato molto dettagliatamente i legami tra i testi, analizzando a fondo e fornendo non poche nuove chiavi di lettura. Sono contento perché dei due si parla sempre troppo poco 😉

  4. piero

    Quello che sta sfuggendo è la portata dell’apporto berkeliano: non si tratta di un’idea, che può aver avuto uno, e possono aver avuto altri, senza che per forza i due o i tre (o i quattro, perchè da qualche parte ho letto che anche i 2 Queen stavano lavorando ad un testo simile e il lavoro della McGerr li spiazzò) si conoscessero. Qui io metto in luce il fatto che vengono ripetuti tutta una serie di caratteri: la sfida, il fatto che il risolutore fosse super partes ed estraneo all’ambiente, etc.. I particolari dell’inserto sono troppo simili, per non pensare che la McGerr non abbia letto Berkeley. Piuttosto gioca a favore dell’equivoco o dell’appropriazione indebita dell’idea base, il fatto che questo romanzo di Berkeley sia del tutto ignorato a fronte di altri. Ma il fatto è che Berkeley è un autore che è stato troppo presto messo in un angolo (a favore di altri, molto meno interessanti) e di cui sono tuttora troppo citati romanzi che vanno per la maggiore, mentre altri rimangono nell’ombra. Il fatto è che proprio quelli ignorati forniscono spunti maggiormente interessanti.

  5. piero

    E’ un po’ la sorte dei romanzi gialli francesi, che in America non sono mai giunti ( o quasi) e che attualmente John (Pugmire) sta cercando di rimpinguare: sta per pubblicare un Vindry, e un Boca, ha pubblicato il Torok, ed è in U.S.A. quello che è da noi Igor, cioè il traduttore ufficiale di Paul (Halter). Parecchi dei gialli francesi sono del tutto ignorati dalla platea, perchè non conosciuti, ma non è detto per questo che non siano stati letti da altri scrittori, magari più blasonati, che poi abbiano utilizzato le loro idee ( sconosciute al grande pubblico) magari anche meglio, magari no, ma togliendo in pratica il merito della paternità ai legittimi proprietari. E’ il caso per es., a me pare, de L’Albergo delle tre rose, di cui ho scritto un articolo nel mio blog, romanzo bellissimo di De Angelis (di cui ricorre il 70° dalla morte quest’anno, e quindi scadono i diritti di copyright), che curiosamente anticipa proprio un romanzo francese più conosciuto di Steeman, L’Assassin habite au 21.
    Tra Berkeley e McGerr ovviamente io scelgo il primo, perchè tra i due, quello migliore a me sembra proprio il testo berkeliano: in sostanza la sfida ha un valore più ridotto che non in McGerr dove è l’anima del romanzo, ma poi il romanzo va avanti per la sua strada e anticipa un altro romanzo della McGerr, in cui si scopre vittima ed assassino.
    Semmai il romanzo migliore di Patricia McGerr tra quelli che ho letto, a me sembra The Seven Deadly Sisters (su cui scriverò un articolo tra non molto), non sfuggito anni fa all’accoppiata Caselli & Boncompagni e proposto, fortunatamente su Il Giallo Mondadori. Non potrebbe il buon Mauro riproporre anche questo ne I Classici?

  6. piero

    Ho appena letto il post di Martin cui Stefano accennava: non lo conoscevo, altrimenti avrei citato Edwards (cosa che ho fatto altre volte quando ho parlato di Berkeley). Che ricordava come Berkeley avesse anticipato McGerr, non però esaminando le due posizioni.
    Gli ho scritto un lungo commento al suo post. Non so se interverrà qui (me l’auguro).

