L’Operativo

aprile 23rd, 2015

Tags: , , ,

Chi è l’Operativo?

L’Operativo sbuca dagli ultimi recessi della prima Guerra Fredda, per affrontare la seconda, in pieno corso. Non è anziano, ma ha un’età che gli ha permesso di esordire nel periodo immediatamente a ridosso della caduta del Muro. Sperimentandosi in qualità di ragazzo di bottega nel sottobosco delle covert operations. Di fatto, sembra tagliato apposta per il mondo frammentato dei nuovi conflitti, mai decifrabili fino in fondo. La sua identità non è segreta, bensì mimetica. Non deve mostrare una personalità troppo marcata che lascerebbe all’opposizione tracce per individuarlo, quale che sia, di volta in volta. Un autentico professionista del settore, infatti, si guarderebbe bene dall’assumere una fisionomia ben definita agli occhi del nemico. Viene in mente l’adagio di Dusko Popov, la spia britannica di origini jugoslave che durante la seconda guerra mondiale s’infiltrò nell’Abwehr dell’Ammiraglio Canaris: «Dubito che un Bond in carne ed ossa sarebbe sopravvissuto più di quarantotto ore come agente dello spionaggio». Popov, con la sua passione del gioco d’azzardo, delle auto veloci e delle belle donne aveva contribuito con altre figure a ispirare il personaggio di 007 quando Ian Fleming decise di mettersi a scrivere. Pure, nella vita reale, un agente segreto è sempre insospettabile.operativo

L’Operativo sa dunque mimetizzarsi, malgrado nel fisico abbia risorse non proprio comuni. Al suo primo apparire, in Sandblast, del 2008, viene descritto così: «Ancora dal lato giusto dei quaranta, snello, alto e rossic­cio, con un profilo dal taglio perfetto che qualsiasi donna avrebbe preferito a quello del marito. Le sue ampie spalle pare­vano fatte per reggere il peso del mondo». Successivamente si raperà a zero e ne emergerà una certa somiglianza con Jason Statham, che sarebbe l’ideale per incarnarlo sul grande schermo, se si considerano i protagonisti di solito interpretati dall’attore inglese. Perché, nonostante l’Operativo assuma nuove generalità per ogni missione, questo non cancella i tratti indispensabili del carattere di chi ha scelto di combattere nell’ombra. L’intelligenza, innanzi tutto, le capacità analitiche, una cultura nutrita di esperienze, luoghi e persone di ogni latitudine, e l’etica brutale del guerriero: si uccide solo per necessità, per sopravvivenza o per caso.

Gli ascendenti dell’Operativo non sono letterari, quanto piuttosto mediatici. La sua presenza narrativa scaturisce dal bisogno di approfondire la geopolitica del presente, confusa dai media, funzionali all’economia e ai centri di potere. Il Grande Gioco di Kipling si è spostato dalle frontiere reali a quelle finanziarie. Il sangue che scorre sui teatri delle nuove battaglie, scoperte o occulte, serve agli interessi dei potentati.

Esemplare Sandblast, dove si tratta di impedire il fallimento di un trattato di pace tra israeliani e palestinesi, che nuocerebbe ai maneggi di una multinazionale. Anche nel romanzo successivo, Sturmvogel, il tentativo di destabilizzare la Cina mediante un piano elaborato con l’ausilio dell’algebra ha risvolti fortemente legati al denaro. Ancora di più Targeting, dove una coppia di fratelli mina l’andamento dei mercati eliminando i migliori cervelli occidentali, puntando a creare un super-rublo fortissimo. E qui s’innesca il problema della seconda Guerra Fredda. La crisi ucraina e lo stillicidio di incidenti aerei sul fianco est della NATO sono la riprova del fatto che la Russia vive male la perdita dell’impero sovietico. D’altro canto, l’Europa e gli Stati Uniti compiono mosse ambigue e spesso deliberatamente provocatorie. Dimentichi o incuranti del ruolo costruttivo che Mosca potrebbe avere nella lotta a un terrorismo diffuso e capillare che colpisce nel cuore delle città, si vedano Parigi, Bruxelles, Copenhagen e Istanbul, per citare gli episodi più recenti.

Watchdog

Questo porta a Watchdog, finora l’intreccio più estenuante per l’Operativo. Dal secondo romanzo, Sturmvogel, la serie acquisisce una maggiore densità con l’entrata in scena di Carlton Slocombe, un funzionario di età avanzata che dirige la Divisione G, dove la G sta per “geopolitica”. La nuova sezione di riferimento per l’Operativo ha competenze molto ampie, garantite dall’autonomia. Slocombe, per il quale ricorre il termine “grigiore”, è il mentore dell’Operativo. Gli fornisce direttive, dati, rivelazioni. Per giunta, lo affianca e persino lo precede sul campo. La squadra, da Targeting, si è arricchita di Jessica Thorney, soprannominata Thor, come il personaggio a fumetti, per la sua prestanza fisica. Non è una virago, tutt’altro, però non serve a far virare i romanzi sul registro del sesso. A quello ci pensa Yelena Levenkova, ex accompagnatrice ucraina, amante di un ceceno che l’Operativo ha ucciso nella missione di Sturmvogel.

Watchdog mette assieme questo microuniverso spionistico per la caccia a un traffico internazionale di merce più preziosa dell’oro e della droga, che permette di influire sull’andamento delle prossime guerre. Lo si scoprirà solo nell’ultimo capitolo.

 

Enzo Verrengia

Posted in Black Ops, Segretissimo, Segretissimo - ebook | commenti 2 Comments »

Speciale Skorpia: Dossier Garudan

novembre 11th, 2014

Tags: , , , ,

GARUDAN- DOSSIER

di Stephen Gunn, dossier illustrato da Simone Ziliani, foto di Stephen Gunn

L’isola di Garudan è una città-st00ato situata tra il golfo del Siam e il mar Cinese Meridionale. Si trova quindi tra l’Indocina e le Filippine e richiude dentro di sé elementi culturali e ambientali provenienti da diverse culture. Come già è avvenuto nella migliore narrativa d’avventura è un luogo inventato, una metafora per avvicinare elementi esistenti e fare da set per una serie di avventure nelle quali il Professionista agisce un po’ fuori dalla continuity abituale, sembra persino più giovane. Vi troverà amici e alleati nuovi. In pratica una mini saga all’interno della serie basata sull’avventura esotica più sfrenata.

