Storia di Mary, di Stanislas, di John, di Edward.. e di Isaac
Ecco un nuovo, interessante, articolo di Pietro De Palma.
Buona lettura.
Tra i tanti romanzi polizieschi degli anni Trenta del Novecento, se ne ricorda qualcuno che tratta di automi. Il primo è L’Ennemi sans Visage (noto anche come anche M. Wens et l’automate) di Stanislas André Steeman. Il motivo di questa tendenza, e da cosa tali romanzi abbiano preso le mosse, è presto detto. Non si può parlare di automi nei romanzi polizieschi senza citare il libro che ha dato origine a tutto quanto: Frankenstein, pubblicato nel 1818 da Mary Shelley. Frankenstein fu un grande romanzo gotico, un gotico per certi versi molto più moderno di opere simili, come Vathek di Beckford o The Monk di Lewis.
Mary Wollstonecraft Godwin, figlia del politico e filosofo William Godwin, era nata nel 1797. Il padre le aveva conferito un’educazione sorprendentemente ricca di spunti culturali, e per molti anni il salotto di Godwin ospitò alcuni degli ingegni più grandi dell’epoca: tra questi il grande poeta Percy Bysshe Shelley. A diciassette anni Mary, educata alle idee molto avanzate del padre (che professava tra l’altro l’adesione all’amore libero) fuggì in Francia assieme a Shelley (a quei tempi sposato e di cui era innamorata) e alla sorellastra Claire Clermont; in seguito, dopo il suicidio della moglie di lui, Harriet, si sposò con Percy, nel 1816. L’anno successivo la coppia fu invitata a Ginevra da Claire, che era diventata l’amante di George Byron, e fu proprio qui che Mary ebbe l’ispirazione per Frankenstein: in quelle giornate piovose si parlava di Darwin, dell’energia elettrica e della possibilità di esplorare la vita dopo la morte. Indubbiamente l’ispirazione trasse materia proprio dai colloqui tra John Polidori (l’autore di The Vampire), Percy B. Shelley e George Byron – cui lei stessa aveva assistito – ma anche molto probabilmente dalla leggenda del Golem, creatura senza anima e coscienza, al servizio degli uomini: infatti, ancor prima che uscisse Frankenstein, uno dei fratelli Grimm, Jacob, in un articolo scritto nel 1808 e pubblicato sullo Zeitung für Einsiedler del poeta e scrittore romantico Achim von Arnim, aveva reso popolare, diffondendolo, il suo mito. La leggenda narrava di un rabbino polacco, Elija Ba’al Schem di Chelm, che nella Polonia medievale aveva creato un Golem servendosene come di un angelo protettore del ghetto ebraico, infondendogli vita grazie alla parola «Dio» che recava scritta sulla fronte e alla quale era stata aggiunta la parola «Verità». Così, con la frase «Dio è Verità» sulla fronte, il Golem prendeva vita; quando invece lo si voleva distruggere, bastava togliere una lettera dalla parola «verità,» l’Aleph, per trasformarla in un’altra che significava «morte»: «Dio è morte». In seguito questa leggenda era stata riportata a Praga, laddove si dice che un altro rabbino, Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, avesse plasmato un Golem di cui però aveva perso il controllo; dopo le distruzioni da questi apportate, il Rabbino – tornato a dominare il Golem – lo avrebbe nascosto nella soffitta della sinagoga Staronova, ancor oggi esistente a Praga. Il mito del Golem, in realtà, risale a molto tempo addietro, per certi versi addirittura alla nascita dell’uomo: infatti, in ebraico, Golem significa «materia grezza» o anche «embrione,» e tale sarebbe stato Adamo prima che Dio infondesse in lui il soffio della vita: una forma di fango.
Allorché Mary Shelley, assimilando tutti i colloqui cui assisteva e partecipava a Ginevra, decise di scrivere Frankenstein o il Prometeo Moderno, la leggenda del Golem si era ormai da una decina d’anni diffusa in tutta Europa. La storia della Creatura, assemblata da Victor Von Frankenstein, si nutre di tutto ciò: galvanismo, darwinismo, leggende ebraiche. Non solo: infatti, la stessa estensione del titolo Frankenstein: or, the modern Prometheus, , fa sì che si capisca come derivi qualcosa dal poema del marito Prometheus Unbound, «Prometeo Liberato,» e come sia sicuramente influenzato dall’amore della morte, del disfacimento dei cadaveri e dell’immagine dei cimiteri che si trova nelle opere di molti poeti, da Foscolo a Keats per giungere a Byron. Per di più la figura di Victor Von Frankenstein, lo scienziato che da vita alla sua creatura, è da mettere in relazione con la figura del famoso chimico Humphry Davy, amico di William Godwin, che inventò l’elettrolisi gettando così le basi dell’elettrochimica.