  7. Antonino Fazio

    Un articolo davvero intrigante, come sempre sono quelli di Piero!:-)

  8. Mauro Boncompagni

    Bravo, Piero, hai mostrato nel tuo bel saggio quanto sia centrare il ruolo di Anthony Berkeley nella storia del poliziesco da molti punti di vista, non ultimo la sua incessante capacità di innovare e sperimentare. Onestamente, non so se la McGerr avesse letto il libro di Berkeley (è comunque possibile), o se magari avesse letto (questo è quasi certo) un altro romanzo in cui il mistero di scoprire l’identità della vittima è quasi altrettanto importante dello scoprire l’identità dell’assassino (mi riferisco a “Delitto alla rovescia” di Ellery Queen, datato 1934), ma, comunque stiano le cose, l’idea della paternità di Berkeley nell’affaire in questione mi pare convincente.

  9. Alberto Minazzi

    Alla resa dei conti, non ho dovuto attendere troppo, Piero! E ho trovato il tuo articolo interessantissimo come sempre. Aggiungo solo (ma, magari, tu, dall’alto della tua conoscenza, mi smentirai…) che, novità nella novità, Berkeley introdusse questo elemento con una sfasatura dei tempi della narrazione, affidata, nella parte centrale, ad un racconto di Sheringham (fiction nella fiction, si potrebbe dire).

  10. Stefano

    Io a dire la verità non avevo ancora letto il romanzo di Berkeley fino allo scorso anno circa, quando mi sono imbattuto in quel post. Ed ero convinto che fosse stata la McGerr la prima a ribaltare lo schema (avevo letto un articolo di Piero di qualche anno fa propria sull’autrice).
    E secondo me questo lunga dissertazione mostra come una divisione manieristi/rivoluzionari sia decisamente più sottile e sfocata di quanto appaia a prima vista ( posto che le mie posizioni sono un filo differenti, ma non è questo ciò che conta). Il succo è, come ha fatto Piero, cercare di mettere sempre tutto in discussione, e non accettare ciò che è stato erroneamente imposto dalla critica.

  11. Mauro Boncompagni

    Piero, il titolo della McGerr di cui auspichi la ristampa è in programma prossimamente nei Classici.

  12. piero

    Sul fatto che il confine tra manieristi e innovatori sia sottile hai ragione, ma purtuttavia esiste: io direi che gli innovatori puri, pur essendo esistiti potremmo dire che non siano stati anche manieristi solo nel caso in cui non hanno avuto una carriera così lunga da necessariamente cadere nell’abitudine e nelle consuetudine. Così il solo innovatore puro direi che sia stato Zangwill che scrisse un solo romanzo poliziesco inserendo una variazione cui nessuno aveva pensato prima. Gli altri innovatori possono essere stati anche manieristi di se stessi, oltre che essere stati innovatori nei confronti del genere: Van Dine è sicuramente all’inizio un grande innovatore, ma una volta inserita la variante non è detto che la rimpiazzi continuamente, anzi, accertata la sua portata, la conferma. E’ il caso di Garden che è una ripetizione di Greene, che costituisce l’archetipo. Ma nel tempo stesso ha innovato altro che poi è stato pedissequamente seguito da altri: innnanzitutto il detective tuttologo, di classe medio-alta, che opera in ambienti esclusivi; poi il tema della strage in una famiglia che abita in un determinato luogo; poi l’inserimento della filastrocca. Anche la variazione di ambientazione esotica (Egitto ad esempio) pedissequamente seguita da altri (Queen, Stout, Daly King, etc..).
    Oppure possono essere stati manieristi nei confronti di altri.
    Agatha Christie che è una grande innovatrice (inventa l’assassino narratore della storia) ripete anche gli escamotage inventati da altri (Steeman, forse Bristow & Manning, Van Dine, forse anche Vindry) e ambienta le storie negli stessi ambienti in cui le ambientano la Heyer, la Wentworth, e poi la Peters. Steeman che inventa l’assassino ritenuto ucciso che uccide altri, a sua volta ripete quello che altri avevano inventato (Agatha Christie, direi forse anche De Angelis). E così via.
    E poi ci sono solo i manieristi, quelli che si sono inseriti nei filoni tracciati da altri, che inventano storie che ripetono in tutto o in parte quello che altri hanno già affermato, variando il contesto.
    In questo tipo di discorso, Carr cosa è stato? Manierista o Innovatore?
    Io ho detto manierista, ma anche se sono abbastanza sicuro di ciò, non è detto che in qualcosa anch’egli non possa essere visto come un innovatore: quest’aspetto è connesso solo però direi al romanzo storico. Carr per la prima volta direi inventa il romanzo giallo storico collegandolo al delitto impossibile e in un caso particolare lo collega addirittura al fantastico: siccome direi che sia un unicum o comunque il primo caso, in questo direi che egli è stato un innovatore. Per il resto bisogna vedere se egli sia stato innovatore o manierista: è un manierista se lo si vede in rapporto al non aver sperimentato nuove tematiche come hanno fatto altri (è un conservatore, anche politicamente), diventa un innovatore quando si esamina lo svisceramento della tematica della Camera Chiusa, in cui opera infinite variazioni, di cui alcune vengono inventate di sana pianta e costituiranno il modello per altra gente. Dal punto di vista stilistico, è innovatore per quanto riguarda il modo di attuare la tensione, di cui, ai suoi tempi, maestri erano Rufus King e Connington. Recentissimamente mi sono accorto dell’originalità di De Angelis in quanto a realizzazione della tensione: ma nel suo caso non sono sicuro che egli non avesse preso a modello il tipo di tensione cinematografica, perché alcuni suoi romanzi sono estremamente teatrali.

