Roberto Saviano e il Pallone d’Oro Messi
Nello stadio del Barcellona ero scortato dai Mossos, i corpi speciali della polizia catalana che volevano portarmi a vedere la partita circondato da un cubo di vetro antiproiettile e che poi, mossi a compassione, mi hanno risparmiato quel nuovo grottesco tipo di prigione. Ho incontrato Lionel Messi, l’attaccante argentino del Barça, il ragazzo che è riuscito a rifare, identico, il gol più bello di Diego Armando Maradona. Ha una faccia da bimbo che non dice nulla delle sofferenze che ha patito per anni e anni, delle iniezioni quotidiane di ormoni che gli hanno permesso di crescere e divenire un campione, il più grande giocatore dei nostri giorni. Lo chiamano “la Pulce” ancora oggi. Sembrava impossibile che pur con tutto il suo talento potesse farsi valere in partite fatte di giocate aeree, di scontri fisici fra titani. Ma anche il calcio può divenire resistenza, un’arte che ti si incarna in ogni centimetro di ossa allungate, in ogni lembo di carne che vi cresce intorno. E se dovessi proprio esprimere un desiderio, uno di quelli impossibili, vorrei che le mie pagine somigliassero a una delle corse di Lionel Messi verso la porta avversaria, veloce, velocissimo, palla incollata al piede, non importa se poi riesce a mandarla in rete o se la passa a un compagno più smarcato. La cosa più importante non è il gol, ma venire in avanti, dribblare, fintare, non perdere la palla.
Così Roberto Saviano racconta l’incontro con Lionel Messi, da poche ore proclamato Pallone d’Oro 2009, nel suo ultimo libro La bellezza e l’inferno.
Una storia esemplare quella del campione argentino. «Ero sempre il più piccolo di tutti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi» dice Messi. Il ragazzo infatti era affetto da una rara forma di nanismo che bloccava la crescita. Dal 2000 il Barcellona, grande club di calcio spagnolo, intravedendo in lui un talento, gli pagò per tre anni le cure costosissime e Lionel, dopo anni di duri allenamenti e grandi sofferenze fisiche, dimostrò a tutti che chi aveva creduto in lui non aveva affatto sbagliato.
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