Garudan deve il suo nome al dio Garuda, mezzo uomo e mezzo uccello della mitologia indonesiana.

È un’isola delle dimensioni della Lombardia e presenta una fascia costiera rigogliosa e sviluppata per il turismo nella sezione occidentale, tre grandi città delle quali Garuda City è la principale e più moderna, una cinquantina di villaggi all’interno e una zona montuosa che ospita uno dei più grandi ghiacciai dell’Asia a ridosso dell’equatore. Oltre a questa si segnalano Olong, roccaforte del generale Batang che contende il potere al presidente, situata a nord e Noduda-kai, un’enclave nella zona sud orientale, costruita intorno alle antiche tenute di sir James Braden primo sovrano dell’isola, e oggi trasformata in un moderno resort dedicato al gioco d’azzardo gestito dalla Yakuza.

Tra il 1700 e il 1960 il Garudan era parte del vasto impero britannico, nato prima come roccaforte contro i pirati, in seguito come punto di scambio sotto il diretto controllo della Compagnia delle indie orientali. Dopo la rivolta dei siphay nel 1857 divenne parte del Raj, il protettorato inglese che ne affidò il potere a un governatore, sir James Braden, un avventuriero che era stato pirata e mercante di oppio lui stesso e aveva stretti legami con la società dei commerci orientali olandesi, con i sultani degli emirati e le triadi cinesi. Braden sposò anche una principessa russa. Dalla sua storia avventurosa e violenta nascono molte delle caratteristiche del Garudan moderno, in particolare la convivenza di varie elementi culturali e religiosi che la caratterizza.

Nel 1960 il Garudan diventa una città stato completamente indipendente anche se legata ai suoi partner occidentali e orientali. Durante la guerra fredda è rimasta territorio neutrale grazie al presidente-dittatore Wa Kin Ho che ha dominato con pugno di ferro la scena politica per quaranta anni. In questo periodo il Garudan è rimasto un luogo di delicato equilibrio politico tra i vari blocchi. Dal 1962 una comunità di monaci tibetani vi ha trovato rifugio erigendo un monastero lamaista sulle pendici del gh1iacciaio Himabalu nella zona più impervia dell’isola.

Dal 2001 il nuovo presidente Li Kin Ho, figlio del defunto Wa, ha assunto il potere. Pur trafficando con tutti i suoi vicini, il Garudan vive in uno stato di quasi totale autonomia.

Vediamo ora l’isola zona per zona.

Garudan City si trova sulla costa sud occidentale dell’isola. Circondata da due grandi spiagge disseminate di resort e grandi alberghi che attirano una gran numero di turisti. La zona esterna sui due lati è prettamente residenziale e ospita la cosiddetta zona rosa (denominata così a causa del colore dei muri di cinta di molte ville fortificate). Poi abbiamo la città vera e propria che è divisa per quartieri. Ospita due milioni e mezzo di abitanti e tutte le rappresentanze etniche, politiche e criminali dell’isola. È anche il principale scenario delle avventure che vi si svolgono.

Al centro c’è il palazzo presidenziale che si trova nell’antica dimora di Braden mentre la sede della Compagnia delle Indie è diventato la centrale della polizia che è divisa in tre sezioni. Controllo Politico, Special Duty Unit e Dipartimento di Polizia Locale. I magazzini della Compagnia invece ospitano The Wall, il carcere durissimo della città stato. Tutto questo complesso è all’interno di una cinta di mura ottocentesche e posto su una collina. La polizia e le carceri hanno anche diverse dislocazioni segrete nell’isola. L’esercito formato da mercenari gurkha è dislocato invece nella seconda città del paese Olong, di cui parleremo in seguito.

 

L’aeroporto internazionale d4i Garuda si trova a cinque chilometri dalla capitale unito da una superstrada in una zona circondata da campi di coltivazione di riso.

Oltre le mura c’è il modernissimo distretto commerciale che circonda la zona del potere come un anello di grattacieli, alberghi di lusso, cinema, centri commerciali. In questo settore sono anche dislocate la principale chiesa anglicana St. Maddalena, la moschea Alaqsa edue templi indù. il tempio di Tin Hau, la dea del mare, frequentato dalla comunità cinese invece si trova nello spicchio orientale della città al centro del quartiere cinese.

Al di fuori della cerchia moderna la città è appunto divisa in ‘spicchi’ che ospitano varie comunità differenti tra loro ma non tonalmente isolate. Verso il porto, che si sviluppa verso il mare come quello di Amsterdam e Singapore, infatti c’è il Grand Market Seafood, una zona dove tutti i gruppi etnici della città si ritrovano mescolati ed è un vero dedalo di capannoni, gallerie e sotterranei.

 

La comunità cinese è dominata dalla triade del Loto Bianco una delle prime società segrete cinesi legate al Kuomintang di Taiwan e ad alcuni gruppi di Fochow. In questa comunità densamente abitata dove si trovano le principali officine di 6contraffazione, magazzini tessili, e laboratori di falsificazione del denaro opera anche un piccola squadra della a Sezione 8 di Bruno Genovese. Un gruppo a parte nella malavita cinese guidato da Linda Hang, una nana che governa con pugno di ferro soprattutto il traffico di arte rubata e possiede vie di ingresso e uscita dall’isola ignoti a tutti.

Il ‘Capo della Collina ‘ del Loto Bianco è Hai Fat Wu che vive in una residenza fortificata poco fuori della città ma dirige i suoi affari attraverso una finanziaria nel distretto commerciale. È un uomo anziano e legato alle tradizioni. I suoi figli Michael e Leiko Wu sono stati educati in America e, benché spietatissimi, dirigono la triade come un gruppo industriale occidentale. La loro principale attività è il traffico d’armi e di yabaa, metanfetamina prodotta in laboratori nascosti nella città e in tutta l’isola. Controllano anche uno dei principali sindacati portuali della parte asiatica di Garudan.