  13. piero

    Berkeley è innovatore non solo per la trovata in questo romanzo, che rivoluziona l’oggetto del Whodunnit, ma soprattutto in quanto si può dire che sia se non l’inventore delle soluzioni multiple, almeno il maggior utilizzatore (assieme a Christianna Brand). Nei suoi romanzi, sovente indirizza l’azione verso un certo punto e poi, inaspettatamente la cambia verso un altro, o un altro ancora. In questo romanzo troviamo il cambiamento semplice, ma altrove è più complesso, con più possibili soluzioni, ad esempio Not to Be Taken, per non parlare di The Poisoned Chocolates Case

  14. Stefano

    Condivido quello che dici Piero. L’importante è non dare una importanza eccessiva a questi “innovatori”. Mi spiego.
    Steeman è stato un grande rivoluzionario in senso stretto, ma anche un abile narratore e un solido costruttore di trame. Altri magari hanno semplicemente rinnovato qualche schema, sovvertito un paio di regolette, ma da un punto di vista letterario hanno continuato a rimanere nella mediocrità.
    Vero che Zangwill ha innovato profondamente la tematica della camera chiusa, ma il romanzo in questione ha perso freschezza, come Hume. C’è da dire che Zangwill ha scritto molto e aveva altre doti (alcuni suoi racconti sono ben più riusciti).
    Un altro esempio. Rhode è stato un maestro, e ha avuto il merito di percorrere terreni fino ad allora non molto esplorati ma non sono questi i motivi principali per cui è stato grande. I delitti di Praed Street avrà fatto da apripista (nel 1928) alla tematica del serial killer, ma i capolavori veri stanno da un’altra parte, e nemmeno troppo lontano in ordine di tempo.
    La Christie è un caso a parte, ovviamente, in questa diatriba. E, più in piccolo secondo me, è il medesimo caso di Berkeley, o MacDonald. Narratori straordinari, ma che avevano il tocco del genio, cosa che possedevano pochissimi.
    Quello che voglio dire è che lo schema, la tecnica, l’idea singola, sono tutti elementi importantissimi, ma per tirar fuori dei capolavori ci vuole altro. Ci sono le qualità narrative, la potenza della prosa, la capacità di evocare atmosfere e sensazioni, di far rivivere momenti e periodi storici; l’abilità nel costruire trame, nell’essere sempre un passo avanti al lettore, perché la natura di tutto questo, in fondo, è sempre quella di sorprendere, farci saltare sulla sedia, farci emozionare.
    E siccome il genio non cresce sugli alberi, e soprattutto la continuità non si può acquistare da nessuna parte, JDC andrebbe sempre tenuto fuori dalla diatriba.
    Al di là del giallo storico, al di là del radiodramma poliziesco (che pure sono elementi importanti di innovazione), Carr ha intuito le potenzialità inespresse della narrativa poliziesca (Il mastino dei Baskerville, lo sconvolgente finale, l’elemento fantastico) e ha portato il genere ad un altro livello. E non parlo solo de La corte delle streghe, che rimane qualcosa di irripetibile, ma dell’intero corpus.
    Questa è solo la mia opinione, sia chiaro 😉

