Un manierista del Ventennio : Ezio d’Errico

dicembre 10th, 2009 by Moderatore

Questo mese vogliamo proporVi un articolo di Pietro De Palma, su uno dei grandi autori del Giallo Italiano troppo a lungo dimenticati: Ezio D’Errico.

 Buona lettura

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Ezio d’Errico fu figura avventurosa: giornalista,  autore radiofonico, pittore astrattista assai conosciuto e geniale romanziere, anche di polizieschi; un personaggio sempre alla ricerca di qualcosa, di nuovi stimoli, estremamente curioso: Carlo Carrà, in una critica su una mostra di quadri astrattisti di Ezio d’Errico, pubblicata sull’ “Ambrosiano” nel 1936, lo definì “pittore irrequieto”. Una caratteristica che notiamo in altri spiriti ribelli dell’epoca: Pound, Antheil. Ma loro si indirizzarono in un filone di pensiero che guardava con simpatia al nazismo e ad un certo elitarismo spirituale; D’Errico, era invece semplicemente, secondo me, quello che comunemente si dice di un artista, che crede in se stesso e nella sua arte e che non riconosce altri padroni a se stesso che non essa stessa: se non un “un anarchico”, almeno “un anarcoide”.

D’Errico aveva già insegnato grafica in una scuola per tipografi, e pubblicato “un Primo e un Secondo Manifesto dell’Arte tipografica”, qualificandosi come elemento di spicco dell’astrattismo italiano, rivestendo anche una posizione di critica delle correnti pittoriche europee; ma non sopportava l’irregimentazione, non sopportava un potere superiore al suo cui piegarsi e per questo non aveva proseguito nella carriera di ufficiale dei carabinieri, pur essendo arrivato al ruolo di Maggiore.

Nel 1936 cominciò la sua carriera di scrittore di romanzi polizieschi, dando alle stampe il suo primo romanzo, molto interessante proprio per capire le sue caratteristiche peculiari, Qualcuno ha bussato alla porta, cui seguirono molti altri romanzi, in tutto una ventina.

Dopo la Guerra, dopo aver pubblicato nel 1947 il ventesimo romanzo col commissario Richard, “La nota della lavandaia”, ripudiò tutti i romanzi gialli da lui prodotti precedentemente e si oppose alla loro ripubblicazione, e per un certo tempo diresse la rivista “Crimen”, per poi interessarsi al teatro: scrisse dei lavori che lo imposero nel cosiddetto “Teatro dell’Assurdo” di cui divenne un elemento di spicco. Durante l’occupazione di Roma, pare avesse svolto un’attività clandestina di stampa antifascista, e del resto Louis Kibler in Ezio d’Errico’s Theater of the Absurd: Three Plays, lo definisce “a rabid anti-fascist” (Introduction, pag.14).

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Nell’ambito del poliziesco, nato in Italia sotto l’egida della Mondadori, egli si mosse intelligentemente: diversamente da De Angelis, anche per non trovarsi in certo modo limitato dall’ottusità delle censura di regime che indicava persino gli scenari in cui doveva muoversi un autore che volesse ambientare in Italia le sue storie poliziesche, egli scelse come fondo per i propri drammi la Parigi simenoniana. E proprio a Simenon egli si rifece, scegliendo di iniziare le avventure del suo personaggio fisso, il Commissario Richard, nel momento in cui  il Commissario Maigret di Simenon scomparve dalla scena letteraria: infatti Simenon, come accade a tutti coloro che diventano famosi per qualcosa e poi vi restano appiccicati contro la loro volontà, si scocciò e nel 1933 mandò in pensione il suo Commissario Maigret, dopo aver risolto il suo ultimo ufficiale caso, L’écluse n°1, anzi, più propriamente, lo mandò a occuparsi del giardino di una villetta sulla riva della Loira – quasi che fosse un altro Nero Wolfe – abitandovi assieme alla moglie.

Va detto però che d’Errico non è il solo autore che prende Simenon come proprio esempio: tutt’altro ! Vi è infatti tutta una genia di autori italiani del periodo fascista da Varaldo a De Angelis, che vi si rifanno.

Il motivo è semplice: gli autori italiani, quasi tutti autori e giornalisti e altro, imprestati al romanzo di genere poliziesco, furono messi assieme da quell’autentico genio che fu Alberto Tedeschi, chiamato giovanissimo dallo stesso Arnoldo Mondadori a dirigere la neonata Collana dei Gialli Mondadori, sorta, sull’esempio della francese Le Masque, in poco tempo, dopo che il Fascismo pur avversando il genere poliziesco in quanto corruttore dell’animo dei giovani fascisti, accorgendosi purtuttavia che il Giallo era divenuto un genere seguito da moltissimi italiani, aveva posto delle limitazioni ad esso: il 20% della produzione gialla di una collana editoriale sarebbe dovuta essere riservata ad autori italiani (che al momento non c’erano e quindi bisognava inventarli) che poi avrebbero dovuto articolare le loro storie rispettando alcune prerogative dettate dal Minculpop : delitti commessi in ambienti non sani ma quasi sempre depravati, i delitti si imponeva che avvenissero in ambienti esotici, e che preferibilmente le storie non si appuntassero su “delinquenti di casa nostra” ma stranieri, che non ci dovessero essere suicidi, e che il lieto fine fosse obbligatorio sancendo con la risoluzione del delitto un ritorno all’ordine naturale delle cose.

Così in breve un corposo numero di “italici” scrittori comparve nella collana Mondadori, da Varaldo a Mariotti, da De Angelis a Spagnol. L’esempio che si ricalcò non fu però quello del detective super-uomo di filiazione sherlockiana, che in quegli anni proveniva dagli Stati Uniti d’America, ad es. il vandiniano Philo Vance, ma quello che ci arrivava dalla Francia: Simenon aveva alla fine degli anni ’20 inventato il Commissario Maigret che risolveva i casi basandosi sull’esperienza personale, sul buon senso e sull’indagine quotidiana basata su testimonianze di gente comune: non quindi delitti di spessore straordinario, maturati in circostanze assolutamente eccezionali se non imprevedibili, con delle messinscene fantastiche, ma fatti delittuosi avvenuti nella quotidianità di ogni giorno: in sostanza Simenon toglieva il delitto alle classi aristocratiche e al jet-set (nato sulla presupposizione di De Quincey che il vero delitto “fosse una delle belle arti” e che la morte ordinaria per es. di un facchino non dovesse essere oggetto di studio di un detective come si deve) e lo consegnava al mondo di ogni giorno, cioè al vivere borghese e al realismo quotidiano.