5

I loro principali avversari sono i giapponesi della Yakuza del gruppo Kokuryukai (il Drago nero) e gli Yak, un gruppo di malavitosi russo-vietnamita comandato dal colonnello Ivan Thrang, un sanguemisto arrivato a Garudan dopo la caduta di Saigon.7

Gli Yak occupano un grande palazzo un po’ fatiscente circondato da officine meccaniche nel quartiere vietnamita indonesiano. Controllano i locali notturni, lo spaccio di droghe tradizionali e altri traffici. Thrang vive all’ultimo piano del SEXODROME, un gigantesco locale supermercato del sesso nella zona del vizio e della città. Controlla gran parte della malavita del sudest asiatico arrivata a Garuda City. Con le triadi si scontra regolarmente.

Gli Yakuza sono sotto il diretto controllo del clan Nosaka del quale il capo è il vecchio patriarca Naburo che vive in una villa poco fuori il terzo centro metropolitano, il resort di Nobuda-kai sulla costa orientale in una zona piuttosto decentrata, isolata e impervia. Ovviamente la Yakuza ha centri e filiali un po’ dappertutto. Si occupa principalmente di smercio di sha9bu, una droga8 simile al crack, di rapimenti, film pornografici e traffico di diamanti. Spesso si occupa di protezione di personalità residenti sull’isola. In questo è in diretto contrasto con gli Yak che spesso vivono di rapimenti e pirateria. A Nobuda-kai , però, l’attività principale è il gioco d’azzardo in ogni sua forma. Vedremo in un successivo episodio in lavorazione (L’oro di Skorpia) questa parte del paese e le sue caratteristiche uniche.

Ovviamente il gruppo criminale più potente del Garudan è quello del presidente Li Ho Kin che soprattutto si serve delle tre banche della polizia per dominare incontrastato e prendere tangenti da tutti i gruppi presenti sull’isola. I suoi diretti sottufficiali cono il colonnello Mendoza del Control Politico, un ex torturatore peruviano arrivato con una piccola comunità stabilitasi nello spiccio ‘farang’ della città quello abitato da varie etnie occidentali e sudamericane. Poi c’è la coppia (non sempre in accordo) formata dal capitano Luke Jorge della Special Duty Unit e da Kono Kalawa, una hawaiana che lo assiste nelle operazioni speciali e più violente e infine il commissario capo Yp Dan del GPD che si incarica di tenere l’ordine e taglieggiare nelle strade. Questi tre nuclei fedelissimi al presidente lo garantiscono anche da eventuali tentativi di golpe dei suoi ministri che, seppur scelti con accuratezza posso sempre farsi tentare dalla corruzione.

L’esercito stazionato in tutta l’isola ha il suo centro nevralgico a Olong ed è guidato dal generale Batang che dirige un nucleo di malavitosi tutto suo che il presidente tollera ma guarda con sospetto. Batang è un vecchio compagno del primo presidente con cui ha combattuto i ribelli comunisti e i pirati. In realtà aspetta solo l’occasione propizia per un colpo di stato. Il suo esercito è composto per la maggior parte di mercenari gurkha provenienti dal Nepal che gli sono fedelissimi.

La comunità dei monaci lamaisti vive in isolamento sulle pendici del ghiacciaio ma tramite il suo capo spirituale, il Daka Lama mantiene rapporti segreti con la triade del Loto Bianco alla quale permette di ospitare attività clandestine fuori dai controlli della polizia presso alcune lamasserie minori.

Ma queste sono solo alcune delle caratteristiche di Garudan che si pone come uno scenario variegato nel quale tutti gli appassionati di avventure esotiche troveranno soddisfazione.

 

 

 

Posted in Black Ops, Segretissimo, Segretissimo - ebook, Segretissimo Foreign Legion | commenti 8 Comments »

Enzo Verrengia – Unità 731

febbraio 17th, 2013

Tags: , , ,

IL DIABOLICO COMPLOTTO DEL DOTTOR ISHI

Spesso si invocano le questioni in sospeso con la Storia per appianare i contenziosi del presente. È il caso del Giappone, protagonista scomodo di una sempre rinnovata querelle con la Cina sugli esperimenti biologici durante la seconda guerra mondiale. L’argomento era già stato oggetto di un accurato e scioccante documentario di Peter Williams e David Wallace, con la consulenza scientifica del dottor R. John Pritchard, prodotto in Gran Bretagna dalla Television South. A ripor­tarlo in auge, la scoperta nei sotterranei dell’Università di Tokyo di resti di ossa umane.

I media riscoprono così la storia sinistra del programma nipponico di guerra batteriologica e chimica.

Ne fu artefice un medico, poi assurto al grado di generale, Shiro Ishii, che per le origini aristocratiche e l’educazione religiosa (buddista) potrebbe essere soprannominato il Josef Mengele del Sol Levante. Laureatosi nel 1927 all’Università Imperiale di Kyoto con una tesi sui batteri gemelli gram positivi, il suo scopo dichiarato era sfruttare la conoscenza biologica per vantaggi mili­tari di tipo tattico e strategico. Con le epidemie si potevano distruggere prima e meglio i nemici. Il che rientrava nella filosofia espansionista dell’élite nipponica. La guerra che si preparava non aveva fondamenta ideologiche e razziali, come nel Terzo Reich, più semplicemente si puntava alla conquista di spazi e risorse. In seguito, il Giappone avrebbe rivestito la sua aggressione tout-court con un tipico eufemismo da Sol Levante, Daitoa Koyoeiken: sfera comune di benessere asiatico. Per realizzarlo, tutta una classe di imperialisti non esitò a impegnare il Paese nel gigantesco sforzo bellico che doveva culmi­nare nell’aggressione contro gli Stati Uniti a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941.