Il romanzo della Shelley, pur accolto con tiepidi consensi, diventò un best seller dell’epoca, e ancor più quando si scoprì che l’autore era una donna; e permeò tutta la cultura popolare europea tanto da influenzare non poco anche la novella cinematografia degli inizi del ‘900: dopo un cortometraggio muto del 1910 di J. Searle Dawley, nel 1931 fu approntata la famosissima versione di James Whale con Boris Karloff nei panni della Creatura. Secondo noi, questa ed altre versioni cinematografiche possono aver influenzato le opere che poco dopo uscirono: infatti troppo relativo è il limite temporale tra l’anno di uscita di questo film, il 1931, e il 1934, anno in cui viene pubblicata l’opera di Stanislas André Steeman, L’Ennemi sans Visage. E l’influenza è da tenere in debita considerazione: in Frankenstein lo scienziato Victor Von Frankenstein, convogliando opportunamente l’energia dei fulmini per poterla poi utilizzare, vuole infondere la vita ad un corpo, assemblato con parti di cadaveri ancora freschi e con il cervello preso dalla testa di un criminale giustiziato poco prima: ci riuscirà ma poi, sconvolto, fuggirà via, lasciando la creatura sola in un mondo che non conosce. Nel romanzo poliziesco di Steeman, pur mancando la piega amara della creatura che cerca il creatore e non lo trova, c’è uno scienziato, il dottor Arthus; e c’è un automa, che a differenza dell’orribile Creatura di Frankenstein è insolitamente bello e flessuoso. Ma anche questo automa deve subire un’operazione, dopo la quale la Creatura di Frankenstein vive e così, in apparenza, anche l’Automa di Steeman; mentre nel romanzo della Shelley Victor von Frankenstein diventa pazzo, qui il dottor Arthus viene ucciso, ma in entrambi i casi il mostro scompare e rivolge la propria ira contro la famiglia del suo creatore: in Frankenstein viene ucciso il fratello di Victor, qui il figlio di Arthus.
Ad aver influenzato Steeman per questo romanzo, che è un giallo con una grande tensione evocativa, ottimamente scritto e con una grande camera chiusa, e che quindi poi prende una piega inaspettata, può esser stata la visione di qualche film del periodo. Innanzitutto Behind the Mask (1932) propone ancora cadaveri, operazioni, ed un misterioso personaggio, Mister X, di cui nessuno conosce l’identità perché porta una maschera; e anche in L’Ennemi sans Visage il misterioso personaggio che viene identificato con la creatura fuggita da una stanza chiusa si aggira per la casa con una maschera di cera sulla faccia. Ancor prima di Behind the Mask un altro film ottenne uno straordinario successo, Mystery of the Wax Museum di Michael Curtiz. E’ un periodo, questo, dominato dai film dell’orrore; e anche i Gialli, altro filone di grande presa in quegli anni, se ne impadroniscono. Più in particolare abbiamo delle opere che si rifanno al “filone della cera”: Ethel Lina White consegna Wax (1935), tradotto in Italia come Delitto al museo delle cere, e John Dickson Carr scrive The Waxworks Murder (1932), tradotto in Italia come L’ultima carta.
Inoltre la creatura è interamente vestita di nero come una creatura della notte, e di notte si aggira: anche di questo particolare troviamo riferimenti in film del periodo: dal Nosferatu di W. Murnau al Vampyr di Carl Theodor Dreyer. E per finire, come The Phantom of Opera (romanzo scritto da Gaston Leroux, già popolarissimo in Francia) nel film di Rupert Julian del 1925, con Lon Chaney, che appare nel teatro improvvisamente, sfruttando dei passaggi segreti e dei camminamenti nascosti, così il personaggio del romanzo di Steeman utilizza un camminamento cui si accede da alcune porticine nelle varie stanze della casa. Ma il riferimento che mi sembra più interessante è a un film di qualche anno addietro, Metropolis di Fritz Lang, in cui a un certo punto, perché gli operai non si ribellino e non mettano in crisi il funzionamento della città (Metropolis), viene ideato un trucco: un automa, tramite un sofisticato processo che si sviluppa grazie alle onde elettromagnetiche, ottiene per trasferimento da Maria, donna che ha un certo ascendente sulle masse, un aspetto seducente, che usa esibendosi in uno strip-tease in un bordello. Il trasferimento di identità dall’essere umano al robot è troppo preciso perché non lo si possa mettere in relazione col trasferimento di coscienza che Arthus intende ottenere operando al cervello Clarence Jund, criminale che non ha più nulla da perdere: se vivrà rischia di condurre una esistenza vegetativa da cui potrebbe in un secondo tempo, forse, riaversi, ma, se non aderisce all’offerta, sa già che la sua destinazione è la sedia elettrica. E proprio nella sua natura criminale risiede un altro legame con Frankenstein: anche in quel caso la creatura ottiene il cervello e la coscienza di un criminale. Tutte coincidenze? Forse no.
Al di là di questo, tuttavia, il romanzo (già edito nelle «Palmine» anteguerra da Mondadori) meriterebbe di essere riproposto, oltre che per la sua camera chiusa, anche per una tensione che percorre tutta l’opera e sfocia in una soluzione a sorpresa, dopo indizi, falsi indizi, depistaggi e quant’altro, e dopo un altro omicidio: il movente che salterà fuori è vecchio quanto il mondo. Anche in questo romanzo si muove una singolare figura di poliziotto, l’Inspecteur Wensche, Wenceslas Vorobeïtchik, conosciuto sotto il nominativo di Monsieur Wens : apparirà anche nel 1939 in quello che è considerato uno dei capolavori di Steeman, L’assassin habite au 21, che lo fece conoscere al grande pubblico europeo (anche la Christie, che utilizzò l’idea base del romanzo in Murder On The Orient Express), anche in virtù di una fortunata collaborazione col cineasta francese Henry Clouzot che firmò la sua trasposizione in film, e quella di altri due romanzi di Steeman: furono 3 films tutti molto fortunati: Les Dernier des Six (da Six hommes morts) L’Assassin habite au 21 (dal romanzo omonimo), Quai des Orfevres (da Légitime défense).
