Ann Leckie e la Ancillary Trilogy

agosto 30th, 2019 by Redazione

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a cura di Beppe Roncari

Ann Leckie e la “Ancillary Trilogy”

 

Ann Leckie, Ancillary Trilogy

Ann Leckie, Ancillary Trilogy

“Mi sono chiesta: ‘Che cosa farei se avessi venti corpi?’ E il primo pensiero che mi è venuto è stato: ‘Di sicuro mi metterei a cantare musica polifonica da sola!”’

È solo una delle risposte spiazzanti e originali date da Ann Leckie in un’intervista del 2016 a Wired.com. Come spiazzante e geniale è la sua space opera Ancillary Trilogy che Oscar Mondadori Fantastica sta per riportare nelle librerie italiane, in forma completa (i primi due volumi sono già stati pubblicati da Fanucci nel 2015) e con una nuova traduzione, che cercherà di rendere giustizia alla complessità lessicale e semantica dell’“Imperial Radch”, dove la differenza fra i generi è talmente irrilevante che il pronome “lei” viene usato per i personaggi di entrambi i sessi. Differenza, quella sessuale, di ancor più difficile comprensione per la protagonista, Breq, uno dei numerosi corpi “ancillari” dell’intelligenza artificiale della nave spaziale Justice of Toren.

Il mondo descritto da Ann Leckie ha una grande complessità, frutto di uno studio profondo dell’antropologia e di una fantasia senza confini. E se il particolare di un’intelligenza artificiale appassionata di musica polifonica diventa più chiaro quando si scopre che l’autrice stessa, laureata in musica, ne era una grande appassionata, altri dettagli dell’ambientazione possono apparire più criptici. Per esempio, il motivo per cui le Radchaai portano sempre i guanti.

“I guanti per loro sono come i pantaloni per noi” spiega l’autrice. “Noi non andremmo mai fuori casa senza indossarli, è una semplice questione di decenza. Allo stesso modo, se chiedessimo alle Radchaai perché indossano i guanti, ci risponderebbero: ‘Be’, è una questione di decenza. Le mani sono sporche.’”

L’universo dell’Ancillary Trilogy è coerente in tutti gli aspetti, dalle sottigliezze psicologiche alle grandi questioni politiche e religiose. Si ha l’impressione di trovarsi davanti un mondo reale, tinto di tutte le sfumature della vita quotidiana, dalla burocrazia alle intolleranze razziali, perché alla fin fine gli umani rimangono sempre umani, nonostante i viaggi interplanetari, l’incontro con culture aliene e il trascorrere dei millenni.

E chi può raccontare meglio cosa significa essere umani se non qualcuno che ci osservava dall’esterno, con decine di corpi e migliaia di anni a disposizione, ma che si trovi all’improvviso confinato in un singolo corpo umano con un’unica vita a disposizione? Quando si trova scollegata dalle altre unità Esk della Justice of Toren, Breq sperimenta qualcosa che non aveva mai provato prima: paura. Paura di morire, paura di non farcela, ma anche preda della solitudine e di un profondo senso di straniamento, come se le avessero staccato una mano dal corpo. O meglio, come se all’improvviso “Mano” della famiglia Addams sentisse la nostalgia del resto del corpo a cui apparteneva.

Nelle interviste, Ann Leckie ammette di aver fatto fatica a identificarsi in questo punto di vista così particolare. Un’esperienza che l’ha aiutata a farlo è stata lavorare come cameriera. Come molti altri scrittori, infatti, Ann era piuttosto riservata e faceva fatica a interagire con la gente. Lavorando al bar, però, si è abituata ad alcune semplici interazioni, come chiedere ai clienti che cosa volessero ordinare, per poi passare ad azioni più complesse, come improvvisare battute estemporanee. Per scrivere di Breq, un’IA che cerca di imitare i bizzarri comportamenti umani, quell’esperienza le è stata molto preziosa.

Ann ha cominciato a scrivere dopo essere diventata mamma di due bambini avuti nel 1996 e nel 2000, per sfuggire alla monotonia della vita da casalinga. Nel novembre del 2002 ha scoperto il NaNoWriMo (National Novel Writing Month), e ha accettato la sfida di scrivere un romanzo in un mese. Nel 2005 ha frequentato il Clarion West Writers Workshop di Octavia Butler, grazie a cui ha preso definitiva coscienza della propria vocazione. Ma le ci sono voluti altri sei anni per scrivere il primo libro della saga.

