Fantascienza

Anche Bruce Sterling legge “Distòpia”

luglio 8th, 2020

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Bruce Sterling con la sua copia dell'Urania Millemondi "Distòpia"

Bruce Sterling con la sua copia di “Distòpia”

Pubblichiamo questa bella foto che ci è stata mandata da un lettore illustre: lo scrittore americano Bruce Sterling, uno dei fondatori del cyberpunk e autentico mostro sacro della science fiction anglosassone.

Trovandosi a Torino, ha acquistato di sua iniziativa una copia del Millemondi “Distòpia”, e grazie alla sua buona conoscenza dell’italiano ne ha cominciato la lettura.

Ringraziamo Bruce per questa splendida fotografia, ma ci rallegriamo soprattutto per un altro motivo: fino a qualche anno fa si vedevano solo foto di lettori italiani con in mano qualche antologia americana, eccitati all’idea di poterla leggere. Adesso, c’è un americano che si mostra entusiasta per un’antologia di autori italiani!

Questo significa che i nostri scrittori crescono sempre più, e che il divario con i maestri americani si fa sempre più esiguo. Anche grazie ai nostri Urania Millemondi!

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“La Terra Spezzata” di N. K. Jemisin – terza parte

marzo 28th, 2019

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Oscar Vault logo

Oscar Vault

a cura di Beppe Roncari

“La Terra spezzata” – Terza parte

 

N.K. Jemisin

N. K. Jemisin

“Sono cresciuta in biblioteca” racconta di sé Nora K. Jemisin, autrice della trilogia della Terra Spezzata, che Mondadori Oscar Fantastica porta in libreria da fine aprile 2019.

Quando aveva degli impegni, infatti, invece di affidarla a una baby sitter la madre, psicologa, la lasciava nella biblioteca locale. Le estati la piccola Nora le ha passate a New York con il padre, pittore e scultore, che le ha fatto conoscere e amare Star Trek e The Twilight Zone, e con suo cugino, il futuro comico W. Kamau Bell.

Scrive da quando ha nove anni, anche se all’epoca voleva fare la fumettista, e durante l’adolescenza ha divorato libri su libri di mitologia e ha sviluppato la passione per i giochi di ruolo.

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时空 China Futures: Uno sguardo al cinema SF cinese

novembre 18th, 2010

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Empires of the Deep è in lavorazione da oltre un anno nei teatri di posa di Pechino grazie a 100 milioni di dollari investiti di tasca propria dal costruttore miliardario Jon Jiang, un neo-tycoon che si paragona volentieri a George Lucas e James Cameron (International Herald Tribune, 16/06/2010). Basterà il suo colossal in inglese e 3D, varie volte interrotto per mancanza di liquidi, a lanciare in grande stile la fantascienza “100% made in China”?

Il popolare divo e produttore hongkonghese Louis Koo esprime dei dubbi diffusi laggiù: “Pur avendo in Asia compagnie specializzate in effetti speciali, non siamo ancora pronti. Non perché ci manchino i soldi, è questione di tecnologia. Si deve anzitutto investire moltissimo nella formazione del personale creativo. Oltre ad esperti di computer graphics, abbiamo bisogno di team di professionisti di punta nei settori scenografie e make-up. Ci vorrà come minimo un decennio o anche più” (South China Morning Post, 3/IV/2010).

Jia Zhangke, autore cinese indipendente della sesta generazione, ha brillantemente utilizzato in Still Life (Sanxia haoren, Leone d’oro alla Mostra di Venezia 2006) astronavi e alieni minimalisti. Inoltre, con The World (Shijie, 2004), tragicommedia ambientata in un luna park che riproduce in scala i grandi monumenti del mondo, Jia Zhangke ha prefigurato, e senza dubbio ispirato, l’Expo 2010 di Shanghai.

Avendola visitata quest’estate, posso confermarlo: i cinesi sanno più efficacemente e rapidamente di chiunque altro edificare dal vero il Mondo del Futuro, un mondo ecologicamente perfetto ove regna la regola “better city, better life” (tema dell’Expo). Però tuttora rifuggono dalle rappresentazioni fantasiose, positive o negative, del futuro.

L’ortodossia ideologica continua a irreggimentare la produzione cinematografica ufficiale, investendo pure la sf letteraria, magari in modo meno paralizzante, come dimostrano certi ruspanti racconti contenuti in questo volume. Propaganda e autocensura hanno svilito o sedato i non frequenti tentativi di fughe precorritrici verso l’utopia. Nell’ultimo ventennio si è preferito affidarle agli smaliziati cugini di Hong Kong, cineasti quali Wong Kar-wai, Stephen Chow, Wong Jing, imponendo anche a loro 2046 paletti da rispettare.