Praticamente la diversità del personaggio Vance da quello Maigret, si può facilmente cogliere, comparando le descrizioni che vengono rese di entrambi, nei rispettivi romanzi di presentazione:, La strana morte del Signor Benson per Philo Vance  e Pietr-il-Lettone per Maigret.

Mentre la descrizione di Philo Vance è quello di un super-uomo, anzi di un super-detective, in possesso di tutte le armi psicologiche per poter districarsi nei casi più straordinari del suo tempo, oltre che esser versato in tutto lo scibile e in ogni tipo di sport fisico, e naturalmente un vero uomo dei quartieri alti : “Vance era quello che molti chiamerebbero un dilettante. Ma la parola non gli rende giustizia. Era un uomo insolita­mente colto e brillante. Aristocratico per nascita e per istinto, si teneva severamente appartato dalla comune umanità. Nei suoi modi appariva un indefinibile disprezzo per ogni sorta di manchevolezza.La grande maggioranza di quanti entravano in contatto con lui, lo consideravano uno snob. Eppure, nella sua condiscen­denza e nel suo disdegno non c’era traccia di falsità. Il suo snobismo era di carattere intellettuale, oltre che sociale. De­testava la stupidità più ancora, credo, della volgarità o del cattivo gusto. ..Vance era francamente un cinico, ma di rado inclinava al­l’amarezza: il suo era, piuttosto, il cinismo irriverente di un Giovenale. Lo si può meglio descrivere come un annoiato e altezzoso, ma quanto mai consapevole e penetrante spettato­re della vita. Nutriva un acuto interesse per tutte le reazioni umane; il suo era l’interesse dello scienziato, non dell’umani­sta. Era dotato, esteriormente, di un raro fascino personale. Perfino chi trovava difficile ammirarlo, trovava egualmente difficile non lasciarsene catturare. Quel tanto di donchisciot­tesco nelle sue affettazioni, l’accento dalla lieve inflessione inglese – eredità dei giorni oxfordiani dopo la laurea – colpi­vano quanti non lo conoscevano come dei vezzi. Ma la verità è che in lui c’era ben poco del poseur.Era insolitamente attraente, nonostante la bocca ascetica e crudele, come le bocche di certi ritratti dei Medici; e poi, c’era un’alterigia lievemente derisoria nello spicco delle so­pracciglia. Nonostante i tratti aquilini e severi, il volto era finemente sensibile. La fronte, ampia, inclinata, era quella dell’artista, più che dello studioso. Aveva occhi grigi distanti, naso diritto e delicato e un mento piccolo ma prominente, con una fossetta d’insolita profondità..Alto un metro e ottanta, aggraziato, Vance dava una sensa­zione di energia e di resistenza nervosa. Esperto schermitore, era stato capitano della squadra universitaria, mentre negli sport all’aria aperta, che amava con moderazione, possedeva un talento per riuscir bene, pur senza troppi allenamenti. Nel golf vantava un handicap di soli tre punti e, in una stagione, aveva giocato nella nostra nazionale di polo contro l’Inghil­terra..Nel modo di vestire era sempre elegante, scrupolosamente corretto fino all’ultimo dettaglio, ma non appariscente..

Vance possedeva nozioni di psicologia veramente fuori dai comune, per aver coordinato e razionalizzato, grazie agli stu­di e alle letture, il dono di un giudizio delle persone istintiva­mente acuto. Le sue basi si fondavano su solidi principi acca­demici. I corsi da lui frequentati compren­devano la storia delle religioni, la letteratura greca classica, biologia, educazione civica, e ancora, economia politica, filo­sofia, antropologia, letteratura, psicologia teorica e sperimen­tale e lingue antiche e moderne (S.S.Van Dine, La strana morte del Signor Benson, trad. Pietro Ferrari, L’Unità/Mondadori, 1992, pagg. 12-13-14), la descrizione di Maigret è composta, solida, essenziale.

Maigret è un uomo come tanti, in possesso di una grande volontà e tenacia, oltre che di acume. Inoltre egli non ha proprio nulla di leggendario, semmai viene spesso paragonato al granito, è come la roccia: non si spezza. E per di più è di nascita plebea : “La presenza di Maigret al Majestic aveva inevita­bilmente qualcosa di ostile. Era come un blocco di granito che l’ambiente rifiutava di assimilare.Non che somigliasse ai poliziotti resi popolari dal­le caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate.Ma la struttura era plebea. Maigret era enorme e di ossatura robusta. Muscoli duri risaltavano sotto la giacca e deformavano in poco tempo anche i pan­taloni più nuovi.Aveva in particolare un modo tutto suo di piaz­zarsi in un posto che era talora risultato sgradevole persino a molti colleghi.

Era qualcosa di più della sicurezza, ma non era orgoglio. Arrivava solido come il granito, e da quel momento pareva che tutto dovesse spezzarsi contro di lui, sia che avanzasse, sia che restasse piantato sulle gambe leggermente divaricate” (Georges Simenon, Pietr-il-Lettone, trad. Y.Mélaouah, RCS, 2009, pag.20).

L’impostazione conferita da Simenon al suo personaggio, piacque agli autori italiani, ed è per questo che gran parte di essi improntarono le loro storie a personaggi che si muovevano nei loro contesti di vita, imitando la metodologia maigretiana.

Il Commissario Richard appare quindi approfittando dell’assenza dell’altro Commissario e nell’immaginario viene ricalcato su di esso: come Maigret, che in Pietr-Le-Letton scritto nell’inverno del 1929 e pubblicato nel 1931, era stato definito nelle prime pagine del romanzo, “.. imponente e massiccio, con le mani in tasca e la pipa ad un angolo della bocca..”, Richard appare imponente anche lui, anzi di più. “..Due guardie..si voltarono..e una disse all’altra: “Strano!..Quel grassone laggiù somiglia al Commissario Richard”. “Sei matto? Chi ha mai sentito Richard ridere a quel modo?” (pagg.37-38, Qualcuno ha bussato alla porta, “ I Maestri del Giallo”, Mondadori-De Agostini,1991).