Un anno prima, nel 1938, usciva quello che, assieme a He Who Whispers del 1946 e a Below Suspicion del 1949, era ritenuto dallo stesso John Dickson Carr come il suo migliore romanzo: The Crooked Hinge, in italiano L’automa. Un altro romanzo giallo che concerne automi, neanche tanto tempo dopo quello di Steeman. Questa volta l’origine e la filiazione del romanzo sembrerebbero diverse: l’automa «Il Turco,» creato dal barone Wolfgang von Kempelen e presentato alla Corte dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1770. Nel romanzo di Carr l’automa non ha la profondità psicologica del Frankenstein della Shelley, in cui la Creatura eredita quegli ideali illuministi in virtù dei quali si era parlato del mito del Buon Selvaggio: ogni selvaggio è per sua natura buono, e se diventa pericoloso è perché è venuto in contatto con la società degli uomini civilizzati; così la Creatura, quando si anima, è un essere senza macchia e se uccide è solo perché, venendo in contatto con gli uomini, reagisce negativamente. Nel romanzo di Carr, l’automa, «lLa Strega», è un grosso macchinario, pieno di ingranaggi e dallo spazio sufficiente farvi entrare un uomo di bassa statura, così come «il Turco» di Von Kempelen, altro macchinario che all’esterno aveva una scacchiera ed un automa delle fattezze di un turco: esso apparentemente sembrava in grado di valutare le mosse (Napoleone, che volle sfidarlo, perse in 24 mosse!), ma in realtà si trattava di un volgare imbroglio: da un’apertura posta nel lato nascosto vi penetrava una persona di piccola statura, un nano o un ragazzo poco importa, ma che opportunamente riusciva a mascherarsi agli occhi di chi veniva invitato ad accertarsi che non vi fosse alcun raggiro, grazie alla struttura interna del macchinario che non occupava tutto lo spazio ma solo una piccola parte: grazie ad alcuni magneti sopra di lui posti, che corrispondevano ai pezzi sulla scacchiera esterna, valutava le mosse da fare e comandando degli ingranaggi, faceva in modo che l’automa spostasse i pezzi; e questo alla luce di un moccolo di candela, il cui fumo usciva dal turbante del Turco, non tuttavia notato, in quanto il Barone opportunamente sosteneva la necessità che per vedere meglio fosse necessario porre 2 candelabri, con altre candele vicino: il fumo della candela veniva così celato dal fumo dei 2 candelabri.
Dopo la morte di Kempelen la macchina diventò proprietà di Johann Maelzel, che la fece conoscere in tutta Europa e in America; nel 1836, proprio negli Stati Uniti, Edgar Allan Poe scrisse un articolo in cui spiegava l’imbroglio dell’automa. Tra l’altro egli diceva: “Ora, supponiamo che, quando il mobile viene spinto per la prima volta davanti al pubblico, al suo interno si trovi già una persona, collocata dietro la massa degli ingranaggi..con le gambe completamente stese dentro lo scomparto principale. Quando Maelzel apre lo sportello 1, l’uomo all’interno non corre alcun pericolo di essere scoperto dato che anche l’occhio più acuto non riesce a penetrarne l’oscurità interna. Ma le cose cambiano quando viene aperta la porta posteriore del primo scomparto; l’interno viene illuminato e, se ci fosse dentro qualcuno, sarebbe scoperto. Ma non si vede nessuno. L’inserimento della chiave nella toppa era un segnale per cui la persona nascosta si pigia il più possibile in avanti, ad angolo acuto – infilandosi del tutto o quasi nello scomparto principale. Ma la posizione è scomodissima e non può restarci a lungo.Di conseguenza..Maelzel richiude la porta sul retro. Dopo di che, non c’è motivo per cui l’uomo non riprenda la posizione primitiva, poiché lo scomparto è tornato in ombra e l’interno è del tutto invisibile… Il presentatore può quindi tranquillamente mostrare lo scompartoprincipale. E così fa, aprendo gli sportelli sia anteriori che posteriori – e non si vede nessuno. A questo punto, gli spettatori sono convinti che tutto l’interno del mobile è davanti ai loro occhi – ogni sua parte, simultaneamente. Ma naturalmente non è così…
L’uomo all’interno adesso può muoversi liberamente. Entra nel corpo del turco quel tanto che basta per avere gli occhi a livello della scacchiera. ..Infilando il braccio destro nella figura, aziona il minuscolo ingranaggio che guida il braccio sinistro e la mano della figura.. [brani tratti da “Il Giocatore di Scacchi di Maelzel”] http://www.federscacchi.it/doc/art/d20050115041248_racconto8.pdf ].