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Shi Kong

novembre 18th, 2010

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Un pioppo avvizzito dà fiori.

Una donna anziana prende marito.

Nessun biasimo. Nessuna lode.

(I Ching, Libro dei mutamenti)

Negli ultimi tempi l’interesse per l’Asia, e in particolare la Cina, si è manifestato non solo nell’opinione pubblica più colta e avveduta: anzi, il fenomeno riguarda gli spettatori della televisione, gli utenti del cinematografo e certo un’ampia fetta del settore commerciale. La sindrome cinese, infatti, muove da un’immediatezza quotidiana, da qualcosa che ci circonda e riempie di piccole grandi cose la vita di tutti i giorni (“nessun biasimo. Nessuna lode”: normalità dello straordinario). Non è più come ai tempi di Mao e della Rivoluzione culturale, quando il “pianeta Cina” faceva parlare di sé soprattutto per l’enormità – e l’efferatezza – del disegno sovversivo complessivo, che la mediazione di intellettuali d’eccezione come Edgar Snow spiegavano al mondo attonito. Se oggi Chung Kuo arriva sulle pagine di un periodico come il nostro, che di pianeti ne vede ogni santo giorno, è buona testimonianza della familiarità dell’ex-fenomeno paranormale; e con il suo sbarco, la sua orbita appena un po’ eccentrica soddisfa una curiosità che è propria di uno strato forse piccolo della popolazione – scoprire come sarà la fantascienza “made in PRC” – ma che va di pari passo con altre, più vaste questioni. Qual è la civiltà cinese uscita dalle rivoluzioni del XX secolo? Cosa ha permesso a un’economia contadina povera, perennemente afflitta da carenze e carestie, di decollare verso il traguardo di seconda potenza economica del mondo? E quale futuro l’attende (ci attende)?

Domande popolari perché i cinesi sono arrivati non solo a Parigi, come in un modesto film degli anni Sessanta, ma a Vicenza, Merano e Torchiara. Hanno aperto fabbriche, bazar, centrali dell’import-export, migliaia di ristoranti e bar, saloni di parrucchiere, scarpifici, sartorie, negozi di massaggi rilassanti. Le città ne sono piene. Le vie ne rigurgitano. Mangia semplice, paga poco; take away; assaggia la nostra pizza, spaghetti, fettuccine, caprese, manca solo il gorgonzola. Portare bambini, moglie. Venire. Gran parte dell’arredo urbano effimero (o non tanto effimero) nelle nostre città è ormai cinese.

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Breve panorama della fantascienza cinese

novembre 18th, 2010

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Parlare di fantascienza cinese non è facile: se nel caso della science fiction europea e americana possiamo fare riferimento ad opere e autori che hanno contribuito a definire il genere in maniera via via più univoca (da Verne e Wells, attraverso Asimov, Heinlein, Bradbury fino a Dick, Ballard e, successivamente, Gibson), non si può dire lo stesso della sua controparte asiatica. Il genere infatti, nelle modalità in cui lo conosciamo, è legato a due fattori determinanti nella definizione della cultura occidentale (per quanto sia rischioso usare questo aggettivo): lo sviluppo del pensiero scientifico e di una società di tipo industriale. Di questo – o meglio dell’assenza di queste due istanze – dobbiamo tener conto nel parlare di di fantascienza cinese o, più coerentemente, di kehuan wenxue 科幻文学.

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Lorenzo Andolfatto su Shi Kong

novembre 18th, 2010

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Al lettore di science fiction più navigato la lettura di questi racconti potrà riportare alla mente non tanto la fantascienza matura di Philip K. Dick, Ballard, della corrente New Wave prima e poi del Cyberpunk, quanto piuttosto la produzione classica, quella dell’età dell’oro degli anni cinquanta americani, della Fondazione di Asimov, di Straniero in terra  straniera di Heinlein, delle Cronache marziane di Bradbury, una fantascienza ancora innocente se vogliamo, lontana nel cosmo a bordo di astronavi magnifiche e popolata di eroi e robot in uno sfondo, lo spazio aperto, che assume il ruolo della frontiera, di un nuovo West ricco di opportunità.

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Giuseppe Lippi ospite di Rai 1

aprile 26th, 2010

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“Urania” torna in video, con il suo curatore ospite di Uno Mattina. 