Ma il dottor Ishii aveva incominciato la sua battaglia già nel 1932, prepa­rando vaccini per immunizzare le truppe. Dopo una serie di viaggi all’estero, il Mengele nipponico non s’illudeva che in un prossimo conflitto sarebbe stato rispettato il divieto di usare gas e armi batteriologiche, sancito a Ginevra il 17 giugno 1925. Per giunta, la sua comprensione della mentalità occidentale, lo induceva a credere che gli studi in questo campo sarebbero stati seriamente circoscritti dallo spirito umanitario che impediva esperimenti su cavie umane. Nel 1933, Ishii fu dotato a Tokyo del Boeki kenkyu-shitsu, laboratorio di ri­cerca per la prevenzione delle epidemie, costato 200.000 yen dell’epoca. In se­guito, lo scienziato inventò un filtro per l’acqua in grado di depurarla dai bat­teri in tempi più brevi della tradizionale bollitura.

Fin dal 1931, truppe imperiali occupavano la Manciuria. Fu là, a 24 chilo­metri dalla città settentrionale di Harbin, in località Pingfan, che nell’agosto 1936 venne istituita la famigerata Ishii butai, unità Ishii. Con la consuetudine bellica di confondere i nomi delle installazioni, fu conosciuta anche come Unità 731, unità Togo, unità Kamo, unità Manciuria 25202, Saikin Kenkyu sho (centro batteriologico sperimentale) e Boekikyusui Bu (dipartimento di igiene e purificazione idrica). Sotto queste mutevoli vesti, il compito di preparare armi batteriologiche. Il budget era di 6.000.000 di yen, allocati tramite l’armata del Kwantung, che occupava la Manciuria. Una cifra considerevole se rapportata al bilancio dell’intera università di Tokyo, di soli 12.000.000 di yen.

Ishii reclutò il meglio dell’intelligentsia accademica per portare presto la potenzialità di produzione di germi a quote che sfioravano i 400 kg. Quanto bastava per contaminare e distruggere più volte l’intero pianeta. Le armi bat­teriologiche erano l’asso nella manica del Sol Levante, con uno status nell’impiego bellico della scienza paragonabile a quello tedesco delle V1 e V2 e a quello americano del Progetto Manhattan, la bomba atomica. Non è un caso che le potenze vincitrici abbiano poi beneficiato di queste tre linee portanti per i loro terrificanti arsenali contemporanei.

Non che all’epoca americani, inglesi e russi stessero con le mani in mano. Washington aveva compreso anzitempo l’importanza della guerra chimica e biologica istituendo un centro segreto a Camp Detrik, nel Maryland. La Gran Bretagna ne aveva uno a Porton Down. Roosevelt tuttavia, al contrario di Curchill, considerava inumano il ricorso simili armi, ossessionato dalla me­moria dell’attacco tedesco col gas a Ypres durante la prima guerra mondiale, da cui prese il nome l’iprite. I russi, dal canto loro, conducevano esperimenti in Mongolia, a Ulan Bator, non lontano dalla Manciuria dove impazzava l’Unità 731. Inoltre, i servizi segreti occidentali avevano avuto sentore dell’interesse nipponico per la guerra batteriologica da tentativi effettuati da agenti di Tokyo di acquisire virus pericolosi dai centri di ricerca medica Rockefeller a New York e in Brasile.

Gli uomini di Ishii svilupparono nove differenti tipi di bombe per diffon­dere epidemie in territorio nemico: le I, Ro, Ha, Ni e U in ferro; le Uji,Uji tipo 50 e Uji tipo 100 di porcellana; le Ga di vetro. Gli ordigni venivano cari­cati di colture di germi e detonavano senza esplodere, solo liberandoli nell’aria. Un altro sistema era quello di bombardare le aree da contaminare con riso, batuffoli di cotone e topi carichi di pulci e zecche portatrici di an­trace e peste bubbonica.

Parallelamente, l’Unità 100, agli ordini del veterinario Yujiro Wakamatsu, lavorava a Mogatong su sistemi di distruzione delle mandrie attraverso contagi epizootici. E ancora, l’Unità 516 sull’isola di Okuno, prospiciente Hiroshima, sperimentava i gas. La Marina, dal canto proprio, lavorava al siluro Mark VII, in grado di convogliare colture batteriologiche contro il nemico, e i palloni Fu, alcuni dei quali trasportati dal vento precipitarono negli Stati Uniti provo­cando la morte per ustioni di una donna e dei suoi cinque figli.

Il capitolo più spaventoso del programma batteriologico giapponese è quello ancora coperto dal segreto. Gli esperimenti su cavie umane. Maruta, o «ciocchi di legno», questo il tremendo appellativo dei prigionieri destinati a morti atroci quanto e forse più di quelle perpetrate dai nazisti. Cinesi e russi immi­grati in Manciuria furono le prime vittime del programma di Ishii. Nessuna gratuita crudeltà in questo, secondo successive testimonianze. Per gli alfieri della guerra batteriologica si trattava di acquisire dati sulle reazioni del corpo umano a vaccini e malattie indotte deliberatamente. Altrettanto orrore si pro­vocò per studiare gli effetti della denutrizione e del congelamento.

Poi Ishii ebbe un dubbio: e se il metabolismo dei caucasici, cioè gli occiden­tali, fosse differente? Dopo la caduta di Bataan e il crollo delle Filippine, i carnefici dell’Unità 731 ebbero materiale in abbondanza fra i prigionieri di guerra. Per loro l’inferno aveva il nome del campo di Mudken, sempre in Manciuria. Qui tuttavia i maltrattamenti si alternarono a un ambiguo regime di stretta sorveglianza medica che rese a lungo impossibile discernere la verità. Tanto da poter accreditare la tesi dei medici giapponesi che sostenevano di ino­culare vaccini, non virus, agli internati.

Sta di fatto che i prelevati per trattamenti speciali non tornarono mai indie­tro. Divennero maruta. I pochi scampati provocarono una ridda di interroga­tivi burocratici in patria sugli indennizzi per i danni spesso irreversibili con­tratti sotto le «cure» dei dottori del Sol Levante.

