Dissertando di Camere Chiuse:John Dickson Carr Vs Clayton Rawson
Puntuale come il rapido delle 7e40, arriva il nuovo articolo firmato Pietro De Palma. L’amico Pietro ha anche un interessante blog , sul quale vi invito a leggere la recensione di un capolavoro del noir dal titolo ” Lo strano amore di Martha Ivers”. Buone letture e buone vacanze (a chi le fa!).
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Il primo ad aver inventato una Camera Chiusa, The Big Bow Mystery, nel 1896, fu Israel Zangwill; ma il primo ad aver elevato il problema ed il sottogenere narrativo, che da essa prese il nome, ad un tale livello di raffinatezza da assurgere a vette di inusitata grandezza, fu John Dickson Carr.
John Dickson Carr, che pur americano visse per molti anni in Inghilterra, fin dall’inizio della sua attività, provò a fondere, nelle sue opere narrative, più generi: il fantastico, il sovrannaturale, il gotico, il poliziesco ad enigma, creando virtuosistici intrecci il cui scopo era mettere in crisi il lettore, costringendolo prima ad accettare passivamente una situazione dei fatti che pareva incredibile se non addirittura sovrannaturale, per poi accantonarla, sulla base di una soluzione tecnicamente ineccepibile, di cui forniva tutti gli appigli logici, così da comporre il puzzle e dargli forma definitiva .
I suoi romanzi, fin dal primo di essi, rifuggirono da trame troppo semplici, e si concentrarono preferibilmente sui temi classici del “whodunnit”, e in particolar modo quelli del “delitto impossibile” (come per esempio The Curse of the Bronze Lamp, in cui si ricollega idealmente, nella dedica ad Ellery Queen, ad un radiodramma di quest’ultimo, The Disappearance of Mr. James Phillimore, trasmesso il 14 o 16 gennaio 1943), e ancor più in modo massiccio, quelli de “la Camera Chiusa”; anzi, proprio per la trattazione sistematica di tutte le possibili variazioni di una Camera Chiusa, Carr è ritenuto da tutti, il più grande tra tutti i romanzieri che abbiano trattato questo particolare genere poliziesco, in cui l’elemento centrale non è tanto quello di scoprire il responsabile quanto come il crimine (delitto, furto o quant’altro) venga commesso.
Invariabilmente, in tutti i romanzi che abbiano una Camera Chiusa, la prima impressione degli investigatori coinvolti nell’indagine è che il criminale sia svanito nel nulla : è inutile dire quanto Carr amasse questa situazione del “delitto impossibile” e come svanire nell’aria fosse diventata la sua fissazione (soleva dire “faded into thin air”).
Discende, ovviamente da ciò, il fatto che, la soluzione debba ascriversi o a evento soprannaturale o invece che essa debba avere una base rigorosamente logica. Ma, una volta inventata la situazione paradossale di un delitto avvenuto all’interno di camera chiusa dall’interno, sono state create via via, non solo da Carr ma da una nutrita schiera di scrittori versati al problema, tutte le possibili varianti: camera chiusa dall’interno, camera le cui entrate sono guardate a vista da soggetti di fiducia, camera in cui esistono marchingegni fisici in grado di creare la situazione di impossibilità, situazioni non previste che fanno scattare il presupposto di impossibilità, “camere allargate” (distese di neve, di sabbia, di acqua), “camere” diverse (automobili, cabine telefoniche, tetti, scale), etc..
Carr, del resto, a confermare la fama che dall’esterno gli è stata riconosciuta, tentò ad un certo punto, di dare una classificazione il più possibile esaustiva delle Camere, fondandola su molteplici sottocategorie. Va da sé che l’aver posto una tale trattazione teorica, in un romanzo piuttosto che in un altro, deve aver significato qualcosa per lui : deve cioè aver conferito a quel romanzo (che è The Hollow Man, “Le tre bare”), il sigillo dell’opera migliore, o almeno dell’opera più rappresentativa tra i tanti firmati John Dickson Carr.
E’ però il caso di sottolineare che, nell’ambito della produzione firmata come sopra in cui trovano spazio le due serie di Henri Bencolin e di Gideon Fell e parecchi romanzi storici, il genere de “The Looked Room” non è quello preferito, in quanto se è vero che notevoli e addirittura eccezionali sono alcuni esiti (oltre a The Hollow Man, ci piace ricordare He Who Whispers o The Case of the Constant Suicides o ancora The Witch of the Low Tide ) è altrettanto vero che vi sono altri romanzi che non contengono Camere Chiuse anche se sono di altrettanta eccezionale fattura (ad es. Arabian Nights Murder ); e quindi ci pare significativo che aver ideato una dissertazione teorica sul genere della Camera Chiusa, e averla inserita in uno dei pochi romanzi capolavori firmati con il suo nome e cognome, nell’ambito di una serie di romanzi in cui molti non contengono questa particolare situazione, debba avere un significato particolare: perché cioè non inserire la “Looked-Room Lecture” nell’ambito della serie che ha protagonista principale H.M. e firmata Carter Dickson, votata proprio alla Camera Chiusa?
Innanzitutto The Hollow Man è del 1935: prima di esso, Carr aveva firmato con il suo nome e cognome per esteso Hag’s Nook e The Mad Hatter Mystery nel 1933, Eight of Swords e The Blind Barber nel 1934, e Death Watch già nel 1935, oltre che 3 dei quattro titoli con Bencolin; mentre con pseudonimo Carter Dickson, The Plague Court Murders e The White Priory Murders nel 1934, e The Red Widow Murders (primo romanzo di Carr pubblicato in Italia) nel 1935.
Ora, perché mai Carr pensò bene di affidare a Fell invece che a Bencolin e ancor più ad H.M. la “Looked-Room Lecture”? Intanto i romanzi con Bencolin prima del 1935, seppure geniali, sono intrisi sino al midollo e sino alla fine di un’atmosfera nera e gotica che stride con quella solare della razionalità affermata; inoltre quelli con H.M., se proprio si vuole analizzare per bene il tutto, non è proprio vero che non abbiano anche loro le proprie dissertazioni: infatti, in due romanzi con H.M. della prima serie, quella che va sino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, cioè in The White Priory Murders del 1934 e in The Peacock Feather Murders o The Ten Teacups del 1937 vi sono due riflessioni, che seppur più contenute della “Conferenza di Fell”, a parer mio hanno pari importanza. Per questo ritengo opportuno metterle a confronto con quella più celebre per accentuare il fatto che Carr, laddove pontifichi, non lo faccia mai a vanvera; e che le riflessioni che Carr mette in bocca a H.M., pur ignorate o almeno sottovalutate dai critici, abbiano pari valore, sottolineando un aspetto che nella trattazione teorica ne “Le tre bare”, manca.