Nel romanzo di Carr, l’automa ha un peso determinante, nella storia intrisa di riferimenti alla stregoneria, alla tragedia del Titanic, e alla presenza di un presunto impostore che voglia ereditare. Il modo come Carr descriva il tutto e la facilità con cui metta in relazione le diverse anime della trama ha dell’immaginifico; e ancor più come riesca, quasi ricorrendo ad un gioco illusionistico, a far variare a piacimento l’altezza dell’omicida, senza perciò utilizzare altri strumenti che non se stesso. Tuttavia, prima, ho usato una forma al condizionale, quando ho detto che l’origine di Carr “sembrerebbe” essere diversa: perché? Non l’ho spiegato, ma lo spiego ora. Io penso che Steeman fosse conosciuto da Carr : infatti, sembrerebbe che The Crooked Hinge, fosse uscito di punto in bianco, nell’esperienza narrativa carriana, senza alcun punto di contatto con le esperienze a lui precedenti, se non si trovasse un passo rivelatore proprio in L’Ennemi sans Visage (trad. “L’Esperimento del Dottor Arthus”):
“–Li chiamo « miei figli » – riprese il dottore, – benché molti di essi siano nati dall’immaginazione altrui. Ho consacrato quasi dieci anni alla costruzione di questi balocchi e sono anche riuscito, a forza di pazienti ricerche, a ricostruire i più celebri del XVIII e XIX secolo. Ecco, vedete, nella lotta voi avete premuto quel bottone d’ebanite e avete liberato gli automi dalla loro prigione mettendoli in movimento…– Questa suonatrice di ghironda– riprese il dottore – è una riproduzione fedele di quella di Vaucanson conservata a Parigi, al Conservatorio delle Arti e Mestieri. Ed ecco l’automa scrittore, di Federico di Knauss, che fece un tempo correre tutta Vienna; ecco il dentista di Pomerania, di Jacobus Marco, e le Baccanti, del cavaliere de la Vaux… Guardate, ecco anche il maestro di ballo offerto da Calonne[1] a Luigi XVI.Ramshaw e Jund non credevano ai loro occhi : come per un effetto magico si trovavano a un tratto trasportati nel passato.Il dottore indicava loro col suo indice magro, a una a una, le figure immobili, dalle espressioni immutabili, citando i nomi dei meravigliosi artigiani che avevano plasmato gli originali che avevano servito loro da modello: i fratelli Droz[2], l’abate Mical, Kausman, Roberto Houdin[3].– Quanto a quest’ultimo – continuò il dottore, – è lui, senza dubbio, che, con l’anitra di Vaucanson[4], mi ha cagionato i maggiori guai… Davanti a voi sta il famoso giocatore di scacchi, di Maelzel, di cui parla Edgard Poe… Per quanto io creda piuttosto ch’egli fosse, come il metronomo, non l’opera di Maelzel ma quella di suo fratello, Giovanni Nepomuk, nato a Ratìsbona nel 1722 e morto in America circa sessantacinque anni” (Stanislas André Steeman, op. cit., Cap. IV “Il ribelle”, pagg. 55-56).
Quello che si legge è abbastanza chiaro: prima che nel 1938 John Dickson Carr pubblicasse The Crooked Hinge, già da quattro anni Steeman ne L’Ennemi sans Visage aveva introdotto dettagliatamente l’argomento degli automi. Se non una filiazione, almeno però un tratto di unione mi sembra di poter affermare tranquillamente, esiste, tra Carr e Steeman.
Ma gli esempi di grandi romanzi gialli in cui trovino spazio gli automi non si fermano qui. Facciamo un salto di trentasette anni e arriviamo al 1975: Edward Dentiger Hoch (scrittore molto versato nel racconto giallo classico e con all’attivo quasi mille racconti, tra cui moltissime camere chiuse), che aveva scritto precedentemente altri quattro romanzi, due mystery (The Shattered Raven, 1969; The Blue Movie Murders, 1972, a nome di Ellery Queen) e due di fantascienza mascherati (The Transvection Machine, 1971; The Fellowship of the HAND, 1972), scrive The Frankenstein Factory, che sembrerebbe derivare direttamente dal capolavoro della Shelley. Infatti, il romanzo tratta di un’isola in cui sono conservate molte capsule di ibernazione, dove molti personaggi hanno disposto che vengano conservati i propri corpi in attesa che scoperte nel campo della medicina rendano possibile trattarli con tecniche operatorie e con farmaci ancora sconosciuti. Il dottor Frankenstein della situazione, che qui si chiama Lawrence Hobbes, tenta un’operazione senza precedenti: in una creatura, un soggetto di circa trent’anni morto per un tumore al cervello, si tenta di impiantare il cervello, il cuore, i reni e il fegato di altri esseri. L’operazione è per certi versi segreta, anche perché lo scienziato “usa” alcuni corpi solo per prelevarvi organi, corpi che quindi saranno inutilizzabili o quasi..dopo. Se l’operazione sembra andare per il verso giusto, in men che non si dica, tra i presenti su quell’isola comincia una mattanza che avrà un finale inaspettato. Il romanzo è un tipico esempio di romanzo di fantascienza mascherato e che derivi molto dal Frankenstein della Shelley è assodato giacchè lo ricorda non solo il titolo, ma anche un riferimento contenuto nelle prime pagine del romanzo:“Cos’è questa storia della Fabbrica di Frankenstein?- Sentite, non è stato lui ad avere per primo l’idea. Louis Washkansky, un droghiere del Sudafrica, il primo uomo a cui sia stato trapiantato il cuore, ha detto in televisione: “Adesso sono come Frankenstein. Ho il cuore di qualcun altro”. Certo, si sbagliava. Il mostro non si chiamava Frankenstein, e poi lui è vissuto solo diciotto giorni, molto meno del mostro.- Però…
