Such a mess!

C’è una battaglia cruenta che si sta svolgendo. Il campo di battaglia è il cervello di Prof 2.0. Da un lato un esercito sterminato, compatto e ben organizzato composto dalla pesante cavalleria della sintassi italiana, la cui strategia principale è la perifrasi: aggirare il nemico e accerchiarlo da tutti i fronti. Dall’altro un esercito meno organizzato e meno numeroso, ma più rapido ed efficace: la fanteria leggera della frase inglese, la cui strategia è una sorta di guerra lampo. Concentra lo sforzo in alcuni punti e poi ritirati.
La battaglia è cuenta e faticosa. Sono due mondi che entrano in conflitto e i risultati sono spesso frustranti. Ti viene da tradurre ogni cosa che vuoi dire e questo crea dei mostri linguistici incomprensibili per un inglese. Devi buttarti in quella pericolosa guerra lampo, accettare la sfida della vertigine di una frase che non hai programmato. E a volte capita di sorprendersi di essere arrivati alla fine sani e salvi e magari avendo detto quello che volevi dire davvero. Il più delle volte invece il pesante esercito italiano ha la meglio, ma al prezzo di una lentezza nelle operazioni snervante…
Il fronte su cui l’esercito inglese sta vincendo è quello della lettura: smettila di leggere le parole sillaba per sillaba come si fa in italiano e concentrati sulle sillabe accentate. La strategia giusta è: mangia tutto il resto e stai pronunciando bene!
Sul fronte sintattico la battaglia per ora, purtroppo, è saldamente in mano all’esercito italiano…
Prevale la rapidità delle operazioni dell’esercito inglese nella scrittura, ma delude la capacità di ascoltare delle truppe in questione.
L’esito della guerra è incerto. L’unica certezza è che alla fine della giornata il campo di battaglia è ridotto veramente male…

7 commenti

  1. Pubblicato il 12 giugno 2008 at 17:04 | Permalink

    L’anno scorso, quando ero ancora a Palermo, ho studiato per un anno intero questioni di filosofia del linguaggio con alcuni professori del gruppo di Franco Lo Piparo.

    Gli argomenti principali erano:
    – Intertraducibilità delle lingue storico-naturali;
    – Invarianza e trasformazione delle lingue;
    – Le lingue storico-naturali sono generatori potenziali di metafisiche incommensurabili?

    Devo dire che sono dei settori di ricerca molto affascinanti…

    L’esperienza dell’inserimento in un nuovo orizzonte linguistico e l’apprendimento (dall’interno) della lingua di un’altra comunità di parlanti è qualcosa che, ad oggi, rimane avvolto nel mistero.

    Proprio ieri, con un mio coinquilino kossovaro, si discuteva del fatto che da alcuni mesi ha smesso di “pensare” con la sua lingua madre e ha iniziato a pensare in italiano. Sono cose che stupiscono!

    Il problema è che noi pensiamo al linguaggio come ad una etichetta sui nostri pensieri, come ad un semplice strumento che “serve” alla comunicazione… Ma siamo sicuri che non sia qualcosa di più?

    Inoltre questi studi vengono troppo spesso portati avanti da gruppi di studiosi che poco hanno a che vedere con l’universo cattolico.

    Eppure penso che un recupero della dimensione olistica dell’uomo, pensato come sinolo di anima e corpo, sgravata da tutte quelle influenze di stampo platonico che col cristianesimo non hanno molto da dividere, dovrebbe portare i pensatori cattolici a riconsiderare il rapporto tra il pensiero e la parola, tra l’anima e il pensiero e, perchè no?, tra la parola e l’anima…

    Per concludere, il magistero della Chiesa ha sempre tenuto in altissima considerazione la funzione del linguaggio all’interno, ad esempio, dei sacramenti, soffermandosi anche su aspetti che vanno ben oltre la semplice funzione sacramentale e strumentale. Eppure, sembra che queste cose vengano un po’ dimenticate.
    Mi pare assurdo che bisogna leggere Austin, Searle, Chomsky e tutta questa combriccola per sentir parlare dell’uso “performativo” della lingua, quando noi cattolici, quotidianamente, assistiamo ad un “miracolo” che avviene (non solo ma anche) mediante l’uso di una formula linguistica. Più uso performativo di questo!!!

    Ma siamo sempre indietro rispetto alla mole di lavoro che dovremmo svolgere e portare avanti…

    Saluti!

    Francesco M.

  2. Pubblicato il 12 giugno 2008 at 19:03 | Permalink

    Hey Coach, it’s so silly and at the same time so funny!
    Keep on fightin’, you’ll win!