Domani mattina, intorno alle 9.35, il nostro curatore Giuseppe Lippi sarà ospite di Rai Uno con il direttore dell’Agenzia Spaziale Italiana, nell’ambito del programma Uno Mattina. Come sempre, il nostro mensile di fantascienza è sinonimo di popolarità e autorevolezza nel porgere al grande pubblico i temi del futuro e della conquista di nuovi orizzonti. Durante la trasmissione verranno mostrate alcune copertine della nostra collana scelte tra le più belle del passato e del presente.

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Lettera a Kage

marzo 31st, 2010

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Pubblichiamo un intervento di Cecilia Scerbanenco su Kage Baker, di cui è stata scopritrice e traduttrice per “Urania”.

Cara Kage,

scusami se ti scrivo solo ora. Non ce l’ho fatta prima. Il 2009 è stato un anno di lutti per me, grandi, piccoli (neppure un gattone grigio che veniva spesso a trovarmi è stato risparmiato), tutti dolorosi. Attendevo il 2010 sperando in un po’ di respiro. Non è stato così. Tu sei morta e poco dopo (o poco prima, ma io l’ho scoperto dopo), è morta anche un’autrice di rosa, Katleen Givens, che amavo molto.

L’altra sera però ho incontrato Giuseppe Lippi e così ho pensato che dovevo farlo, dovevo proprio scriverti qualche riga di saluto. Lo faccio subito questa sera, contando sull’appoggio di una scatola di pasticcini Bindi.

Non ricordo se fui io a segnalare i tuoi romanzi, la serie della Compagnia del Tempo. Ma ricordo ancora quello che provai quando lessi Black Projects, White Knights. Quello sì, fui io a insistere perché fosse tradotto e pubblicato anche se erano racconti, e “Urania” all’epoca non pubblicava volentieri antologie. Mentii. Dissi che, in realtà, era un romanzo a episodi che completava le storie precedenti e preparava il campo a quelle future. In realtà erano proprio racconti. Tra i più belli che abbia mai letto, Kage. E lo dico senza piaggeria: a me non piacciono molto i racconti. In più io leggo per lavoro, da troppi anni e troppa brutta roba, e sono un po’ anestetizzata.

Eppure, tra quelle pagine mi sono innamorata. Già avevo una passioncella per Joseph, il cyborg cinico e disincantato ma buono, ma in BPWK il mio cuore ha palpitato per Budu, il cyborg-Neanderthal, il capo assoluto e amato di una delle fazioni di Immortali.

Be’, ogni mercante di parole sa che quando il lettore si innamora (oppure odia) è un buon segno. Vuol dire che il personaggio, il romanzo funziona. Che lo scrittore è riuscito a infondergli vita.

Ho seguito il mio Budu per tutte le tue storie. Mi sono rinchiusa anch’io con Joseph in quella tetra grotta dove, disperato, tentava di guarirlo.

Già sapevo qualcosa dei Neanderthal, regalo di una imprevista vacanza a Malta. Sapevo, per esempio, che gli ultimi studi hanno cancellato molte certezze, che non si è più così sicuri che fossero “primitivi” rispetto ai Sapiens. Alcuni studiosi, senza osare dire nulla di così poco politicamente corretto, tra le righe la pensano come te, Kage; e cioè che i Neanderthal, solidali tra loro, che lasciavano bambole, collane e petali nelle tombe dei loro morti, siano stati portati all’estinzione – anche – dai Sapiens, più individualisti e, diciamocelo, un po’ crudeli.

Cara Kage, tradurre è un lavoro strano. A volte è un corpo a corpo con la balbuzie, ma quando va bene, quando si incontra un autore che sa scrivere, è una possessione. È un ritmo (l’arte, il talento, l’anima?) che ti prende e ti trascina.

I tuoi racconti erano così. “Testa piatta” era così: fusione perfetta di scienza e narrazione; sinfonia perfetta di note e ritmo. Per tradurla, non ho dovuto fare altro che lasciarmi andare a quelle note, possedere dal ritmo della tua musica, quasi un caso di medium-spirito-scrittura automatica dove tutto il merito va, naturalmente, allo spirito. Credimi, non succede spesso.

Per questo, mi sento di affermare che “Testa piatta” è un capolavoro. Ne ho anche la prova: persino i terribili revisori della Mondadori praticamente non toccarono la mia traduzione. Non ce ne era bisogno. La tua voce era stata perfetta.
Cos’altro avrebbero potuto desiderare i Neanderthal? Tu li hai riscattati, vendicati, ritratti con passione e spessore.
Ora che sei davvero spirito, be’, credo che tu possa essere soltanto nel Limbo, oppure ovunque la recente teologia abbia spostato i Neanderthal. Li immagino come li hai descritti tu in “Testa piatta”: le schiere ordinate che cantano un ritmo basso e ipnotico, un’antichissima nenia prima della battaglia.