– Oh, ammettiamolo. Noi siamo l’equivalente moderno del dottor Frankenstein. Se questa operazione riesce, avremo creato un individuo nuovo. Nel suo corpo metteremo un cervello e altri organi provenienti da più persone diverse. Esattamente come faceva il dottor Frankenstein nel romanzo di Mary Shelley”( Edward D. Hoch, The Frankenstein Factory, “La fabbrica di Frankenstein”, traduz. Vittorio Curtoni, Mondadori, Urania, pag.15). Poi, però, la trama muta, diventando un romanzo giallo, con la creatura che scompare e nello stesso tempo con una serie di morti che falcidierà tutta la comunità di scienziati lì riunita. A investigare sarà lo stesso detective di The Transvection Machine, “La Macchina televettrice” e The Fellowship of the HAND, “Golpe Cibernetico”, Earl Jazine, in un’isola trasformata in una trappola senza uscita: il romanzo, è un tipico pastiche christiano, somigliando sfacciatamente a And Then There Were None, “E poi non rimase nessuno”. Una somiglianza non solo sfacciata, ma anche ricordata nel romanzo:
“Questa situazione mi ha ricordato un romanzo della scrittrice inglese Agatha Christie, un’opera di settant’anni fa. Parlava di dieci persone costrette a restare su un’isola che vengono uccise una per una, esattamente come qui…Alla fine si scopre che una delle presunte vittime è ancora viva”(Edward D. Hoch, op. cit., pag.122)
Inutile dire che anche qui il colpevole, come nel romanzo della Christie, è uno dei presenti, ma, se nell’opera originale della Christie era uno ritenuto precedentemente morto, qui non è così: il romanzo di Hoch ha cioè una identità ed una variazione interessanti. Vi è chi viene ritenuto morto in virtù di sangue trovato nel suo letto ma non lo è, ma che muore davvero, poi: l’indizio del sangue è così straordinario che mi ha fatto pensare all’indizio della boccetta senza indicazione contenente tintura di jodio in The Egyptian Cross Mystery o a quello dei cerini in Halfway House, ambedue di Ellery Queen, per la sua importanza: un indizio cardine, anche se buttato lì e spiegato prima in maniera volutamente non esatta. Poi c’è anche qui una “creatura”, che ha il cervello di un assassino, seppure per amore: aveva un tumore al cervello, si è suicidato, ma prima di farlo ha ucciso la moglie che aveva anche lei un tumore. E una serie di omicidi senza senso. Solo nel finale, Earl Jazine spiegherà le dinamiche folli, e anche nella soluzione Agatha Christie entra di prepotenza, perché si viene a sapere che proprio al suo romanzo l’assassino si era ispirato. Anzi, in qualche modo, lui era predestinato a farlo, in virtù di un certo collegamento col romanzo christiano.Tuttavia osserviamo che anche del romanzo di Steeman, L’Ennemi sans Visage, ha dei caratteri, segno che anche Hoch avrebbe potuto conoscere Steeman : anche qui la creatura ha un corpo perfetto, anche qui scompare, anche qui gli è attribuita l’atmosfera di sangue, anche qui alla fine risulterà non c’entrarvi assolutamente nulla. Ci rimane solo un altro tipo di automa da considerare, anche se questo esula dal rapporto di filiazione che abbiamo considerato partire dal Golem e poi da Frankenstein per arrivare prima a Steeman, poi a Carr e infine a Hoch: l’automa più progredito, l’androide, metà uomo e metà macchina. Sarà esso il protagonista di due grandi romanzi gialli di Asimov: The Caves of Steel, 1954; e The Naked Sun, 1957, in coppia con un altrettanto memorabile umano. Infatti l’androide, R. Daneel Olivaw (dove la R. sta per Robot), Robot umanoide, affianca il poliziotto di una New York del futuro (siamo nel quinto millennio dopo Cristo), Elijah “Lije” Baley, inizialmente avverso ai robot. Dei due romanzi, The Caves of Steel , “Abissi d’Acciaio” è forse più suggestivo ed è anche notevole, giallisticamente parlando (è uno dei 99 romanzi che Roland Lecourbe e altri specialisti hanno inserito in una lista delle migliori Camere Chiuse di cui parlo nel mio precedente saggio dedicato a The Third Bullet di J.D.Carr).In esso, la coppia di investigatori, l’umano e l’androide, indaga sulla morte di Roj Nemmenuh Sarton, ambasciatore degli Spaziali (lontani discendenti degli umani, che hanno colonizzato mondi lontani dalla terra e che hanno un rapporto molto più libero coi robot) ucciso con un colpo di disintegratore. Il romanzo, che decretò il successo di Asimov presso l’Editore Doubleday,lo fu talmente, che segnò l’inizio del “Ciclo dei Robot”. Abbiamo voluto finire questo breve excursus proprio parlando dei primi due capitoli del Ciclo dei Robot, proprio perché, come giustamente dice Giuseppe Lippi nell’introduzione, in sostanza Robot è uguale a Golem. E come il rabbino animava il golem con la parola aemeth, così il golem-robot di Asimov risponde alle 3 leggi della golemica-robotica. Il successo del romanzo è nella coppia, l’umano e l’androide, che diventano amici: l’umano, Baley, diffidente verso i robot, si deve ricredere conoscendo non superficialmente il suo compagno positronico; e se perviene alla verità, è solo perché l’altro dice delle cose, che opportunamente analizzate, indirizzano Baley verso la scoperta della verità. E’ come quando Sherlock Holmes risolveva i casi più difficili, quasi sempre con l’aiuto non voluto di Watson. Lippi nell’introduzione, pone giustamente l’accenno sul significato dei nomi: ai 2 compagni Asimov mette nomi ebraici, Daniele e Elia, 2 grandi profeti. In questo modo è come se fissasse i ruoli: l’uomo dell’azione, come il grande Profeta Elia che fu rapito sul carro di fuoco,.è Elijah, mentre chi perviene ai significati reconditi è R. Daneel, come Daniele aveva interpretato giustamente i sogni del Re Nabucodonosor II.
