Arriva l’antologia più Cosy che ci sia!
Arriva l’antologia più Cosy che ci sia!
di Lucia Tilde Ingrosso
Chi conosce il cosy crime? Si tratta di un giallo gentile, che all’indagine unisce una buona dose di sentimenti e una spruzzata di umorismo. Un’antesignana è Agatha Christie.
Oggi il genere, in passato bollato un po’ impropriamente come giallo rosa, vive una stagione di grande popolarità.
Per venire incontro alle richieste di lettori interessati a storie meno cruente e più godibili, arriva l’antologia “E cosy sia”.
A curare l’opera è Barbara Perna, mentre Alice Basso ne firma la prefazione. Entrambe sono due specialiste del genere e regalano all’antologia anche un loro racconto.
In tutto, l’antologia presenta 12 racconti per 14 autori (due sono scritti da altrettante coppie) uniti dal fil rouge del cibo.
Un’altra particolarità di questo volume è il fatto che gli autori si intervistano gli uni con gli altri, in una sorta di passaggio del testimone tra un racconto e il successivo. Questo permette di conoscere meglio le firme di questo corposo volume e scoprire che cosa c’è dietro le loro storie e i loro personaggi più riusciti.
Apre le danze, con “Ultima cena a Parigi”, l’autore italo-francese François Morlupi. Che dice la sua a proposito di chi ama condire le storie gialle con l’ingrediente dell’ironia.
«Penso che ci sia spazio per tutti, davvero. Non esiste una definizione precisa di noir, soprattutto dopo decenni di evoluzione. Oramai etichettare il genere come noir e catalogarlo in un contenitore, è secondo me, riduttivo. Noi scriviamo dei romanzi sociali, dove l’indagine è una scusa per poter raccontare altro. Nella vita di ognuno di noi convivono comicità e tragicità, dolore e ironia. Pertanto mi sembra naturale raccontare una storia a 360 gradi, tentando, nel nostro piccolo, di descrivere la realtà di ognuno di noi e del nostro quotidiano».
Maria Elisa Aloisi, avvocato penalista e vincitrice del Premio Tedeschi 2021, firma “Peri Peri”, liberamente ispirato a una storia vera.
«Mi documento con i quotidiani dell’epoca. Ma non mi basta: voglio saperne di più, tutti i dettagli possibili. Voglio catapultarmi in quegli anni, in quelle zone di Catania, nel quartiere di San Berillo in cui è ambientata la vicenda. Chiedo in giro in tribunale ad avvocati, a magistrati, a giornalisti di nera. Molesto tutti fino allo sfinimento: amici, mamma e soprattutto la mia vittima numero uno, mio marito Francesco. Finalmente una mia collega mi mette a disposizione dei libri con foto scattate all’epoca dei fatti. A questo punto scattano le torture nei confronti del colonnello Giorgio Stefano Manzi. A lui devo la risoluzione di più di un nodo narrativo e la ricostruzione di alcuni degli usi e costumi dell’Arma dei Carabinieri degli anni Sessanta».
La prima coppia è quella composta da Paola Ronco e Antonio Paolacci, insieme nella vita e, qualche volta, nella scrittura. Qui propongono “Vertigine”, ma com’è scrivere in due?
«Ci siamo incontrati prima di tutto attraverso i nostri romanzi, scoprendo da subito che le nostre scritture si somigliavano molto. Non tanto per stile, quanto per un senso estetico, un umorismo e una tensione etica comuni. Avevamo l’idea per un personaggio che ci piaceva un sacco, e che ci chiedeva di essere raccontato. Il pensiero di lavorarci a quattro mani è arrivato all’improvviso, come una soluzione quasi ovvia. Ideiamo insieme la trama e i personaggi e poi, quando si passa alla fase di scrittura vera e propria, uno di noi inizia un capitolo e lo passa all’altro; l’altro lo rivede, aggiusta e rispedisce la palla per una terza revisione provvisoria. E così via. Procediamo insomma come in una partita a ping pong, alla fine della quale noi per primi non saremmo più capaci di dire chi ha assestato quale colpo. Non è sempre facile, è vero. Ma lo scontro tra noi, che può essere a volte molto acceso e altre volte molto comico, è parte necessaria del lavoro, indispensabile per smussare angoli e trovare un punto d’arrivo più soddisfacente. Per collaborare, poi, ci siamo dati alcune regole precise, una delle quali – forse la più illuminante – è lasciare l’ego fuori dalla porta: quando si è in due è indispensabile, e la scrittura non può che guadagnarne».
