Watchmen: il sogno di celluloide

marzo 18th, 2009 by Admin Urania

Non credo nei miracoli: parafrasando il Dr. Manhattan, sono impossibili per definizione. Ma come definire altrimenti la riuscita di un film come la trasposizione dell’opera più complessa (paragonabile, per carica ideologica, solo a V per Vendetta) e incontestabilmente più influente nella storia dei comics?

Watchmen è l’opera di Alan Moore e Dave Gibbons che ha stravolto per sempre l’approccio ai supereroi e questo ne ha fatto di diritto il punto di non ritorno del fumetto contemporaneo. Riprodurne la complessità e la profondità sul grande schermo non era un gioco da ragazzi. Zack Snyder, acclamato dalla critica come il “regista più visionario” di questi tempi (etichetta che ricorda quella appiccicata una trentina d’anni fa addosso a Ridley Scott, quando era evidente a chiunque che la vetta della controversa classifica dovesse in realtà essere spartita tra ben altri autori, quali David Cronenberg, David Lynch o Terry Gilliam), è riuscito nell’impresa e il suo successo ha il sapore del miracolo.

Le riserve su un’operazione del genere erano molteplici, a partire dall’adattamento di un’opera stratificata, caratterizzata dalla sovrapposizione di livelli narrativi, dalla trama fortemente delinearizzata che genera una struttura frattale, con i continui flashback, le divagazioni, gli inserti metanarrativi e il citazionismo estremo che risentono dell’attitudine postmodernista di Moore e della sua passione per la narrativa e le intuizioni di William Burroughs. Ma la visione del film riesce per fortuna a esorcizzare tutte queste riserve e regala due ore e tre quarti di purissimo piacere cognitivo, un distillato delle visioni e delle riflessioni che impreziosiscono la lettura della graphic novel originaria. Quella che poteva rivelarsi la più disastrosa Caporetto hollywoodiana di fronte al potere della scrittura, trova invece la via della riuscita malgrado la scomunica di Alan Moore e la gestazione più che mai travagliata, tra cambi di registi (almeno tre, da Gilliam a Paul “Bourne” Greengrass, passando per Darren Aronofsky) e passaggi di mano alla produzione fino all’atto finale della battaglia tra la Warner Bros e la 20th Century Fox.

Ogni volta che capita di riscontrare una così equilibrata alchimia di tecnica ed estetica è quasi inevitabile una reazione di incredulità. Se si aggiungono le premesse di cui sopra, l’incredulità subisce un’amplificazione esponenziale. Probabilmente la scelta di Snyder e della produzione è stata quella di adottare un approccio riguardoso dell’originale senza lasciarsi sopraffare dall’imponenza dell’impresa. La scelta migliore possibile, come confermano i risultati: l’unica in grado di conservare lo spirito della graphic novel evitando l’integralismo religioso del fan convinto di avere abbracciato il culto di una setta.

L’ironia – insegna il postmoderno – è in fondo il metodo migliore per maneggiare la materia quando essa si combina in forme esotiche rischiando il collasso e la degenerazione. E di ironia Watchmen (il film) è infarcito almeno quanto il fumetto, riuscendo così a replicarne intatta la carica demistificatoria dell’universo dei supereroi e, al contempo, offrire una riflessione sull’uomo e sulla nostra società – riflessione magari meno fantascientifica e maggiormente declinata sul versante del fantastico che volge all’ucronia. Intuizione dello sceneggiatore californiano David Hayter, già apprezzato per il suo ottimo lavoro sui primi due copioni della trilogia dedicata agli X-Men della Marvel e inizialmente associato anche alla regia del film quando era ancora in cantiere per la Universal. Hayter ha lavorato sulla sceneggiatura per un possibile adattamento del fumetto fin dal 2001, realizzandone otto diverse versioni e arrivando, grazie anche all’apporto di Alex Tse, a un distillato delle situazioni, degli snodi e dei dettagli che non a caso nei copioni preliminari gli erano valsi il favore dello stesso Moore, prima che le vicissitudini produttive lo allontanassero da tutti i progetti cinematografici legati alla sua opera.