Il finale è memorabile:
“E il robot disse: « Sto cercando di assimilare, amico Julius, alcune idee che Elijah mi ha trasmesso in questi giorni. E forse ci riuscirò, perché all’improvviso mi pare di capire che l’estirpazione di ciò che non deve essere, ossia ciò che voi uomini chiamate il male, è meno giusta e desiderabile della sua trasformazione in ciò che voi chiamate il bene. »Esitò, poi, come sorpreso delle sue stesse parole, disse: « Vai e non peccare più ».Baley sorrise, prese R.Daneel per il gomito e uscirono insieme, braccio sotto braccio” (Isaac Asimov, op. cit. pag. 259). Un romanzo fantascientifico, che è un giallo, ma è anche profonda riflessione e filosofia neanche tanto spiccia: un romanzo straordinario. E sulla stessa linea si pone la sua continuazione, The Naked Sun, “Il Sole Nudo”, un altro romanzo, in cui si fa fantascienza ma anche mystery: Olivaw e Baley devono risolvere un delitto, il primo dopo duecento anni di pace, sul pianeta Solaria; e si tratta per di più di un delitto avvenuto in circostanze che hanno dell’impossibile:“…« No, » rispose infine « non posso dire che l’identità dell’assassino sia completamente sconosciuta. Infatti c’è solo una persona ad aver avuto la possibilità di commettere il fatto. »« È sicuro di non voler dire che è probabile che solo una persona possa aver commesso il fatto? » Baley non prestava fede alle dichiarazioni assolute e non aveva nessuna simpatia per quei deduttori da tavolino che scoprivano certezze invece che probabilità nelle elaborazioni logiche.Ma Gruer scosse la sua testa calva. « No. Solo una persona può averlo fatto. Per chiunque altro è impossibile. Completamente impossibile. »« Completamente? »« Glielo assicuro. »« Allora non avete problemi. »« Al contrario. Li abbiamo, i problemi. Neanche quella persona può averlo fatto. »« Allora non è stato nessuno » disse calmo Baley.
« Eppure il fatto è avvenuto. Rikaine Delmarre è morto »” (Isaac Asimov, The Naked Sun, “Il Sole Nudo”, traduzione integrale e introduzione Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, Best Sellers, N°499, pag.47-48).
Rispetto al precedente romanzo, Asimov introduce anche una storia d’amore: in Caves of Steel vi è la storia dell’amicizia straordinaria tra un umano ed un androide in un’atmosfera mystery, qui vi è dell’altro. Comunque, il grande afflato letterario di Asimov si nota in più punti e anche qui il finale è magnifico. E come solo il grande giallista di classe riesce a mantenere la tensione fino all’ultimo e a rivelare la verità nell’ultimo rigo dell’ultima pagina, così Asimov rivela il mistero del titolo, un mistero nel mistero, che fino ad allora era rimasto insoluto, a conferma delle sue grandi capacità anche di giallista (per esempio i romanzi The Death Dealers, Murder at the ABA o i celebri racconti dei Black Widowers, anche se c’è anche dell’altro[5])
“Se n’era andato a risolvere un delitto e gli era successo qualcosa…Baley aveva lasciato la Città e non poteva più rientrarci. La Città non era più sua: gli Abissi d’acciaio erano alieni. Doveva essere così. E sarebbe stato così anche per gli altri e la Terra sarebbe rinata e avrebbe raggiunto lo spazio.Il cuore gli batteva pazzamente e il rumore della vita intorno a lui si attutì in un mormorio inaudibile.Ricordò il sogno che aveva fatto su Solaria e finalmente lo capì. Alzò il capo e potè vedere attraverso tutto l’acciaio, il cemento e l’umanità sopra di lui. Poteva vedere il faro posto nello spazio per attirare all’esterno gli uomini. Poteva vederlo brillare. Il sole nudo!”(Isaac Asimov, op. cit. pag.242).
[1] Si tratta di Charles Alexandre de Colonne, che fu un grande economista francese, Controllore generale delle finanze di Francia, sotto Luigi XVI.[2] Probabilmente si riferisce a Pierre Jaquet-Droz e al figlio Henri-Louis costruirono tra il 1770 e il 1773, tre meravigliosi automi ancor oggi funzionanti: uno scrivano, un disegnatore ed un musicista
[3] E’ il famoso Jean Eugène Robert-Houdin, da non confondersi Harry Houdini : fu un grande illusionista francese dell’Ottocento, che costruiva automi per i propri spettacoli illusionistici
[4] Si riferisce a Le Canard digérateur, L’anatra digeritrice (1739), automa di Jacques de Vaucanson, costruito in maniera tale che sembrava che defecasse ciò che ingoiava, simulando la digestione
[5] Le opere giallistiche di Asimov sono :
i romanzi The Death Dealers , “Un soffio di morte”, Il Giallo Mondadori N°1060; Murder at the ABA, “Rompicapo in quattro giornate”, Mondadori, Oscar Best Sellers, 2007; i racconti: Asimov’s Mysteries, “La chiave e altri misteri”, Fanucci, 1975 ; The Union Club Mysteries, “Gli Enigmi dell’Union Club”, Mondadori, Oscar, 1985; Purr-Fect- Crime (volume contenenti 15 storie brevi di altrettanto famosi giallisti, curato fra gli altri proprio da Asimov), “Il delitto è servito”, Rizzoli, Bur. 1989; Sherlock Holmes through time and space , “Sherlock Holmes nel tempo e nello spazio”, Mondadori, 1990: altra raccolta di racconti dedicati a S.Holmes curati fra l’altro da Asimov; le raccolte: The Key Word and Other Mysteries, The Disappearing Man and Other Mysteries, The Best Mysteries of Isaac Asimov
La raccolta di racconti imperniati su Sherlock Holmes, si spiega col fatto che Asimov era un grande appassionato di Sherlock Holmes, tanto da essere iscritto all’associazione de Gli Irregolari di Baker Street.
