Il Giallo Mondadori Sherlock 1: Sherlock Holmes e il diario segreto di Watson
13 giugno 1918. Non è ancora l’alba quando qualcuno bussa con forza alla porta di casa Watson. Sulla soglia c’è nientemeno che un agitatissimo Sherlock Holmes, con una richiesta sorprendente: sarebbe disposto il dottore ad accompagnarlo in un viaggio top secret di cui non potrà rivelare nemmeno alla moglie la natura, un’impresa pericolosissima da compiere anche a prezzo della vita? La risposta è elementare: certamente sì! Ed ecco allora i due inseparabili amici spingersi per conto di Sua Maestà Giorgio V fino a Ekaterinburg, nella Russia sconvolta dalla guerra civile e a un passo dal diventare Unione Sovietica. La missione: mettere in salvo la famiglia imperiale dei Romanov prima che lo zar Nicola II, cugino del sovrano inglese, venga giustiziato insieme alla zarina Alessandra e ai cinque figli dai rivoluzionari bolscevichi… Questo e molto altro nel dirompente diario segreto contenuto in un plico sigillato a cera con il marchio JHW e affidato a uno studio legale per essere aperto dai discendenti di John H. Watson solo 75 anni dopo i fatti narrati. La più sensazionale avventura del grande investigatore, destinata
forse a riscrivere la Storia.
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Posted in Le collane del Giallo, Sherlock
settembre 5th, 2014 at 17:45
Scusate,
Ma in che giorno del mese esce? Ogni mese è uguale, come giorno di uscita?
Grazie
settembre 5th, 2014 at 18:56
quando esce di preciso ? ancora in edicola non c’è
settembre 6th, 2014 at 18:12
Preso stamattina (qua a Firenze si trova senza problemi) un volume uguale in tutto e per tutto come formato e prezzo ai normali gialli. Carino anche l’articolo di approfondimento dopo il romanzo, mi piacciono queste rubriche a tema che rimandano al glorioso passato della collana, si spera di ritrovarne in ogni numero.
L’operazione sembra simpatica e proverò a seguirla, nonostante di apocrifi ne abbia letti pochi; ma come si dice, se si riesce a dimenticarsi di Conan DOyle magari ci si diverte.
Uno sguardo alle uscite del prossimo mese;
Il secondo libro di questa collana sarà “SH e e il mistero del golf club” di J.M. Gregson, che non sembra un inedito.
Il Giallo Mondadori ci ripropone Rhys Bowen dopo soli 3 mesi (si torna stavolta a Lady Georgiana Rannoch) e un romanzo di un’autrice Italiana, Manuela Costantini,dal titolo “Le immagini rubate”.
Nei classici ci viene regalato un altro volume di racconti (inediti) di Margery Allingham con protagonista Campion, stavolta col titolo (un poco bruttino) di “Provaci ancora Campion”. L’altro titolo sarà “Veleno al castello” di Kenneth Hopkins, che davvero non conosco.
settembre 8th, 2014 at 15:50
“SH e e il mistero del golf club” di J.M. Gregson è uscito anni fa presso Delosbooks (Odissea Mistery)
settembre 8th, 2014 at 18:33
Nella copertina, ho notato che il logo della Conan Doyle Estate Ltd appariva zoommato, come se il logo a disposizione fosse piccolo, non so se per scelta vostra. Nel caso vi servisse per i prossimi numeri eccone due più grandi per evitare l’effetto ingradito:
L’originale
http://i.imgur.com/hvdqnjD.png
e quello a colori invertiti che avete usato voi
http://i.imgur.com/YVGbJ7F.png
settembre 10th, 2014 at 10:43
Una stupenda operazione e una collana che senza ombra di dubbio seguirò dal primo all’ultimo numero. Unica pecca è non aver trovato all’interno la biografia di Phil Growick. Spero che dai prossimi numeri vengano aggiunte le biografie degli autori, indispensabili a mio modo di vedere. L’articolo di approfondimento non basta.
settembre 21st, 2014 at 13:04
Ho finito di leggerlo; sinceramente non mi ha molto convinto. La storia in se non mi è dispiaciuta, è una buona spy-story avventurosa e movimentata, ma con Holmes e il suo mondo non c’entra davvero niente; un apocrifo che si rispetti può permettersi anche di essere scadente a livello di trama, ma mai di tradire lo stile e le atmosfere di DOyle, cosa che questo libro putroppo fa. Per cui posso anche promuoverlo (pur senza entusiasmo) come romanzo in se, ma lo boccio senza appello come apocrifo.
settembre 22nd, 2014 at 02:48
Posso suggerire un titolo?