Pubblicato nel 2013, Ancillary Justice ha fatto subito incetta di riconoscimenti, aggiudicandosi i premi Hugo, Nebula, Arthur C. Clarke e BSFA. I volumi successivi, Ancillary Sword (2014) e Ancillary Mercy (2015) sono stati candidati al Nebula e hanno vinto il Locus Award. Oggi, a pochi anni dalla sua comparsa in libreria, la Ancillary Trilogy è già un classico della hard science-fiction.

Se ve la fate scappare siete dei Presger!

Posted in Dispacci, Ebook, Fantascienza, Grandi Saghe, Oscar Vault

11 Responses

  1. Jimi Paradise

    Uno dei titoli che attendo maggiormente! Avevo letto il primo romanzo iniziandolo in inglese e poi in italiano, ma la prima traduzione mi aveva deluso… Confido in voi! 😛

  2. TralfaRalfa

    Letto il primo: una delle cose più brutte mai lette in assoluto! E non credo sia soltanto colpa della traduzione. Su Urania, nel passato, abbiamo letto traduzioni terrificanti o tagliate ma la qualità è sempre emersa lo stesso. I premi? Prima erano un buon indizio ma ormai non significano più niente, anzi. Io li evito proprio: sono tutte scelte ideologiche.

  3. Luca

    Sono d’accordo con TralfaRalfa. La traduzione della Fanucci era pessima, ma il problema di base è che la Leckie non sa scrivere e non riesce assolutamente a fare immaginare al lettore l’ambientazione della storia. Le sue descrizioni sono talmente scarne da essere al limite dell'”anoressia”. D’accordo anche sui premi: ho acquistato il primo volume della trilogia “La terra spezzata” della Jemisin, convinto in parte dai premi vinti e in parte dalla quantità di giudizi favorevoli, e sono rimasto piuttosto deluso: anche lei scrive in maniera molto scolastica, a volte addirittura infantile (ogni tre o quattro pagine un personaggio “sospira” o “trasalisce”…). Avanti di questo passo i premi diventeranno una sorta di avviso che indica di stare alla larga da quel libro.

  4. Diego

    Buongiorno, sono felice delle novità su Oscar Fantastica. Sono entusiasta che siano pubblicati volumi di grandi dimensioni senza essere orribilmente spezzettati.
    Però su Oscar gradirei un formato un poco diverso. Capisco sia impossibile la copertina rigida, ma chiedo almeno una leggera sovracoperta con alette.
    Per i collezionisti i volumi di grosse dimensioni con una leggera brossura si rovinano irrimediabilmente dopo una lettura. Il volume Luna ne è rimasto segnato in modo spiacevole.

  5. andrea

    Completamente d’accordo con Luca. La quinta stagione , comprato appena uscito in seguito a tutti i premi vinti e la pubblicità fatta, è scritto in maniera talmente basica e senza alcun tipo di ricerca di stile che mi ha lasciato basito. Per carità la trama può anche essere carina e i personaggi un minimo interessanti, ma la scrittura è quanto di più basilare si possa immaginare.

  6. Jimi Paradise

    @andrea

    Davvero “La quinta stagione” è deludente? Volevo provare a leggerlo…

  7. Stefano

    Purtroppo ragazzi questo e’ il futuro
    Romanzi scritti per analfabeti funzionali
    Per questo speravo in Banks o Reynolds non certo su romanzi che io chiamo di livello Maze Runner ,assolutamente illeggibili

  8. Gabry

    Personalmente ho trovati i primi due romanzi della Leckie interessanti, traduzione forse non all’altezza ma sicuramente non si tratta di libri per analfabeti funzionali.

  9. ophiucus75

    40 anni fa e in 30 pagine John Varley aveva già scritto le stesse cose, e assai meglio.

  10. Stefano-B

    @ Jimi Paradise
    qui se ne parla entusiasticamente https://www.youtube.com/watch?v=UCZj_4ccmAk
    Però a me non convince lo stesso

  11. Jimi Paradise

    Grazie @Stefano-B

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