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Posted in Extra
ottobre 15th, 2010 at 10:10
Complimientos al nostro Piero. Fra poco ci ritroveremo insieme, cercando di interessare i mondadorini che si affacciano su questo blog con proposte diversificate. Se volete sapere qualcosa su Baynard Kendrick, autore tra l’altro di un detective cieco, sempre per mano di Piero, cliccare qui http://www.sherlockmagazine.it/rubriche/4138
ottobre 15th, 2010 at 11:17
E’ puramente casuale che siano usciti nello stesso giorno due articoli miei in due testate importanti. Purtuttavia i due articoli sono diversi nell’intento: lì, sono ritratti con bibliografia di autori oggi ahimè dimenticati e hanno un intento noseologico (di far conoscere un autore e promuovere la sua riscoperta e la sua importanza nel genere poliziesco); qui, in aggiunta, c’è l’intento non velato di dimostrare l’importanza del genere poliziesco nell’ambito della Letteratura di genere e più in generale in quella cosiddetta di Serie A, dimostrandone i legami indissolubili con altri generi artistici: letterari (Fantascienza, Gotico, Horror), d’immagine (pittura, scultura, cinema), auditivi (musica).
ottobre 15th, 2010 at 12:47
Ottimo articolo. Per gli appassionati, la saggistica di genere è, credo, altrettanto godibile della narrativa.
ottobre 17th, 2010 at 08:28
@Antonino Fazio: giacchè ne ha parlato Fabio, dell’altro, quello più breve di cui ha messo il link, che ne dici? Lo hai letto?
ottobre 17th, 2010 at 16:48
Francamente l’ho detto e lo ripeto: lo Steeman di cui parlo nell’articolo, potrebbe benissimo essere riproposto, anche lasciando quegli antipatici nomi francesi italianizzati. Così come l’unico Baynard Kendrick pubblicato in Mondadori (di cui parlo nell’altro articolo, quello del link), tanto più che Kendrick scriveva davvero bene. Non capisco per quale motivo sia stato dimenticato: è pure un ibrido (giallo classico + hardboiled)!
ottobre 18th, 2010 at 12:22
Fantascienza e giallo? I miei due generi preferiti. Ottimo articolo, Piero! Speriamo che Qualcuno prenda appunti per qualche bella sopresa in edicola (o in libreria).
ottobre 19th, 2010 at 18:27
@Piero
Letto e apprezzato. I tuoi articoli sono una miniera di notizie, e spesso, come quello postato qui, sono anche rilevanti sul piano teorico (per non parlare del fatto che anch’io, come Cicchetti, ho anche una passione per la fantascienza).
ottobre 19th, 2010 at 22:02
Questo articolo era stato consegnato con il desiderio che potesse essere pubblicato a settembre (e sarebbe stato un bel regalo di compleanno, come quello che mi fece Dario l’anno scorso in occasione del primo, quello sui primi quattro racconti di Carr). Poi lui non è stato bene in salute, e allora è slittato. Ma, ad agosto, siccome dovevo prendermi proprio una settimana di ferie con la mia famiglia, per darmi la possibilità di finirlo in tempo, Luca lo ha letto e mi ha convinto ad espungere alcune parti in inglese, altrimenti sarebbe stato molto più lungo.
Invece per l’altro, che fa parte di una serie di ritratti con note bibliografiche, Tiziano Agnelli mi ha trovato i riferimenti della pubblicazione italiana di alcuni racconti di Kendrick.
Mi fa piacere che ti siano piaciuti. Mi permetto di consigliarti anche quello, più breve, su Clifford Knight, dato che è uno scrittore interessante, che è stato pubblicato solo da alcuni vecchissimi editori (io ho qualcosa).
ottobre 20th, 2010 at 10:07
Ho letto anche quello. Interessanti gli accostamenti “imprevedibili” tra opere ed autori.
ottobre 27th, 2010 at 10:59
Anticipo che a novembre uscirà un ritratto, come gli altri precedenti, su Sherlock Magazine: lo sto scrivendo in questi giorni e sarà incentrato su Julian Symons, un autore che Boncompagni ha finora trascurato e di cui pochissimo è stato pubblicato da Mondadori (tranne le prefazioni e postfazioni in romanzi, serie Oscar, della Christie).
novembre 5th, 2010 at 11:32
Uscito mio articolo su Julian Symons su Sherlock Magazine. Il link :
http://www.sherlockmagazine.it/rubriche/4166
Come al solito, come per gli altri articoli della serie, c’è anche un elenco delle pubblicazioni italiane di romanzi di Symons. E non solo…
novembre 9th, 2010 at 22:44
Letto: complimenti Pietro, l’ho trovato interessante e ben documentato come tutti i tuoi. Una osservazione, a puro livello di sofisma: ritieni che Carr conoscesse il libro di Steeman perchè in entrambi si parla di automi, in particolare del giocatore di scacchi di Maelzel. Però mi sembra una forzatura, Carr può ovviamente avere attinto direttamente alle “fonti” indipendentemente da Steeman. O c’e’ dell’altro? (la mia è futile chiacchiera, non avendo letto nessuno dei 2 romanzi)
novembre 10th, 2010 at 07:56
Beh, io ho il sospetto che l’avesse letto. Ho il sospetto non la prova, beninteso. Ma siccome Steeman è stata la fonte primigenia di molte trovate poi sfruttate abilmente da altri molto più noti al pubblico di lui (conosciuto solo quasi nell’ambito dell’entourage franco-belga-italiano): per esempio la trovata dell’omicidio in cui più di uno sono coinvolti e si proteggono l’un l’altro fornendosi vicendevolmente degli alibi, era stata applicata a “L’assassin habite au 21″ prima che se ne impadronisse Agatha Christie e la sfruttasse in un altro ambiente, quello di un treno, in Assassinio sull’Orient-Express.