Una figura imponente quindi, che deve incutere rispetto e timore; ma in aggiunta a questo, Richard, quando non è davanti agli agenti si lascia andare e ride sguaiatamente: questo modo di fare chi ci ricorda? Quale altro personaggio è grosso e ride sguaiatamente? L’esimio Dottor Fell, una delle creazioni di John Dickson Carr! Può d’Errico aver letto qualcosa di Carr durante il suo soggiorno parigino, dal 1931 fino al ritorno in patria nel 1933 ? Non sappiamo. Forse è solo un nostro pensiero peregrino, il pensiero di chi ha letto troppi gialli e che fa delle connessioni anche non provate ?

E come non pensare ancora al grande attore francese Charles Boyer, uno dei grandi miti degli anni Trenta, come origine del riferimento al pittore vittima del romanzo, che si chiama guarda caso Charles Boyer ? E sarebbe sbagliato pensare che abbia voluto guardare al grande filosofo tomista Tilmann Pesch, quando inventava il personaggio dell’illusionista Tikmann ? Nei romanzi di d’Errico c’è tutto e il contrario di tutto. Anche altro troviamo, per esempio la descrizione fisica del commissario Richard: ma, mentre come abbiamo visto per De Vincenzi, la presentazione del personaggio è fatta quasi prendendo ad esempio la presentazione di Maigret, per Richard non è così; questo ci sembra il dato caratteristico di d’Errico, che comunemente viene assimilato a Maigret, ma in realtà se ne discosta: il romanzo non comincia col loro personaggio, ma lo introduce secondo un modulo già bel oliato, alla maniera delle Introductions avec Theme, Variations et Finale  che tanti musicisti Biedermeier come Henri Herz per esempio avevano composto nell’Ottocento: il Tema non è mai presentato subito, ma dopo un’introduzione, così da metterlo in piena luce, dopo averlo annunciato e fatto aspettare, avendo così un’attesa maggiore; e subito dopo vi sono le Variazioni, cioè lo svolgimento dell’azione, con il Finale scoppiettante che è parallelamente accostato alla conferenza finale di tanti romanzi polizieschi dell’Età d’Oro del Giallo. Infatti, Richard appare, dopo l’Introduzione del primo Capitolo, “27, Rue Lepic”, in cui viene trovato l’impiccato, nell’omonimo secondo capitolo, “Il commissario Richard”, dove viene meticolosamente descritto: ha un volto flaccido, sbarbato, non è calvo ma i capelli gli descrivono sul lucido cranio una tonsura come quella dei frati, ha gli occhi piccoli e grigi, e le sopracciglia arcuate, circonflesse, cespugliose e nerissime, i capelli sono neri non tinti: “..due accenti circonflessi così caratteristici da far sì che, vista una volta, quella faccia non si poteva dimenticar più”, danno al Commissario Richard un’aria inconfondibile.  E ancora: “.. E’ inutile che io mi travesta e mi trucchi, perché ..tutti mi riconoscerebbero solo dalle sopracciglia” (pag.13, op.cit.).

Secondo noi, il particolare delle sopracciglia è una citazione di due personaggi : innanzitutto, Mefistofele. Il personaggio goethiano, per molto tempo era vissuto solo nella mente di chi aveva letto il romanzo; ma, successivamente varie erano state le occasioni in cui il pubblico aveva potuto vedere il personaggio Mefistofele recitare e farsi un’idea sul suo aspetto, a partire dalle opere liriche (Il Mefistofele di Boito o il Faust di Gounod ) sino al cinema. Proprio il cinema aveva dato una prima espressione al personaggio Mefistofele, fornendo una sua descrizione peculiare in quello che è uno dei capolavori dei primi anni del cinema novecentesco, il Faust di F.W.Murnau, uno dei più grandi cineasti tedeschi del secolo: qui vediamo le famose sopracciglia arcuate, nerissime. E’ il personaggio del Mefistofele del Faust di Murnau, che ha ispirato prima Carr e poi d’Errico? Ma, non dimentichiamoci che d’Errico dice che esse non erano solo nerissime e  circonflesse, ma anche cespugliose. Anche qui si può cogliere un riferimento letterario e poi cinematografico, e ci perdonino i lettori di questo umile articolo per le frequenti digressioni e i paragoni iperbolici, ma..le sopracciglia cespugliose ci fanno tornare alla mente quelle di Spencer Tracy quando impersonava “Dottor Jekill e Mr. Hyde”: solo che il film in cui Spencer Tracy recitava risale al 1941 (regia Victor Fleming): quindi apparentemente, a patto che d’Errico come ipotizziamo avesse citato il personaggio di Stevenson, ci troveremmo che non avrebbe tratto nessuna ispirazione visiva da alcunché; in realtà, prima del film di Victor Fleming, vi fu un’altra celeberrima versione cinematografica dell’opera di Stevenson, approntata dal cineasta statunitense di origini armene, Rouben Mamoulian:  Dr. Jekyll and Mr. Hyde (1932), con Fredric March nella doppia interpretazione di  Jekyll and Hyde; come si vede molto vicina come tempo storico alla pubblicazione del primo romanzo col commissario Richard (fra l’altro con l’interpretazione del doppio personaggio,  Fredric March vinse l’Oscar come miglior attore protagonista).

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D’Errico si muove quindi, a parer nostro, non creando solo un personaggio di aria maigretiana, ma  anzi molteplici altri personaggi, parecchi riconducibili ad altrettanti famosi, e inspirato anche dal cinema, di cui ogni lettore possa ricordare il carattere peculiare, anche inconsciamente, così da rendere Richard personaggio già conosciuto e amato, quand’anche appena presentato, e subito simpatico: è il personaggio che si è fatto da sé, senza raccomandazioni. Per questo si vanta, gli piace che si parli di lui, così diverso in questo da quel commissario così schivo che era De Vincenzi: “..l’uomo veniva dal nulla, aveva percorso faticosamente tutti i gradini della gerarchia e se il suo nome si era imposto negli ambienti polizieschi lo doveva solo a se stesso” (pag.13, op.cit.).