Il 2 settembre 1945 il generale Douglas MacArthur sbarcava a Tokyo per la firma della resa incondizionata da parte del Giappone. Gli alleati avevano stabilito a Potsdam nella conferenza del 25 luglio che la popolazione nipponica non doveva essere piegata a un regime di schiavitù, bensì spinta verso la demo­crazia, per evitare che cadesse sotto l’influenza sovietica. Con la guerra fredda che incalzava, MacArthur raccomandò ai suoi collaboratori di non includere l’imperatore Hirohito fra i criminali di guerra. E neppure gli scienziati che avevano contribuito al programma batteriologico. Con un patto sconcertante, il dottor Naito, collaboratore di Ishii, ottenne l’immunità per sé e gli altri dell’Unità 731 in cambio di informazioni scientifiche agli alleati che non dove­vano essere condivise con i russi.

Ishii, dapprima dato per morto, si era in realtà rifugiato in Corea, dove voci controverse lo diedero per tornato durante la guerra che oppose truppe dell’ONU e cinesi agli inizi degli anni ‘50 sulla linea famigerata del 38° paral­lelo. A quell’epoca, Mosca e Pechino sostennero che gli americani impiegavano armi batteriologiche realizzate con il contributo determinante degli ex compo­nenti dell’Unità 731. Peraltro, il comandante in capo occidentale fu MacArthur, prima che Truman lo sostituisse con Ridway.

Ishii morì il 9 ottobre del 1959 dopo essersi convertito al cattolicesimo. Sua figlia Harumi negò che il padre fosse il mostro dipinto da una Storia più sus­surrata che denunciata. L’apporto dello scienziato alle ricerche batteriologiche degli alleati nel dopoguerra non fu mai provato con assoluta certezza. I sovie­tici tentarono con il processo di Khabarovsk di far emergere quelle verità ta­ciute dalla corte di Yokoama, che aveva condannato i vertici nipponici come criminali di guerra omettendo di citare in giudizio gli scienziati dell’Unità 731. La guerra fredda fece leggere l’episodio come mera propaganda comunista.

Gran parte dei collaboratori di Ishii si votò al silenzio e raggiunse posti di prestigio, soprattutto nello zaibatsu, il complesso finanziario e industriale giapponese. Uno di loro, Shiro Kashara, ha dichiarato: «Anche a Pingfan lo spirito era quello dei kamikaze: dire sì senza condizioni, entrare in una strada senza via d’uscita, senza alcuna rifles­sione.»

Shiro-ishii

 

Posted in Black Ops, Spy - Story | commenti 3 Comments »

Scrivere di spie – di Stefano Di Marino

novembre 19th, 2012

SCRIVERE DI SPIE

scrivere-di-spie.jpg

Mai un momento di quiete! A chi lo dite! Voi, forse, siete di quei tali che conducono una vita regolare e sanno sempre quello che faranno domani. Be’, vorrei essere così: per quanto mi riguarda, la vita è talmente bislacca che, alle volte,non so nemmeno quello che ho fatto ieri.”

No, non sono parole mie anche se un po’mi ci riconosco. È l’incipit di un romanzo di Peter Cheyney del 1942( Never a Dull Moment).Il protagonista è Lemmy Caution che i più bibliofili di voi di certo conoscono. Un agente dell’FBI tutto spacconate, cazzotti e sparatorie raccontate da un autore inglese che s’immaginava un’America vedendola nei film. Di fatto Cheyney il detective lo aveva fatto davvero e nella sua produzione Lemmy Caution merita una menzione. Prima di OSS117, prima di James Bond c’era lui. E sicuramente Fleming ammise che una certa influenza nei suoi romanzi delle opere di Cheyney c’era. Be’ tutti abbiamo i nostri modelli. Io ne ho moltissimi. Nei romanzi, al cinema, nei fumetti. E tutto mescolato con la vita vera che è sicuramente meno spettacolare della fiction ma a volte offre ottimi spunti. È la risposta che ho dato l’altra sera durante una presentazione al mio presentatore Fabrizio Fuvio Bragoni che mi chiedeva come nascono le mie storie. In parte documentazione, in parte esperienza sul campo, grandissima voglia di raccontare. Detta così può sembrare facile ma è il lavoro di una vita. Quello che volevo fare e al quale dedico tutte le mie energie, tanto che non saprei che altro fare. Il tempo dedicato alla scrittura effettiva alla fine è limitato. Ci sono poi dei periodi in cui uno assorbe di tutto, anche storie e impressioni visive che poco hanno a che fare con il genere praticato. Prima o poi tutto serve. Se la mia produzione è in gran parte spy story è solo perché si tratta del ‘ contenitore’ che trovo più adatto alle mie fantasie. La fase creativa per dirla tutta è continua e cerca sempre nuovi stimoli, a volte ripescando un po’ nella storia del pulp, a volte scovando nuove idee, nuovi orizzonti. Ammetto che è un gran divertimento. Di sicuro si guardano le cose(non solo quelle nate peri divertimento ma anche la cronaca, i rapporti reali con le persone) con un occhio diverso. Per quanto lo si neghi è sempre in atto il meccanismo del bambino che smonta i giocattoli per vedere come sono fatti. Non è un caso che mi capiti spesso di rivedere film che mi sono particolarmente piaciuti più volte di seguito. È stato il caso di Skyfall che da fan di 007 ho visto con grande piacere una prima volta per divertimento puro. Poi, dopo il giudizio positivo, viene la necessità di rivedere il tutto,di seguire il ritmo dei dialoghi, dell’azione, di scoprire i meccanismi vincenti. E nel frattempo cento altre letture, visioni, incontri. Alla fine diventa un lavoro a tempo pieno. Mi piacerebbe essere molto più famoso e retribuito? eh sì… però questa è un po’ la vita che mi sono scelto e va bene così. Le soddisfazioni sono molte. prima tra tutte avere la libertà di sperimentare di volta in volta formule un po’ differenti, di non essere costretto a ripetere un meccanismo all’infinito solo perché ha funzionato. Oggi, diciamo negli ultimi dieci anni, cinema e tv ci hanno insegnato che il format intoccabile che una volta era la regola prima di ogni seriale, non può cristallizzarsi. Anche a costo di deludere, talvolta, il lettore o una parte di lettori, si devono per forza introdurre delle varianti, tirare un colpo basso. Ricominciare senza tradire gli elementi cardine di una serie, ma guardando tutto da un’ angolazione diversa. È un po’ il caso del volume oggi in edicola Operazione Barracuda che da una parte presenta una vicenda di spionaggio avventuroso classica con cambio di set, azione, sesso, una certa spettacolarità anche nello sfondo in cui si svolgono i fatti, ma poi introduce una sottotrama legata a uno spionaggio più classico che avrà una sua evoluzione con conseguenze consistenti nella vita del professionista. Due parole su ‘Lungo addio’ che appartiene a una vena più realistica, più italiana, se vogliamo legata a Montecristo e alle storie di Gangland. ma non è qualcosa di totalmente avulso. Se il punto di partenza è lo stesso (il mio immaginario) l’approdo è differente. E chissà dove ci porterà. Come dicevo? ‘Mai un momento di quiete!’Meglio così…