Soltanto che adesso la dedicano alla loro regina.

Addio Kage. 

Tu e Budu mi mancate già tantissimo.

Cecilia Scerbanenco

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Infect@ opzionato per il cinema

marzo 22nd, 2010

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Interessanti sviluppi sul fronte cinematografico della fantascienza: Infect@, il romanzo d’esordio di Dario Tonani pubblicato in “Urania” nel 2007, è stato ufficialmente opzionato per diventare un film.

Un futuro al cinema per Infect@? E’ quello che noi tutti, lettori di Dario Tonani, ci auguriamo! Intanto il primo passo è stato fatto. L’indiscrezione è circolata negli ultimi mesi e ci è stata confermata dallo stesso autore milanese: un intraprendente regista italiano, che è stato anche docente alla New York Film Academy, ha opzionato i diritti cinematografici del romanzo pubblicato nell’aprile 2007 (“Urania” n. 1521). Prima di lui soltanto Valerio Evangelisti, tra gli autori italiani di “Urania”, era arrivato a vendere l’opzione per il cinema di una sua storia. Dopo Infect@, Tonani ha pubblicato lo scorso anno l’acclamato dittico L’algoritmo bianco e si appresta a tornare nel 2011 con il seguito proprio del suo romanzo d’esordio.

Vi terremo informati sugli sviluppi del progetto. Intanto auguriamo a Dario di vedere presto realizzato il futuro in cui le sue visioni, con il loro distillato di anticipazione e immaginario, finiranno impresse sulla celluloide.

[Nell’immagine, un’illustrazione alternativa realizzata da Franco Brambilla per la copertina di Infect@.]

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20 years & beyond: intervista a un curatore stellare

marzo 16th, 2010

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Lo scorso febbraio il nostro Curatore ha compiuto venti anni alla guida di “Urania”: in attesa di più adeguate celebrazioni, festeggiamo l’anniversario con una chiacchierata che ci svela retroscena della storia e anticipazioni sul futuro di “Urania” e delle sue sorelle. 

Giuseppe Lippi (Stella Cilento, 1953) non ha certo bisogno di presentazioni su queste pagine. Traduttore, saggista, autore di racconti, esperto di letteratura fantastica in tutte le sue molteplici declinazioni, oltre che di cinema (è autore, tra le altre cose, della guida definitiva al capolavoro di Stanley Kubrick: 2001 Odissea nello spazio: dizionario ragionato, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Le Mani). È stato curatore per la Mondadori delle collane Oscar Fantascienza, Fantasy e Horror, ha curato l’opera completa in volume di H.P. Lovecraft ed è recentemente tornato in libreria con l’antologia Racconti fantastici del ‘900 (Mondadori, 2009). Da vent’anni è al timone di “Urania”, come l’ha definita un grande amico scomparso da poco: “la corazzata della fantascienza italiana”.

Vent’anni sul ponte di comando di “Urania”. Domanda interlocutoria al Capitano Lippi, alias P. Kettridge Jr.: cosa si prova a essere stato per tutto questo tempo il punto di riferimento della fantascienza in Italia?

GL: Si prova un giramento di testa, e infatti la mia non è più tanto giusta, da allora. E si pensa: sono vent’anni che mi trovo qui, poco meno del tempo che è trascorso da quando ho aperto la mia prima copia di “Urania” e quando ne sono diventato curatore. Tutta la vita racchiusa nelle sue pagine!

Secondo la “Storia tecnica” della corazzata della SF redatta da Ernesto Vegetti (apparsa in tre puntate sui numeri 1526, 1530 e 1532 di “Urania”, in occasione del suo 55simo anniversario nel 2007), hai assunto ufficialmente la guida della collana con il numero 1121, ma già da un anno ti apprestavi a prenderne la curatela. Cosa puoi raccontarci di quel periodo e dell’eredità lasciata dal tuo predecessore, Gianni Montanari?

GL: Oltre all’incarico di dirigere “Urania”, di quel periodo ricordo volentieri la chemioterapia che mi ha salvato da un linfoma di Hodgkin. Essendo sopravvissuto, ho potuto dedicarmi al nostro lavoro con più fiducia e soprattutto slancio vitale. Gianni Montanari mi aveva lasciato una ricca eredità (un anno di produzione) e ho rispettato le sue scelte nel modo più assoluto, lasciando che uscissero per tutto l’89. Solo nel febbraio ’90 hanno cominciato ad apparire le mie. Prima di congedarmi da questa domanda vorrei ancora ricordare il calore e l’affettuosità con cui venni festeggiato – già allora, novello curatore – nella redazione dei libri di genere. In particolare da Gianfranco Orsi e Stefano Di Marino, che a quell’epoca era redattore di “Urania”, ma anche da tutti gli altri: il nostro caporedattore Marzio Tosello, i grafici Nicola Giacchetti e Maria Lina Pirovano e la dolcissima segretaria di redazione, Cinzia Monaco.

