Epica scolastica

Quando alle 14 suona la campana, loro escono.
Tu rimani solo in aula, con l’eco dei loro saluti tintinnanti che ancora rotolano contro le pareti.
Arrivederci prof!
Qualche segno sul registro per relegare la burocrazia a ciò che si merita: il tempo di recupero.
I banchi sono vuoti, scomposti quel tanto che basta a farli sentire ancora vivi della vita indomita di chi li ha occupati per sei ore.
Tu li guardi: sineddoche di un altro giorno di scuola finito, come lo sono i remi inerti per la nave.
C’è silenzio. Un silenzio riempito da un’eco profonda, che rimbomba quasi più forte delle loro voci, delle loro risa, delle loro paure.
Un’aula vuota subito dopo le lezioni non appartiene all’elegia. Non ha malinconia.
Appartiene al genere epico. Quel che resta in aula sono i segni di una vittoria.
Una battaglia è stata vinta, ma la guerra è ancora lunga.
La scuola è epos, come l’Iliade e l’Odissea.

4 commenti

  1. Pubblicato il 14 ottobre 2009 at 01:39 | Permalink

    E' incredibile come tu riesca a cogliere l'essenza più vera della vita e dello spirito umano traendo spunto da una situazione quotidiana, ripetitiva, apparentemente banale.

    Questo mi aiuta a capire meglio perchè, nel teatro antropologico (quello di Stanislavskij), ogni sedia rappresenta una persona.

    Bye,
    Charles

  2. Pubblicato il 14 ottobre 2009 at 10:39 | Permalink

    mentre frequentavo la scuola non avevo mai visto la cosa da questo punto di vista … ma come sempre hai ragione
    Tiziana

  3. Pubblicato il 15 ottobre 2009 at 13:49 | Permalink

    Gli occhi della poesia che catturano… percezioni invisibili…

    ale

  4. Pubblicato il 16 ottobre 2009 at 17:55 | Permalink

    Charles: non la sapevo questa delle sedie, me la dovrai spiegare.

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