* * *

A mezzanotte, tutti gli agenti e la combriccola dei superumani escono e arrestano chiunque ne sappia più di loro”, è il verso della canzone di Bob Dylan Desolation Row, citato in chiusura del primo capitolo del fumetto e menzionato nello stesso titolo dell’episodio di apertura della serie (“A mezzanotte, tutti gli agenti…”). Potremmo sostenere che questa frase è paradigmatica della graphic novel, in quanto racchiude in sé tutta l’essenza del lavoro di Alan Moore: lo sguardo ironico e disincantato sull’universo dei supereroi, la riflessione sui meccanismi della giustizia e della storia, il dubbio morale, la cultura popolare, l’ambiguità e il senso di straniamento alla base di un numero cospicuo di opere di fantascienza.

Uscito tra il 1986 e il 1987, ideato da Alan Moore e Dave Gibbons come una possibile rivisitazione di una serie di vecchi supereroi della Archie Comic (i Mighty Crusaders) e poi adattato alla linea della Charlton quando la DC Comics ne prelevò i diritti e commissionò allo sceneggiatore britannico il progetto di una nuova serie legata ai supereroi, Watchmen nacque dalla decisione della casa americana di svincolare l’opera da qualsiasi riferimento esplicito a maschere del passato. Moore ne approfittò per arricchire di nuove caratteristiche il cast a cui aveva pensato originariamente e così, con l’apporto fondamentale di Gibbons, nacque la squadra dei giustizieri mascherati che avrebbe rivoluzionato per sempre il fumetto. Supereroi senza superpoteri, con le debite eccezioni.

Il punto di vista che scelgono per la loro miniserie è altrettanto innovativo e indicativo dei propositi degli autori: invece che mostrare la classica storia di supereroi in lotta contro il male e nemici più o meno prevedibili, Moore decide di mettere in scena il crepuscolo dei supereroi. A seguito delle proteste della popolazione e della polizia culminate in violenti scontri di strada, il Decreto Keene ha messo fuori legge gli uomini in maschera. Gli unici ad avere mantenuto il loro ruolo in virtù della stretta collaborazione con gli interessi del governo sono il Dottor Manhattan (l’arma definitiva degli Stati Uniti d’America, in quanto unico supereroe effettivamente in possesso di capacità transumane che sconfinano nel divino, una sorta di Singolarità umana – non a caso Janey Slater, la sua compagna ai tempi dell’incidente che lo ha reso la Cosa che è ora, nel fumetto gli rimprovera la propria confusione con le seguenti parole: “tutta questa nuova tecnologia creata da te! Le cose vanno troppo velocemente, non dovrebbero…”) e il Comico (figura controversa, bollata di nazismo dai suoi detrattori e usato da Washington per propiziare l’ascesa di regimi filoamericani nei paesi asiatici e sudamericani contesi al Comunismo sullo scacchiere geopolitico).

Il Comico, per ammissione dello stesso Moore, è modellato sulla figura di James Mowry, protagonista del romanzo di Eric Frank Russell Missione su Jaimec (Wasp, 1957, pubblicato lo scorso anno da “Urania”). Quando qualcuno però lo sorprende nel suo appartamento, scaraventandolo in strada dalla finestra, comincia a delinearsi un piano di attacco ai supereroi che non sfugge all’implacabile, laconico Rorschach. È lui l’unico reduce a non essersi ritirato dalla circolazione, un enigma vivente temuto dalla chiunque come la propria coscienza sporca. A differenza del pacato Nite Owl/Dan Dreiberg, della sensuale Spettro di Seta/Laurie Juspeczyk (all’inizio del fumetto compagna di Manhattan), di Ozymandias/Adrian Veidt che sui suoi trascorsi ha costruito un impero economico dell’intrattenimento, Rorschach non ha mai svestito la maschera. Non ha potuto farlo perché per lui la maschera è la sua faccia, anche se questo ha significato l’imputazione a suo capo di una mezza dozzina di accuse di omicidio.

Siamo nel 1985 e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Nixon ha avuto la meglio in Vietnam grazie ai servigi proprio del Comico e soprattutto di Manhattan, lo scandalo Watergate non è mai avvenuto e il successo di popolarità ha permesso al Presidente di modificare la Costituzione per estendere il suo potere vita natural durante. Il Presidente è ormai alla soglia del quinto mandato ma è evidente, fin dalle primissime pagine, che superare la crisi non sarà agevole come in passato. Forse un punto di non ritorno è stato superato. Forse solo il ritorno in azione delle maschere potrà scongiurare l’Apocalisse, o almeno porvi rimedio. 