Non solo. Egli prende le distanze dal modello dello Sherlock Holmes d’oltre manica, tanto per capirci, e delinea il suo “modus agendi”, così diverso, perché al contrario degli indizi, fa leva su una conoscenza dell’uomo, su una fenomenologia psicologica, molto vicina al modello francese di Maigret, tanto da identificarvisi: “Un’identica antipatia mostrava per i colleghi di Scotland Yard, con i quali però aveva qualche volta dovuto collaborare.Brava gente, ma troppo calma… e poi siamo sempre lì, la letteratura li ha rovinati… la cenere del sigaro, il bottone della giacca, il pelo del cane color marrone… non fatemi ridere. Coi bottoni e la cenere del sigaro, a Parigi, non si è mai arrestato nessuno… pazienza ci vuo­le; naturalmente, anche un po’ di fiuto, e poi… e poi co­noscere gli uomini… non gli uomini come li descrivono sui libri, che sono o tutti eroi o tutti farabutti, ma gli uo­mini come sono nella vita reale, ossia mezzo eroi e mez­zo farabutti… ecco il segreto. Il difficile è capire la pro­porzione della miscela, una volta capita la formula, si in­tuiscono le reazioni… ogni uomo ha un debole… sarà il giuoco, saranno le donne, sarà la collezione di franco­bolli, la gola, l’arte, la politica… insomma, ogni uomo nella vita tende a qualche cosa che, di solito, è diversa e distante dal suo mondo quotidiano. Quando quella tale proporzione fra eroismo e farabutteria pencola a favore del secondo ingrediente, si ha un precipitato di crimina­lità. Questa è la vera chimica, non quella di Sherlock Holmes. E per conoscere gli uomini, bisogna aver fatto, come me, venticinque anni di piantonamenti, di pedina­menti, di soste sotto la pioggia insieme agli scaricatori della Senna, bisogna aver sentito le confidenze dei balle­rini di Montparnasse e dei deputati in orgasmo per la ca­duta del ministero, bisogna aver trincato coi duri delle Halles, quando all’alba, dopo una notte passata a scari­care i quarti di bue, vanno a prendere il cicchetto al­l’osteria dell’Escargot o alla taverna del Vecchio Grana­tiere, bisogna aver passato qualche ora a colloquio col condannato a morte, nella cella della gran sorveglianza, mentre i compari del signor Deibler montano il “rasoio nazionale” al boulevard Arago” (op.cit., pag.14).

 A parere nostro, la presa di distanze da Sherlock Holmes, fa anche leva sul sentimento francese anti-inglese, che è in quel momento storico anche il sentimento anti-inglese italiano di Mario Appelius che interpretando in senzo nazionalistico “l’empietà delle sanzioni internazionali contro l’Italia che aveva mosso guerra e conquistato l’Etiopia” (1936, l’anno dell’Impero che è anche l’anno di pubblicazione del romanzo) pronunciava ad ogni piè spinto: “Dio stramaledica gli Inglesi”. Così, assai furbescamente, D’Errico è come se avesse inviato nelle menti dei suoi lettori un messaggio che ora diremmo sub-liminale: “Richard prende le distanze da Sherlock Holmes, cioè non prende a modello un inglese, e quindi si merita la vostra simpatia”.Ci preme sottolineare un altro carattere dei romanzi di D’Errico: il vissuto personale. D’Errico, come abbiamo ricordato, fu un notevole pittore astrattista. Ora quasi a ricordare la sua vita bohemien, e i suoi stenti, ecco un breve inciso di vago sapore autobiografico, che il Nostro lega alla vittima, il pittore Charles Boyer: costui, “fanatico del cubismo, vendeva poco” (op.cit. pag.21):

“L’unica stanza pigliava luce da un ampio abbaino a ta­bacchiera. Da una parte una tenda di cretonne tesa su un fil di ferro celava evidentemente una cucinetta e l’ac­quaio; il letto basso, alla turca, era nell’angolo opposto. Le pareti erano tappezzate di quadri e di tele senza cor­nice, il cavalletto e un vaso di terraglia pieno di pennelli erano già cose fuori posto, inutili e tristi, come gli abiti di un morto che non si buttano via e che intanto nessuno indossa” (Op. Cit. pag.40).

 E ancora più interessante, perché rivela il profondo dell’anima di un artista che vorrebbe che gli altri capissero la sua arte, ma intorno a lui vede solo persone che la rifiutano, o si aggirano sperduti o peggio criticano ridicolizzandola, è il passo in cui Richard nella soffitta abitata dalla vittima e dalla sua piccola e misera famiglia, si aggira tra le sue tele : anche questo sicuramente è un passo che rimanda alle scelte di D’Errico pittore astrattista:

“Il commissario con la scusa di osservare le tele da vici­no, provò a muovere qualche passo, ma si sentiva im­pacciato, goffo, peggio ancora, intruso, fra quei quadri che non capiva e che tuttavia avevano qualche cosa di eccezionale nel modo in cui erano stati concepiti e dipin­ti. Gli pareva di aggirarsi fra gente che parlasse una lin­gua diversa dalla sua, con accenti strani, con termini inu­sitati e dei quali non potesse ridere perché avevano un’inflessione triste e umana, se pur di un’umanità di­versa e sconosciuta” (op.cit. pag.40).

  Non è un caso che seguiranno molte altre avventure di Richard a riconfermare nell’Italia anteguerra una simpatia che mai vacillò. Ma D’Errico, copia anche De Angelis. Infatti, quella empatia, quella caratteristica che faceva dire a De Vincenzi di entrare nelle menti delle sue vittime, è presente anche in Richard; e “Il banchiere assassinato” venne pubblicato nel 1935, un anno prima di “Qualcuno ha bussato alla porta” (1936). Del resto un altro riferimento ideale a De Angelis è verificabile in altro romanzo di D’Errico, “La casa inabitabile” (1941). E’ questo un romanzo peculiare nella collana, perché fu con la sua pubblicazione che Il Giallo Mondadori anteguerra si interruppe. Anche esso si apre come il primo: mentre il primo capitolo è una introduzione, in cui viene presentata la trama che fa da sfondo al romanzo: “Villa Garnier”, nel secondo capitolo “Maurice Proux – Tutti gli sports”, fa la sua entrata il Commissario Richard. Nel romanzo ritroviamo frequenti accenni al riferimento italiano di d’Errico, cioè Augusto De Angelis (come anche specificato nella prefazione di Loris Rambelli), riferimenti che sono letterari e che rimandano al decadentismo dannunziano, di cui l’opera di De Angelis è pervasa:

“.. Angelica Proux ardeva come un cero; il suo corpo magro ne aveva preso il colore e gli occhi la fiamma febbrile. Camminava lentamente per le camere del suo piccolo alloggio divenuto improvvisamente vasto come una cattedrale, e ogni tanto appoggiava la fronte ai vetri ruscellanti. I fanali del Quai Victor Hugo riflettevano nell’asfalto bagnato riverberi d’oro che giungevano serpeggiando fino al marciapiede opposto. La Marna era una voragine nera, sulla quale i ponti battuti dalla pioggia si accampavano come tentacoli spettrali lanciati dalla strada fra le due rive. Il paesaggio familiare sconvolto dalla bufera era irriconoscibile, così come avevano cambiato aspetto gli oggetti più comuni della casa percossa dalla sciagura” (Ezio d’Errico, “La casa inabitabile”, Libreria dell’Orso,Pistoia, 2004, pag.84).