A seguire c’è l’altra coppia, solo letteraria questa volta, formata da Cristina Aicardi e Ferdinando Pastori, con il racconto intitolato “All inclusive”. Ai lettori raccontano come è nato il loro sodalizio:
«Ci siamo conosciuti tredici anni fa a una serata organizzata da Andrea G. Pinketts, dove si presentava un romanzo di Massimo Carlotto. Poi è arrivata la collaborazione con MilanoNera, il web magazine ideato da Paolo Roversi, che vede impegnati entrambi. L’idea di provare a scrivere a quattro mani non è stata immediata, ma è nata durante il Festival Nebbia Gialla del 2021. Ferdinando ha buttato lì l’idea di scrivere un romanzo dove all’intreccio giallo facesse da contraltare una robusta dose di ironia. Così sono nati “Dolce da morire” e “Tutta colpa di Chopin” i primi due libri con protagonisti l’irruente e irriverente brianzola Olga e la vittima preferita delle sue intemperanze, l’investigatore privato Franco Reali».
Nora Venturini, scrittrice e sceneggiatrice, qui autrice di “Morte a Km 0”, racconta come ha inventato il suo personaggio Debora Camilli, tassista e detective:
«Quando ho deciso di scrivere il primo giallo, sapevo solo che volevo una protagonista donna e non professionista. Però, nello stesso tempo, volevo che fosse credibile. Poi, una notte, prendo un taxi e alla guida c’è una ragazza. Sveglia, simpatica, intraprendente. Anche un po’ naif, come può esserlo una ventenne. Ecco, mi sono detta. È lei! Perché il taxi ti porta a imbatterti in situazioni di ogni tipo, anche scabrose e, nello stesso tempo, può creare intimità e confidenza tra cliente e conducente. Certo, poi ho dato alla mia Debora un background che giustificasse la sua passione e il suo talento per l’investigazione».
“Il Gatto, l’Astice e il Cammello” è un titolo che incuriosisce, come incuriosisce l’eclettica Valeria Corciolani, che così spiega la convivenza tra trama gialla e ironia:
«Si dice che ‘il noir non è un genere. È un colore, uno stato d’animo, una sensazione’ e, per me, raccontare la vita in tutte le sue sfumature è forse la caratteristica più affascinante di tutte. La trama, l’indagine e il caso da risolvere sono solo gli strumenti che mi permettono di farlo, ‘obbligandomi’ a osservare e saccheggiare la vita che mi brulica intorno, per regalare uno sguardo diverso. La vita è di per sé un continuo alternarsi di dramma e commedia, quindi è naturale trovarli a convivere tra le pagine e a prescindere dal genere letterario. Poi, certo, l’essere cresciuta in una famiglia dove si è sempre praticata con costanza l’ironia ha avuto il suo peso. Tuttavia, mi piace credere – e raccontare – che davvero da ogni crepa sappia uscire la luce, sempre e comunque vada».
Anima gialla, ma non solo, quella della sottoscritta Lucia Tilde Ingrosso, che qui firma il racconto “Il caso è risotto. Il giallo del risotto giallo”. E spiego perché cambio spesso genere:
«Mi piace sperimentare. Ho scritto romanzi rosa e noir, libri per ragazzi e manuali umoristici. Poi, dopo il thriller Una sconosciuta, ho capito che la componente gialla mi intrigava sempre, ma non avevo più voglia di metterla al centro delle mie storie. Volevo farla diventare, invece, una componente del mix. Anche il mio romanzo più recente, la saga familiare “I Monteleone”, ruota intorno a un mistero. Ma poi c’è molto altro: amore, passione, riscatto, vendetta».
Serena Venditto partecipa all’antologia con il racconto “La dieta è un delitto” (il cibo, lo ricordiamo, è un elemento ricorrente). E illustra i peculiari protagonisti delle sue commedie gialle:
«Sono quattro coinquilini che abitano nel cuore del cuore del centro storico di Napoli. La mia detective, la mente delle indagini, si chiama Malù Ferrari, ed è un’archeologa molisana con la passione per i gialli (e per il caffè). Oltre che autobiografica – sono un’archeologa, appunto – la ragione per cui fa questo lavoro è molto semplice. Infatti, archeologia e investigazione seguono la stessa metodologia: si tratta di ricostruire un’azione dalle tracce materiali che questa azione ha lasciato. Oltre a Malù ci sono i suoi ‘irregolari': Ariel, la voce narrante, la Watson di turno, traduttrice italoamericana di romanzi molto brutti; Samuel, rappresentante di articoli per gelaterie di origini sardo-nigeriane; Kobe, talentuoso quanto sgrammaticato pianista giapponese. Metti quattro ragazzi in un appartamento – per di più nel cuore di Napoli – e qualcosa di divertente succederà. Come Friends, però col morto. E poi c’è il gatto…»
Patrizia Rinaldi, autrice del racconto “Il Pescatore, il Professore e la Cana Jatta”, racconta il suo personaggio più noto, Blanca, visto anche in tv:
«La perfezione latita, eppure resta sopravvalutata: Blanca è una donna che denuncia parti mancanti anche oltre il difetto della vista, che combatte quotidianamente per superare il limite. L’idea di Blanca nasce nel 2007, durante un percorso archeologico guidato da non vedenti e fatto con mia figlia. Ci bendarono e ci insegnarono a sperimentare la conoscenza attraverso tutti i sensi, tranne quello della vista. Io, che mi perdo anche in ambienti conosciuti, dopo poco mi muovevo con padronanza degli spazi, ero capace di riconoscere odori e materiali diversi solo grazie al tatto. Il nome di Blanca invece viene da “Il tempo di Blanca”, di Marcela Serrano. Nell’incipit alla protagonista si consiglia di non perdere l’uso degli occhi: solo loro consentono di leggere, solo loro possono sconfiggere la solitudine (cito a memoria). Per me, lei rappresenta quello che perdiamo, la necessità di andare avanti con pezzi mancanti».