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Miracoli termodinamici… Eventi così improbabili che sono effettivamente impossibili come l’ossigeno che si trasforma spontaneamente in oro”. Se il Dr. Manhattan si augura di osservarne uno, allo spettatore è dato di assistervi. In sala.

Siamo ormai così abituati a vedere i capolavori della narrativa e gli eroi del fumetto demoliti dal cinema, che la constatazione che si possa ancora riuscire a portare sul grande schermo una grande opera narrativa o artistica conservandone lo spirito si accompagna a uno stupore attonito. Questo amplifica l’impatto del senso del meraviglioso che impregna le scene di Watchmen ambientate tra i deserti marziani e, allo stesso modo, anche quel perturbante che invece ci coglie vedendo il Dr. Manhattan in azione nella giungla del Sud-Est asiatico, intento ad affiancare la Cavalleria dell’Aria dell’US Air Force nella sua opera di sterminio della resistenza vietcong e a fare del Vietnam la guerra-lampo che era stata auspicata dall’arroganza degli strateghi di Washington.

È un po’ come se Hayter avesse fatto propria la massima di Rorschach: “Nessun compromesso. Mai”. E si fosse poi impegnato nell’impresa della trasposizione con la certezza che avrebbe potuto essere solo un fiasco tremendo, oppure un successo clamoroso. La sorte ha arriso a lui e a tutti gli appassionati di Moore e del fumetto, malgrado la dissociazione – comunque obbligata – del suo autore.

Qualora ve ne fosse bisogno, Watchmen avanza in questo modo la propria legittima candidatura a rivestire il posto ancora scoperto di Blade Runner del prossimo quarto di secolo. Il parallelo non è casuale. Il capolavoro di Scott viene omaggiato a più riprese nelle inquadrature dell’ufficio di Veidt e dei dirigibili sospesi nel cielo della città. Così come si possono rilevare omaggi espliciti a 2001 Odissea nello Spazio nell’allestimento di alcuni interni, ad Apocalypse Now di F.F. Coppola, e ancora a Matrix per l’uso della tecnica di ripresa del bullet time nelle scene d’azione. Come la graphic novel viveva nel dialogo con i suoi riferimenti e modelli letterari ma non solo (Burroughs, Blake, il postmodernismo ipercitazionista, la musica di Dylan, la detective story e il fumetto di supereroi, omaggiato nella composizione delle scene da parte di Gibbons e nell’impiego dei colori primari da parte di John Higgins, a riprodurre gli effetti della Golden e della Silver Age), la sua trasposizione cinematografica instaura nuove connessioni all’immaginario, ricalibrando quelle già esistenti. Così “La cavalcata delle Valchirie” di Wagner, menzionata nel fumetto da Hollis Mason nella sua autobiografia Sotto la maschera (inserto metanarrativo che accompagna il dispiegarsi dei primi capitoli della serie) come la cosa più triste a cui possa pensare, rivive nella già citata scena bellica di Manhattan in azione contro i vietcong. Allo stesso modo Bob Dylan, la cui presenza aleggia sull’apertura e sulla conclusione del fumetto, torna nella fantastica sequenza dei titoli con le note di The Times They Are A-Changin’ ad accompagnare una scorribanda nella storia dei Minutemen (la formazione originaria di giustizieri in maschera) e dei suoi ripetuti intrecci con la politica americana e internazionale (incluso l’omicidio di JFK). Due esempi emblematici di come si possa cambiare rimanendo fedeli allo spirito del prototipo.

Quello che resta inalterato è il messaggio politico e morale sotteso alla storia. Il tradimento del sogno americano, evocato dalle parole del Comico di fronte ai segni inequivocabili della disgregazione. “Il Paese si sta disintegrando – osserva Nite Owl, mentre insieme cercando di pacificare un quartiere sull’orlo della guerriglia urbana. – Che cosa è accaduto all’America? Che fine ha fatto il sogno americano?”. La risposta del Comico, accingendosi ad aprire il fuoco sulla folla, è lapidaria: “ Si è avverato. Lo puoi ammirare ora”.

