Segnali di humour

febbraio 23rd, 2009 by Admin Urania

Un excursus sulle visioni di Jacques Spitz e il suo background socio-culturale, a firma di Laura Serra.

In Paradiso e potere, un saggio di qualche anno fa, Robert Kagan teorizzava che l’Europa, simboleggiata da Venere, si cullasse in un paradiso di mollezze decadenti quali il welfare, mentre l’America, simboleggiata da Marte, le toglieva le castagne dal fuoco provvedendo virilmente al warfare. La debolezza, per non dire l’impotenza, militare suggeriva al Vecchio Continente una politica di appeasement, mentre la forza dell’arsenale più grande del mondo spingeva gli Stati Uniti a perseguire i propri interessi e punire chiunque li contrastasse. Del resto, argomentava Kagan, qualunque paese, come avevano dimostrato Francia, Gran Bretagna e Germania nei secoli passati, avendone i mezzi tende ad aggredire e conquistare: il pacifismo prospera quando le armi non ci sono.

Che cosa succederebbe se Marte e Venere fossero davvero Marte e Venere dotati di tecnologie avveniristiche e la terra fosse come la vecchia Europa di Kagan, mollacciona e disarmata, pasticciona e viziata, incapace di rispondere al fuoco nemico? E’ l’interrogativo che si pone Jacques Spitz in Les signaux du soleil (1943) e che già H.G. Wells si era rivolto in La guerra dei mondi (1898). Coniugando il realismo bellico del biologo darwiniano e la fantasia distopica del sociologo fabiano, Wells aveva immaginato esseri superiori intenti a osservare gli uomini “con la stessa minuziosa cura con cui questi avrebbero potuto studiare al microscopio le effimere creature che sciamano e proliferano in una goccia d’acqua” e si era figurato che quegli intelletti freddi e calcolatori “guardassero alla terra con occhi invidiosi, elaborando piani per conquistarla”. Spitz lo aveva indubbiamente letto e anzi si può dire che Les signaux du soleil sia la sua Guerra dei mondi come l’Oeil du purgatoire (L’occhio del purgatorio) è la sua Macchina del tempo; ma il suo spirito teso e sintetico è assai diverso da quello analitico dello scrittore britannico.In Spitz le invasioni, le intrusioni e i cataclismi sono sempre filtrati dalla mente. Il cardine di tutti i romanzi è un relativismo psicologico che è emanazione del relativismo laico originato dalle tre rivoluzioni a cui, secondo la scienza contemporanea, si deve lo «spodestamento» dell’uomo: la rivoluzione copernicana, la rivoluzione darwiniana e la rivoluzione einsteiniana, che hanno, rispettivamente, tolto la terra dal centro dell’universo, l’uomo dalla posizione di ombelico del mondo e l’uomo e la terra da un sistema privilegiato di riferimento. Spitz su questo spodestamento gioca le sue brillanti carte ironiche e antimetafisiche, cambiando l’ottica come un fotografo cambia gli obiettivi. In La guerre des mouches (Le mosche, 1938), mosche mutanti dal beffardo nome scientifico di Musca errabunda si moltiplicano in misura esponenziale, soppiantando l’umanità e sostituendo all’antropocentrismo un artropodocentrismo; in L’homme elastique (1938) (L’uomo elastico, in Incubi perfetti, cit.), gli uomini rimpicciolendo o aumentando di dimensioni assumono inevitabilmente un’altra visione del mondo, sicché crolla “tutto il castello di carte degli antichi valori”; in Les signaux du soleil, intelletti non tanto freddi e invidiosi come quelli wellsiani, quanto interessati a sfruttare le risorse di cretini incapaci di dimostrare di esistere (“Dove sei, fiera intelligenza? Parla, mostrati, manifesta la tua presenza”) mettono a dura prova tutti i parametri umani; in L’oeil du purgatoire, il pittore Poldonski, nella cui mente il tempo è accelerato, vede nei corpi che lo circondano gli scheletri che essi saranno di lì a qualche anno, in una cupa allucinazione che ricorda il balletto macabro dei Dialoghi dei morti di Luciano di Samosata (guarda caso anche autore di un Encomio della mosca).