  15. piero

    Che Carr debba essere tenuto lontano dalla mischia sono del tutto d’accordo. Del resto l’ho detto a iosa che secondo me lui è il più grande. Al di là della tecnica, lui aveva qualcosa che altri non hanno avuto, aveva il Charis della narrativa. Una potenza incredibile nel saper narrare! Il discorso è caro mio è che parecchia gente questa cosa non la tiene in debito conto. Vedi per es. 1001 Locked Rooms, in cui ci sono stati dei suoi romanzi a cui sono stati preferiti altri, per esempio di Halter. Paul è nel novero dei romanzieri viventi un altro caso unico di potenza nel narrare, però lui è Halter e l’altro era Carr. Del resto in Chambres Closes Lacourbe non aveva inserito Carr e secondo me giustamente, perchè Carr è ad li là della mischia (poi però ultimamente l’ha fatto, ed io forse ho capito il perchè). Come si fa a criticare qualcuno che ha quasi inventato il genere della Camera Chiusa, sviscerandolo nell’intero suo corpus, per di più rimanendo coi piedi per terra (anche troppo, essendo modesto come solo lui lo era; ma lo è anche Paul!). Solo che in quanto a tecnica pura, pur avendo realizzato un unicum come The Bourning Court (ma La Quatriéme Porte è molto molto vicino!!!), non ha inventato nulla di nuovo al di fuori del Whodunnit classicissimo, ma poi ha dato l’anima, nella sua materia, a variare ed inventare situazioni sempre nuove.

  16. piero

    Giacchè ne hai fatto menzione, Stefano, ti dico solo che non è stato John Rhode a fare da apripista alla tematica del serial killer, cioè dei delitti seriali,ma Roy
    Horniman col romanzo Israel Rank: The Autobiography of a Criminal, nel 1907, in cui il protagonista elimina tutti i membri di una famiglia, ben prima di altri, per impadronirsi dell’eredità (la stessa tematica verrà rivisitata anni dopo da Margery Allingham e da Rufus King). Tuttavia nel 1919 è Maurice Leblanc, in uno dei romanzi del ciclo di Lupin,L’Iˆle aux trente cercueils, a legare ad una profezia una serie di delitti. E nel 1928 non c’è solo John Rhode con The Murders in Praed Street ma anche proprio Anthony Berkeley con The Silk Stocking Murders. Tuttavia a parere mio il più grande romanzo sulla tematica del serial killer, e l’unico vero apripista che basi la propria trama su un serial killer che uccide secondo un’ottica che sembra assolutamente strampalata, è uno dei capolavori di Philip MacDonald: Murder Gone Mad.