Si notino l’uso sapiente degli aggettivi e i preziosismi lessicali: tutto deve contribuire a inquadrare l’atmosfera opprimente e gotica di tragedia annunciata se non consumata, anche una pioggia, che diventa espressione di disperazione e tristezza cosmica; la misura opprimente e disperata di una persona che ha perduto le persone care, che vorrebbe trovare in se stessa le energie per reagire o comunque vivere nel chiuso del suo dolore, senza necessariamente essere infastidita da chi è estraneo alla sua tragedia, che gli comunica vuote condoglianze, si rivela in un altro passo, seguente a quello prima descritto: “Ora la donna poteva misurare in tutta la sua vastità l’orrore che l’aveva colpita, e la solitudine che la circondava aveva l’altezza cupa che hanno per il prigioniero le mura del carcere. Di giorno c’era sempre qualche vicina che, sia pure infastidendola con le sue condoglianze, la costringeva ad ascoltare un’altra voce umana” (op.cit., idem).

Ci ha ricordato qualcosa? A noi questi passaggi hanno ricordato un’opera recente che l’anno scorso ha vinto il Premio Tedeschi : il romanzo di Enrico Luceri, un autore che, mischiando riferimenti consci e inconsci, ha creato un bel romanzo; e che ci rammenta, quanto gli autori del ventennio abbiano influito sulla narrativa contemporanea di genere: Scerbanenco, Varaldo, d’Errico, De Angelis; proprio Alessandro Varaldo, secondo noi, ha influito, in certa misura, con il suo Ascanio Bonichi, sul Corrado Archibugi di Massimo Pietroselli.

 Nel caso di d’Errico, però, secondo noi, assistiamo ad un intendimento cui, da parte sua, anche Aveline, più o meno in quegli anni, ma in Francia, cercava di dare voce: assistiamo alla rivalutazione del Romanzo Giallo in quanto non Narrativa di Genere ma Narrativa tout-court. Ezio d’Errico come Claude Aveline? Il paragone non ci sembra improponibile: in entrambi i casi, anche se in d’Errico non c’è mai la consapevolezza dell’intellettuale che vuole sghettizzare il genere di proposito, c’è comunque l’uso sempre maggiore e a seconda dei casi, di un uso della lingua per intenditori: e in questo eleva il tono dell’opera poliziesca rivalutandola letterariamente.

E leggendo un altro passo di questo notevole romanzo, “si può fare anche un altro pensierino” : “..ma la notte essa restava atrocemente sola, e l’insonnia la faceva ambulare da una camera all’altra costringendola a misurare a gocce la spaventosa lunghezza delle ore” (op.cit., pag..85).

 Sarà una nostra astrazione il fatto che anche il ricorso all’insonnia voglia essere, in un’atmosfera spettrale o comunque misteriosa, l’evocazione gotica e fantastica, del “non morto”? Chi è insonne non può dormire anche se lo voglia, come il non morto vorrebbe morire, e invece è destinato a vivere in uno stato a metà che non è né vita né morte. Un altro legame che lega d’Errico a De Angelis ? O un riferimento che lega d’Errico alla letteratura dell’incubo? O alla ghost-story ?E gli stessi personaggi che appaiono in “La casa inabitabile” sono rapportabili a personaggi realmente esistiti ? Gaetano Fournier, il bettoliere del “Cigno Bianco”non ci ricorda nel cognome il grande Pierre Fournier, sommo violoncellista che proprio negli anni di d’Errico era al culmine della fama? E Sebastiano Trimard, il vecchietto acquirente di Villa Garnier, non può rimandare ad un oscuro artista del Seicento, Sebastiano Strada (“trimard” in francese equivale anche all’italiano “strada”), che un pittore come d’Errico poteva conoscere?

Insomma, i romanzi di d’Errico sono – secondo noi – enormi calderoni dove bolle un po’ tutto, e dove i riferimenti a cose e persone non sono proprio “puramente immaginari”.

In Italia, le opere di d’Errico sono esaurite da molti anni: negli ultimi cinque anni, sono tuttavia stati ripubblicati, da piccoli editori: “La casa inabitabile”, “Il trapezio d’argento”,“La tipografia dei due orsi. Tutto il resto è esaurito. Qualcosa dei giallisti italiani del Ventennio, tra cui d’Errico (“Qualcuno ha bussato alla porta”), fu pubblicato in una collana Mondadori degli anni ’70, i GIM (Gialli Italiani Mondadori): ma anch’essi non sono facili da reperirsi . Lo stesso romanzo, fu poi ancora una volta ripubblicato nella collana “I Maestri del Giallo” della Mondadori-De Agostini, nel 1991, a ricordare ancora una volta l’importanza di quel romanzo, nella carriera del Nostro.

Con la “La casa inabitabile”, romanzo pubblicato col numero 266 della serie de “I Libri Gialli” di Arnoldo Mondadori Editore, nell’ottobre 1941, si chiuse temporaneamente l’avventura della mitica serie di romanzi polizieschi italiani: infatti, prendendo ad esempio un banale fatto di cronaca nera (due studenti milanesi di buona estrazione sociale che avevano compiuto una rapina in una villa e picchiato una cameriera, una volta arrestati,dichiararono di essere stati esaltati dalla lettura dei gialli), Mussolini decise di farne sospendere le pubblicazioni.

Quindi..benediciamo in fondo se perdemmo la guerra: non sapremo mai cosa non abbiamo guadagnato, ma sappiamo sicuramente cosa avremmo perso: la capacità di divertirci e di appassionarci, leggendo un bel Giallo Mondadori.