Sotto la tua direzione “Urania” ha festeggiato traguardi importanti. Il numero 1500 ti ha offerto l’occasione per approntare una rassegna dei curatori che ti avevano preceduto in questo ruolo. Com’è evoluta “Urania” dalla sua fondazione, nel 1952?

GL: Negli anni Cinquanta “Urania” è stata una collana pionieristica, avrei detto “eroica” se non fosse già esistita una testata con quel nome. Nei Sessanta diventa una creatura sofisticata, nei Settanta rappresenta un po’ il supermarket del fantastico o l’Antigravitazione per tutti. Negli anni Ottanta scopre nuovi orizzonti, mentre a metà dei Novanta tenta la via della libreria, trasformandosi in un’elegante serie pocket. Un certo nocchiero che non starò a nominare l’ha traghettata allegramente nel XXI secolo e speriamo di vederne ancora nelle belle. Oh, a proposito: per “Urania” il 2012 sarà l’anno del sessantesimo compleanno, non certo quello delle profezie maya.

Una critica che viene talvolta mossa alla collana è di aver dato troppo spazio alle mode del momento. Personalmente ho invece l’impressione che nel corso della sua esistenza “Urania” abbia saputo mantenere una sua identità, dando sempre spazio sia alle novità che al gusto consolidato dei suoi lettori. In definitiva, non sono mai mancate le dimostrazioni di carattere. Come ti sembra che sia cambiata la fantascienza nel corso di queste due decadi, nella sostanza e nella percezione del pubblico?

GL: Il genere in sé ha subito varie trasformazioni, trionfando al cinema e rinnovandosi anche nella sua forma letteraria: vedi il fenomeno cyberpunk, il cosiddetto cyber-noir e l’imprevista rinascita della space opera, soprattutto grazie ai bravi autori inglesi. Con gli anni il pubblico degli appassionati è diminuito ma lo zoccolo duro è rimasto vigile, fedele e interessato. L’attenzione dei media verso la fantascienza letteraria, invece, è venuta a mancare, almeno in Italia. All’estero è diverso, “Le Monde” ed “El Pais” dedicano sempre una pagina al genere, mentre il critico del “Guardian” è nientemeno che John Clute, il compilatore dell’Encyclopedia of Science Fiction. In Italia, a parte alcune testate come “Il manifesto”, siamo più pressappochisti: ci piacciono i film con gli effetti speciali e scriviamo di quelli, mentre sui quotidiani e le riviste che contano la critica letteraria è di stretta osservanza e pratica l’apartheid, lasciando fuori la narrativa d’immaginazione.

Estrapolando dai dati della summenzionata “storia tecnica” estesa da Vegetti, sei ormai sulla strada per festeggiare i 500 numeri di “Urania”. A bruciapelo: potendo tornare indietro, quale scelta non ripeteresti?

GL: Oh my God, non ripubblicherei la serie di Paul Preuss Nome in codice: Sparta. Né la novelization di Alien: dentro l’alveare, anche se fosse firmata Sheckley. E neppure Ithaqua, il mostro di Brian Lumley, così isolato dal suo contesto come uscì negli anni Novanta. Quel ciclo andrebbe rifatto integralmente su “Epix”, anche se si tratta di robina divertente più che edificante. Per il resto, come diceva Michael Moorcock: bisogna difendere a spada tratta tutti i nostri libri. Dietro ognuno, anche il più traballante, c’è una scommessa, una scelta, un desiderio.

Le tue scelte sono state fondamentali per far conoscere ai lettori italiani scrittori del calibro di Joe R. Lansdale, Michael Swanwick, M. John Harrison, Valerio Evangelisti. Di quale titolo o iniziativa vai più orgoglioso?

GL: Vado fiero di tutti gli autori che hai citato, e fra i più recenti aggiungerei Greg Egan, Peter F. Hamilton e Alastair Reynolds. Ma il mio senso dell’orgoglio – se tale può essere definito quello di un mero tramite com’è un direttore di collana – si scioglie al burro su un’autrice in particolare: Amanda Prantera. Amanda è inglese, vive in Italia, scrive romanzi bellissimi e complessi e considero i suoi Il cabalista e Cerchio segreto tra i più bei titoli usciti su “Urania” nel campo del fantastico moderno. Senza dimenticare il fantasy La regina dei Fani, apparso in una collana da libreria ma ultra-meritevole di un’epix-fanìa.