Posted in Black Ops | commenti 7 Comments »

H305 di Enzo Verrengia

novembre 4th, 2012

Tags: , , , ,

Cari lettori e lettrici di Segretissimo, da oggi al blog si aggiunge una nuova firma. Di seguito infatti trovate un articolo scritto da Enzo Verrengia, eccellente autore (sì, anche della nostra collana) e traduttore. Enzo presenterà approfondimenti storici sul mondo dell’intrigo e dello spionaggio: una serie di imperdibili e dettagliati “dietro le quinte”. In questo primo articolo scopriremo cosa si nasconde dietro la misteriosa sigla “H305″.

H305

A volte la Storia si fa in una stanza. Quella in cui danno udienza i custodi dei custodi, cioè i supervisori dell’intelligence negli Stati Uniti è nota con una sigla alquanto scarna: H305. È un ambiente grande quanto un campo da tennis, con pareti insonorizzate e porte imbottite. Si trova nel cuore del Campidoglio, a Washington, una città dove al sapore di patriottismo che trasuda dai monu­menti e dalle strade, si accompagnano retroscena di intrighi. Come quelli spionistici, che nella stanza H305 hanno sempre il loro scioglimento finale, perché è la sede del potentissimo Comitato del Congresso sui Servizi Segreti. Qui finisce lo scaricabarile, come aveva fatto scrivere Roosevelt sulla sua scri­vania. Nel senso che tutti gli scandali e scandaletti, le sempiterne magagne dell’underworld spionistico divengono nodi da passare al pettine.

Nella stanza H305 del Campidoglio si svolsero, a suo tempo, degli imbarazzanti interrogatori, in assenza dei veri imputati. Che erano Aldrich Hazen Ames, analista della CIA, e la moglie colombiana, Maria del Rosario Casas Dupuy. Lui, occhiali e capelli radi, aveva proprio le phisique du rôle della talpa. Solo che era ormai fuori tempo: si fece sorprendere con le mani nel sacco a passare informazioni a Mosca quando la Guerra Fredda non entrava più neanche nei romanzi di spionaggio e apparteneva semmai al modernariato geopolitico. Lei, bruni tratti sudamericani, non era neanche la parodia di una Bond-girl, tutt’altro che la compagna fascinosa di uno 007. I due, dal 1985, avevano rim­pinguato di pratiche top-secret gli archivi del KGB e del suo primo sostituto, il MBRF, Ministero della Sicurezza Russo. Una farsa tardiva del mondo diviso in blocchi che non riusciva a scrollarsi i ruoli del vecchio gioco planetario a gu­ardie e ladri. Se non fosse che ai severi parlamentari della stanza H305 intereessava l’aspetto più prosaico della vicenda: il denaro. Durante la sua carriera di doppio agente, Ames superava di gran lunga il salario annuale di 69.843 dol­lari. Per esempio, dove aveva pescato i 540.000 dollari in contanti per compe­rarsi la nuova abitazione?

Lo sguardo e le voci inquisitorie dei componenti del Comitato del Congresso sui Servizi Segreti si appuntarono contro R. James Woolsey, all’epoca direttore in carica della CIA. La sua responsabilità includeva quella di tutte le agenzie governative di informazione, ed in questa sorta di onnipotenza federale, lo smacco del caso Ames appariva intollerabile. Tanto più se si tentava di accampare argomenti che apparivano troppo esili a difesa dell’operato dell’Agenzia. Come l’impossibilità di verificare in Colombia se era vera la notizia di un’eredità ricevuta dalla moglie, cui Ames attribuiva la sua improvvisa ricchezza. Woolsey affer­mò che nel Paese della signora Dupuy i testamenti non vengono iscritti all’Ufficio del Registro. «Per favore!» sbottò un congressista del Comitato. E un altro: «Andiamo, ci sono altri posti in Colombia in cui si può cercare di sapere se la famiglia è benestante».

A questo punto, la scena si spostava al senato, dove Dennis DeConcini, presidente dell’apposita commissione d’inchiesta, ripesca un’antica questione. I rapporti tra CIA e FBI. Il secondo è preposto per legge alle operazioni di sicurezza in territorio statunitense, dove al contrario, i ragazzi di Langley, sede dell’Agenzia, non possono operare arresti. DeConcini ricordava che esisteva un memorandum del 1988 che stabilisce lo scambio di informazioni tra CIA e FBI nel caso di inchieste interne. Perché non c’era stata sinergia fra i due colossi della sicurezza made in USA?

Semplice, perché a sua volta l’FBI è un’altra istituzione gelosa delle proprie competenze. Soprattutto quando, a non intervenire per tempo, si lasciano affiorare i peccatucci della concorrenza. Salvo poi accordarsi quando le cose diventano imbarazzanti per tutto l’establishment. Come dopo l’assassinio di Dallas o durante il Watergate. Nelle due crisi che hanno segnato la vita americana, CIA, FBI ed altri uffici più oscuri del governo hanno collaborato all’insabbiamento. Ma in fatto di spionaggio, le competenze non erano mai rigide. Tanto che durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, l’FBI riuscì a costruirsi il miti di ba­luardo anti-comunista, smascherando vere e presunte spie. Mentre la CIA, dal canto suo, si dotava di una tentacolare sezione di controspionaggio, affidandola al controverso James Jesus Angleton.