                                                                                                                                                               Pietro De Palma

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54 Responses

  1. Fabio Lotti

    Siccome sono sempre il primo a battibeccare con Piero-Pietro (deciditi!) voglio anche essere il primo a congratularmi per il pezzo.

  2. Piero

    “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno”.
    Pietro sono, ma per gli amici sono Piero: deciditi tu, con quale nome voglia nominarmi !

  3. Piero

    @Fabio: Con quale nome TU voglia nominarmi.
    Per il resto, ti ringrazio.

  4. Piero

    Nel 1933 tuttavia Simenon ritornò a scrivere di Maigret, con un romanzo intitolato proprio “Maigret”. Il fatto è che Simenon sentiva la necessità di rivalutarsi anche come scrittore di Letteratura impegnata, nello stesso momento in cui Aveline già noto intellettuale sentiva anche lui un bisogno, ma di sdoganare la letteraura gialla rivalutandola e parificandola a quella letteraura più impegnata cui Simenon tentava di assurgere.

  5. Fabio Lotti

    Naturalmente Piero ma questo non mi esime dal predicare la tua impalatura fino alla sua sacrosanta esecuzione.

  6. Piero

    @Fabio: ricordati la Mordacchia !

  7. Massimo

    Molto interessante! Tra l’altro, io dovrei avere un D’Errico dei romanzi della palma, ma non mi ricordo il titolo, al momento…

  8. Quiller

    Bravo Piero, ottimo il costante riferimento ai testi, cosa che fanno in pochissimi. I tuoi articoli sono sempre fiumi in piena, summae dantesche in cui si trova di tutto (persino l’Oscar a Fredric March :-) ).
    Ma l’articolo su De Angelis cui fai riferimento me lo sono perso io o ce l’hai ancora nel cassetto?

  9. Piero

    No. Dovrebbe uscire non so se a dicembre o a gennaio su EuroPolar. Quando esce, ne darò notizia, se credi.
    Grazie per il resto.
    Tuttavia questo articolo è più intertestuale, e ci sono più ipotesi personali: diaciamo che è più appassionato. Quello su De Angelis lo è meno, anche perchè De Angelis è autore più studiato, più storicizzato, di quanto non sia occorso a d’Errico che è ancora sconosciuto (immeritatamente) ai più.

  10. Fabio Lotti

    Su De Angelis sta facendo un ottimo lavoro la Sellerio…

  11. Marco Piva

    Che pozzo di scienza il nostro Piero.
    Complimenti amico.

  12. Piero

    Quiller mi diceva stamattina se avessi ancora nel cassetto l’articolo su de Angelis. No, come ho detto dovrebbe essere pubblicato in altro sito.
    Quello che però avevo nel cassetto e che più mi dispiace aver perso sono tante lettere che contenevo nell’Hard disk del mio computer, rotto l’anno scorso, lettere di Igor, che non erano solo uno spaccato umano e amicale ma anche tanta cultura. E la cosa che mi fa ancora male, è che ho perso tanti racconti che avevo scritto e che gli avevo mandato, e che lui dovrebbe ancora avere: se ancora li avesse e me li rimandasse, mi farebbe un grandissimo piacere. :-)

  13. Alba D'Errico

    Mi chiamo come lui ma amo scrivere poesie e racconti dell’anima.
    Lascio questo piccolo commento proprio perche’ mi ha colpito trovare il mio cognome sopra ad un libro.. e’ il desiderio di tutta la mia vita..
    Alba

  14. Fabio Lotti

    Benvenuta tra noi Alba. E a proposito di donne sono curioso di sapere se Giuseppina è andata via per davvero. Provo a chiamarla.
    Giuseppinaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    E poi provo anche a chiare Silvia che è un bel pezzo che non si fa vedere. Silviaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Aspettiamo…

  15. Piero

    Beh, questo da te non me l’aspettavo: un ex professore di lettere per giunta.
    Scusa, è vero che la lingua italiana corretta, non la parla più nessuno, anzi si fa a gara a storpiarla. Ma da te..
    Andrebbe riscritta una frase :”..sono curioso di sapere se Giuseppina SIA ANDATA VIA e non E’ ANDATA VIA”. A professo’ non sai che in italiano il se regge il congiuntivo ? :-)

  16. Fabio Lotti

    Veramente per non farti sentire a disagio mi stavo adeguando al tuo modo di scrivere…:-)

  17. Piero

    Bersaglio colpito in pieno centro,eh ? hi hi hi
    :-)

  18. anne67

    la quantità di informazio ni che Piero riesce ad inserire in ogni suo articolo riesce sempre a stremarmi ;D!

  19. Fabio Lotti

    Beato colui che non riesce a vedere la trave eccetera eccetera…

  20. Fabio Lotti

    Siccome mi hai impunemente sfidato becco una frase del tuo polpettone e te la schiaffo davanti “D’Errico, era invece semplicemente, secondo me, quello che comunemente si dice di un artista, che crede in se stesso e nella sua arte e che non riconosce altri padroni a se stesso che non essa stessa”.
    E ora dimmi se ti sembra scritta da un insegnante come sei tu. Hi hi hi ecc..:-)

  21. Silvia

    @Fabio,
    sto per completare un’operazione titanica consistente in un quilt da regalare per Natale.
    Dopo quasi tre mesi di lavoro sono abbastanza soddisfatta del risultato, ma la prossima volta inizio a Pasqua a cucire i regali per Natale. :)

    L’articolo di Piero non l’ho ancora letto, ma ho notato i riferimenti bibliografici che apprezzo molto :)

    Alla prossima e Buona Domenica a tutti.
    Saluti a Jonathan :)

  22. Fabio Lotti

    Grazie per i sorrisi!:-)

  23. Piero

    Forse la forma talora è contorta, ma almeno gli errori di grammatica non ci sono: il latino l’ho fatto bene, e quando coniugo una ipotetica o una proposizione retta da un verbo di non certezza, associo sempre il congiuntivo. Sì, lo so, il congiuntivo non si usa quasi più nell’italiano corrente, ma che vuoi..c’è un toscano di Staggia davanti a me, e mi insegnarono a tempo debito che l’italiano è nato in Toscana. Evidentemente non ti conoscevano. Hi Hi Hi :-)

  24. Piero

    Grazie Silvia.

