Intervista a Enrico Luceri
Cari lettori de “Il Giallo Mondadori”, abbiamo scambiato due chiacchiere con l’autore di uno dei nostri gialli del mese di Marzo: Enrico Luceri.
Buona lettura!
1 – Come nasce “Le colpe dei figli”? Qual è stata la genesi di questo tuo lavoro?
La prima scintilla della storia è scattata assistendo per l’ennesima volta alle sequenze finali del film “Testimone d’accusa”, diretto da Billy Wilder e tratto dall’omonima commedia teatrale di Agatha Christie: l’ineffabile avvocato sir Wilfrid Robards (interpretato dal grande, in tutti i sensi, Charles Laughton), commenterà così un omicidio commesso nell’aula della corte d’assise: “Non lo ha ucciso, lo ha giustiziato”. Ecco, a me interessava scrivere una storia per comprendere come una vendetta possa essere vista anche come l’esecuzione dei colpevoli di una colpa e un inganno che altrimenti non sarebbero mai espiati.
Ma non è stata solo questa l’ispirazione. C’era anche un’altra esigenza, che sentivo con forza.
A volte, nei romanzi di genere, gli assassini uccidono per un motivo, o forse sarebbe più corretto chiamarlo movente, che può apparire contraddittorio: per amore. Difficile comprenderlo a prima vista, ma anche i loro crimini, così laboriosi e complicati nella preparazione e la messa in scena, non sono altro che una lunga, disperata, straziante richiesta d’amore. Amore sottratto, amore rubato. Un furto, dunque un crimine, che deve essere punito.
Proprio perché è difficile comprenderlo, io scrivo queste storie. Per capire, o perlomeno provare a farlo, affinché si giudichi solo dopo aver compreso quell’impasto di rancori, rimorsi, rimpianti che chiamiamo sentimenti e sono in fondo la più umana e concreta testimonianza di essere vivi.
2 – Che tipo è Antonio Buonocuore? A chi ti sei ispirato nel tratteggiare la sua figura?
Ho creato il personaggio grazie alla fondamentale collaborazione del mio amico Nello Mascia, il quale gli ha prestato certe abitudini personali, come la passione del fumo, o girare in bicicletta per Napoli, o schizzare a matita i ritratti dei suoi interlocutori. Di mio ci ho messo l’indole di un poliziotto della vecchia scuola che crede ancora nel metodo d’indagine tradizionale, nella ricerca del dettaglio e nei sopralluoghi solitari sulle scene del crimine come un potente incentivo alle sue intuizioni. E insieme abbiamo tratteggiato il profilo di un poliziotto molto umano, concreto, privo di illusioni ma non per questo meno idealista.
Aggiungo che l’ho chiamato Tonio, perchè era il diminutivo che usavamo in famiglia per mio padre. Purtroppo parecchi anni fa gravi incomprensioni familiari ci hanno separato per sempre. Dare il suo nome a un personaggio che ho curato molto era un modo per dirgli, ora che è troppo tardi per farlo a voce, che mi manca.
3 – Come costruisci le tue storie? Hai un metodo specifico o ti lasci trascinare dalla narrazione passo dopo passo?
Sono metodico, e seguo sempre uno schema collaudato. Scrivo ogni idea o spunto su quaderni, agende, fogli sparsi. Poi comincio a svilupparla, nei personaggi, nelle vicende, nelle atmosfere. Nella fase seguente trascrivo tutto al computer, ordino la trama secondo la sua evoluzione e la integro dei raccordi tra una situazione e l’altra. Dopodiché realizzo un vero e proprio trattamento (qualcosa di simili alla storyboard cinematografica), dividendolo per capitoli con la descrizione delle scene e abbozzi o sintesi di dialoghi. Infine, scrivo il testo del romanzo.
