Giornata della poesia

Mencarelli - Bambino GesùOggi oltre che il primo giorno di primavera è la giornata della poesia. Ultimamente mi sono imbattuto in una interessante raccolta di un giovane poeta che, come tanti in cerca di lavoro, si è trovato a fare l’operaio all’ospedale Bambin Gesù di Roma, assistendo al dolore di molti genitori e bambini. La raccolta è divisa in tre parti: Bambin Gesù, ospedale pediatricoIn marciaGuardia alta. Ambientazioni diverse, ma un unico filo rosso:  il dolore che improvviso spezza la vita o la risveglia. La prima sezione, a mio modesto parere,  è superiore alle altre due: eloquio semplice, immagini nitide, sguardo che non ha paura di fissare la Medusa, in tempi che di dolore e morte hanno il terrore e quindi poi si perdono anche la vita.

Lo diceva Claudel: è la morte che chiama le cose alla vita. La morte o la metti nel conto della vita o la vita svanisce.

Questo libro lo mostra, senza paura.

Ecco i versi di due poesie che ho amato particolarmente, nella prima il dolore diventa maestro, nella seconda il dolore sfida la fede:

 

(Padiglione S.Onofrio)

Puntuale alle dieci della sera

arrivi stanco dalla giornata di lavoro

tuo figlio carta e penna già t’aspetta

un bacio e subito la lezione,

stasera si comincia con la grammatica

e verbi transitivi e intransitivi,

poi la matematica e le tabelline

un po’ lo rimbrotti per un nove per otto,

si finisce con storia e geografia

piena sufficienza per date capitali,

ore undici termina la lezione,

ora è tuo figlio con le terapie del giorno

ad essere il maestro, tu l’alunno attento.

 

(Padiglione Spellman)

Lo attraversammo quasi di corsa

il reparto degli infetti

reietti perfino dalla vista,

dalla medicheria arrivarono grida

impossibile alzare lo sguardo,

vedemmo solo un corpo scarnito

passato da mille tubi trasparenti

e ancora l’atroce dolore urlato.

Uscimmo all’aria aperta

come riemersi dall’abisso,

di noi il più anziano mi si girò contro:

“Tu che tanto speri e tanto credi

spiegami una possibile giustizia

di quell’agonia morte futura”.

Non risposi ma una voce

si alzò alta dalle viscere:

“Per questo credo di più ancora”.

8 commenti

  1. Pubblicato il 22 marzo 2010 at 00:39 | Permalink

    Salve prof,
    ho visto il tuo libro in biblioteca e l’ho pure aperto… ho letto qualche parola (gradevole) ma non l’ho comprato :)
    non perchè non fosse interessante, ma perchè in genere leggo classici (salvo libri regalati), come ad esempio Le notti bianche di Dosto, che ho visto così ben analizzato in un tuo video su youtube 😉
    Sarò presuntuosa, lo so, invitare uno con la fama e gli impegni come i tuoi a visitare il mio blog.. Ma tanto l’imbarazzo di chiederlo guardandoti negli occhi non ce l’ho.. Quindi lo faccio 😛
    …E poi, chissà, potrei chiedere a qualcuno di regalarmi il tuo libro!

    Lisa

  2. Pubblicato il 22 marzo 2010 at 09:33 | Permalink

    Il dolore e la morte sfidano la fede. Ma è anche la fede a sfidarci, forse proprio lei per prima , perché il Male e il dolore che si prova di fronte alla morte istillano il senso del nulla e del vuoto. La fede bussa timidamente alla porta, ma recuperare la fiducia, aprire quella porta, dopo aver fluttuato nel vuoto, diviene un compito arduo. E’ banale dirlo…ma certe volte è questo quel che si prova.
    Le cose semplici non piacciono agli uomini…ma forse neppure a Dio, se c’è.

  3. Pubblicato il 22 marzo 2010 at 15:12 | Permalink

    La morte di per se non esiste, ma te la puoi creare, quello che veramente esiste è un abbandono del proprio corpo. Mi chiedo perchè temerla tanto, forse la si teme perchè non la si conosce, ma della vita si è certi e trascorrerla pensando continuamente al dolore e alle sofferenze è come buttarla via per arrivare poi a morire veramente. Sin dalla nascita le difficoltà insegnano a ricercare le bellezze della vita, ogni volta che ne raggiungi una ti arricchisci fino a completarti definitivamente e abbandonare il “guscio” che ti ha contenuto, perchè talmente pieno di luce da non riuscire più a trattenerla. Probabilmente è questa la Fede, senza la morte è sicura.