  25. Fabio Lotti

    “La forma è talora contorta”? E’ tutto contorto, Ciccio! Se vuoi ti pesco altri esempi di contorsione ripetitiva, tra l’altro, da far rimanere a bocca aperta un contorsionista di professione! :-)
    Si può continuare all’infinito ma dubito che Dario ce lo lasci fare…

  26. Piero

    Infatti.
    Che coppia che facciamo, eh, Fabio..

  27. Fabio Lotti

    Per questa volta la finiamo qui. Tanto ci sarà senz’altro un’altra occasione…

  28. giuseppina la ciura

    Caro Fabio, cari amici,
    la domenica si annuncia splendida a Catania: sole caldo e temperatura sui 20 gradi. Bene! Ma stanotte non ho chiuso occhio perchè ossessionata dal richiamo tarzanesco del Gran Maestro toscano.Giuseppinaaaaaaaaaaaaaaaaaa-
    Si può?
    Comunque torno per annunciare che l’adorato Piero De Palma debutterà presto su Europolar, il sito europeo fondato da Claude Mesplède(ah, il Dizionario perduto!).
    Debutterà con un breve ma complicatissimo saggio su Augusto De Angelis(come sapete). Il vostro diletto starà in buona compagnia: Pablo De Santis, Guillermo Martinez, Dr Wilkinson, Wortche, Menotti, Argemì, Wu Ming1 tra gli altri.
    E con questo vi lascio non prima di aver lanciato una staffilata(dato che la pensione di Prof è da fame mi alleno come escort sadomaso per i maschi della 4 età):e il Riccardi che ha vinto il Tedeschi?
    Buona Domenica
    Giuseppina

  29. Fabio Lotti

    Grande Giuseppina! Mi sembrava strano che te ne fossi andata via per sempre. Per me un gradito e sfruculiante ritorno per una presenza a volte caustica che non mi dispiace. Seguirò le orme del nostro Piero con il quale spesso battibecco (altrimenti due…). Sulla pensione da fame sottoscrivo, anche se c’è chi sta peggio. Ma c’è anche chi sta meglio…

  30. Fabio Lotti

    Ti ringrazio per il Grande Maestro ma, purtroppo, non lo sono…

  31. Piero

    Il fatto è che, se il saggio non è complicato, non sono contento. :-)
    Che ci volete fare: leggevo i Carr complicati quando ero giovane. E più un giallo è complicato e cervellotico, ma risolto brillantemente, più sono contento.
    I Whodunnit (Who done it), ecco, quelli sì che mi piacciono !

  32. Piero

    Pare che il prossimo Brean “Agguato nell’invisibile” lo sia: che bello !!!
    :-)

  33. Piero

    Da contatti telefonici avuti con lui, ho saputo che questo mio articolo è piaciuto a Luca, ma è stato alquanto stringato.
    Lucaaaaa, vuoi dire qualcosa?

  34. stefano pigozzi

    Le classificazioni sono sempre “nemiche” della verità… ma spesso aiutano. Così, semplificando assai, possiamo affermare che si fronteggiano su questo blog due agguerriti partiti che a volte se le danno di santa ragione: il partito del “giallo classico” ed il partito del “noir”. Il bravo Piero Palma appartiene al primo, direi anzi che lo capeggia. Io sono un fervente, e silenzioso, aderente al secondo partito che appare essere spesso minoritario ed in difficoltà a rintuzzare gli argomenti dell’avversario. Nostra responsabilità. Dico questo per affermare che le tesi di Piero non sempre mi convincono, ma va tributato a lui un meritato riconoscimento per la qualità del pezzo su D’Errico, autore che, confesso, non conoscevo. Citazioni molto interessanti, svolgimento pregevole. Un ottimo articolo. Complimenti sinceri ed un cordiale saluto .

  35. Piero

    @ Pigozzi : Grazie. :-)

  36. Piero

    In fondo era questo il traguardo che avrei voluto raggiungere: far sì che qualcosa di me potesse far conoscere cose che non tutti conoscono, diventare cioè un mezzo di conoscenza.
    Perchè se la conoscenza rimane confinata ad alcuni, perde il suo scopo; invece deve circolare, e coinvolgere il maggior numero di persone.

  37. AngoloNero

    Bel pezzo, complimenti :)

  38. Piero

    Grazie.

  39. Massimo

    Ma siamo sicuri che noir e giallo classico siano così separati? Non so, io dico sempre che “il noir è il lutto che ha indossato il giallo quando gli hanno detto di essere morto”.
    Non so bene cosa significhi, ma mi pare che faccia il suo effetto.

  40. Piero

    Massimo, io penso che non si possano fare distinzioni così nette, perchè gli ibridi esistono sempre. Io tuttavia tenderei a dire che il whodunit o whodunnit che dir si voglia è l’espressione del giallo classico più pura, ed è temporalmente limitata, perchè in sotsnaza gli esempi più alti son compresi tra le due guerre mondiali: il giallo classico a puzzle, con delitti impossibili, camere chiuse e quant’altro.
    Lasciando stare l’Hard-Boiled che è un’altra branca del Giallo e che duella col classico senza prendere strade così diverse (Latimer, Rice, Wade Miller), il Giallo si evolve dalla fine della seconda guerra mondiale, se vedi, e abbandona quella divina atarassia rispetto alle vicende umane. E’ come se gli orrori del secondo conflitto mondiale abbiano lasciato i segni anche nel Giallo: la Christie e Queen cambiano molto. I primi Neri come si intendono oggi, e non come si intendevano allora (erano gli Hard-Boiled come sai benissimo), secondo me nascono proprio con Christie e Queen della fine degli anni ’40-inizio ’50. Vabbè, poi abbiamo per es. la Curtiss, la Millar, Bardin, e altri.
    Il Giallo Classico non è morto, perchè -io la penso così – è situato in un limbo svincolato temporalmente(vale almeno per il whodunnit, che sia quello storico, o quello contemporaneo dei francesi Siniac, Alessandrini, Halter, o di Bradberry, della Wilhelm, e vorrei ricordare anche di Clinton-Baddeley).
    Certamente d’Errico pur essendo Giallo d’epoca non è whodunnit alla maniera di Van Dine, ma è più vicino al Giallo francese di Simenon, conservando la tendenza alla risoluzione del delitto di turno, ma non chiudendolo al di dentro di un recinto intellettuale o comunque cerebrale. In questo possiamo cogliere un punto di contatto con quello che tu dici.