Quale risultato o iniziativa ti ha maggiormente gratificato?

GL: Vent’anni di premio Urania hanno visto l’affermazione di autori come Vittorio Catani, Valerio Evangelisti, Luca Masali, Nicoletta Vallorani: mica male, come scuderia. Altri autori hanno lasciato il segno sulle loro orme, fino ai recenti Paolo Aresi, Dario Tonani e Giovanni De Matteo. A parte il premio, che mi ha indotto a occuparmi di fs italiana pur non essendone un partigiano sfegatato, direi che i miei ricordi più belli siano legati ai numeri off-beat, strani, spesso usciti per festeggiare ricorrenze particolari. E quasi sempre antologici. Ricordo qui il volume del quarantennale (Metà P metà S, 1992), quello del quarantacinquesimo (Tutti i denti del mostro sono perfetti a cura di Valerio Evangelisti, 1997), il libro d’oro del mezzo secolo (Cinquant’anni di futuro, 2002) e il n. 1500 (Tutta un’altra cosa, 2005). Ma anche l’antologia di fantascienza auto-referenziale Fantashow (uscita per il Natale 1995) e quella dedicata ad Halloween da Robert Bloch (Le escrescenze della luna, 2000). Nei vecchi “Classici Urania” la mia serie preferita è quella dedicata ai Grandi Maestri della sf, cioè i vincitori del Grand Master Award, mentre nel “Millemondi” mi ha dato grande soddisfazione la serie in due volumi Avventure nell’ignoto e Nuove avventure nell’ignoto (The Fantasy Hall of Fame a cura di Robert Silverberg). Anche la ristampa dei racconti di Richard Matheson, Shock, è stata una bell’occasione per il “Millemondi”. Ricorderei ancora i due volumi de La fantascienza di Playboy (in “Urania” nn. 1368 e 1373; 1999) e la prima antologia della sf cinese apparsa in Italia, L’onda misteriosa (n. 1511 del 2006). A proposito, una seconda antologia cinese uscirà nel 2010.

Un romanzo o un autore che avresti voluto pubblicare?

GL: Guarda, non è per dire ma noi abbiamo pubblicato tutti i maggiori talenti: da William Gibson a Bruce Sterling, da Lucius Shepard a Octavia Butler, e questo nei vari periodi della storia della collana. Se vuoi una confessione, mi sarebbe piaciuto “scoprire” Iain Banks che invece è stato fatto conoscere dall’amico Piergiorgio Nicolazzini per la Nord. O Paul Di Filippo, che abbiamo recuperato in seguito. Tra i classici mi piacerebbe fare una nuova traduzione di Clark Ashton Smith, il più misconosciuto del circolo Lovecraft. Magari negli “Oscar” e poi su “Epix”, o viceversa.

La tua attività non è cominciata con “Urania”. Chi e cosa ricordi più volentieri delle esperienze precedenti?

GL: La mia storia professionale comincia nel 1977 con “Robot”, la rivista edita da Armenia di cui sono stato redattore per due anni; all’epoca il mio mallevadore e amico fraterno è stato Vittorio Curtoni. All’inizio dell’esperienza in Mondadori ho avuto la fortuna di lavorare con editor di grande finezza e cultura come Glauco Arneri (dal 1980 al 1984) e Ferruccio Parazzoli (dal 1985 al ’95), direttori per lunghi anni dei libri economici. Qui ho messo in piedi un catalogo di fantascienza, fantasy e horror che per quei tempi era particolarmente ricco e agguerrito. In seguito, ho collaborato con gli “Oscar” di Massimo Turchetta e Antonio Riccardi, che oggi sono tra i massimi dirigenti dell’azienda, e ancora con Luigi Sponzilli e Fabio Di Pietro. Nel caso di “Urania”, il primo della lunga serie di editor è stato Leone Buonanno, che saluto qui cordialmente: un ligure che riuniva in sé le capacità di ottimo amministratore e la sensibilità di un lettore avveduto, mai schizzinoso e anzi amante di molti generi artistici. A lui sono seguiti Gianfranco Orsi, direttore-chiave del “Giallo Mondadori” ma anche di “Segretissimo” e “Urania”; Franco Amoroso, un manager puro amante delle belle donne e delle macchine veloci; Stefano Magagnoli, dirigente di valore con il quale abbiamo vissuto tante avventure, in primis il passaggio delle collane al formato tascabile e lo sbarco in libreria del 1996. Annalisa Carena è stata l’unica signora del gruppo: con lei facevamo lunghissime riunioni a Segrate e giù al bar, nelle after hours, quando il tempo non bastava. Sandrone Dazieri è stato il primo romanziere ad arrivare al timone della divisione edicola: ricordo che mi porgeva i suggerimenti di un suo lettore di fiducia, un appassionato di fantascienza che veniva dalla militanza leoncavallina ed era soprannominato l’Elefante. Dopo di lui c’è stato Marco Fiocca, il più giovane della serie.