Certo, la fantascienza modifica l’ottica quasi per definizione e di invasioni o intrusioni da Marte e Venere se ne sono contate diverse dopo La guerra dei mondi, ma Spitz, di tra le considerazioni tecnico-scientifiche, che a distanza di tempo, come spesso accade nel campo della narrativa d’anticipazione, sbiadiscono (oggi si userebbero radiosegnali e logica binaria, e 3,14 ha perso quell’aura mistica che aveva conservato per secoli) lascia filtrare una vena filosofica che in lui non è humus minore della “matematica, sua vecchia amica”. Cita Platone e Plotino in L’oeil du purgatoire, e le “forme” che alla fine il protagonista vede forse non sono che le ombre della famosa caverna; allude ironicamente a Nietzsche in La guerre des mouches (“Che il superuomo atteso da certi filosofi si sia rivelato essere una mosca è una grande ironia e mostra quanto i laboratori segreti della natura sappiano ridere”); e nell’Homme elastique, il più huxleiano dei suoi romanzi, conclude: “Non è affatto sicuro che la sete di conoscenza sia legittima, che il progresso non sia una corsa verso l’abisso, che il rimedio della scienza, la quale a piccole dosi ha un effetto terapeutico, a dosi più forti non si trasformi nel veleno che ha ucciso gli dèi”. In certo modo, con la sua critica morale anticipa la fantascienza sociologica degli anni Cinquanta, ma resta al di fuori di ogni classificazione, tanto più che, al pari di successivi satirici come Kurt Vonnegut e Douglas Adams, non si considerava un science fiction writer. Il cocktail stuzzicante dei suoi temi si innesta nella vera linfa di ogni artista: lo stile, che in lui è sicuramente superiore a quello di molti contemporanei anglosassoni.

Qualcuno lo ha paragonato a un altro autore, nonché illustratore e vignettista, Albert Robida (www.phenixweb.net). Come nota Riccardo Valla (Nostalgia del futuro, catalogo dell’omonima mostra, Modena 2008), in Le vingtième siècle (1883), di Robida, ogni aspetto dell’avvenire “è sottoposto all’ironia del caricaturista, da dietro ogni innovazione compare il suo difetto. I cieli sono pieni di macchine volanti, ma guidate da sfaccendati; i viaggiatori in salita sull’aerobus inciampano nello scalino e finiscono a penzolare da qualche tetto; il ‘telefonoscopio’ è un’eterna fonte di errori di collegamento”; ed è indubbio che in analoghi, grotteschi inconvenienti della tecnica ci si imbatta nelle pagine di Spitz. In Les signaux du soleil il carattere caricaturale è spiccato. Nello scontro di insipienze scientifiche e invasioni meteorologiche, e soprattutto nella memorabile guerra di lampi e fulmini che nel finale vede coinvolti Marte, Venere e la terra, pare di riconoscere certe immagini di La guerre au vingtième siècle di Robida. Spitz però non si esaurisce nella caricatura, né si limita a divertirsi, come un futurista, con “parole in libertà”. Tra le sue letture, oltre a Valéry e Breton, Wells e Huxley, c’era anche Pirandello. Nell’Oeil du purgatoire, che uscirà a distanza di soli due anni da Les signaux, è per esempio molto più pirandelliano e trasuda la follia ragionata dell’Enrico IV e la stanca misoginia del Fu Mattia Pascal. Non è solo scettico, ma anche eclettico. Sa fare il verso a tutti, mantenendo una mirabile unità di forma. Nelle sue manipolazioni di ottiche e obiettivi non è mai partigiano del protagonista o dell’umanità, ma assume i punti di vista di marziani o venusiani, mosche o scheletri (“Gli scheletri”, dice in L’oeil, “hanno l’aria più semplice, più da brava gente degli altri. Portano il proprio destino con una umile dignità di cui non avrei mai creduto che gli uomini fossero capaci”). Tuttavia non sconforta il lettore. La guerre des mouches, osserva Giuseppe Lippi, che ha avuto il merito di riscoprire una seconda volta e pubblicare questo maestro dello humour nero, “non è un romanzo deprimente. Non lo è perché il punto di vista dell’autore… è tutto sommato solidale con gli insetti, dei quali condivide la visione multipla e sfaccettata” (Marmellata di mosche, in Incubi perfetti, cit.). Il discorso vale anche per Lea signaux du soleil, che è quasi allegro nel suo delirio paradossale; anzi, nonostante l’ennesima agonia del mondo e le centinaia di milioni di morti, Les signaux è forse il più ottimista dei romanzi di Spitz, perché crede nell’amore, a cui concede l’ultima parola (“La verità sei tu”). Scritto in piena guerra mondiale, nel suo immaginare Marte e Venere che succhiano alla terra azoto e ossigeno fa pensare alla Francia sotto assedio, che chiede aiuto a una sciocca America pubblicitaria e matriarcale, ma trae solo da se stessa la forza di vincere la battaglia campale. Nonostante le montagne di morti causate dal fuoco nemico e dal fuoco amico, il clima (in tutti i sensi) resta da operetta, un’operetta tragicomica che nella prima parte si gioca tra il feuilleton e un’iconoclastia buñueliana (la zia Duhautois, le Capinere del Sacro Cuore, l’amore mistico-sensuale tra Philippe e Inès), e nella seconda esplode in uno scontro di idiozie terrene e furbizie celesti che ricorda le estrose battaglie dell’Ubu re di Alfred Jarry (del resto anche il patafisico dottor Faustroll anticipava l’Uomo elastico quando “si volle un giorno più piccolo di se stesso”).

