Intervista a Paolo Bernetti
A cura di Flavia Imperi
Intervistiamo Paolo Bernetti, vincitore del Premio Tedeschi 2024 con “La notte del fuoco”, un giallo ambientato a Valencia, città di elezione dell’autore, che sarà pubblicato nella nostra collana Il Giallo Oro a luglio 2024.
Ciao Paolo, ti va di raccontare come è nata la tua passione per i romanzi gialli? E quali sono stati gli autori che ti hanno maggiormente ispirato?
Ciao Flavia, in primis ci tengo a ringraziarti per l’intervista e a ringraziare il direttore Franco Forte e la Mondadori per avermi accompagnato in questo percorso e per offrirmi la possibilità di rispondere alle tue domande.
Tornando alla domanda:
I miei genitori mi hanno sempre trasmesso l’enorme valore della lettura, fin da bambino. Ad undici anni ho passato tredici mesi a leggere “Il Signore degli Anelli” e da quel momento in poi ho sognato di diventare scrittore. Mi sono appassionato ai gialli poiché li ritengo l’espressione pura del rompicapo e così li concepisco. Non amo le storie lineari che non presentano un enigma da risolvere. La vita stessa, in costante contrasto e simbiosi con il concetto di morte, non è lineare ed è un mistero da svelare. E i gialli, forse in maniera catartica, ci permettono di avvicinarci a tale mistero, di intravederlo e, per chi ne è capace, di risolverlo.
Tra gli autori che mi hanno maggiormente ispirato direi: Stieg Larsson, Joel Dicker, Michel Bussi, Lars Kepler. Ma anche Harlan Coben, Don Winslow e John Grisham. Recentemente anche Gillian Flynn, un’assoluta maestra per quanto mi riguarda.
Sei all’estero da molti anni, e prima di stabilirti a Valencia hai vissuto a Madrid, Parigi e Londra. Queste esperienze come hanno influenzato il tuo stile di scrittura e la creazione dei tuoi personaggi?
La possibilità di aver vissuto a Valencia, Madrid, Parigi, Londra e Roma mi ha aperto la mente a mondi nuovi e mi ha permesso di scoprire aspetti che da turista non avrei mai potuto vivere. Dicono che per parlare bene una lingua bisogna saper pensare e sognare in quell’idioma. Non sono d’accordo: per poter parlare bene una lingua si devono anche conoscere gli aspetti culturali del paese, le sfaccettature relative allo humor e alla satira, la politica, etc.
In particolare, la mia immersione nella cultura spagnola e valenziana è totale. A sedici anni ho conosciuto una ragazza di Valencia che dopo dodici anni è diventata mia moglie e con la quale ho avuto un piccolo italo-spagnolo. Fin da ragazzo ho lottato non solo per mantenere la nostra relazione a distanza nei primi tempi, nonostante le avversità, ma anche per comprendere la sua cultura, le sue abitudini, le sue storie. Mi sono reso conto che non mi sarebbe bastato imparare la lingua per capire tutto di lei, ma che avrei dovuto liberarmi dei clichés dello “straniero” e immergermi a capofitto nella cultura valenziana e spagnola.
Inoltre, la mia vita in Spagna, la mia famiglia, il mio ruolo alla Google mi portano spesso a parlare Inglese, Spagnolo e Italiano nello stesso giorno. Questo provoca una gran confusione nella mia testa, ma mi permette di adottare uno stile differente. Mi piace quello che ho letto di Murakami e la sua esperienza di aver scritto i primi capitoli di “Ascolta la canzone del vento” in Inglese e di averli poi tradotti al Giapponese, adottando così uno stile nuovo e naturale. Forse è un po’ quello che succede nel mio cervello, perché mi trovo spesso a immaginare parti delle mie storie in spagnolo e a scriverle poi in italiano.
Cosa sono le Fallas, e cosa rappresentano per te? Come mai la scelta del folklore spagnolo per l’innesco delle vicende raccontate nel tuo romanzo?
Fallas è una delle tradizioni più straordinarie che esistono, e non lo dico perché mia moglie è valenziana. Immaginatevi una città in festa per quasi un mese, con bande cittadine che suonano nelle strade, centinaia di chioschi che vendono churros con chocolate, fuochi artificiali meravigliosi che illuminano il cielo ogni notte e petardi dalla potenza strepitosa che trasformano la piazza del municipio in uno spettacolo pirotecnico ogni giorno. Questo è quello che succede a Valencia dal 1º al 19 Marzo, ogni anno. L’apice della festa è il giorno della Cremà, momento in cui statue enormi, dai mille colori, vengono bruciate nelle strade e nelle piazze della città.
Chiunque abbia partecipato alle Fallas non le dimenticherà, e a me sono entrate nel cuore. Le ho vissute in tutte le salse e ogni volta mi meravigliano. Lo spettacolo della Cremà ha un qualcosa di catartico e di misterioso. Per questo ho deciso che il mio romanzo sarebbe dovuto ruotare intorno alle Fallas e al fuoco, elemento essenziale per la vita e cruciale per la mia storia.