Cominciamo con la celeberrima dissertazione sulle camere chiuse (da cui espungerò i passi per me più significativi), presente in The Hollow Man (1935):
“La maggior parte dei lettori, sono lieto di dire, va matta per le stanze chiuse. Ma – è qui il maledetto guaio – perfino i loro amici sono frequentemente dubbiosi. Io ammetto di esserlo spesso. Quindi, per il momento, ci metteremo tutti quanti a studiare la faccenda e vediamo cosa riusciamo a scoprire. Perché siamo dubbiosi quando sentiamo la spiegazione della stanza chiusa?….
Un uomo scappa da una stanza chiusa a chiave..be’?… È la fuga dalla stanza che mi lascia perplesso. E per vedere se riusciamo a trovare un filo conduttore, traccerò un abbozzo sommario dei vari sistemi per commettere delitti in stanze sigillate, classificandoli separatamente.
– Primo! C’è il delitto commesso in una stanza ermeticamente sigillata che è realmente sigillata ermeticamente e dalla quale nessun assassino è mai uscito perché nella stanza non c’era nessuno. Spiegazioni:
Uno. Non è assassinio ma una serie di coincidenze che finiscono con un incidente che somiglia a un assassinio. Poco prima che la stanza venisse chiusa c’è stato un furto, un’aggressione, un ferimento, oppure un rumore di mobili che si spaccano che fa pensare a una lotta mortale. Più tardi la vittima viene incidentalmente uccisa o stordita in una stanza chiusa e si presume che tutti questi avvenimenti abbiano avuto luogo nello stesso tempo…
Due. È delitto, ma la vittima è costretta a uccidersi o a soccombere accidentalmente. Questo può avvenire a causa di una stanza abitata dagli spettri, per suggestione, o più normalmente, per del gas filtrato dall’esterno. Questo gas o veleno fa perdere la testa alla vittima che si abbandona a violenze sfasciando la stanza come se vi fosse stata una lotta, tanto che finisce col morire per una ferita da coltello che s’infligge da se stesso…
Tre. È delitto, per mezzo di un congegno meccanico installato nella stanza e nascosto in un qualunque mobile dall’aspetto innocente…
Quattro. È suicidio con l’intenzione di farlo apparire delitto. Un uomo si accoltella con un ghiacciolo, il ghiacciolo si scioglie! e poiché nella stanza non si trova nessun’arma, si presume il delitto. Un uomo si spara con un’arma legata a un elastico… l’arma, quando lui la lascia andare, sparisce nel camino, fuori dalla vista. Varianti di questo trucco (non concernenti stanze chiuse) sono state la pistola, attaccata a un peso con una cordicella, che dopo lo sparo schizza nell’acqua dal parapetto di un ponte; e, sullo stesso stile, la pistola gettata da una finestra in un cumulo di neve.
Cinque. È un delitto che trae il suo problema dall’illusione ottica e dalla personificazione. Così: la vittima, ritenuta sempre viva, è già assassinata dentro una stanza la cui porta è sorvegliata. L’assassino, sia vestito come la sua vittima o scambiato, da dietro, per la vittima, entra precipitosamente nella stanza. E precipitosamente si libera del travestimento ed esce istantaneamente dalla porta sotto le proprie spoglie. L’illusione ottica è che lui, uscendo, si sia semplicemente scontrato con l’altro. Qualunque cosa accada, lui ha un alibi perfetto perché, quando più tardi verrà scoperto il cadavere, si presumerà che il delitto sia stato commesso dopo che la vittima impersonata è entrata nella stanza.
Sei. È un delitto che, per quanto commesso da qualcuno sul momento fuori della stanza, sembra commesso da qualcuno che doveva essere stato dentro la stanza.
“Nello spiegarvi questo – disse il dottor Fell interrompendosi bruscamente – classificherò simile tipo di delitto sotto il nome di Delitto da Lontano o Delitto del Ghiacciolo, dato che di solito è una variante di quel principio. Ho già parlato dei ghiaccioli, capite cosa intendo. La porta è chiusa ermeticamente, la finestra è troppo piccola perché l’assassino possa passarvi, tuttavia la vittima viene pugnalata nell’interno della stanza e l’arma è introvabile. Be’, il ghiacciolo è stato sparato dall’esterno come una pallottola… non staremo a cavillare se sia possibile o meno, non più di quanto abbiamo fatto per i misteriosi gas cui ho accennato prima – e si scioglie senza lasciar traccia.
Sette. Questo è un delitto che dipende da un effetto esattamente alla rovescia di quello del numero cinque. Cioè si presume che la vittima sia morta molto prima di quello che è in realtà. La vittima è addormentata (drogata ma illesa) in una stanza chiusa. I colpi alla porta non riescono a svegliarla. L’assassino si finge molto spaventato, forza la porta, entra per primo e uccide, pugnalando o sgozzando e suggestionando poi gli altri a credere di aver visto qualcosa che non hanno visto… – Calma! Un momento! – interruppe Hadley battendo sul tavolo per ottenere attenzione. Il dottor Fell, con espressione soddisfatta, si voltò gentilmente verso di lui e gli sorrise. Hadley continuò: – Tutto questo sarà magnifico. Hai sviscerato tutte le situazioni delle camere chiuse…
– Tutte? – ribattè il dottor Fell spalancando gli occhi. – Non proprio, direi. Non ho neanche trattato a fondo i metodi sotto quella determinata classificazione. Ho fatto solo un abbozzo. Bah, lasciamo perdere.
Ora stavo per parlare dei vari sistemi di truccare porte e finestre in modo che sembrino chiuse dall’interno. Ah. Ehm. Ecco, signori. Continuerò….C’è il camino vuoto con la stanza segreta dietro…. Ma l’assassino che taglia la corda arrampicandosi su per un camino è rarissimo…Delle due principali classifiche – porte e finestre – la porta è di gran lunga la più popolare e vi posso elencare qualche sistema in modo che sembri chiusa dall’interno.