L’FBI visse per quasi mezzo secolo sotto il tallone di ferro di John Edgar Hoover, che aveva schedato praticamente l’intera nazione. Sfruttando le infor­mazioni più scottanti, l’uomo ricat­tava chiunque, ma soprattutto i vertici della classe politica, non esclusi i presi­denti, per mantenere ed accrescere il proprio potere. Fu comunque grazie a Hoover che si ebbe il decollo di un organismo di polizia istituito inizialmente con lo scopo di vigilare sull’applicazione del Mann Act, una legge che proibisce di portare una donna da uno stato americano all’altro con scopi immorali. Una sorta di supersquadra buoncostume che in seguito divenne determinante nella lotta al gangsterismo e annoverò tra i pro­pri uomini Melvin Purvis, quello che uccise John Dillinger… o almeno così fece credere.

Enzo Verrengia

Posted in Black Ops, Spy - Story | commenti No Comments »

Tiro al Professionista

luglio 21st, 2010

Tags: , , , ,

TIRO AL PROFESSIONISTA

A cura di Fabio Novel

Perché leggi IL PROFESSIONISTA?”

Questa è la domanda che ho posto a svariati autori, addetti ai lavori e affezionati lettori: tutti fan della serie action/spy nata 15 anni fa dalla creatività di Stefano Di Marino

Quindici anni.

Quindi candeline (o, piuttosto, candelotti… ) sulla torta.

Sì, quindici. Tanti sono gli anni (editoriali) compiuti nel 2010 dalla serie con protagonista Chance Renard, aka il Professionista. Il titolo d’esordio di questo serial della collana Segretissimo (ma presente anche in libreria, con vari titoli) risale infatti al 1995: si tratta di Raid a Kouru.

Da allora, sono più di trenta i titoli che vedono protagonista Renard, quasi tutti romanzi (con una media di due all’anno) più un romanzo breve e qualche racconto.

IL PROFESSIONISTA è stato ideato Stefano Di Marino, ma inevitabilmente nel cuore dei lettori, soprattutto di quelli della prima ora, è a Stephen Gunn (lo pseudonimo più noto tra quelli che lo scrittore milanese ha utilizzato in passato) che viene associata la serie. La quale, infatti, continua ad essere pubblicata sotto alias.

In occasione del decennale del Professionista, la collana Segretissimo aveva celebrato il suo protagonista più noto (assieme a SAS, di Gerard de Villiers, il quale però ha una collana a lui dedicata) con la pubblicazione di un’antologia intitolata Professional Gun, che oltre a testi dimariniana ospitava anche racconti del Professionista scritti da altri autori.

Oggi, per i quindici anni, la Mondadori edicola propone invece uno speciale estivo intitolato Guerre segrete, che raccoglie un romanzo (dallo stesso titolo) e un lungo racconto (Bajo fuego, i crudeli): entrambe le storie sono inedite.

Anche ThrillerMagazine/Spie nel Mirino e il Segretissimo Blog hanno voluto omaggiare il compleanno del Professionista. Lo facciamo con questo articolo “in collaborazione”, dove autori, addetti ai lavori e lettori – tutti fans dalla serie – ci spiegano “perché leggono il Professionista”.

Partiamo innanzitutto dalla testimonianza di Alan D. Altieri, scrittore di punta del panorama narrativo italiano (ricordiamo romanzi come Città oscura, Ultima luce, L’uomo esterno, Kondor, la trilogia storica di Magdeburgma anche varie antologie, tra cui Armageddon e la recente Killzone, per TEA), sceneggiatore cinematografico e televisivo, traduttore e da qualche anno anche editor delle collane da edicola della Mondadori, Segretissimo inclusa. Altieri afferma…

Sono due gli autori italiani che hanno re-inventato in modo fenomenale il concetto stesso di avventura.

All’apporto che Valerio Evangelisti continua a dare all’avventura gotica, fa da contrappunto il lavoro di Stefano Di Marino nell’avventura salgariana.

Se l’implacabile Inquisitore Nicolas Eymerich è il profeta del lato oscuro, l’immarcescibile Chance Renard è vate della temerarietà.

Oltre quindici anni di narrativa epica al massimo livello, avviato verso quota trenta libri, il lavoro di Stefano “Stephen Gunn” Di Marino con Chance Renard protagonista è a tutti gli effetti una vera e propria pietra miliare delle storie di esotismo e intrigo, brutalità e sensualità.

Un eroe dannatamente scanzonato e politicamente scorrettissimo. Storylines costruite con attenzione chirurgica. Straordinaria documentazione ambientale e geografica. Completo controllo della coreografia delle sequenze d’azione.

Il lavoro autoriale di Stefano Di Marino non cessa, e non cesserà, di coinvolgere e sorprendere. Ecco perche’ leggo ‘Il Professionista’.”

Sono molti gli scrittori italiani che amano il Professionista.

Un primo esempio è Gianfranco Nerozzi, autore di romanzi quali Genia, Resurrectum, Cuori perduti e Il cerchio muto, oltre che curatore di antologie (In fondo al nero) e compagno di Di Marino/Gunn nella cosiddetta Legione, il team di autori italiani operativo, con alias o meno, in Segretissimo.

Spiritosa e graffiante, come suo solito, la risposta di Nerozzi…

Leggo il Prof perché me lo ha ordinato il dottore.

Il doctor Jekill, naturalmente, nella sua forma migliore: quella di mister Hyde con gli occhi bianchi, l’Ombra del doppio che fa dell’istinto primordiale un tentativo di sincerità. Chance Renard/Stephen Gunn/Stefano Di Marino: sono il prodotto genetico di una bestia strana. Fantastica e distruttiva. Appassionante. Conosco il meccanismo, lo conosco bene. E che la creatura mutante Marc Ange/Jo Lancaster Reno/ Gianfranco Nerozzi mi sia da testimone: testimone scomodo e nascosto nell’Ombra, tanto per chiudere il cerchio e restare avvinti nel silenzio, segretamente muti.”