* * *

Ogni giorno che passa il futuro mi appare più cupo. Ma il passato, anche con i momenti più brutti, […] diventa sempre più luminoso”. Anche questa battuta pronunciata a sua figlia Laurie dalla prima Spettro di Seta, ora ritirata in un ospizio in California, è mantenuta immutata nel passaggio dalla carta alla pellicola. È una constatazione personale che testimonia del disagio umano di chi ha subito il brusco allontanamento dalla scena dei media, e adesso è costretta a contemplare i bei vecchi giorni della lotta al crimine dalla prospettiva della vecchiaia. Ma è anche un esempio eclatante di sublimazione del concetto dalla condizione umana privata a una visione globale e storica.

La storia gioca un ruolo di primo piano nel processo di world building operato da Alan Moore. La Storia del XX secolo, con l’ambientazione in un 1985 alternativo che rende di fatto Watchmen il primo fumetto ucronico (controfattuale, se vogliamo), sul cui impianto gli autori vanno quindi a innestare la loro rivisitazione della figura del supereroe. E la storia del fumetto, appunto, rivissuta attraverso il simbolo per antonomasia della sua iconografia.

Ritrovare tutto questo nel film non era scontato. Anche con la modifica più consistente, che interessa il finale, il lavoro della sceneggiatura riesce a quadrare il cerchio e salvare il messaggio, che ci pone spietatamente di fronte alla necessità di individuare un comune nemico per mostrarci l’inconsistenza delle differenze che ci dividono e costringere l’umanità a superarle. L’Hollywood Reporter lo ha liquidato giudicandolo “lungo, confuso e senz’anima”. Se sulla prima qualità non si può questionare (sono pur sempre 160 minuti di pellicola), per le altre due il discorso si fa più arbitrario. Di sicuro, se l’anima si accompagna ai sogni, non ci resta che celebrarne la morte con la visione di questa pellicola, ma soprattutto con la rilettura della graphic novel.

Del sogno resta solo la celluloide sul quale fu concepito. E tutto quello su cui si fonda ciò che conosciamo – meglio saperlo – è una menzogna: è quello a tenere il mondo in precario equilibrio, sull’orlo di un baratro.

gdm

Posted in Cinema, Fantascienza, Orizzonti

11 Responses

  1. ∂| Fantascienza.com Blog |uno Strano Attrattore » Blog Archive » Watchmen: il sogno di celluloide

    […] tra il film e il fumetto, con le ragioni per cui l’adattamento mi è piaciuto, è on-line su Urania Blog. AVVERTENZA: include la spiegazione del perché creda possibile che Watchmen influenzi il gusto […]

  2. 7di9

    Concordo. Lo spirito è rimasto. Personalmente, ciò che ho maggiormente apprezzato del film è il suo essere poco adatto al grande pubblico: sangue, sbudellamenti, dilemmi etici e politici non comuni, un per niente comune cinismo di fondo. Tutte qualità che non potevano non esserci, e che sceneggiatore e produzione hanno mantenuto con grande merito. Un lavoro sublime; di meglio, secondo me, non si poteva avere.

    7di9

    P.S. Ho trovato il finale filmico più interessante di quello cartaceo. Snyder aveva promesso che l’avrebbe cambiato ma che l’anima non si sarebbe persa. Be’, ha mantenuto la promessa, e, a parer mio, ha persino migliorato l’idea originaria di Moore e Gibbons.

  3. [OT] Watchmen - Pagina 5 | hilpers

    […] positiva di Giovanni De Matteo (scrittore di sf italiano, e collaboratore di Urania) la trovi qui: http://blog.librimondadori.it/blogs/…di-celluloide/ […]

  4. allanparly

    Fianlmente una recensione positiva, in giro on line ci sono solo schiere di accoliti offesi solo del fatto che il buon nome di Moore sia arrivato ancora alle masse.

    Ho amato il fumetto e ho comunque apprezzato il film, di straordinario impatto visivo, forse non facile a chi digiuno del fumetto (ma d’altronde ogni sforzo fatto per facilitare la comprensione è stato fatto, più di così ci voleva una voce narrante..!).

    Plaudo appieno l’allontanamento dal popcorn movie e l’essere ostico e duro, grandissimo segno di rispetto verso l’originale.
    I ragazzini che volevano vedere le avventure dell’Uomo-Orologio (giuro, li ho sentiti con le mie orecchie fuori dal cinema) avrebbero fatto bene a stare a casa, questa non è roba per loro, e per fortuna!