Primo. Trafficare con la chiave che è sempre nella serratura. Questo era il metodo antico preferito, ma le sue varianti sono troppo note oggi perché qualcuno le usi seriamente. Il gambo di una chiave può essere afferrato e girato dall’esterno: noi stessi lo abbiamo fatto per aprire la porta dello studio di Grimaud…
Secondo. Togliendo i cardini della porta senza toccare la serratura o il paletto. Questo è un trucco ingegnoso noto alla maggior parte dei ragazzini quando vogliono aprire una credenza chiusa a chiave, naturalmente i cardini devono essere dalla parte esterna.
Terzo. Manomettere il paletto. Cordoncino di nuovo. Questa volta con un congegno di spilli o aghi da rammendo, per mezzo del quale il paletto viene spinto dall’esterno dall’azione della leva di uno spillo infilato all’interno della porta mentre il cordoncino è infilato nel buco della serratura. Philo Vance, al quale faccio tanto di cappello, ci ha mostrato la migliore applicazione di questa trovata…Ellery Queen ci ha mostrato un altro sistema ancora, che comportava la partecipazione del morto stesso… ma raccontato così senza parlare di tutti gli sviluppi farebbe un effetto talmente pazzesco che non si renderebbe un buon servigio a quel geniale scrittore.
Quarto. Manomettere un saliscendi. Questo normalmente si effettua incastrando sotto la sprangherà qualcosa che può essere eliminato dopo che la porta è stata chiusa dall’esterno, in modo che la sprangherà possa ricadere. Il miglior metodo è di gran lunga l’uso dell’insostituibile cubetto di ghiaccio: lo si mette sotto la sprangherà e non appena è sciolto, la spranghetta scende. C’è anche un caso in cui la brusca chiusura della porta basta a far cadere la spranghetta.
Quinto. Un’illusione ottica, semplice, ma efficace. L’assassino, dopo aver commesso il suo delitto, ha chiuso la porta dall’esterno e si è tenuto la chiave.
(John Dickson Carr, The Hollow Man, “Le tre bare”, traduz. Maria Luisa Bocchino, I Classici del Giallo Mondadori N.234 del 1976, passi tratti dal Cap.17 “La conferenza sulla stanza chiusa a chiave”, pagg.183-195).
Come si vede, Carr mette in chiaro sette modi per perpetrare un delitto in una stanza cosiddetta chiusa, creando un problema per gli eventuali investigatori, ma in realtà, uno dei sette modi, il sesto, è una variazione complicata di altro, cioè del quarto. Tutto quanto Fell espone può dirsi una summa tecnica dell’allestimento di una Camera Chiusa; manca però in questa trattazione, la spiegazione del perché secondo Fell un possibile assassino ricorra alla preparazione di una situazione impossibile: manca cioè la parte che ne spieghi la psicologia dell’intento. Ecco allora che Carr vi mette mano, nel ciclo di H.M. firmato Carter Dickson.
A ben vedere, però, la prima riflessione di Merrivale precede quella di Fell di un anno :
“Questo problema della camera chiusa vi turba i sonni, vero? E’ i1 vostro unico e personale incubo. Pare quasi che gli assassini lo facciano apposta a far passare da fesso l’ispettore capo Humphrey Masters rifiutandosi di rispettare le regole della logica. Stavolta, però, la questione è anche più spinosa. Se aveste solo il problema della camera chiusa, sareste ricco e felice:tutti conoscono qualche trucco per chiudere una porta dall’esterno. Si possono tirare catenacci con un semplice meccanismo organizzato con spilli e filo. Si possono far girare chiavi la serratura per mezzo di una pinza sottile. Si possono staccare dai cardini porte intere e poi rimetterle senza disturbare affatto la serratura. Ma quando la camera chiusa è rappresentata dal semplice, puerile, folle problema di due centimetri di neve intatta per un perimetro di trenta metri quadrati, allora…bè, lasciamo andare. Però c’è di peggio, Masters…La prima cosa da fare è stabilire il movente dell’assassino. Non il movente che lo ha spinto a commettere il delitto, ma quello che lo ha indotto a creare una situazione del genere. Questo è importantissimo, figlio, perché è il migliore zio che ci potrà guidare al movente del delitto. Perché ha fatto questo? Nessuno, tranne un pazzo, si divertirebbe a creare un problema insolubile al solo scopo di farsi quattro risate spalle della polizia…
Prima di tutto, potrebbe aver voluto far credere a un suicidio. La cosa è semplice. Io vengo a casa vostra, vi sparo in fronte e vi caccio la pistola in mano. Diciamo che si tratti di una casa come questa, con i vetri a pannelli. Niente di meglio. Chiudo a chiave e a chiavistello la porta dall’interno. Ho con me una borsa contenente un vetro tagliato nella misura giusta, stucco e attrezzi. Tolgo uno dei pannelli accanto alla serratura. Esco dalla finestra, infilo la mano dal buco e la richiudo dall’interno. Dopo rimpiazzo il pannello vecchio col mio nuovo: lo fisso con lo stucco, vi soffio sopra un po’ di polvere perché abbia lo stesso aspetto degli altri e me ne vado. Così la camera risulta perfettamente chiusa e tutti penseranno che voi vi siate suicidato.”…
“Secondo. Si può mettere in scena un fantasma, ossia qualcuno può cercare di far credere che si tratti di un delitto soprannaturale. Accade di rado: nel migliore dei casi presenta un sacco di complicazioni e difficoltà, senza contare che si debbono preparare con cura sia l’atmosfera che le circostanze. Ovviamente nulla del genere compare nel delitto che c’interessa, perché nessuno ha finora cercato di suggerire soluzioni soprannaturali; anzi, nessuno ha neppure insinuato che il padiglione sia frequentato da fantasmi assassini.
“Infine abbiamo l’incidente, ossia l’assassino che crea una situazione impossibile suo malgrado, senza volerlo. Facciamo un esempio. Voi e l’ispettore Potter dormite in camere contigue; e l’unica porta esterna, che dà nella sua stanza, è chiusa a chiave dall’interno. Io voglio uccidere voi e far cadere i sospetti su di lui. Vengo durante la notte, entro col solito trucco del pannello di vetro della finestra, vi pugnalo al buio ed esco per dove sono entrato, rimettendo poi il vetro. Tutto bene. Ma ho dimenticato o trascurato una cosa: che la porta di comunicazione tra la vostra camera e quella di Potter è chiusa e sbarrata dalla parte vostra… e così ecco che ho creato una situazione impossibile. Grrr!” (Carter Dickson, The White Priory Murders, Assassinio nell’Abbazia, trad. A.M.Francavilla, I Classici del Giallo Mondadori N.614 del 1990, pagg. 122-123).