Ten Years Beyond Baker Street: Sherlock Holmes Matches Wits with the Diabolical Dr. Fu Manchu (1984) Di di Cay van Ash, assistente e biografo di Sax Rohmer.
IMHO dopo la scomparsa di Moriarty
Fu Manchu è l’unico avversario adeguato.
settembre 26th, 2014 at 13:17
…ottima operazione. Titoli da verificare. Libro di questo mese senza infamia e senza lode. Quello del prossimo (già letto) decisamente bruttino.
ottobre 3rd, 2014 at 19:54
Innanzi tutto un saluto a tutti gli amici del blog, sul quale esordisco oggi con questo mio contributo.
Premetto che queste poche note hanno come unico obiettivo quello di partecipare alla discussione che ruota attorno all’universo holmesiano, e anche che l’idea di una collana dedicata agli apocrifi trova nel sottoscritto uno dei più convinti sostenitori. Premessa doverosa perché queste mie osservazioni a “Sherlock Holmes e il diario segreto del dottor Watson” di Phil Growick contengono significativi elementi di critica, e mi permetto di inoltrarle – ripeto – con l’unico scopo di contribuire ad un confronto stimolante e finalizzato a creare sempre maggiore attenzione attorno all’opera di Doyle ed ai suoi personaggi. Non è mia abitudine criticare un lavoro solo per il gusto di farlo, e l’occasione non sfugge alla regola; vorrei che tutti coloro che leggono queste poche righe (e per primi l’Autore e tutti coloro che hanno lavorato al testo), cogliessero nient’altro che questa intenzione nelle mie parole. Quanto espresso è solo un giudizio soggettivo e per questo più che opinabile, e soprattutto espresso in assoluta buona fede e senza secondi fini. La mia disposizione a esprimere critiche è la stessa che ho nel riceverle (e credo a breve l’occasione non mancherà).
Questo libro, che ha l’onore di inaugurare la serie, ripropone alcune questioni collegate agli apocrifi, e lo fa in un modo che definirei paradigmatico, anche grazie al complesso impianto narrativo e alla lunghezza del testo; offre esempi, cioè, di alcuni di quei vizi di stile che talvolta, si ritrovano anche in altri Autori che si misurano con le avventure di Holmes. Senz’altro è apprezzabile la solidità dell’impianto storico che contestualizza la storia; inevitabile l’ennesimo ritrovamento di un inedito di Watson, classico trait-d’union tra Canone e apocrifi. Ma vengo subito al punto.
Prima considerazione: la struttura narrativa “classica” di Watson (cioè di Doyle) è quella del racconto retrospettivo delle avventure vissute: talvolta premunendosi di specificare che il lasso di tempo intercorso tra gli avvenimenti e la loro pubblicazione sullo Strand è stato reso necessario dall’esigenza di non compromettere i personaggi coinvolti – in alcune occasioni premunendosi di riportare che tale cautela è seguita ad una esplicita richiesta di Holmes. Questa modalità comporta che i dialoghi siano ridotti al minimo necessario, ovvero strettamente attinenti alle necessità della trama per illustrare un antefatto o restituire al lettore una panoramica dei protagonisti. Non si tratta di un artificio letterario, ma di qualcosa di non meno che spontaneo: se un amico ci raccontasse (poniamo) del matrimonio di un conoscente comune, nel condividere i particolari dell’avvenimento con un’altra persona, ci limiteremmo a citare la fonte delle nostre informazioni, ma difficilmente riporteremmo in forma di dialogo i dettagli appresi della cerimonia; spero di aver chiarito il concetto. E riporto l’attenzione su come il testo di Growick in alcuni punti non tenga conto di questa “regola” (a partire dal dialogo tra Watson e la moglie presente nel primo capitolo). Naturalmente, sempre abbia un senso la mia osservazione, e, conseguentemente, attenersi ad essa.