  5. Attilio

    Vorrei far notare che dovrebbero in futuro uscire versioni in DVD comprensive di molto materiale tagliato (Snyder si è lamentato che la versione rilasciata è stata imposta dalla major), oltre che del mitico fumetto dei pirati!!!! non vedo l’ora.

  6. Giuseppe P.

    Eccezionale fumetto letto a puntate sulla rivista Corto Maltese (1989-1990),innovatore e anticipatore per quei tempi; non compreso da molti.
    Bellissimo il Film, forse è necessario leggere prima il volume.

  7. Giovanni De Matteo

    Ringrazio tutti per i vostri commenti, che aggiungono valore all’analisi critica del film. In particolare:

    7di9: sul finale non saprei pronunciarmi. In effetti mi aspettavo di assistere all’ecatombe metapsichica ed ero curioso di assistere alla sua resa cinematografica. Il finale del film mi sa un po’ di ripiegamento, ma sono d’accordo con te che funzioni bene anche così. Continuo comunque a preferire quello del fumetto, dove la portata stessa della scelta del Dr. Manhattan acquisiva un rilievo diverso…

    Allan Parly: in effetti ne ha parlato bene anche Spagnoli su Fantascienza.com. Vi consiglio anche lo speciale di Delos SF. Concordo con te su un certo atteggiamento di rigetto a priori da parte dei cultori di Moore, come pure sul fatto che il film abbia raggiunto il massimo risultato sperabile e umanamente possibile :mrgreen:

    Attilio: è vero, avevo dimenticato di segnalarlo. In America, in effetti, il DVD con l’adattamento (credo che si possa anzi parlare di… completamento) della storia del Vascello Nero è uscito già la settimana dopo la release del film.

    Giuseppe P: prima o poi, il fumetto è comunque necessario leggerlo :-)

    X

  8. Evertrip

    comunque vada, nella locandina non compare affatto il nome di moore, ma solo del disegnatore. il che la dice lunga su cosa ne pensa il signor Alan dell’ennesima trasposizione di un suo fumetto…anche se è la migliore fatta fino a oggi.

  9. Attilio

    xGiovanni

    Ammazza oh! Già uscito? Ma è un prodotto separato?

  10. Giovanni De Matteo

    In effetti serve una rettifica: il DVD dovrebbe essere uscito ieri. Oltre a The Tales of the Black Freighter contiene anche il documentario Under the Hood, basato sull’autobiografia di Hollis Mason. Un’altra recensione è qui.

    Ciao!

  11. Attilio

    Ho visto il film… lì per lì mi è piaciuto. Alcune cose innovative e davvero carine, assieme al mancato stravolgimento della trama. Poi, riflettendo, alcune cose che non mi sono andate giù:
    – la Akerman sarà pure straordinariamente bona (e questo, per fortuna, Snyder non perde l’occasione di mostrarlo integralmente… eh eh eh!), ma non sa recitare
    – (questo forse verrà corretto nella versione lunga in DVD) i riferimenti al Rorschach smascherato, quello col cartello “The End is Nigh”, li capisce solo chi ha già visto il fumetto
    – i combattimenti sono davvero stupidi, stile-Matrix; anche quello tra Comico e Veidt, all’inizio, è tirato troppo sulle lunghe
    – Il dottor Manhattan è troppo culturista
    – Mediocri le scene del Vietnam (anche se forse il taglio “fumettistico” è voluto) e quelle della rivolta sedata dal Gufo e dal Comico

    Cose positive:
    – Veidt è molto più sinistro che nel film
    – Ho letto critiche all’uso di “Sound of Silence” nel funerale del Comico, additato come scelta “retorica” da parte del regista, ma questa è una citazione dal fumetto
    – La Akerman, anche se non sa recitare, è straordinariamente bona (eh eh eh)
    – Mitico Peter Weller! Grande sorpresa vederlo nel ruolo di Hollis
    – Ho finalmente capito che gli scienziati di Veidt muoiono per avvelenamento!! Leggendo il fumetto credevo fossero dei robot, pensate un po’… (e infatti la cosa non mi andava giù!)
    – A conti fatti, il film stesso mi ha reso cosciente della portata STORICA e culturale del capolavoro di Moore.

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