In sostanza, Carr in questo primo accenno ad una discussione sulla Camera Chiusa, distingue tre distinti moventi che possono spingere il reo a servirsi di una Camera Chiusa nella propria macchinazione: far credere ad un suicidio; inscenare la situazione sovrannaturale; inscenare un suicidio dimenticando qualcosa che invece possa spingere nella direzione di una situazione impossibile, oppure verificandosi qualcosa di imponderabile che sfugga alla stessa volontà dell’omicida e creando un presupposto di impossibilità.
Non è però l’unica parola di Merrivale sul movente che abbia potuto indurre un assassino a servirsi di una Camera Chiusa. L’ultima parola su questo interessante aspetto, infatti, Merrivale la consegna quattro anni dopo (anche se il tempo di Merrivale è inferiore):
“Una volta, un paio d’anni fa, io elaborai una teoria. Dissi che c’erano solo tre motivi perché un assassino creasse la situazione della “camera chiusa”: primo, per dare l’impressione che si trattasse di suicidio; secondo, per far pensare che fossero stati i fantasmi; terzo, per una serie di circostanze che l’assassino stesso non aveva potuto evitare. Be’, mi sbagliavo. Mentre passo passo mi appariva chiaro il modo in cui era stato realizzato il gioco di prestigio del quale ci stiamo occupando, ho capito altresì che esisteva un quarto motivo, il più astuto e il più intelligente. Un criminale arcifurbo finalmente ha visto il valore legale dell’impossibilità; si è reso conto che, se riusciva a creare una situazione davvero impossibile, non avrebbero mai potuto condannarlo per omicidio, neppure dinanzi ad altre prove tanto convincenti da far impiccare una schiera di vescovi. Lui non ha cercato di eludere il potere che la legge ha d’investigare, ma solo il suo potere di punire. Ha compreso che in confronto all’impossibilità, ogni altra maniera di celare le proprie tracce sarebbe stata goffa e di esito incerto.
“Vedete, un criminale dei soliti magari decide di commettere un delitto e di coprirsi… in che modo? Generalmente con un alibi. Manipola orologi, salta dentro e fuori da autobus e treni, s’imbroglia in chilometri di biglietti e di orari e non si rende conto che il suo comportamento lo mette nel pericolo più grave, perché ogni tappa viene a dipendere da testimonianze altrui, ogni tappa genera nuove complicazioni, ogni tappa gli fa correre il rischio di venir colto in flagrante menzogna.
“Supponete invece che lui uccida la sua vittima in modo tale che la polizia non può dire come ha fatto… una stanza chiusa, un cadavere che giace nella neve intatta… quel che volete. Be’, la polizia può esser sicura che è stato lui. Può pescarlo con le mani insanguinate e il bottino in tasca. Se ha il coraggio di spedirlo in tribunale, giudice e giuria possono essere altrettanto sicuri della sua colpevolezza. Ma se la pubblica accusa non può spiegare come è stato commesso il delitto, l’assassino dovrà essere assolto per forza. Un tribunale non decide basandosi sulla probabilità ma sulla certezza. Fa bene, dunque, il nostro criminale a riporre la sua fede nel principio su cui si basa il diritto penale: il ragionevole dubbio” (Carter Dickson, The Peacock Feather Murders o The Ten Teacups, Il Mistero delle Penne di Pavone, trad. A.M.Francavilla, I Classici del Giallo Mondadori N.493 del 1985, pagg. 185-186).
Interessantissimo questo confronto, vero? Fell parla di tecnica, Merrivale di psicologia: ecco perché Carr scompone i due aspetti: vuole che siano trattati separatamente dai due suoi maggiori personaggi, dando importanza ad entrambi. Eppure, il giudizio di Merrivale, a torto, negli anni, è stato sottovalutato:ancor di più nel romanzo del 1937 rispetto a quello del 1934, Carr fa emergere la ragione vera che sottende alla necessità di allestire una Camera: è l’unico modo che l’assassino abbia, per mettere alla polizia il bavaglio. Chi infatti, pur arrestandolo, non convincerà il giudice esponendo una teoria che spieghi esattamente come l’assassinio sia stato perpetrato, dovrà per forza rimetterlo in libertà. Perché quello che serve non sono indizi seppur parecchio sicuri, quanto la certezza assoluta.
Carr quindi rappresenta sicuramente il massimo. Ma in questo caso “massimo” non è concetto assoluto, quanto relativo: infatti, se è vero che la “conferenza sulle Camere Chiuse ” di Gideon Fell, e le due riflessioni interessantissime di H.M. costituiscono un monumento per tutti coloro che ne riconoscono il primato, è anche vero che esse possono considerarsi un contraltare rispetto all’altra straordinaria “conferenza”, quella che Clayton Rawson, grande amico di Carr, fa tenere al grande Merlini.
Clayton Rawson inserì la sua “Looked-room lecture” nell’ambito del suo straordinario Death from a Top Hat, romanzo del 1938, in cui si trovano due straordinarie Camere. Anche lui, ovviamente, parla di Carr, solo che questa volta il dialogo di Merlini, con l’ispettore e altri personaggi, non si limita ad una mera riflessione o anche ripetizione, bensì ad una analisi critica che amplia in maniera significativa gli orizzonti della trattazione di Carr. Inoltre va detto, che Rawson presenta in maniera assai originale il confronto di Merlini con Carr: gli fa affermare che Carr non sia stato un autore originale in quanto egli avrebbe trasferito in maniera romanzata le gesta di un vero detective inglese, Gideon Fell.
A seguire, ecco dei passi significativi della dissertazione, al cap. 13, Designs for escape, “Piani per la fuga”: i brani sono in lingua madre, perché la traduttrice del romanzo pubblicato in Italia da Mondadori (I Classici del Giallo N.417 del 1983), omise nella traduzione proprio la dissertazione, che è una delle cose più interessanti del romanzo:
“…” Then, with sudden seriousness, he asked, “Ever hear of Dr. Fell, Inspector?”
Gavigan’s grunt was negative.
“Harte?”