  17. Stefano

    Hai ragione su Rhode, Piero; era solo per dare un’idea più precisa del mio discorso manieristi/innovatori, non volevo assolutamente intendere fosse stato il primo, ma che la tematica era poco percorsa in quel momento (c’è anche Van Dine che la sfrutta nello stesso periodo).
    Sono d’accordo ovviamente su MacDonald; quando scrivo “i capolavori stanno da un altra parte e non troppo in là col tempo” mi riferisco a quel romanzo, che dà ancora svariati punti ai contemporanei.
    Su Carr ci sarebbe da discuterne a lungo. Nonostante in molti abbiano scritte pagine importanti sull’argomento “fantastico” (Joshi, che però tralascia tutto il resto; Lippi, Todorov), credo si possa e si debba fare molto di più. Barbolini fu un pioniere in questo senso, provando a discuterne già nella seconda metà degli anni Settanta.
    Posso solo dire che Lacourbe, qualche mese fa, riferendosi proprio alla fusione dei generi letterari fatta da Carr, mi scrisse: “ricordati, scrivi che lui lo ha fatto prima di tutti gli altri”. Io credo lo abbia fatto “meglio” di tutti gli altri. Ma il discorso è complesso. Certo, nello stretto campo del whodunit non ha sovvertito la regola, non ha magari spostato l’accento dal colpevole alla vittima, non ha reso l’assassino il primo e più grande sospettato, ma nel campo del mystery e, secondo me, nella narrativa in generale, ha fatto molto di più.

  18. piero

    Però se vedi, gli scritti del primo periodo, quello in cui hanno importanza su di lui gli influssi francesi, si distaccano da tutto il resto della sua produzione, hanno qualcosa di più. Hanno oltre ad una delirante visionarietà, un approccio fantastico che non avrà il resto della sua produzione, fatta eccezione The Bourning Court ed alcuni dei suoi romanzi storici, tipo The Velvet Devil, e Fire, Burn!
    Proprio in questa primissima sua produzione, di cui parlai nel mio primo articolo in questo Blog, possiamo trovare il trait d’union con la narrativa di Halter, almeno i suoi primissimi lavori e qualcos’altro.
    In questo Carr si distacca da tutti.
    Nonostante ciò, l’unico scrittore che mi sta appassionando negli ultimi tempi (escluso Halter, di cui condividevo con Igor l’interesse) è proprio Berkeley, capace di variegare i suoi interessi adattandoli a tutte le nuances del genere poliziesco, in modo estremamente efficace. Anche se Berkeley è profondamente britannico, mentre Carr -anche se vivrà per molto tempo in Inghilterra – come tutti gli americani, è aperto maggiormente alle influenze degli altri Paesi.

  19. Sergio (Tipping My Fedora)

    Mi sa che forse hai ragione su Berkeley / Iles, e che per lui era tutto un gioco da non prendere troppo sulserio! Grazie per la rivelazione Piero su McGerr, autore a me sconosciuto.

  20. piero

    Grazie per il tuo intervento, Sergio.

  21. ophiucus75

    Vado molto fuori OT e mi scuso anticipatamente. Leggo sempre con grande attenzione gli articoli e gli interventi del signor Piero, estremamente lucidi e dotti. Io ho ripreso dopo alcuni anni a leggere gialli con estremo piacere, mi sono abbonato ai Classici e sto recuperando nella mia biblioteca molti libri acquistati in blocco e ancora intonsi. Mi sto esaltando leggendo, in ordine cronologico perché sono un po’ maniacale, due serie in particolare: quella di Anthony Abbot e il dottor Westlake di Jonathan Stagge. Non so se è un’impressione mia ma le trovo entrambe eccellenti e mi permettevo di chiedere al signor Piero se avesse scritto a riguardo degli articoli in passato e, nel caso, dove potrei recuperarli. Tornando un filo nel tema di questo articolo, per ora di Berkeley ho letto soltanto il primo volume della serie di Sheringham, che ho trovato memorabile per la spigliatezza di tono e la brillantezza dei dialoghi: non sembra per niente un romanzo degli anni ’20-’30, e l’idea di un detective logorroico, pasticcione e bistrattato mi ha colpito in positivo. Ho già pronti sul trampolino di lancio il secondo e il terzo. Grazie per l’eventuale attenzione e buona serata, Danilo