  4. Pubblicato il 23 marzo 2010 at 09:05 | Permalink

    Ciao Aria,
    beh..la morte esiste eccome. La persona che ami, una volta morta, non la vedrai mai più. E’ questa la morte. Il fatto che ci sia qualcosa “dopo” la morte dipende soltanto da quanta fiducia abbiamo in questo “dopo”. Il corpo si dissolve e marcisce, l’anima invece dovrebbbe restare immortale. Come ho scritto anche ieri, queste sono cose cui uno può credere, oppure no, rigettandole in toto. E’ questo il nocciolo del problema (o almeno, per me è così..) Dipende dalla scelta che si fa: se crederci oppure no. Una scelta che non è frutto di un calcolo razionale, ma solo di una intima disposizione..un qualcosa che ti viene da dentro e che non decidi. O c’è o non c’è. Per chi ci crede tutto ha molto più senso, per chi non ci crede, tutto è molto più vuoto ed è come pendere sui bordi del Nulla. Poi ci sono quelli che cercano di capire da che parte stanno…che non hanno certezze alcune e che si limitano a cercare di capire sé stessi. E soprattutto ciò che li circonda.
    comunque quel che dici è molto vero..la bellezza della vita si può trovare anche in ciò che è oscuro. Dall’oro non nasce niente, è dal letame che nascono i fiori
    un saluto a te :-)

    Claudia ’78

  5. Pubblicato il 23 marzo 2010 at 18:16 | Permalink

    Ciao Claudia, innanzi tutto volevo ringraziarti per le tue considerazioni, ma vorrei specificare alcuni punti. Credo che ciò che descrivi tu, ovvero la perdita di un proprio caro, non sia altro che l’incapacità umana di relazionarsi con qualcuno una volta che questo ha abbandonato il proprio corpo; giustamente, dici che la persona che ami non la vedrai mai più, come non potrai più toccarla, nè respirarne l’odore, ma questi sono tutti aspetti superficiali, che riguardano unicamente i sensi corporei, sicuramente se distogli l’attenzione da questi particolari, continuerai a percepirne la presenza col cuore. Inoltre il dolore che ne consegue, ritengo più opportuno appropriarlo alla persona a cui viene a mancare la presenza di qualcuno, piuttosto che a tale individuo; questo perchè l’uomo, nella sua limitata condizione esistenziale, difetta di un supporto affettivo per lui fondamentale. E’ sostanzialmente per questo che bisogna saper perseverare ad amare e non abbattersi più di tanto di fronte ad una perdita, ma piuttosto prenderla come stimolo per amare sempre di più. Spero di essere stata abbastanza chiara, ovviamente questo è solo un mio pensiero, discutibilissimo.
    Ps: Senza calma di vento, solo passaggi e passaggi, passaggi di tempo, ore infinite come costellazioni e onde.
    Saluti, Aria.

  6. Pubblicato il 24 marzo 2010 at 09:30 | Permalink

    Ciao Aria,
    ti ringrazio anche io delle tue stimolanti considerazioni. Vorrei comunque precisare che quando ho detto che la persona cara scomparsa non la si “vede” più, non mi riferivo solo all’involucro fisico, corporeo e superficiale, ma anche alla sua interità di persona, quindi anche alla sua interiorità, non solo il guscio esterno Capisco che il verbo “vedere” da me usato può far pensare ad una limitazione al campo fisico e corporeo, materiale, ma in realtà quando una persona muore, ti manca tutto di lei, non solo il corpo ma anche la sua personalità (è quasi ovvio che sia così) Nei primi momenti suscessivi alla sua morte, si prova questa cosa…poi con il tempo si impara a “sentire” la presenza della persona scomparsa in un altro modo, e cioé “dentro” di noi.
    Ma solo con il tempo. In fondo gli uomini sono creature temoorali, legati al tempo e alla materia…l’astrazione che li conduce a considerare anche lo spirito, l’incorporeo, ciò che prescinde dal tempo, ma anche dallo spazio, è un esercizio di pensiero che, in presenza di un forte dolore, forse riesce solo in un secondo momento. Imparare a sentire una persona “dentro” quando da tempo non la vivi più “fuori” di te, è una cosa che avviene lentemente.
    Ma questo è solo un mio pensiero. Poi ognuno ha le sue risorse.
    un caro saluto

    Claudia ’78

  7. Pubblicato il 24 marzo 2010 at 13:05 | Permalink

    Perdonami Claudia, avevo interpretato male il tuo pensiero. Anche io ritengo che sopprimere il dolore immediato alla scomparsa di qualcuno sia sbagliato, proprio perchè l’uomo, in qualche modo, necessita anche di soffrire. Come hai precisato tu, la percezione della persistente presenza la si avverte col passare del tempo, mea culpa, non avevo specificato questo punto. Ti ringrazio per l’interessante dibattito. Saluti, Aria.

  8. Pubblicato il 25 marzo 2010 at 09:09 | Permalink

    Oh figurati…!! non mi chiedere perdono, ci mancherebbe..mi fai imbarazzare così!! :-)
    avevo solo precisato il mio pensiero, ma non per rimbeccarti, lo giuro!
    comunque sia..grazie a te per il bellissimo confronto su temi così fondamentali
    cari saluti a te

    Claudia ’78

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libro

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