“I’m way ahead of you. You’re thinking of his ‘Locked Room Lecture’ in The Three Coffins. Right?”
Merlini nodded, his eyes twinkling. “Yes. Dr. Fell, Inspector, is an English detective of considerable ability, whose cases have been recorded by John Dickson Carr. Locked rooms are a specialty of his. And, in the book Harte mentions, he outlined a fairly comprehensive classification of the possible methods of committing murder and contriving to have the body found in a sealed room-minus murderer.
“He mentions two major classes: (A) The crime committed in a hermetically sealed room which really is hermetically sealed, and from which no murderer has escaped, because no murderer was actually in the room, and (B) the crime committed in a room which only appears to be hermetically sealed, and from which there is some more or less subtle means of escape.”
Gavigan puffed at his pipe and I listened carefully.
“The first class includes such devices as,” he ticked them off on his fingers:
“1. Accident that looks like murder.
“2. Suicide that does the same.
“3. Murder by remote control, in which the victim meets death violently, and apparently by someone’s hands, but in reality through poison, gas, or at his own hands, being forced to it by outside suggestion.
“4. Murder by a long list of mechanical lethal devices, some of which, as they occur in detective fiction, are pretty silly.
“5. Murder by means of an animai, usually a snake, insect, or monkey.
“6. Murder by someone outside the room, but which looks as if the murderer must have been inside; dagger fired through windows from air guns-that sort of thing.
“7. Murder by illusion, or the Cockeyed Time Sequence. The room is sealed, not with locks and bolts, but because it is watched. The murderer kills his victim and walks out; then, when the observer has taken up his place before the only door, he makes it appear that the victim, is still alive. Later, when he is discovered foully done in, it appears impossible.
“8. The reverse of 7. The victim is made to appear dead while he is stili alive, and the murderer enters the room just in advance of the others, and accomplishes his dirty work then.
“And, finally, No. 9 is perhaps the neatest trick of them all, because essentially it is the simplest. The victim receives his mortal wound elsewhere, in the conservatory or the music room; and then, still traveling under his own power, enters the room in question, preferably a library, and manages to lock himself securely in before popping off.”
“They don’t do that when they’ve been strangled,” Gavigan protested.
“No,” Merlini agreed. “Sabbat’s murder doesn’t seem to fall in Class A, unless you can conceive of some mechanical contraption that will strangle a man and then evaporate. Icicle daggers or bullets that vanish by melting may be practical, but offhand l’d say a man couldn’t be strangled very efficiently with a piece of ice.”
“You forgot method No. 10,” Gavigan added quietly. “Murder by the supernatural, which includes such damn foolishness as homicidal pixies who can dematerialize and Watrous’s theory of strangulation by etheric vibrations. Proceed, professor. Get the rest of it out of your system.”
“You’ve got the patter down very well, Inspector.” Merlini grinned. “It begins to get interesting now. Class B, the hermetically sealed room that only looks that way because the murderer has tampered with the doors, transoms, windows, or chimneys; or because he has been thoughtfully provided with a sliding panel or secret passageway. The last contingency is so whiskered a device that we’ll pass it without comment. Doors and windows, however, can be hocused by :
“1. Turning the key which is on the inside from the outside with pliers or string. The same goes for bolts and catchcs on windows.
“2. Leaving at the hinge side of the door, without disturbing either lock or bolt, and replacing the screws.
“3. Removing a pane of glass and reaching through from outside to lock the window, and replacing the glass from the outside.
“4. Accomplishing some acrobatic maneuver that overcomes the seeming inaccessibility of a window-hanging by one’s teeth from the eaves or walking a tightrope.
“5. Locking the door on the outside, and then replacing the key or throwing the bolt on the inside, after breaking in with the others to discover the body.
“Hey!” the Inspector yelled. “Stop it! Just consider I didn’t mention the subject.”
Merlini spluttered a bit, then calmed down. “There is,” he announced unexpectedly, “one more class of locked-room flim-,flam. Class C.”…
…. “What is ClassC?” »
“It’s something Dr. Fell didn’t mention, as I remember. Superintendent Hadley was always interrupting him in the most interesting places.”
“If this Fell person always had to work up a lather of suspense on his listeners before he carne out with it, I don’t blame the Superintendent. Get on with it!”
“Class C includes those murders which are committed in a hermetically sealed room which really is hermetically sealed and from which no murderer escapes, not because he wasn’t there, but because he stays there, hidden-”
“But-” Gavigan and I both started to protest.
“Stays there hidden until after the room has been broken into, and leaves before it is searched!”
“Harte!” Gavigan turned on me. “What about it?” “Not a chance,” I said, and then, almost before my words had traveled a foot, I saw it. I grimaced; it was so ridiculously simple. Our attention had been so occupied with the triplicate sealing of the doors, the locking, boiting, and keyhole stuffing, that we had overlooked the obvious.”
Gli ampi inserti sono stati tratti da Clayton Rawson, Death from a Top Hat, Dell, N. 69/1945, pagg.107-113,Chapter Thirteen, “Designs for escape”, edizione originale messami gentilmente a disposizione dal mio amico e grandissimo conoscitore di letteratura gialla, Tiziano Agnelli.
Riassumendo quanto prima riportato, Rawson, attraverso Merlini, innanzitutto distingue tra due classi diverse di Camere: la classe A che comprende quelle Camere effettivamente chiuse ma da cui nessun assassino è scappato perché nessun assassino davvero vi stava dentro, e la classe B che è quella cui appartengono Camere che solo apparentemente sembrano effettivamente chiuse e da cui ci sono più sottili metodi di fuga. Alla prima classe (A) appartengono: incidente che sembra assassinio; assassinio che sembra suicidio; assassinio servendosi di gas, veleno, e inducendo la vittima ad uccidersi; assassinio provocato da marchingegni letali e meccanici; assassinio da parte di animali, tra i quali scimmie, serpenti, insetti; assassinio perpetrato fuori da una stanza, servendosi di armi ad aria compressa da sparare attraverso la finestra per far credere che l’assassino fosse dentro; assassinio servendosi dell’illusione: non vi sono porte o finestre sbarrate, perché le uscite sono guardate a vista, e ‘omicida che ha già assiso la vittima, si fa vedere fuori richiamando l’attenzione sul fatto che la vittima in realtà sia ancora viva e vegeta, cosicché quando muore, la cosa pare impossibile; l’inverso della precedente: la vittima è viva e vegeta e magari solo addormentata, ma l’assassino insinua il dubbio e fa credere ad altri che invece sia morta, e così facendo in modo di essere il primo ad accorrere, in un secondo l’uccide, determinando la situazione precedentemente impossibile; e infine, la ferita mortale la riceve in altro ambiente, ma magari sottovaluta il tutto o non se ne accorge, si chiude nella sua stanza, e quindi causa la situazione impossibile.