Torniamo al presente. E al futuro. Da qualche anno ti ritrovi a collaborare a stretto contatto con l’editor Sergio Altieri, attuale direttore del mass market Mondadori. Insieme avete riaperto agli italiani al di fuori delle maglie del premio Urania e avete varato la nuova collana dedicata al fantastico, all’horror e alla weird fiction: “Epix”. Cosa avete ancora in serbo per i lettori?

GL: Molte cose. Per esempio, prevedo di allargare la mia area di consulenza allo spionaggio (una mia vecchia passione: vedi il recente volume dedicato a Jean Bruce, OSS 117: Romanza della morte, apparso come supplemento a “Segretissimo”) e al giallo d’autore. In questo campo ho progettato un volume con tutti i racconti di Ed McBain dedicati al personaggio di Matt Cordell e usciti negli anni Cinquanta su “Manhunt”. Sarà un “companion” del romanzo A un passo dalla tomba, curato da Mauro Boncompagni e uscito lo scorso anno. Nel campo per noi più ortodosso del fantastico, ho varie idee allo studio: su “Epix” dovrebbe uscire un secondo volume dei Miti di Lovecraft, con altri importantri racconti, e poi una riproposta del miglior Machen (ad esempio Il gran dio Pan). In campo fantascientifico, seguo varie linee di pensiero contemporaneamente: un’”Urania-rivista”, per esempio, con racconti e romanzi ma anche articoli, forum, eccetera. E poi un programma di e-book, sia classici che contemporanei. Infine, sono già al lavoro su alcune ipotesi per il numero speciale del sessantennale. Posso anticipare che Sergio Altieri condividerà la realizzazione di tutti questi progetti. Una curiosità: noi due ci siamo conosciuti più di trent’anni fa, quando lui era uno scrittore agli esordi e io redattore di “Robot”.

Se non sbaglio, “Urania Collezione” era stata originariamente concepita per durare 100 numeri. Avvicinandosi al traguardo, puoi dirci cosa succederà dopo?

GL: Credo che durerà molto di più. E’ una collana (concepita da Sandrone Dazieri, fra parentesi) che ha dato molte soddisfazioni e altre ne darà. A farla brillare in edicola pensano le belle copertine di Franco Brambilla, ormai entrate a buon diritto nell’olimpo dei classici dell’illustrazione di sf. Oserei dire, i primi veri classici italiani dopo quelli di Kurt Caesar, Karel Thole e Giuseppe Festino.

Il restyling di “Epix” ha esplicitato il suo legame con la collana madre (o sorella maggiore). L’esperienza di “Epix” è forse emblematica delle insidie dell’edicola. Una questione sollevata ripetutamente dai lettori, anche attraverso i commenti a questo blog, riguarda il problema della distribuzione che troppo spesso segue logiche imperscrutabili ai comuni mortali. Come cambieranno adesso le cose?

GL: La distribuzione è sempre sotto controllo da parte della direzione libraria, ma procede per grandi blocchi e forti numeri. E’ possibile, quindi, che a volte si verifichino disguidi e alcuni punti vendita siano coperti troppo, mentre altri rimangano coperti poco o niente affatto. E’ un dilemma stringente, quando si hanno tirature inferiori alle trenta o quarantamila copie. Confidiamo che il restyling aiuti la fidelizzazione dei lettori e li invogli verso un genere di esperienza che “Urania” sente vivamente il bisogno di coprire.

Ti va di darci qualche anticipazione? Quali titoli vedremo nei prossimi mesi su “Urania Collezione” ed “Epix”?