Un’altra questione riguarda la particolare forma del manoscritto di Watson, ovvero il suo rivolgersi non ad un vasto pubblico, ma al “caro discendente” che, dopo oltre 70 anni sarebbe dovuto entrarne in possesso. Le prolessi presenti nel testo e alcuni sporadici riferimenti (come quello a pagina 26, in cui si rivolge direttamente al “nipote mio”), inducono a pensare che si tratti non di un diario composto giornalmente al momento dei fatti, ma di una successiva riscrittura (o al limite di un adattamento retrospettivo) che tuttavia mantiene nel suo complesso più un tono narrativo classico che confidenziale. Ho percepito come non risolta la sovrapposizione tra i diversi (troppi?) registri del racconto: a tratti vera a propria cronaca storica, a tratti affidato ad un fitto dialogo tra i personaggi (e non al racconto di quanto emerge dalle conversazioni, supra), a tratti diario intimistico dei sentimenti privati di Watson. Contraddittoria anche la compresenza di una suddivisione in capitoli che terminano con una dichiarazione – o una scena – ad effetto (tipico delle narrazioni rivolte ad un pubblico vasto e anonimo, in opposizione al supposto carattere “privato” delle sue memorie destinata ad un possibile nipote), e allo stesso tempo la datazione di diario che dettaglia gli avvenimenti (peraltro copre i primi sei mesi in circa 200 pagine, e i successivi cinque in sole 45, con una percepibile rarefazione dello stile).
Tutto questo – a mio parere – non agevola la lettura, ma la complica (anche perché già la trama di per sé è piuttosto complicata). Spero ancora una volta di aver chiarito il mio punto di vista, anche se mi accorgo di aver utilizzato molte parole per farlo. Non vuole essere questa una analisi pragmatica, ma solo la riproduzione pragmatica di una frammentazione di stile percepita nel corso del racconto: da lì sono partito: dalla percezione per risalire alle (possibili) cause. Quando si indugia nella dissezione di un testo (o un film) è perché, sostanzialmente, non ci è piaciuto.
Qualche riferimento sporadico mi ha riproposto il dolente tema delle forzature che, attraverso riferimenti più o meno espliciti, cercano in molti apocrifi di ricreare una continuità diretta con i racconti del Canone (come l’immancabile scena del tabacco contenuto nella ciabatta persiana delle ambientazioni in Baker Street eccetera). Growick si misura in una serie di scene “di deduzione” (fortemente caratterizzanti il personaggio) in modo (mi scuso della durezza del mio commento) che definirei poco felice, come a pagina 173, in cui Holmes deduce, appunto, non solo che Peters era un ex carcerato, ma il delitto di cui si era macchiato e la modalità facendo appello al suo fisico possente e alla forma delle sue mani: un po’ poco per il principe dei detective. In un’altra occasione (pagina 168), Watson afferma che una sua deduzione (cioè di Holmes) è frutto dell’abilità di “tirare ad indovinare con classe” («No, no. Io non tiro mai ad indovinare. É una abitudine scandalosa – distruttiva delle facoltà logiche […]» Il segno dei Quattro).
Ma soprattutto, quella che considero la debolezza di fondo dell’apocrifo, è che la storia si reggerebbe benissimo senza Holmes – anzi forse addirittura funzionerebbe meglio senza di lui. Forse sarebbe stata più adatta a Rouletabille (che, se ben ricordo, era pratico di quei luoghi), privilegiando – come accade nel testo – l’azione alla deduzione. È vero che il naturale riferimento ad Holmes di quegli anni è L’ultimo saluto – una storia di spionaggio dove, in effetti, non si presenta negli abituali panni di detective, piuttosto di spia al servizio del Regno Unito: ma è anche vero che è presente un riferimento di continuità con la sua vita e il suo lavoro:
« […] signor Von Bork, posso dirle che questo non è il mio primo incontro con un componente della sua famiglia. In passato ho lavorato molto in Germania e probabilmente il mio nome le è familiare.»
«Vorrei proprio saperlo.»
«Sono stato io a provocare la separazione fra Irene Adler e il defunto re di Boemia quando suo cugino Heinrich era inviato imperiale. E sempre io che ho impedito al nichilista Klopman di assassinare il conte Von und Zu Grafenstein, fratello maggiore di sua madre. E ancora io…»
Von Bork si rizzò a sedere sbalordito.
«C’è solo un uomo…», esclamò.
«Esattamente», rispose Holmes.
Oltre a ciò, mi sembra di cogliere che la trasformazione in agente segreto abbia anche il compito (implicito?) di marcare il suo commiato dai lettori (è l’ultima avventura vissuta da Holmes sul piano cronologico: i racconti contenuti ne Il taccuino di Sherlock Holmes, pubblicato successivamente, si svolgono tra il 1896 e il 1907 secondo la mia datazione, comunque precedenti al 1914). Insomma, nonostante alcune delle avventure del Canone non siano vere e proprie detective story, il primato della deduzione rimane la cifra stilistica di Holmes – e quando non è questo, è la sua abilità diplomatica ad essere chiamata in causa. La spy story basata sull’azione e sulla violenza non appartiene al suo mondo; e peraltro, anno più anno meno, Holmes dovrebbe avere sui 65 anni, un’età più che rispettabile, specie cento anni fa, maggiormente adeguata al suo desiderio di ritirarsi nel Sussex, piuttosto che combattere all’arma bianca con i bolscevichi. E così Watson, che peraltro apprendiamo essere padre di un bimbo piccolo: da ciò dovremmo desumerne una certa differenza di età con la moglie, suppongo).