Clayton Rawson amplia quindi pertanto la dissertazione di Carr. E’ il solo a farlo e quindi è il solo che a ragione possa dirsi l’anti-Carr: motivi di profonda amicizia e di sana rivalità professionale, portarono Rawson che era uno dei più grandi illusionisti e maghi d’America, a confrontarsi e a cercare un’alternativa o un ampliamento rispetto alla teoria carriana. Ma le sorprese non finiscono qui. Infatti nel prosieguo della dissertazione, Merlini osserva che alla seconda classe (B) appartengono tutti quei metodi che consentono di perpetrare un delitto in una camera chiusa e poi di uscirne, alterando serrature, chiavistelli, finestre, camini, oppure servendosi di pannelli o ingressi segreti: girando la chiave dall’esterno servendosi di pinze; rimuovendo la porta dai cardini, senza disturbare la serratura e sostituendo le viti; rimuovendo un pannello di vetro della finestra e poi rimettendolo al posto dall’esterno; servendosi di manovre acrobatiche per superare l’altezza di finestre poste in alto, o camminando sulla fine o servendosi di grondaie; chiudendo la porta dall’esterno con una chiave, sostituendola poi e inducendo i presenti ad abbattere la porta assieme a lui (e magari aggiungo io, nel caso si sia inserita una chiave non a fondo e non la chiave di quella serratura, ma per far vedere che comunque ci fosse, sostituirla con quella effettiva con cui si è chiusa la stanza dall’esterno); e che, si badi bene, c’è anche una terza classe (C) di cui, dice lui Merlini, Fell non aveva parlato perché interrotto da Hadley: la classe in cui rientra l’assassinio commesso in una stanza veramente chiusa anzi sigillata, da cui l’assassino non è uscito perché al momento in cui c’è l’irruzione, da qualche parte vi è nascosto dentro pronto a confondersi agli altri.
Questa è l’uscita plateale di Merlini, la cosa ovvia a cui nessuno aveva pensato: ecco perché Rawson è davvero l’anti-Carr..
Pietro De Palma
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luglio 30th, 2011 at 16:39
non male!
luglio 30th, 2011 at 20:07
Un articolo davvero interessante. Il fatto che esista una classificazione teorica dei vari modi di commettere un assassinio all’interno di una camera chiusa mi lascia supporre che la soluzione di una qualunque situazione rientrante nella categoria della “locked room” non possa essere altro che una variante di una delle metodologie considerate in questa classificazione.
luglio 30th, 2011 at 21:14
Diciamo che la prima camera chiusa nella storia della letteratura (ingenua quanto si vuole, ma sempre camera chiusa è, e bisogna riconoscere la paternità dell’idea) è stata inventata addirittura nel 1839 da Sheridan LeFanu nel racconto “Passage in the Secret History of an Irish Countess,” che lo stesso autore, circa un quarto di secolo dopo, ampliò nel famoso romanzo “Uncle Silas.”
luglio 31st, 2011 at 08:55
Ringrazio Dario come sempre per la sua disponibilità. Tuttavia, lo dico per coloro che forse potrebbero avere problemi di lettura, io avevo consegnato il pezzo con le parti tratte dai testi (originali o tradotti) rigorosamente in corsivo. Poi, in sede di pubblicazione, probabilmente il corsivo aggiungeva altro spazio, e allora..
Meno male che ho espunto il resto, altrimenti.. 😉
luglio 31st, 2011 at 09:01
Seconda considerazione.
Alla luce di quanto ho detto nella prima, c’è dell’altro materiale che mi riprometto di presentare a Dario per altro articolo, sempre parlando di dissertazioni di camere chiuse.
In sostanza, quindi, questa può ritenersi una prima parte, abbastanza sostanziosa: la seconda lo sarà meno, a meno che non mi si accendano altre lampadine, il che…non sarebbe cosa tanto assurda 😉
agosto 1st, 2011 at 01:11
Ti riferisci a questo, Luca?
“I felt a confidence arising from this reflection, an assurance of protection which I cannot
describe. There was no other means of escape, so I advanced, with a firm step and collected
mind, to the window. I noiselessly withdrew the bars and unclosed the shutters–I pushed open the casement, and, without waiting to look behind me, I ran with my utmost speed, scarcely
feeling the ground under me, down the avenue, taking care to keep upon the grass which
bordered it”.
“Passage in the Secret History of an Irish Countess” l’ho anch’io, ma per le ragioni che puoi ben capire avevo deciso di stralciarlo dalla trattazione. 😉
Va detto tuttavia che io credo (ti ricordi quando mi dicevi che è meglio il saggio di Greene rispetto a quello di Joshi?) che le dissertazioni di Carr e Rawson dovrebbero essere lette solo se il lettore avesse letto il resto. Molto spesso Carr nella dissertazione di The Hollow Man si comporta come Joshi, cioè esaminando i vari metodi, allude ai romanzi in cui prima di lui quei procedimenti son stati applicati e quindi ne svela le finalità.
agosto 1st, 2011 at 10:58
Eccellenti considerazioni. In parte le avevo trattate nella mia tesi sul delitto impossibile, ad ogni modo ho trovato particolarmente degno di nota il paragone tra le varie lezioni Carriane. Ottimo lavoro.
agosto 4th, 2011 at 12:59
il miglior complimento che posso fare a Piero per il suo saggio è prima di tutto ammettere che mi ha fatto correre a rileggere “Le tre bare”.
poi di avermi fatto venir voglia di recuperare l’originale inglese.
infine di avermi offerto insieme a Carr (e a O’Rourke ;)). lo spunto per un possibile nuovo post per il mio blog che giace impolverato e inattivo da troppo tempo.
manuela aka anne67
p.s. mi piace molto la nuova grafica.
così come ho apprezzato le scelte estive.
Carr e Queen ovviamente non si discutono.
mi sarebbe piaciuta una prefazione di Boncompagni anche per il primo.