GL: Su “Urania collezione” avremo – non necessariamente in quest’ordine – Non-A di A. E. van Vogt, Pianeta d’acqua di Jack Vance, Paradosso cosmico di Charles L. Harness, Stella doppia 61 Cygni di Hal Clement, Shadrach nella fornace di Robert Silverberg, Furia di Henry Kuttner, Il cieco del non-spazio di Bob Shaw e Addio, Babilonia di Pat Frank. Su “Epix” sono in arrivo Beowulf di autori vari, Carni estranee di Adriano Barone, il Wolfman di Nicholas Pekearo, The Iron Dragon’s Daughter di Michael Swanwick, La signora oscura di Giulio Leoni, La città vampira di Paul Féval ritradotto da Massimo Cavaglione e I racconti dell’orrore di Robert E. Howard in due parti. Più altre cose.

Che cosa ci riserva invece il futuro di “Urania”?

GL: Innanzi tutto una doppietta di autori italiani, Claudio Asciuti ed Errico Passaro, con i due romanzi brevi Vento eclissale e Zodiac, poi Birmingham, 35 miglia di un nuovo autore, James Braziel, quindi Nova Swing di Michael John Harrison. Nel “Millemondi” di maggio avremo il colossale romanzo di Peter F. Hamilton The Dreaming Void, primo di una trilogia ad amplissimo respiro. E ancora, su “Urania” normale, The Digital Plague di Jeff Somers, Incandescence di Greg Egan, il premio Hugo di Vernor Vinge Rainbow’s End, Rollback di Robert J. Sawyer e in novembre, se tutto andrà secondo i piani, una nuova antologia della sf cinese curata per noi da un esperto del campo, Lorenzo Andolfatto. Nei “Millemondi”, infine, avremo l’antologia annuale del Meglio della sf e una corposa raccolta invernale dedicata ai maestri della science fiction europea.

Prima di chiudere, una domanda sulla tua carriera di scrittore di fiction. Nel sopracitato numero 1500 di “Urania”, Tutta un’altra cosa, era compreso anche uno dei tuoi rari racconti. Si chiamava “Il lago d’inferno” ed era ambientato sulle sponde del Golfo, nella tua Napoli, in una città insidiata da minacce tanto oscure quanto letali. Alla fine, il protagonista decideva di prestarsi alla delicata partita a scacchi tra i No e gli umani sopravvissuti alla loro invasione. Ce n’era abbastanza per un romanzo intero, ma la storia s’interrompeva sulla soglia del mondo fantastico che si schiudeva al di là di una tela che era anche un manufatto psichico, e al lettore non venivano concessi molti indizi su ciò che sarebbe accaduto in seguito. Scopriremo mai chi erano davvero i No e cosa è successo a Bill Ford?

GL: Spero di sì, anche perché uno dei limiti del racconto è proprio quello di interrompersi su un “cliffhanger”. Nella mia mente, i No erano l’anti-umanità personificata, a cominciare dal nome. Potentissimi controllori del mondo, di probabile origine interstellare, ai quali non potevi neanche pensare senza che ti scoprissero. Una sorta di Grandi Fratelli all’ennesima potenza, ma dai quali ci si poteva isolare grazie alla protezione di alcuni manufatti artistici, o, come dici tu giustamente, psichici. Chi li avesse fabbricati resta un mistero (almeno per ora), ma un antiquario russo trasferitosi in Campania ne aveva scoperto un esemplare particolarmente potente sul lago d’Averno del titolo. Nella seconda metà della storia, ritengo si possa scoprire che il mondo al di là della tela sia un universo perfettamente normale, simile al nostro, senza i No e i loro servitori camorristi (i Cutolo, alias Cthulhu). L’agente Ford, che ha accettato di passare il varco, scoprirà che si tratta di una dimensione situata nel passato recente, prima dell’avvento dei controllori. In che modo riuscirà a svolgere la tela e a sabotare il potente nemico, è quanto si vedrà nella nuova avventura. Potrei pubblicarla su “Segretissimo”, tanto la trama mi appare nera e spiona…

Ti ringrazio per questa chiacchierata, Giuseppe, e lo faccio oltre che da blogmaster soprattutto da lettore di fantascienza e scrittore italiano. A te l’ultima parola…

GL: Innanzi tutto, sono io che ringrazio te e i lettori per avermi dedicato tanta attenzione. Per concludere, dirò che far marciare una macchina periodica complessa come quella di “Urania” non richiede soltanto conoscenze, gusto oppure “la testa”. Le schegge del puzzle sono tante e ognuna deve andare esattamente al suo posto. Occorrono molta accortezza e, soprattutto, molta pazienza. Una volta ho coniato il motto “pazienza e fantascienza”: mi sembra quanto mai attuale.

[Per l’illustazione di apertura, opera di Franco Brambilla, si ringraziano Giorgio Raffaelli (per la foto di base), Selene Verri e Luigi Milani. In basso: Giuseppe Lippi a Roma, nel 1998.]

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