Il primo “Giallo” di Giulio Leoni
Giulio Leoni, attualmente in libreria con il Suo splendido romanzo “La regola delle ombre”, ci ha voluto regalare un ricordo legato al Suo primo incontro con il Giallo Mondadori.
Buona lettura
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Avete presente la Scuola d’Atene, quel quadrone che riempie una parete delle stanze vaticane? Anzi un fresco, a voler essere esatti. E quei due signori al centro, vestiti all’antica, che sembrano chiacchierare tra loro nell’atrio della stazione di Milano, in mezzo a una turba di partenti e arrivanti, venditori ambulanti, straccioni?Di sicuro dibattono da secoli su una questione essenziale, da molto prima che a Raffaello venisse in mente di ritrarli. E scommetto che non c’è nessuno, tra quanti si siano fermati almeno un momento a naso all’aria a guardarli, che non si sia chiesto di che si tratti. Se ne sono immaginate molte, da una questione di donne a se il processo del conoscere discenda da un’ordinata scomposizione in sottoclassi delle prime idee, o non piuttosto da una risalita avventurosa dalla foresta di indizi e parzialità che ci circonda nell’esperienza quotidiana.
Direte: che c’entra con il tuo primo giallo? Centra, invece. Perché secondo me in realtà quei due stanno questionando se sia meglio Sherlock Holmes o Maigret. O almeno ne ero sicuro quando venni trascinato a vederli la prima volta dal mio professore di scuola media, con tanto di vestito buono, scarpe lucide e capelli ravviati con acqua e sapone. Uno, il capellone col dito al cielo, è chiaro che prende le parti del primo e spinge per ineccepibili cascate deduttive, al massimo intessute di qualche abduzione e qualche induzione di nascosto. Nel confort di un salottino vittoriano, tra una pipata e una punta di cocaina.L’altro sta di certo per i giri in bistrot e le esplorazioni nelle portinerie odorose di minestra di cavoli del secondo, e dice chiaramente: «Macché, piedi per terra, amico! Dal particolare al generale, e scarpinare!»Io tenevo per il capellone, così d’istinto.
Fino a quel momento non avevo letto nessun giallo, solo fantascienza uranica. Venivo da immersioni in Verne e Salgari, ed ero più interessato alle sabbie di Marte che ai pavimenti in graniglia delle questure.Ma con un’eccezione: uno zio scapestrato mi aveva passato di soppiatto un librone di Poe, e tra gli orrori e le paure avevo scoperto quel fatto meraviglioso di come dall’osservazione del selciato di Parigi si potesse ricostruire il pensiero di quello che ti sta vicino. Quel fatto mi aveva affascinato, e attribuivo la mia incapacità a fare altrettanto solo alla diversa allure dei sampietrini di Roma, perché si sa, Parigi è sempre Parigi. Per cui da Dupin passai illico et immediate alla ricerca dei libri di Conan Doyle, a detta dello zio un clone sfacciato, che però all’epoca erano praticamente introvabili. Vi ricordate quei deliziosi libretti con la copertina bianco-nera, e la costola col nastro telato rosso? Ormai fuori catalogo giravano soltanto per bancarelle: ma il guaio era che, disposti di taglio negli scatoloni, avevano la dannata tendenza a confondersi con quelli simili della collana dedicata all’eroe di Simenon.
E che delusione quando mi capitava di adocchiarne nel mucchio tre o quattro, e scoprire che erano tutti racconti del baffone francese (perché io ero convinto che Maigret fosse come Gino Cervi, esattamente come milioni di italiani, e fu un trauma quando scoprii che invece era biondo e glabro come Jean Gabin). La mia collezione non riusciva a completarsi insomma per via di quel dannato Peppone: avevo grossi buchi nel canone, e non per via del topo di Sumatra, notoriamente introvabile, ma pure La valle della paura, il mitico Segno dei quattro e per lo meno una ventina di racconti si sottraevano alle mie brame. Fu in queste ambasce che mi imbattei in un Giallo Mondadori che sarebbe stato il mio primo: il numero 949, Uno studio in nero. Diavolo, un romanzo inedito di Sherlock Holmes! Lo conservo ancora come un cimelio di famiglia. Col tempo il giallo acceso della copertina si è mosso, virando un po’ sull’arancio. Ma la mano col coltello e il Big Ben sullo sfondo sono sempre come li disegnò il grande Jacono. Oddio, il polsino lascia un po’ a desiderare, non è proprio filologicamente corretto per un capo fin de siècle, e considerando la bellezza del romanzo Carlo avrebbe potuto metterci un po’ più di fantasia. Ma non è questo il punto. Il fatto è che senza saperlo avevo scoperto Ellery Queen. Al momento non mi fece un grande effetto, devo essere sincero. Preso dalla vicenda del mio eroe preferito saltellai bellamente sui tratti contemporanei della narrazione, e mi sfuggì del tutto la grazia con cui Ellery, una specie di Andrea Chenier con la testa ancora sul collo, tornava a fare versi antichi con dei pensieri nuovi. La gioia degli apocrifi e degli pseudobiblia sarebbe arrivata più avanti, passando per Lovecraft. Ma intanto il virus era stato inoculato. Uno che sapeva raccontare così bene le storie degli altri, fosse capace di raccontare bene anche qualcosa di suo?