Chaze è stata per me una scoperta assoluta e molto piacevole.
strano che sia sfuggiti ai grandi sceneggiatori/registi di noir americani.
ma mi ha sorpreso per la sua delicatezza e grazia anche il breve racconto di Child.
se la nuova strada continuasse ad essere questa credo diventerebbe più facile digerire l’aumento di prezzo.
per onestà ricordiamoci però anche di quanto costano le edizioni che rispondono in tutto e per tutto a quello che vorremmo per il GM.
buone vacanze a tutti!
agosto 4th, 2011 at 19:15
Sì Manuela, son d’accordo con te.
Quanto dice Luca sulle traduzioni lo firmo nero su bianco: è sacrosanto. Però oggettivamente bisogna anche vedere quanto costino i romanzi gialli Mondadori in edicola: una cifra irrisoria, al confronto di altri.
Una considerazione che mi viene spontanea: la raccolta dei lavori teatrali di Carr, acquistata da noi in edicola, costa euro 4,90; se l’avessimo acquistata presso Crippen & Landru sarebbe costata, sempre conoscendo bene l’americano, venti euro.
A queste condizioni, sfido chiunque a fare ancora considerazioni sul prezzo.
Spero però, come dice Manuela, che non sia un fuoco fatuo. E ho come il sospetto, ma può essere solo una mia considerazione fallace, che il Berkeley prossimo di agosto, anche questo inedito, in origine non dovesse uscire così ravvicinato rispetto al Carr. Sa tanto di operazione di mercato, per far riavvicinare i lettori da tanto tempo insoddisfatti.
Ma se è davvero operazione di mercato, vuol dire che si è cambiata pagina: spero davvero che sia così.
Per il resto un grazie sia a Stefano che conosco su Anobii sia a Manuela che è un’amica.
Anche a loro dico che questo articolo in origine sarebbe dovuto essere più lungo, ma poi mi è mancata una parte essenziale che sto ancora aspettando di poter ricevere, e allora il resto l’ho riservato per una continuazione che spero al più presto di poter far arrivare a Dario.
agosto 4th, 2011 at 22:15
Aggiungo un’altra cosa: nel riportare i passi di Rawson ho espunto tutto ciò che avrebbe potuto far capire quel che accade fino a quel momento nel libro da cui è tratta la discussione (cap.13). In questo modo ho voluto salvaguardare la bontà della lettura di quello che io reputo uno dei migliori whodunnit nella storia del romanzo giallo ad enigma, da parte di chi non lo avesse ancora letto.
agosto 5th, 2011 at 15:18
Piero, complimenti per l’articolo, davvero molto interessante e ricco di spunti.
Spiace che un romanzo notevole come quello di Rawson non sia stato più riproposto con una traduzione integrale.
Un’informazione: il radiodramma di Ellery Queen “The Disappearance of Mr. James Phillimore” è disponibile in italiano? Se sì, in quale raccolta è stato pubblicato?
agosto 5th, 2011 at 18:50
mi resta ancora una curiosità.
mi piacerebbe che i nostri esperti, Piero e Luca in testa ovviamente, ci indicassero quale è per loro il miglior esempio per ciascun tipo di “camera chiusa” elencato da Carr e Rawson.
ovviamente le loro risposte dovranno essere precedute da un avviso ben visibile di SPOILER per i giallisti meno incalliti e per i neofiti ;D!
agosto 5th, 2011 at 19:33
Rawson è un capolavoro straordinario, il fatto che sia stata eliminata in traduzione la conferenza rappresenta una mutilazione molto triste. Invito una volta di più a ristampare quest’opera. Ad ogni modo non vedo l’ora che esca la seconda parte di questo lavoro
agosto 7th, 2011 at 14:07
Segnalo che, sul numero della Settimana aEnigmistica adesso in edicola,, il consueto “Enigma poliziesco” illustrato presenta un mistero di camera chiusa la cui soluzione è proprio una di quelle elencate dal dottor Fell:-)
agosto 7th, 2011 at 14:11
“The Disappearance of Mr. James Phillimore,” più noto col titolo originale di “Mr. Short & Mr. Long,” è disponibile in “Le falene assassinate e altri delitti,” ristampato da non molto negli Oscar Mondadori.
agosto 7th, 2011 at 18:50
Il radiodramma “The Disappearance of Mr. James Phillimore” è stato pubblicato su Radiogialli (Oscar Mondadori) – Teatro e Cinema N.54 del 1989.
E’ molto fantasioso: come un tale, a distanza di cinquant’anni da un caso identico accaduto a Sherlock Holmes (è il nipote di quel tale dell’epoca sherlockiana), per prendere l’ombrello, possa entrare in casa e poi scomparire. E come possa Ellery risolvere l’enigma, ritrovando lo scomparso (che poi è un truffatore).
agosto 9th, 2011 at 13:23
Per tornare un attimo a quello che diceva Luca Conti sulla paternità del tema della camera chiusa a Le Fanu, il testo citato dovrebbe essere stato pubblicato in Italia anche con il titolo “La cugina assassinata”: effettivamente è presente l’idea (seppur abbozzata e non risolta mi sembra) della camera chiusa. Non si sa se Poe abbia attinto a Le Fanu o se le loro idee si siano sviluppate separatamente, certo è che il racconto di Poe è un mystery e possiede una solida soluzione, quello di Le Fanu un racconto dell’orrore tipicamente ottocentesco. Poi il tema sarà ampliato e sviluppato anni dopo ne “Lo zio Silas”, opera ben più famosa ma difficilmente reperibile.
agosto 9th, 2011 at 21:33
Sulla falsariga della scomparsa di James Phillimore esiste anche un altro paio di notevolissimi racconti: uno di August Derleth, “The Adventure of the Late Mr. Faversham” (1929) e uno di John Dickson Carr e Adrian Conan Doyle, “The Adventure of the Highgate Miracle” (1954)
agosto 9th, 2011 at 23:40
L’edizione da me citata e quella citata da Luca, sono diverse: quella dell’Oscar RadioGialli è di Gian Franco Orsi, l’altra di Mauro Boncompagni.
La cosa strana è che la prima è più completa: in quella di Mauro manca l’introduzione, una sorta di lettera che Ellery Queen invia a Sherlock Holmes, di due pagine e mezzo e che viene prima dell’inizio vero e proprio.
Inoltre quella di Orsi è distinta in 10 Scene, mentre quella di Mauro ha una sorta di Sfida all’ascoltatore, di 6 righi che manca invece nell’altro.