Raccontaci di Fabio Davila González. Chi è il protagonista della tua storia, e da dove nasce la sua sete di giustizia?
A questo punto dell’intervista i lettori avranno capito perché Fabio è italo-spagnolo
Non nasce come investigatore e non vuole esserlo, Fabio è uno studente di giornalismo che ha deciso di trasferirsi a Valencia per ritrovare le sue origini spagnole e riuscire a scoprire qualcosa di se stesso che non ha ancora compreso. È a Valencia perché è alla ricerca di risposte a domande forse troppo dolorose. È un personaggio naturale, umano, senza superpoteri né difetti fabbricati per renderlo interessante.
È l’incontro con il nonno che non ha mai conosciuto a far partire tutto. È l’innata curiosità di Fabio (forse ingenuità) a convincerlo di aiutare il vecchio avvocato a scoprire cosa è successo durante la notte del fuoco. È l’amore e il rispetto per l’anziano parente a obbligarlo ad andare fino in fondo e a cercare giustizia.
Il tuo romanzo narra la riapertura di un cold case. Com’è stato, come scrittore, destreggiarsi tra i vari piani temporali della narrazione?
È stata una scelta consapevole fin dall’inizio. Amo le storie che scavano nel passato dei protagonisti. È nel passato che si nascondono le risposte al presente e al futuro. Nella prima stesura l’ordine dei capitoli era leggermente diverso, ho dovuto faticare per sistemare tutto e far sì che la storia e i momenti di suspense funzionassero senza svelare troppo al lettore. A volte mi svegliavo la notte con un’illuminazione, correvo al computer e aggiungevo una data, un evento, un nuovo tocco di colore, una nuova sfaccettatura di un personaggio che era venuto a trovarmi in un sogno e mi aveva raccontato qualcosa di nuovo di sé.
Il Premio Tedeschi è un riconoscimento prestigioso e molto ambito. Secondo te quali sono stati gli ingredienti vincenti della tua storia? E quale consiglio daresti ai partecipanti delle prossime edizioni?
Per rifarmi di nuovo a Murakami, nella stesura di questo primo romanzo ho compreso che non avevo bisogno di parole complicate o frasi eleganti per trasmettere qualcosa al lettore. Lo stile, mi sono detto, deve essere secondario alla storia. Il lettore deve dimenticare lo scrittore e immergersi nelle vicende dei personaggi, con la voglia di arrivare all’ultima pagina per scoprire cosa è successo.
Forse gli ingredienti vincenti sono stati i personaggi (ognuno ha un certo protagonismo nella storia e non è un accessorio inutile) uniti da relazioni non lineari e immersi in una storia composta da eventi che si susseguono grazie a una reazione a catena iniziata nel passato remoto.
Come consiglio per chi è alla ricerca di una storia originale, direi: cominciate da domande assurde e inspiegabili. È così che mi piace iniziare il processo creativo. Se non sono capace di dare una spiegazione a un evento che ho immaginato, significa che sono sulla strada giusta e che mi sarà difficile scoprire il colpevole.
Dopo “La notte del fuoco”, che tipo di storie vorresti raccontare? Continuerai su questo filone o esplorerai nuovi ambiti?
Ho finito da poco la stesura del seguito de “La notte del fuoco” e sono alle prese con i primi capitoli del terzo volume di quella che chiamo “La trilogia di Valencia”. Nel mio primo romanzo esiste una sottotrama che prosegue nel secondo e nel terzo libro e che unisce tutte le vicende con un senso logico. Fabio crescerà con il lettore e dovrà affrontare una verità sempre più complessa e terribile della quale ha solo intravisto un barlume ne “La notte del fuoco”.
BIO
Paolo Bernetti è nato a Roma il 14 Gennaio 1989. A vent’anni si è trasferito a Valencia come studente Erasmus, in trasferimento dall’Università di Tor Vergata e, da quel momento in poi, non è più tornato a casa. Dopo una prima parentesi a Madrid e Parigi, in cui ha ottenuto un Master in Management dalla rinomata École Superieure de Commerce de Paris (ESCP), ha iniziato a lavorare alla Apple. In seguito si è trasferito a Londra per cominciare una carriera decennale alla Google. Dal 2015 è tornato in Spagna e, da anni ormai, vive a Valencia, città natale della moglie Blanca e del figlio Marco. Lavora alla Google e nel tempo libero corre, legge e scrive. Amante della Spagna e da sempre appassionato di gialli e thriller, con la sua scrittura ha l’obiettivo di creare un ponte tra Roma e Valencia, tra l’Italia e la Spagna. Questo è il suo più grande sogno. Il suo romanzo d’esordio verrà pubblicato dalla Mondadori a Luglio 2024, come vincitore del Premio Alberto Tedeschi, nella collana Il Giallo Oro, n. 40.
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