  22. ophiucus75

    Ritorno a bomba solo per inserire un altro breve inciso: il romanzo di MacDonald La morte è impazzita è davvero straordinario, l’ho letto la prima volta ai tempi del liceo e la seconda cinque anni fa, ottenendone un’impressione ancora maggiore. Dopo anni di ricerca sono riuscito ad acquistare Ignoto contro ignoto, scritto sotto pseudonimo ma sempre di MacDonald: qualcuno l’ha letto e sa dirmi com’è? Credo sia una seconda incursione nella tematica dei serial-killer. Ho speso una discreta cifra essendo stato pubblicato solo una volta un’ottantina di anni fa in una Palmina. Qualcuno può suggerirmi altri titoli di gialli Golden age e non oltre gli anni ’50 con serial killer? Grazie nuovamente :-)

  23. Piero

    Andando a memoria direi…(ma sicuramente potrebbero anche essercene altri): The Scarlet Circle (Tre Cerchi Rossi), di Jonathan Stagge; il Berkeley cui ho accennato già, il Rhode di cui parlava Stefano, il Leblanc di cui ho parlato (se vuoi risparmiare, lo trovi nell’Omnibus dedicato a Leblanc, della Newton Compton, comprendente tutti i romanzi e tutti i racconti); Agatha Christie: A.B.C. Murders (La serie infernale) e ovviamente Ten Little Niggers (Dieci piccoli indiani); di Francis Beeding, DeathWalks in Eastrepps (1931), cioè La morte cammina per Eastrepps (Mondadori e Polillo). In The Bishop Murder Case di Van Dine si trova per la prima volta una serie di delitti collegati da una filastrocca (L’enigma dell’alfiere, Mondadori e Polillo). Di Ellery Queen abbiamo Double, Double (Il rovescio della medaglia) e Cat of Many Tails (Il gatto dalle molte code), entrambi pubblicati da Mondadori.
    Di Stanislas-André Steeman: Six hommes Morts, uno dei primi romanzi del genere, innovatore (il suo carattere peculiare verrà ripreso proprio da Ten Little Niggers di A. Christie), pubblicato anche da Mondadori (trad. Igor Longo); Un dans trois (1932), e soprattutto con Le Demon de Sainte-Croix (1932), pubblicato da Pagotto; ma anche L’assassin habite au 21 (Mondadori e Pagotto). Altri delitti seriali vengono immaginati da Pierre Very (Serie de sept ,1938), Marcel Lanteaume (La Treizieme balle), James Ronald (Six were to die), e Neil Gordon (Silent Murders), tutti inediti in Italia.
    Delitti con crimini seriali che avvengono nell’ambito familiare: The Greene Murder Case ( fece scuola) e di Van Dine (Mondadori e Polillo) e altri sulla stressa falsa riga: Police at the Funeral (La polizia in casa, Mondadori), di Margery Allingham e Murder in the Willett Family (Delitto in casa Willett, Mondadori) di Rufus King (riprendono il tema iniziato da Van Dine in Greene); in Ellery Queen c’è The Tragedy of Y ( La Tragedia di Y), e There Was An Old Woman (Una volta c’era una vecchia, Mondadori).

  24. Piero

    Sempre per i delitti seriali c’è uno splendido titolo proprio di Woolrich: La sposa era in nero (The Bride Wore Black), pubblicata e ripubblicata da Mondadori. A proposito di Woolrich, devo dirti di non aver mai pubblicato nulla, anche se ho scritto l’articolo riguardante proprio questo romanzo (prima o poi lo pubblicherò sul mio blog), mentre ho pubblicato alcuni articoli su romanzi di Abbot (tutti sul mio blog italiano: clicca sul mio nome, prima del mio commento, qui sul Blog Mondadori e si aprirà il mio blog: cerca là )

  25. ophiucus75

    Molte grazie per i suggerimenti, alcuni titoli li avevo letti da poco, lo Steeman del Patto dei sei ad esempio, Woolrich lo possiedo quasi tutto e ne ho letto buona parte, degli altri preparo una lista e confronterò quanto possiedo. A breve mi arriveranno altri 4 Abbot, mentre con Stagge devo cominciare Chiamate un carro funebre (di solito li leggo in ordine ma non ho resistito con la Canzone di morte, capolavoro assoluto). Vado a navigare sul sito suggerito, grazie e buona giornata, d.

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