Parrebbe quasi che fossero stati presi per le traduzioni due testi diversi, anzi ne sono sicuro: in quella di Orsi vi sono, inoltre, parecchie didascalie, ognuna per ciascuna diversa scena.
E ancora, mentre nell’edizione Boncompagni il tizo che scompare, cioè il Re del Venti per Cento si chiama Napoleon Short, in quello di Orsi, James Phillimore; cosicchè all’inizio del testo quando Richard Queen parla al figlio della probabile cattura dell’uono, in un testo lo chiama Little Nap, e nell’altro Little Jim.
Infine, in una delle pochissime didascalie che si trovano in entrambi i radiodrammi, il testo è completamente diverso:
in Boncompagni, pag. 350, “Musica. All’aperto: Rumori occasionali di traffico in lontananza”;
in Orsi, pag.107, “L’esterno di casa Phillimore. Il sergente Velie si nasconde dietro un cespuglio: L’ispettore Queen si avvicina furtivo”.
Così ho ricercato ed ecco che leggo essere il testo base della traduzione di Orsi, inserito nel volume “The Misadventures of Sherlock Holmes” (1944); mentre quello de “Le Falene assassinate ed altri delitti”, è la traduzione dell’omonima raccolta, “The Adventure of the Murdered Moths and Other Radio Mysteries”, Crippen & Landru, 2005.
Da quello che ricavo io, la versione di Orsi è più più visiva, più vorrei dire..cinematografica; quella di Boncompagni, più auditiva (c’è il frequente ricorso agli stacchi musicali, laddove nellaltro vi sono le didascalie che introducono alle varie scene).
agosto 11th, 2011 at 09:25
Piero: il testo tradotto da Orsi, ovvero “The Disappearance of Mr. James Phillimore,” è la seconda versione, riscritta dai Queen per la raccolta “The Misadventures of Sherlock Holmes”. L’originale è, per l’appunto, il radiodramma inserito oggi nelle “Falene assassinate.”
Tra l’altro, segnalo che “The Misadventures of Sherlock Holmes” è scaricabile, gratuitamente e legalmente e in vari formati ebook, qui:
http://www.archive.org/details/scriblio_test_044
E’ un volume straordinario, del quale consiglio assolutamente la lettura.
agosto 11th, 2011 at 21:02
Grazie a Luca e Piero per le risposte molto esaurienti.
In effetti credevo che il radiodramma di Ellery Queen fosse contenuto in una raccolta fuori catalogo ed introvabile, invece sembra per fortuna che “Le falene assassinate ed altri delitti” sia stato pubblicato di recente. Non mi resta che recuperarlo.
Molto interessanti sono i racconti che suggeriva Luca legati allo stesso tema e sono anche una forma di omaggio allo Sherlock Holmes di Conan Doyle. Di nuovo, prendo nota per le prossime letture
Il denominatore comune di tutte queste opere è ahimè la reperibilità, che risulta spesso difficoltosa; romanzi come quello di Rawson e a maggior ragione il capolavoro “Le tre bare” dovrebbero essere sempre disponibili (con una traduzione all’altezza) in libreria, e non legate ad una pubblicazione da edicola, con tutto il rispetto per una collana storica come il Giallo Mondadori.
agosto 13th, 2011 at 00:02
Federico, se vuoi procurarti le storie che ti ha citato Luca, dovresti per Derleth procurarti “Le avventure di Solar Pons e Le nuove avventure di Solar Pons”, di August Derleth, con prefazione di Ellery Queen, pubblicato da Longanesi nel 1970, una raccolta veramente godibile con parecchie situazioni impossibili (Derleth era tra l’altro un amico di Lovecraft, che ereditò e ampliò la mitologia dei Miti di Cthulhu, conferendole organicità e presupposti etici che in Lovecraft mancavano).
Invece l’altro racconto fa parte della collezione di storie pubblicata nel 1954, The Exploits of Sherlock Holmes. In Italiano dovrei averli se non mi sbaglio nell’edizione Fabbri Editore : anni fa uscì una monumentale opera doyliana con tutti gli apocrifi, anche di pregio (Dibdin, Reouwen, Val Andrews, Meyer, etc.. mancavano solo i miei..apocrifi 😉 ).
Ovviamente ho anche Derleth.
agosto 19th, 2011 at 22:57
Sul mio blog, da stasera, un articolo di analisi critica su Le mani bruciate (La mort vous invite) di Paul Halter, Il Giallo Mondadori n.2560 :
http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2011/08/19/paul-halter-le-mani-bruciate-la-mort-vous-invite-il-giallo-m.html
agosto 22nd, 2011 at 07:25
A proposito di Camere Chiuse, sul mio blog, analisi di “La mort vous invite” di Paul Halter: Le mani bruciate (Il Giallo Mondadori N. 2560, del 1998):
http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2011/08/19/paul-halter-le-mani-bruciate-la-mort-vous-invite-il-giallo-m.html
agosto 31st, 2011 at 18:28
Dopo una settimana di riposo, nel Parco Nazionale del Pollino, ecco sul mio blog un altro articolo, su un film capolavoro di Billy Wilder tratto da Agatha Christie:
http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2011/08/31/testimone-d-accusa-witness-for-the-prosecution-1957-di-billy.html
settembre 1st, 2011 at 17:34
Sto approntando la seconda parte di questo articolo sulle dissertazioni riguardanti le Camere Chiuse: tra breve la consegnerò a Dario.
settembre 5th, 2011 at 10:07
Lo aspetto con interesse!
settembre 17th, 2011 at 16:15
Sul mio blog, intanto, analisi di :
Il Mistero di Madeline, di Anthony Abbot, C.G.M. 1152 del 2007:
http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2011/09/16/anthony-abbot-il-mistero-di-madeline-about-the-murder-of-a-s.html
settembre 23rd, 2011 at 20:05
Pubblicato sul mio blog un articolo su Fredric Brown: Uno strano cliente, CGM 932
http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2011/09/23/fredric-brown-uno-strano-cliente-death-has-many-doors-1951.html
ottobre 6th, 2014 at 09:49
Ho appena letto Le 3 bare l’ho trovato pesante e faticoso come lettura ma indubbiamente ingegnoso come enigma poliziesco. Mi riprometto di leggere altri romanzi di questo grande inventore del Delitto della Camera Chiusa.