  41. Massimo

    Sul fatto che il giallo non sia morto sono s’accordissimo: mi limitavo a citare un luogo comune di alcuni. Però attenzione: secondo me, il concetto di classico va un po’ esteso. E’ un po’ come quando si dice che un tale “veste classico”: che vuol dire? Giacca e cravatta, d’accordo. Ma non è la stessa giacca degli anni ’30, e nemmeno la stessa cravatta. (Tra l’altro, oggi si porta l’abito blu anche con le scarpe marrone, roba da brividi.) Ora, il giallo classico come può considerarsi “esteso”? Ad esempio, sostituendo al ragionamento analitico il ragionamento meccanico: il che è molto moderno, se vedi. Secondo me, ad esempio, Ed McBain appartiene al “ragionamento meccanico”, ovvero al lavoro di piedi e routine che consente la soluzione del caso. Nel moderno noir, forse manca sia l’uno che l’altro: al ragionamento si sostituisce l’emotività – soprattutto se estrema. Ma è un’idea così, eh, senza pretese.

  42. Fabio Lotti

    Il problema, caro Massimo, non è il giallo classico e il noir ma i giallisti classici e i noiristi…:-)

  43. Piero

    @Massimo: l’investigazione modello Callaghan opposta a quella modello Philo Vance, insomma !
    Quello che secondo me fuorvia è che tuttavia, parlando di Noir, si usa questo termine anche per parlare d’altro, per comprendere generi sostanzialmente diversi. E soprattutto si fa confusione quando alcuni dovrebbero dire Nero e dicono Noir: non è la stessa cosa! Ma intanto il danno e la confusione sono cosa fatta.

  44. Massimo

    @Piero: d’accordo sull’uso “caotico” dei termini, ma d’altronde la lingua è movimento e il significato cambia nel tempo a seconda dell’uso invalso. A essere proprio precisi, “noir” è termine nato per descrivere le caratteristiche comuni di alcuni FILM, quindi siamo parecchio fuori dal conio.
    Quanto a Callaghan, lui non risolveva i casi di omicidio: li eliminava! (dallo strillo di una locandina italiana). Diverso è l’87°: lì viene descritto un preciso procedimento “meccanico” che porta alla soluzione dei casi.

  45. Piero

    @Massimo:
    Ad essere ancora più precisi, “NOIR” è termine che risale alla metà degli anni ’40 quando così passò a indicare l’hard-boiled americano in quanto Nere erano le copertine dei libri che lo trattavano. Ancor più in particolare, fu Marcel Duhamel a scoprire tre libri, 2 di Cheyney e uno di Chase; fu approntata la creazione di una collana di libri e Jacques Prevert trovò il titolo : la “Série noire”. Fu detta così perchè i libri erano cartonati e in colore nero e giallo e la sovracopertina era nera con bordino bianco.
    :-)

  46. Massimo

    Corretto, in effetti il termine “noir” nasce per il cinema da Frank, nel ’46, mentre la Serie Noir è di fine ’45 e ad essa si ispirò per l’appunto in Frank. In ambo i casi, però, il termine attuale è piuttosto tracimato fuori dalle vecchie definizioni e contesti… d’altronde, nomina sunt consequentia rerum, e quindi dobbiamo essere realisti, no?

  47. Piero

    Nonostante esuli dal tema del Blog, e sia più attinente alla Fantascienza, consiglio caldamente chi non lo possegga (io non l’avevo e l’ho acquistato) di procurarsi l’ultimo URANIA Collezione n.83 : si tratta di “Storie del tempo e dello spazio” del grande scrittore (anche) giallista ANTHONY BOUCHER.
    Chi voglia poi acculturarsi su tale scrittore, legga poi l’articolo del grande LIPPI nel Blog URANIA.

  48. Massimo

    Già comprato! E bisogna dar atto a Lippi che i suoi saggi sono sempre interessanti e competentissimi. Io me ne ricordo uno a corredo di un’edizione di Psycho 1 e 2 di Robert Bloch, in un unico volume, in cui costruiva un falso saggio che riprendeva, come fossero reali, alcuni personaggi del secondo romanzo…

  49. Piero

    Io mi ricordo invece quello che fece su “Carr e il fantastico”, se non ricordo male, in appendice al GM, di Carter Dickson – Perchè uccidere Patience?, n.1821.

  50. Fabio Lotti

    Sono, purtroppo, anche qui http://corpifreddi.blogspot.com/
    O ammazzatemi…

  51. Piero

    Buon Natale a tutti quanti: ai presenti (Massimo Pietroselli, Fabio Lotti, Bernardo Cicchetti, Marco Piva), agli assenti (Luca Conti, Giulio Leoni), agli Dei che ogni tanto si trovano fra gli uomini (Boncompagni), a quelli che fra gli uomini non si sono affacciati che sporadicamente (Altieri), e infine a quelli che si son affacciati una sola volta (Igor Longo).
    Auguri a Giuseppina, Dario, ad Anne67 e a tutti gli altri, tra cui Stefano Di Marino.
    Ah..mi ero dimenticato : auguri anche a Quiller. E a Massimo Pigozzi.
    Auguri a tutti, insomma.
    Auguri anche a quelli che non conosco : a Montanari, a Casati, Catozzella, Caselli, etc..
    Auguri a tutti quanti.
    Auguri infine..a Paul Halter: dimenticato dagli altri, ma da me no.
    :-)

  52. Quiller

    Grazie Piero, auguri a tutti anche da parte mia.

  53. Bernardo Cicchetti

    Auguri ri tutto cuore a Piero e a tutti gli amici del blog.

  54. Piero

    Possa portare la Befana tanti regali a tutti quanti: ad Altieri, a Igor e Mauro, agli altri traduttori, ai membri della redazione, a Dario, a Luca, agli “irriducibili nemici/amici” Stefano alias Stephen Gunn alias Il Professionista, e Kurt Dehn ; a Fabio, Giuseppina, Marco, Manuela, Bernardo, Quiller, e tutti gli altri vici e lontani. E soprattutto tanta salute; perchè se non c’è, cosa ci rimane poi?
    E tanti libri.
    Io sto leggendo una palmina memorabile, di Steeman : “L’esperimento del dottor Arthaus”.
    Ah, quant’era grande Steeman !
    Piero augura una felice Epifania a tutti voi e alle vostre famiglie; e ai vostri amici ovviamente.
    :-)

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