Un discorso a parte merita l’ambientazione della vicenda: le città o i paesi dei miei romanzi non sono riferimenti geografici precisi ma l’identificazione di un’atmosfera che avvolge luoghi, circostanze e personaggi. L’obiettivo è creare un ambiente funzionale alla trama e coerente con i caratteri e le storie dei singoli personaggi. In un certo senso, come quelle città metafisiche assemblate da Dario Argento come palcoscenico dei suoi incubi cinematografici. E comunque anche quando ci troviamo in un luogo preciso, ci si muove in una realtà parallela, romanzesca appunto, distinta e distante da quella vera. Verosimile, cioè. Questo vale anche per Napoli nel romanzo “Le colpe dei figli”. Una città esplorata in quella stagione ambigua che non è più inverno e non ancora primavera, umida, ventosa e livida. Una città distante da quella in bilico fra dramma e comicità che conosciamo, piuttosto una quinta teatrale, un fondale in cui si svolge la vicenda. Ma resta defilata, più che altro si intuisce dai caratteri dei personaggi, dalle situazioni e dall’atmosfera.
4- Tu sei un profondo conoscitore e un attento studioso del romanzo del mistero e non solo..Trovi sia complicato riuscire a non farsi influenzare dalle proprie letture andando a creare qualcosa di nuovo?
Credo sia molto difficile evitare che letture o visioni di storie di genere diventino un’ispirazione per trame che restano comunque del tutto personali. Per esempio, “Le colpe dei figli” è costruito secondo quella struttura consolidata del giallo in cui l’indagine prima ancora che sull’identità dell’assassino si concentra sulle vittime, prive di un apparente legame fra loro. Come accade, per esempio nei romanzi di Cornell Woolrich “La sposa in nero” (e nel film omonimo di Truffaut) e “Appuntamenti in nero”, in “Dunque morranno” di Renato Olivieri e “Il sei di cuori” della scrittrice americana Carlene Thompson. E nei film thrilling degli anni ’70 “Il gatto dagli occhi di giada” di Antonio Bido, “Nude per l’assassino di Andrea Bianchi, “7 orchidee macchiate di rosso” di Umberto Lenzi e “Cosa avete fatto a Solange?!” di Massimo Dallamano, oltre che nell’argentiano “Trauma”. E soprattutto nel racconto “3 topolini ciechi” di Agatha Christie.
Si tratta di indagini dove sbrogliare la matassa significa afferrare un filo esile, sottilissimo, avvolto nella fitta nebbia del tempo trascorso.
5- Se dovessi scegliere un regista al quale affidare la realizzazione di un tuo romanzo, su quale nome ricadrebbe la scelta e quale dei tuoi lavori saresti curioso fosse trasposto sul grande schermo?
La trama del romanzo “Le colpe dei figli” ha generato una sceneggiatura scritta in collaborazione con il mio caro amico Nello Mascia, attore e regista, di cui ho già scritto come principale ispirazione per la figura di Tonio Buonocore. Ambedue sogniamo che sia lui a dirigere il film e interpretare il ruolo del commissario.
Anni fa scrissi un romanzo dal titolo “Le strade di sera”, che piacque molto al regista Luigi Cozzi (con cui collaboro per i saggi della casa editrice Profondo Rosso e al quale sono grato per una sincera amicizia di lunga data). Se diventasse un film, vorrei che fosse lui a dirigerlo.
Per gli altri due romanzi pubblicati nella collana Il Giallo Mondadori, e cioè “Il mio volto è uno specchio” e “Buio come una cantina chiusa”, non avrei dubbi: il maestro unico e indiscusso del giallo thrilling all’italiana Dario Argento.
Vorrei aggiungere che l’anno scorso la redazione del Giallo Mondadori mi ha comunicato che il romanzo “Buio come una cantina chiusa”, pubblicato nel maggio 2013, è risultato il terzo più venduto della collana nell’anno solare. L’affezione dei lettori è il premio più grande per il mio impegno e sento che l’amore per i gialli è qualcosa che ci unisce e spinge a rinnovare il nostro appuntamento in edicola.
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