Venerdì 23 aprile – Itis Marconi di Forlì – ore 12.00
Venerdì 23 aprile – Libreria Coop Bologna – ore 18.00 (Via Orefici)
Sabato 24 aprile – Scuola A.Vidoletti di Varese – ore 10.30
Sabato 24 aprile – Libreria del Corso a Varese – ore 18.30
“Tutte le idee di Cristo possono essere contestate dall’intelletto umano e sembrano impossibili da realizzare… Ma io preferisco restare con l’errore, con Cristo…” (F.Dostoevskij, Taccuini 1880-81)
“Quanto è bella la vita quando si compie qualcosa di buono e giusto! Certamente ci rivedremo, certamente resusciteremo! E con gioia e letizia racconteremo allora l’uno all’altro tutto ciò che è stato.” (F.Dostoevskij, Diario di uno scrittore)
Proprio così. Oggi alla terza ora si è conclusa l’avventura: lettura integrale dell’Odissea dal primo all’ultimo verso in prima scientifico.
Siamo stati dentro un mondo, verso per verso: guidati, accompagnati, trasformati, annoiati, esaltati…
Il viaggio ha funzionato. I classici funzionano sempre, basta dar loro voce.
Proprio questo è il punto: renderli presenti, a voce alta. A più voci: ciascuno interpretava volta per volta un personaggio.
Sono arrivate, in questi giorni, le nuove linee guida dei licei: nulla di nuovo sotto il sole. Si continua a perorare la causa di letture quantitativamente significative, ma non integrali. Di Dante si chiede di leggere almeno 25 canti su 100. Povero Dante, si sarebbe risparmiato la fatica di 75 canti se l’avesse saputo…
Logica illogica della scuola: leggere i pezzi. Leggere a pezzi. Fare a pezzi: testi. E poi: menti e cuori.
A questo mi sono ribellato: letture integrali, ad alta voce, dalla prima all’ultima riga, costi quel che costi.
Perchè? Perchè mi fido dei classici: hanno dentro il mondo intero.
Nella discussione finale il libro più amato sembra essere il sesto: Ulisse e Nausicaa.
Le ragazze preferiscono la seconda parte: Ulisse a casa.
I ragazzi preferiscono la prima: Ulisse fuori di casa.
Alla fine ho chiesto:
– Proviamo allora a definire cosa sia un classico, dato che dopo tremila anni siamo qui a leggere Omero.
Risposta di alunnosveglio:
– Una cosa che ti tiene i piedi per terra.
Cosa intendi?
– Ciò che nonostante il passare del tempo resta fermo e ci costringe a guardare l’essenziale.
25 marzo 2010 – ore 18.00 (diretta su Fahrenheit – Radio Tre dalle 16)
Festival del Libro e della Letteratura – Auditorium
26 marzo 2010 – ore 14.00
Università Luiss – con Alessandro Preziosi, Alessandra Mastronardi, Monica Zapelli
goffamente, dentro
di te.
Perdonami il dolore, qualche volta.
E’ che da te voglio estrarre
il tuo migliore tu.
Quello che non vedesti e che io vedo,
immerso nel tuo fondo, preziosissimo.
E afferrarlo
e tenerlo in alto come trattiene
l’albero l’ultima luce
che gli viene dal sole.
E allora tu
verresti a cercarlo, in alto.
Per raggiungerlo
alzata su di te, come ti voglio,
sfiorando appena il tuo passato
con le punte rosate dei tuoi piedi,
tutto il corpo in tensione d’ascesa
da te a te.
E allora al mio amore risponda
la creatura nuova che tu eri.
P.Salinas, La voce a te dovuta, [XLI]
La conmovedora historia de un adolescente de 16 años, enfrentado a una difícil experiencia que le lleva a redefinir sus sentimientos en cuanto a amistad y amor, vida y muerte, y a aprender la importancia de cumplir sus sueños.
Una gran novela de formación, auténtica y vibrante sobre la fragilidad y la fuerza de la adolescencia.
Oggi oltre che il primo giorno di primavera è la giornata della poesia. Ultimamente mi sono imbattuto in una interessante raccolta di un giovane poeta che, come tanti in cerca di lavoro, si è trovato a fare l’operaio all’ospedale Bambin Gesù di Roma, assistendo al dolore di molti genitori e bambini. La raccolta è divisa in tre parti: Bambin Gesù, ospedale pediatrico – In marcia – Guardia alta. Ambientazioni diverse, ma un unico filo rosso: il dolore che improvviso spezza la vita o la risveglia. La prima sezione, a mio modesto parere, è superiore alle altre due: eloquio semplice, immagini nitide, sguardo che non ha paura di fissare la Medusa, in tempi che di dolore e morte hanno il terrore e quindi poi si perdono anche la vita.
Lo diceva Claudel: è la morte che chiama le cose alla vita. La morte o la metti nel conto della vita o la vita svanisce.
Questo libro lo mostra, senza paura.
Ecco i versi di due poesie che ho amato particolarmente, nella prima il dolore diventa maestro, nella seconda il dolore sfida la fede:
(Padiglione S.Onofrio)
Puntuale alle dieci della sera
arrivi stanco dalla giornata di lavoro
tuo figlio carta e penna già t’aspetta
un bacio e subito la lezione,
stasera si comincia con la grammatica
e verbi transitivi e intransitivi,
poi la matematica e le tabelline
un po’ lo rimbrotti per un nove per otto,
si finisce con storia e geografia
piena sufficienza per date capitali,
ore undici termina la lezione,
ora è tuo figlio con le terapie del giorno
ad essere il maestro, tu l’alunno attento.
(Padiglione Spellman)
Lo attraversammo quasi di corsa
il reparto degli infetti
reietti perfino dalla vista,
dalla medicheria arrivarono grida
impossibile alzare lo sguardo,
vedemmo solo un corpo scarnito
passato da mille tubi trasparenti
e ancora l’atroce dolore urlato.
Uscimmo all’aria aperta
come riemersi dall’abisso,
di noi il più anziano mi si girò contro:
“Tu che tanto speri e tanto credi
spiegami una possibile giustizia
di quell’agonia morte futura”.
Non risposi ma una voce
si alzò alta dalle viscere:
“Per questo credo di più ancora”.
Condivido con voi un video che mi hanno segnalato.
Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori “una specie non protetta che speri si estingua presto”.
Cosí, quando arriva un nuovo supplente di Storia e Filosofia, il protagonista si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva.
Leggi la trama »