La commedia umana

Una ragazza sale su un taxi in una vorticosa giornata di lavoro, in cui nulla sembra andare per il verso giusto. Quando scende il tassista la richiama e le restituisce il cellulare che ha dimenticato sul sedile. Ringrazia. Lo mette in tasca. Sbuffa e spera che tutto questo finisca quanto prima. Poco dopo sta per fare una telefonata e si rende conto che quel cellulare, benché sia uguale, non è il suo. La ciliegina marcia su una torta già malriuscita: un cellulare da restituire. Sta per buttarlo via. Scorre distrattamente la rubrica: una sfilza di personaggi della politica e della finanza, che a conoscerne anche uno o due si sarebbe a cavallo… Riesce a risalire al proprietario: un influente e ricco uomo pubblico. Lo chiama. Lui meravigliato ringrazia. Le dice che viene a prendere subito il cellulare. Quando si presenta porta con sè un meraviglioso mazzo di rose. La porta dell’ufficio si chiude. I due cominciano a parlare e scoprono di avere molte cose in comune oltre ad un cellulare. È solo l’innesco di una storia d’amore, non da film, reale…
Nulla accade per caso. Ma troppo spesso dimentichiamo che siamo dentro una commedia, più o meno divina. Troppo impegnati a lamentarci della parte ricevuta per renderci conto del meraviglioso spettacolo che va in scena attorno a noi, i nostri sforzi sono dispersi a cercare una ragione o qualcuno a cui farne pagare la colpa, quando invece sarebbe, oltre che produttivo, anche più gratificante, cercare di tirare fuori il meglio di noi nella parte che abbiamo adesso. Ciò che conta sul palcoscenico è il come non il cosa: sia per amore a noi stessi, attori professionisti della vita, sia per rispetto del pubblico che ha pagato il biglietto dello spettacolo…

9 commenti

  1. Pubblicato il 28 aprile 2008 at 18:33 | Permalink

    Ci sono momenti in cui la parte che ci spetta non è per niente piacevole da interpretare, ma la scena non può rimanere priva di un personaggio quindi,anche se male,dobbiamo continuare a recitare e portarla fino in fondo, sperando nella clemenza del pubblico e della propria autostima

    TLS

  2. Pubblicato il 28 aprile 2008 at 20:01 | Permalink

    Non andiamo in cerca d’autore… Lasciamoci cogliere dalla sorpresa Ognigiorno e Persempre.

  3. Pubblicato il 29 aprile 2008 at 09:44 | Permalink

    Per TLS: non è il solo senso del dovere a tenerci sulla scena. La sfida è dimostrare con maestria che quella parte è nostra e renderla unica e da oscar!

    Per Serenella: hai centrato il segreto del buonumore, lasciarsi sorprendere da tutto ciò che ci capita come un dono. In inglese PRESENT è sia “il presente” sia “regalo”…

  4. Pubblicato il 29 aprile 2008 at 11:10 | Permalink

    Effettivamente bisogna scriversi il copione oltre ad interpretarlo, e spaziare da Pulcinella ad Amleto. Mi sembra che ci sia un bel po’ di “teatro dell’assurdo” in giro, o no?

  5. Pubblicato il 29 aprile 2008 at 14:52 | Permalink

    il teatro dell’assurdo è proprio la visione anticipata di uomini senza sceneggiatura… solo che quando diventa realtà è proprio disperante…

  6. Pubblicato il 29 aprile 2008 at 22:08 | Permalink

    Mumble, mumble…
    … a ben pensarci ognuno di noi, quando è in società, recita ed il mondo è un grande palco scenico.

    Il nostro corpo è un attore. La nostra coscienza è il regista.

    La sceneggiatura? Opera omnia di Dio (o del destino per gli atei), che ha scritto un semplice canovaccio che gli attori devono riempire improvvisando.

    Non a caso il nostro amato e stimato Prof 2.0 ha titolato il post “La commedia umana”.

    Gli attori della “Commedia dell’arte” non recitavano secondo un copione, bensì sulla base di un canovaccio che serviva da fil-rouge e poi stava alla bravura, alla capacità, all’arte degli attori improvvisare.

    L’improvvisazione nasceva da un’emozione, da uno stato d’animo interno.

    Poi venne l’Illuminismo e il teatro di Diderot e fu la fine della commedia dell’arte.
    L’attore che recitava bene divenne colui che “fingeva” bene.
    Il copione divenne una descrizione dettagliatissima, al quale ci si doveva attenere scrupolosamente.

    Fu solo nel ‘900 che la commedia dell’arte o “teatro antropologico” venne recuperato.
    E’ il famoso “metodo Stanislawsky”.

    Qual è il migliore dei due metodi?
    Quello antropologico.

    Perchè?
    Perchè è quello, come confermano i precedenti posts, praticato da miliardi di persone, ognigiorno, dasempre, persempre, nella commedia umana!

    Bye,
    Charles

  7. Pubblicato il 30 aprile 2008 at 08:07 | Permalink

    Grazie Charles la tua lezione di antropologia del teatro è proprio 2.0!

  8. Pubblicato il 14 novembre 2008 at 12:34 | Permalink

    Lascio qui il commento che però vale per tutti i post del mese. Ancora una volta devo fare i complimenti, ma più di tutto ringraziare.
    Ringraziare perchè i post sono come i libri: quando trovi quello della tua vita, lo metti tra i preferiti e copi le frasi sul tuo quaderno delle frasi, e tu ne hai regalati tanti;
    Ringraziare perchè certe frasi ti fanno venire i brividi e capisci che qualcuno ha detto ciò che pensavi,ma per cui non trovavi le parole;
    Ringraziare perchè, come in un bel film o in bel romanzo, leggi la vita di tutti i giorni,ma arricchita da tante cose belle che la rendono preziosa;
    Ringraziare perchè dalle parole emergono tutti quei valori importanti in cui si dovrebbe sempre credere e di cui fare tesoro;
    Ringraziare perchè hai la possibilità di farlo un pò tuo, rileggendo le parole che inevitabilmente entrano a far parte di te;
    Grazie!

  9. Pubblicato il 14 novembre 2008 at 12:46 | Permalink

    alice: sono felice che le mie parole diano gioia e voce a cuori anche lontani. Grazie del tuo ringraziare.

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