Paolo Regina, autore del racconto “Il Mostro del Pantano”, spiega perché ambienta le sue storie a Ferrara:
«Nei miei romanzi l’attività investigativa e la risoluzione del caso sono un pretesto per raccontare anche altro. La provincia italiana, appunto, con i suoi meccanismi di potere all’interno di clan ‘chiusi’, la grettezza e l’avidità di certe figure all’apice della scala sociale, le invidie, la maldicenza, ma anche i fenomeni di trasformazione dei centri urbani e, di conseguenza, delle sub-culture locali. Ferrara è, appunto, l’emblema della piccola città di provincia, con le sue contraddizioni e trasformazioni. È il paradigma dell’Italia, in un certo senso. Ed è il luogo che conosco meglio dopo la mia Puglia. Il successo dei gialli ambientati nella provincia italiana dimostra anche che i lettori apprezzano le storie in cui possono riconoscere sé stessi e l’ambiente in cui vivono. È un modo per consolidare la nostra identità e un’occasione per ribadire una narrazione ‘trasversale’ che passa dalla storia, all’arte, dall’enogastronomia a tante altre nostre eccellenze».
Alice Basso ci fa sorridere con “Cuore di mamma” e spiega perché mette al centro di una delle sue due serie proprio il settore dell’editoria.
«Dai, ammettiamolo: è un mondo super divertente da raccontare! È pieno di personaggi bislacchi, di gag assurde, di interazioni con più pazzoidi della media rispetto ad altri ambienti lavorativi. Io ho fatto la editor e la redattrice per tanti anni e ne ho impiegati undici prima di decidermi a scrivere il primo libro in cui poter prendere un po’ in giro tutto quello che avevo visto fino a quel momento, ma giuro che era da un pezzo che mi prudevano le mani. E comunque è un’ironia molto affettuosa, perché di questo mondo vedo tutte le bizzarrie ma è anche il mondo nel quale campo, il piatto in cui mangio, il… bah, aggiungete pure qualche altra metafora trita e ritrita che una brava editor depennerebbe senza pietà!»
Finale con il botto in compagnia di Barbara Perna autrice di “Cozze amare”, che ci tiene a raccontare il rapporto privilegiato che ha con i suoi lettori:
«Non sono quella che si definisce ‘una scrittrice di professione’. Sono un giudice, innanzitutto. Scrivo davvero soltanto per passione. Per me i lettori sono tutto. Il riscontro da parte loro, le reazioni quando leggono le mie storie, l’effetto benefico che un mio romanzo può aver fatto a qualcuno in un momento difficile della sua vita: tutto questo per me è cibo per l’anima. Sembra retorico, ma è davvero sentito. Con i miei lettori ho un rapporto quotidiano. Con il poco tempo che mi avanza, mi dedico ai miei profili social dove curo interviste in diretta con scrittori e scrittrici che amo, propongo libri, pubblico video o brevi pezzi umoristici. Nell’ultimo romanzo ho avuto dieci meravigliose lettrici che hanno letto il romanzo man mano che si formava nella mia testa, pezzo per pezzo. È stata un’esperienza entusiasmante. Da ripetere».
Nell’antologia “E cosy sia” trovate non solo 12 racconti frizzanti, ma anche molte altre curiosità sui loro autori.
Buona lettura!
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Posted in Il Giallo Big
luglio 13th, 2024 at 11:11
Complimenti, bella intervista e sicuramente sarà una bella antologia. Vado a cercarla in edicola!
luglio 20th, 2024 at 09:37
Ottima antologia! https://www.sherlockmagazine.it/9654/e-cosy-sia
novembre 16th, 2024 at 18:44
Un’antologia interessante, anche perché mi offre un interessante aggiornamento sulla scrittura dei polizieschi in Italia, difficile da seguire dato il grande numero e l”improvvisa” apparizione di tanti scrittori. Purtroppo la media, a giudicare da questa scelta non è molto alta. In molti casi la scrittura è fin troppo lineare, poco credibile, piena di inopportune citazioni che sembrano mostrare la cultura degli autori, più che fare riferimento alle storie. Se dovessi proseguire con la lettura di autori italiani, gli unici anzi le uniche che prenderei in considerazione sono Maria Luisa Aloisi, con una storia non troppo cosy, con un tocco drammatico che la rende credibile; Patrizia Rinaldi, con un racconto breve, originale e ben scritto; e la curatrice Barbara Perna, a cui si può perdonare qualche dettaglio procedurale non necessario, ma comunque preciso, e soprattutto con una buona suspense, come è dovuto ad ogni buon racconto giallo.