Spitz, però, è forse più vicino a noi di Jarry, non solo per motivi anagrafici. “Mi sono ritrovato in Rue de Rivoli, in mezzo alle bancarelle della fiera di Capodanno” scrive in L’oeil du purgatoire. “Speravo di incontrare tra la folla certi tipi mostruosi e grotteschi, che potevano servirmi per una grande tela, una kermesse burlesca che ho in mente.” Kermesse burlesche sono anche i suoi romanzi: apologhi cinici che rimangono vividi, intensi e flamboyant non solo perché la follia umana non tramonta, ma perché, almeno a giudizio di Fruttero e Lucentini, che per primi le pubblicarono, quelle “visioni d’incubo non sembrano più così eccessive nel caos stralunato del nostro tempo”. Le perturbazioni climatiche di Les signaux non saranno causate da pianeti ostili, ma sono oggi sotto gli occhi di tutti, indotte dall’uomo stesso. Se la guerra delle mosche poteva sembrare un colorito paradosso nel 1938, già negli anni Settanta l’etologo Karl von Frisch preconizzava un futuro in cui, a causa degli sconvolgimenti ecologici prodotti dall’uomo, gli insetti, aiutati dal rapido succedersi delle generazioni e da una selezione naturale spietata, sarebbero potuti diventare padroni incontrastati della terra. L’uomo e la donna “elastici” che con la “florizzazione” si aumentano o diminuiscono di altezza, si spianano rughe, si difendono dai virus e dalla decomposizione con quelli che oggi chiameremmo OGM e ingegneria genetica, non possono non ricordare l’”elasticità” della moderna biologia. L’allucinazione di Poldonski, che attenuati i toni comici rappresenta una sorta di De profundis dell’autore, una drammatica “fuga nelle tenebre”, potrebbe benissimo essere indotta, anziché da un bacillo, da quelle droghe cui l’uomo contemporaneo, costretto a vedersi “con l’occhio del purgatorio”, si abbandona per conquistarsi un paradiso fittizio. Il paradiso europeo — direbbe Robert Kagan –, che dorme beato nell’ozio della sua vecchiaia venusiana e che nell’epoca dinamica del suo inferno, quando Francia, Germania, Italia e Inghilterra sapevano come si doveva reagire alla parola “guerra” e suonavano trombe, mobilitavano uomini, affilavano armi, nascondevano oro, evacuavano popolazioni e organizzavano comandi, ha prodotto scrittori come Jacques Spitz.

Posted in Fantascienza, Orizzonti, Profili

2 Responses

  1. Antonio F

    Un ottimo pezzo, colto, spietato, e brillante di lucido sarcasmo, come l’autore di cui tratta.
    AF

  2. Doc Moebius

    Concordo con Antonio. Ottimo.

Leave a Comment

Please note: Comment moderation is enabled and may delay your comment. There is no need to resubmit your comment.

Spam protection by WP Captcha-Free