E così il giorno dopo tornai alla bancarella.
Giulio Leoni
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settembre 30th, 2009 at 18:35
Mi sa che Pico della Mirandola vada di moda. L’ho trovato anche in “L’ultimo custode” di Carlo A. Martigli, Castelvecchi 2009…
ottobre 1st, 2009 at 06:11
Verissimo! Io l’ho ricordato a Giulio tre settimane fa, ma lui mi ha detto che il suo romanzo è meglio di “999 – L’ultimo custode”
ottobre 1st, 2009 at 09:13
Quello che mi convince meno di “L’ultimo custode” è la parte inventata mentre quella storica è a tratti affascinante.
ottobre 1st, 2009 at 10:08
Amici miei, Pico della Mirandola va di moda da almeno 500 anni, come ben sapete voi che avete il viziaccio di leggere! Solo che a tratti ce ne dimentichiamo. Per chi fosse curioso della materia suggerisco Le jardins du songe, un libro delizioso su di lui e sugli altri della sua cerchia. Ci sono poi Il segreto di Pico e La profezia di Pico della Mirandola, altre romanzerie sul tema uscite anch’esse in tempi recenti, e chissà quante altre in giro per il mondo.
Quanto a 999, non so se sia meglio o peggio, di certo è diverso: la Regola non è tanto una storia “su” Pico (che vi compare a 19 anni, ardito e baldanzoso ma molto diverso da quello che sarà poi), quanto sul genio più umbratile e misterioso del Rinascimento, Leon Battista Alberti, e sui segreti che si è portato nella tomba. Tra cui, non trascurabile, l’arte di evocare i morti
OT per Luca: ho appena finito di vedere Creek, e avevi davvero ragione, è ricchissimo di trovate. La storia del bunker e della lampadina è geniale: però
SPOILER
non ti sembra che violi una delle regole di JDC, visto che in re attiene alla categoria dei passaggi segreti?
ottobre 1st, 2009 at 10:41
Certo, Giulio, ma io sono convinto che le regole esistano proprio per essere infrante :
-)
ottobre 1st, 2009 at 11:14
Pragmatico!
ottobre 1st, 2009 at 11:40
@Luca. La stronzata è uscita uora uora in http://corpifreddi.blogspot.com/…
ottobre 1st, 2009 at 11:42
Il link giusto dovrebbe essere questo senza i puntini http://corpifreddi.blogspot.com/
ottobre 1st, 2009 at 16:49
come forse per molti della mia generazione, e nonostante la mia passione per i libri, l’iniziazione al giallo per me è avvenuta grazie alla tv.
i mitici sceneggiati con Maigret-Gino Cervi e Tino Buazzelli-Nero Wolfe.
la prima lettura è invece legata al ricordo lontano di un’estate al mare in una casa in affitto in cui qualcuno aveva lasciato credo le prime traduzioni di Van Gulik della Garzanti con le avventure del giudice Dee.
storia, scoperta di un mondo lontano, misteri da sciogliere e assassini da smascherare.
tutte passioni che non mi hanno più abbandonato…
ottobre 5th, 2009 at 22:23
Illustre messer Leoni, c’è speranza di vedere a breve la Sua Crociata delle Tenebre nelle nostre edicole?
ottobre 7th, 2009 at 10:50
Beh, spero prima o poi di sì. Anche perché sarebbe un vero peccato se alla collana di Altieri mancasse questa perla
novembre 16th, 2009 at 15:18
non ricordo se uno studio in nero è un apocrifo o meno, certo è un grande romanzo.