Il fatto è però che Steeman, finchè non esplose proprio con Assassin, era stato conosciuto da pochi, anche se aveva pubblicato un bel romanzo come Six hommes morts. E così poteva anche accadere che al grosso del pubblico sfuggissero le sue trovate, mentre quelle di autori assai meno dotati di lui venissero apprezzate (non sto parlando ovviamente di Carr o di Christie).
Comunque la Christie, da gran furbona qual era, leggeva sempre le opere di tutti i suoi avversari. E così per esempio, un bel giorno scrisse Dieci Piccoli indiani. Solo che altri avevano, pare, già inventato il plot per altro romanzo: L’ospite invisibile, di Bristow & Manning. Solo che anche qui, si trattava di autori assai poco conosciuti, mentre la Christie..no.
novembre 10th, 2010 at 09:54
E poi c’è un particolare che per altri può rivestire poca importanza, mentre io un occhio all’inizio distratto e poi sempre più attento lo pongo: accade spesso, quando accade, che due romanzi di due autori diversi (che presentano lo stesso tipo di plot, che non sia mai stato elaborato da altri, che sia cioè vergine) quando siano successivo l’uno all’altro, puoi star sicuro che il successivo deriva come idea sempre dal primo. Il caso di due romanzi che siano stati elaborati nello stesso tempo, pensando allo stesso plot, da due autori diversi, è raro se non rarissimo: uno di questi eccezionali casi fu quello di due romanzi, uno di Patricia McGerr e uno di Ellery Queen che sarebbero dovuti uscire quasi nello stesso tempo e che presentavano lo stesso plot. In quel caso, i 2 Queen decisero di soprassedere e non presentare più quel libro.
E a me è sembrato alquanto strano che Carr proprio dopo che ci avesse fatto caso Steeman, avesse pensato di elaborare una trama inserendovi il particolare dell’automa giocatore di scacchi, e non prima: io, alle coincidenze, credo poco.
novembre 10th, 2010 at 11:12
E infine Quiller, per dirne ancora un’altra, in un altro romanzo di Steeman si trova la trovata che sarà alla base del plot sia ne L’ospite invisibile di Bristow & Manning sia nella Christie di Dieci piccoli indiani; e Six hommes morts è del 1931 mentre Dieci piccoli indiani è del 1939. Ecco perchè io credo che Steeman sia potuto essere il riferimento più vicino a Carr per il Giocatore a scacchi di Maalzel già sciorinato da Edgar Allan Poe.
E chissà quanto ancora c’è da trovare in Steeman…
Ora sto leggendo “Les atouts de Monsieur Wens”, Le Astuzie del Signor Wens, ed è bellissimo.
novembre 10th, 2010 at 23:37
@piero
giungo buona ultima a complimentarmi.
dovrei dire come al solito visto che la tua passione e competenza non ci sorprendono più ormai ;).
da appassionata di cinema ti farei un unico appunto.
non aver citato l’automa più famoso del recente passato, il “Terminator” di Cameron, indimenticabile soprattutto nel primo film della serie.
novembre 11th, 2010 at 06:46
Ma questo non era un articolo tout court sugli automi, ma uno sui delitti che vengono ascritti ad automi (ma che poi lo sono veramente?).
Proprio per essere pignolo, prima di Terminator, c’è un altro grande film sugli automi, Il Mondo dei Robot (Westworld), in cui mi ricordo per esempio Yul Brynner interpretava il ruolo di un pistolero androide. Ma anche questo riferimento cinematografico non c’entra nulla coi delitti compiuti da automi (o presunti tali)
Grazie comunque per esser venuta a trovarmi: almeno qualcuno ci viene!
novembre 22nd, 2010 at 08:57
@Piero.
Ottimo l’articolo su Julian Symons.
Quando parli di automi ai quali vengono ascritti delitti intendi dire, suppongo, non automi che, semplicemente, uccidono, come nel caso di Westworld, ma automi sospettati di omicidio. Insomma, gialli in cui il colpevole, o il sospettato, è un automa.
novembre 22nd, 2010 at 22:41
Antonino..noi ci intendiamo a meraviglia. Negli spazi dedicati a Howard Browne, c’è il link del mio blog dedicato al Giallo: mi ci hanno spinto Luca ultimamente e Manuela (Anne67) almeno un anno fa. Leggi l’articolo sul giallo in edicola e poi ne riparliamo.
Probabilmente il prossimo articolo del tipo di Symons, sarà o su Todd Downing o su J.T.Rogers, devo decidere. Intanto sto cominciando a scrivere un racconto, il primo dopo sei mesi: ovviamente..una camera chiusa !
novembre 23rd, 2010 at 00:55
@Antonino Fazio: confessione per confessione : mi hai detto altrove di aver scritto un romanzo giallo storico. Ebbene anch’io ho scritto un romanzo, anni fa, che partecipò al Tedeschi: conteneva 3 Camere Chiuse di cui una originale. Amici mi stanno spingendo a pubblicarlo, ma dovrei fare l’editing e questo mi rallenta. Ma non era un Giallo storico
novembre 23rd, 2010 at 19:11
Aggiungo una cosa sulla tua deduzione: non dico nulla sul romanzo di Carr, perchè non so se tu abbia letto l’Automa. Dico solo che è un romanzo straordinario, in cui Carr rivela la sua immensa classe e l’abilità di stupire con un gioco illusionistico che è alla base della soluzione, e cui io prima di allora, non avevo mai assistito (nelle pagine di un libro) tolti Il Mistero della Camera Gialla di Leroux, e qualcos’altro di altissimo livello (poca roba). L’automa c’entra ma in un modo particolare: solo Carr poteva riuscire a creare un romanzo di tale inventiva!