Penso di aver detto abbastanza, anche troppo. Credo che misurarsi con un apocrifo sia innanzi tutto un omaggio all’Autore ed al Personaggio, e che la prima qualità del racconto sia quella di ridurre al minimo l’attrito con le storie originali. Un po’ come l’arbitro nelle partite di calcio (passatemi la caduta di stile): più è stato bravo, meno ci si è accorti della sua presenza. E in questo libro ho trovato più Growick che Holmes – e questo, a mio parere, credo proprio non stia bene.
Massimiliano De Luca
PS ho appena acquistato il numero due della collana.
ottobre 4th, 2014 at 07:52
Ma per il terzo apocrifo di Nicholas Meyer c’è qualche speranza?
ottobre 10th, 2014 at 16:44
Letto! Mi è proprio piaciuta la storia… Davvero interessante vedere Holmes e Watson destreggiarsi in questo contesto da spy-story dove bene e male a volte si confondono.
ottobre 14th, 2014 at 19:47
L’iniziativa editoriale è molto interessante, ma questo primo libro pubblicato non mi ha convinto.
La trama è noiosetta, mancano delle belle deduzioni alla Schelock.
Spero che più avanti vengano pubblicati dei racconti di Dickson Carr, e magari qualche Sherlock ambientato a NY
ottobre 15th, 2014 at 22:41
condordo appieno con gli altri commenti: iniziativa molto interessante, storia molto debole, poco holmesiana, decisamente si poteva iniziare in maniera migliore.aspettiamo di leggere il secondo e incrociamo le dita…
marzo 31st, 2015 at 18:49
il volume n.4 “il ritorno di sherlock) è il seguito di questo primo volume.
nel blog non compare nemmeno: infatti è un libro illeggibile, pessimo, schifoso.
Mi sono abbonato ai primi 12 numeri di questa collana, ma se la qualità non migliora non rinnoverò l’abbonamento
luglio 29th, 2016 at 18:33
Ho letto adesso questo libro, con notevole ritardo rispetto alla sua uscita perché è da poco che sto recuperando, alla spicciolata, i numeri arretrati. Vedo in questo lavoro due livelli di lettura distinti e separati che cerco di riassumere brevemente (se ci riesco). Il primo livello è quello strettamente legato alla storia, intesa in termini di spionaggio e controspionaggio, avvincente ma poco adatta al canone di Conan Doyle. La storia, a mio parere, inquadrata in questi due parametri regge bene al di la della presenza di Holmes. In altre parole se ci fosse stato un altro personaggio a fare ciò che ha fatto Holmes la storia procedeva ugualmente allo stesso livello. Voglio dire che la presenza del celebre detective non è essenziale affinché la storia prenda consistenza. Il secondo livello che considero superiore al primo è tutto innestato sulla storia dei Romanov. Incuriosita ho cercato, in rete, di saperne di più sulla storia di Nicola, Alessandra e famiglia. Ebbene ci sono molti dubbi, incongruenze e altro che mettono in discussione l’ufficialità delle notizie che riguardano il destino di questi regnanti. L’autore ha fatto sua l’idea che vuole i Romanov salvi anche se ufficialmente annientati fisicamente. L’idea di due complotti di cui uno vuole la salvezza dello zar e famiglia e l’altro l’eliminazione degli stessi è la corda che tiene viva la lettura. A mio parere la bellezza di questo romanzo sta proprio qui nell’insinuare il dubbio, l’enigma. In tal senso Holmes è solo un pretesto per ottenere questo scopo. Il finale, infatti, pone a margine Holmes e lascia aperta l’ipotesi , addirittura, di eredi diretti dei Romanov.In questa prospettiva (se è fanta-storica non ho le competenze per giudicare) questo romanzo è molto intrigante.
settembre 15th, 2018 at 16:27
Questo, per quanto più spy story che giallo e con un vago retrogusto di acqua di rose, è un bel romanzo storico-avventuroso, il suo seguito e completamento, pubblicato come numero 4, un’emerita porcheria che avrà fatto rivoltare nella tomba il buon sir Arthur.