  3. Pubblicato il 13 giugno 2008 at 10:35 | Permalink

    Confesso la mia ignoranza sull’argomento sollevato dal custode… che, per la verità faccio pure fatica a capire. Tutta colpa della frammentazione del sapere!

  4. Pubblicato il 13 giugno 2008 at 17:15 | Permalink

    ilcustode: very interesting. C’è un libro che ho letto al riguardo, un po’ confuso, ma con spunti interessanti: Dopo Babele, di G.Steiner.

    Aleoli: i hope.

    Isabel: don’t worry, la risposta del custode è abbastanza accademica. Gli chiediamo di essere più alla portata dei non addetti ai lavori nei prossimi commenti.

  5. Pubblicato il 15 giugno 2008 at 00:07 | Permalink

    Dear Alexander,

    your mind is really between a rock and a hard place.

    English is so you write.

    Don’t mind. American english is much worse! You’ll see.

    Do U know why american people is so fat?
    Becouse they eat hot-dogs, hamburgers, bacon, ice-cream, po-corn with butter and, above all… words!

    You’ve got reason. If you eat word, you speak a perfect english!

    Per ILCUSTODE :
    è da quando ero studente che ho sempre cercato di capire il significato di “OLISTICO”. Ho cercato su vocabolari ed enciclopedie, addirittura chiesto ad alcuni proff, ma senza trovare risposte esaustive.
    Me lo sparesti spiegare in poche parole?
    Grazie in anticipo.

    Bye,
    Charles

  6. Pubblicato il 15 giugno 2008 at 22:46 | Permalink

    Scusa per il ritardo! Non avevo letto la domanda. Grazie al Prof che me l’ha fatta notare. Anche se lui sarebbe più indicato di me per rispondere… ci provo!

    Se ti dovessi rispondere brevemente, ti direi che per “olistico” intendiamo tutto ciò che ha a che fare con l’integralità e l’unità. Ma sarebbe molto riduttivo.

    Partiamo da una premessa: diamo per assodato che esistano degli INSIEMI (insiemi di cose, di proprietà, di numeri, ecc).
    Rispetto ad un insieme noi possiamo dire che esso è la somma delle sue parti.
    Per citare Platone, la parola Teeteto è l’insieme delle lettere: T, E, E, T, E, T, O.
    Però Platone stesso ci dice che in effetti la parola Teeteto è più della somma delle sue parti, in quanto le singole parti, considerate come elementi di un insieme, non si comportano come elementi atomici indipendenti dalle altre parti ma, invece, intrattengono delle relazioni strutturali con il resto della parola.
    Semplificando al massimo: le lettere T, E, E, T, E, T, O, nella formazione del nome Teeteto, non sono semplicemente “accostate”, “messe accanto” l’una alle altre, ma sono tenute insieme da un legame profondo, e tale legame profondo è una “struttura”.
    (n.b. Quale sia la struttura, che orgine abbia, ecc. è un problema che richiederebbe un corso di laurea! Ti prego di accontentarti di questa mia esposizione generica…).

    Avendo guadagnato che l’òlon è non solo l’insieme delle parti, ma la relazione superiore delle parti in un tutto unitario, posso chiarire quello che intendevo dire: considerare un uomo come “semplicemente” l’unione di membra, organi, pensieri, stati d’animo, ecc messi insieme come fanno certi naturalisti; o considerare l’uomo come una materia a cui è sopraggiunta un’anima (una forma) come purtroppo credono molti cristiani, influenzati da alcune dottrine platoniche insinuatesi in tanti teologi, fa perdere di vista l’unità fondamentale dell’uomo, il suo essere creato sin dal principio per vivere l’eternità nella pienezza dell’Essere sia con l’anima (e questo risulta intuitivo a tutti: è più facile immaginare un’anima immortale piuttosto che un corpo immortale, dal momento che, di fatto, i corpi li vediamo morire!) che col corpo (questo come dicevo risulta molto meno intuitivo).

    Ovviamente partire da premesse che tendano a sottolineare l’unità originaria dell’uomo nella relazione con Dio, che non svalutino il corpo a “carcere” dell’anima e altre cose del genere, causa come conseguenza immediata la derivazione di una diversa antropologia, di una diversa etica, di una diversa psicologia e così via.

    Spero di essere stato più chiaro che nel precedente intervento.

    Comunque, per delle indicazioni bibliografiche ti consiglio il Teeteto di Platone; Frege a proposito del principio di composizione e del contesto;
    Ma anche Aristotele in Metafisica, Z, 17.
    Il problema è che l’argomento non è trattato mai sistematicamente: bisogna estrapolarlo!

    Francesco M.

  7. Pubblicato il 16 giugno 2008 at 20:30 | Permalink

    Io non sarei stato capace. Grazie!

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