 Altro esponente della Italian Foreign Legion di Segretissimo (è lui il fantomatico François Torrent che firma il serial Nightshade), ma anche traduttore, saggista (Elementi di tenebra/Manuale di scrittura thriller, Mondo Bond, Le grandi spie…), consulente editoriale e abile narratore (Ladykill/Morte accidentale di una Lady, La settima nota, Diabolik: La lunga notte, Eva Kant: Il giorno della vendetta…) è Andrea Carlo Cappi. Così risponde alla domanda: perché leggi il Professionista? “ Per prima cosa… perché mi piace. Ci sono ancora alcuni gruppi di autori che non sono affatto gelosi del successo dei colleghi, quantomeno di quelli meritevoli. Quindi ci possiamo godere i nostri libri senza roderci il fegato per l’invidia, semmai con un certo senso di ammirazione: dopotutto, quanti autori italiani hanno venduto tante copie quanto Stefano Di Marino? Certo, con più libri: perché lui è capace di scriverne tanti e mantenere fedele il proprio pubblico, a differenza di altri che possono vendere uno sproposito con il primo libro, mezzo sproposito con il secondo, e via a discendere…

Il Professionista è un gran bel personaggio che rappresenta la scelta più matura, moderna (ed “europea”) della narrativa di genere, ovvero quella di far invecchiare l’eroe; una volta i personaggi seriali dovevano restare fissi e immutabili, protagonisti di storie che quasi non avevano cronologia; Chance invece invecchia, ricorda, si tormenta, ma si permette di avere ancora forza, riflessi e agilità perché rispecchia il suo stesso autore (provate ad affrontare Stefano Di Marino e vedete in quanti secondi vi mette a terra).

E poi le avventure del Professionista hanno molto da insegnare per trama, tecnica e stile a molti scrittori, specie quelli che ritengono di non avere niente da imparare. Potrei anche aggiungere che mi fanno scoprire il fascino di luoghi esotici e decadenti, come nella tradizione di Segretissimo, ma anche, da qualche tempo a questa parte, di luoghi molto vicini e ancora più decadenti. Ma adesso non ho tempo: devo tornare a leggere Il Professionista…”

 In quindici anni di missioni in edicola e libreria, e soprattutto con tanti volumi all’attivo, il Professionista ha avuto copertine molto differenti tra loro. Sono piuttosto convinto però che sia Chance Renard che Stephen Gunn amino soprattutto le belle donne (calate nei più feroci campi di fuoco dagli sfondi che richiamano di volta in volta al narrato) e l’efficacia delle illustrazioni di uno straordinario artista e copertinista: Victor Togliani. Anche lui ha da dire la sua sul Professionista…

Quando, chiamato dall’ineffabile Altieri ad occuparmi delle copertine di alcuni romanzi, ho conosciuto il prode Stefano, usando un anacoluto: ci siamo subito piaciuti!

Sarà che non ho avuto difficoltà, per affinità elettive, ad avvicinarmi al mondo es(r)otico del PROFESSIONISTA, sarà che mi ha divertito far indossare all’autore le vesti del personaggio, ma devo ammettere che costruire le sue cover è sempre un divertimento (però non diciamolo all’editore che potrebbe essere invogliato a sottrarmi l’emolumento).

A volte Stefano mi manda qualche immagine di donna che incarna l’idea che si è fatto dell’eroina di turno e io cerco di assecondare i suoi canoni estetici da erotomane, che in fondo condivido.

Per Colori di guerra ho disegnato (beh disegnare non e’ proprio il termine giusto, ma sarebbe lungo in questa sede spiegare il procedimento che uso per le copertine) una donna nera con un corpetto di pelle, tipo sadomaso e un tanga “piegabaffi” inconsistente.

Sta con un mitra in mano in piedi su un container, che fa pare del carico di una nave da trasporto in fiamme, su di un mare tempestoso.

Vi sembra una mise circostanziata?

Eppure è questo l’immaginario del PROF, sic transit gloria mundi.

E’ questo che ci piace… vai Chance, facci sognare!

Io cercherò di accompagnare i lettori, con qualche suggerimento iconografico, nei mondi che la tua testa ha partorito.

Ah già, stavo parlando con Renard, ma non fateci caso, tanto lui e Stefano sono la stessa persona! “

James C. Copertino è lo pseudonimo di uno scrittore italiano di spy e action thriller (La coda del diavolo, Angeli neri,…) che è anche un’ex-specialista dell’esercito, ora professionista nell’ambito della sicurezza. Uno che, quindi, sa il fatto suo… Il fatto che sia un fan del Professionista da lunga data la dice lunga. Ecco la sua testimonianza:

Il primo romanzo su Chance Renard che mi passò per le mani fu Raid a Kouru, credo il primo della serie. Lo lessi in Bosnia Erzegovina, poco dopo la metà degli anni ’90 selezionandolo tra un borsone di romanzi da edicola che un mio collega mi aveva chiesto di portare ad un altro di noi che non conoscevo personalmente. Fu un caso. “Rubare” quel libro fu una specie di tassa di trasporto che mi fece conoscere un vero amico che non mi avrebbe mai abbandonato per tutta la mia carriera. Raid a Kouru lo lessi in un giorno solo, tra sacchetti di sabbia e finestre foderate da reti di mimetizzazione, mentre tutto bardato con giberne e Steyr AUG a tracolla, me ne stavo seduto su una poltrona con i piedi sul tavolino e l’auricolare della VHF nell’orecchio ad alternare tazze di caffè a limonate, aspettando una chiamata alle armi del mio turno di prontezza operativa che arrivò, fortunatamente, nel tardo pomeriggio, quando ormai avevo già superato il traguardo dell’ultima pagina. Istintivamente riposi il libro nelle giberne pur avendolo già letto tutto d’un fiato. Chance doveva venire con me.

Arrivato al punto di Rendez Vous mi incontrai con un altro militare, che conosceva i dettagli della nostra missione. Era un tipo dalle spalle larghe e il petto in fuori che portava le giberne con la disinvoltura di un grembiule. Sguardo vispo in perenne concentrazione e una stretta di mano a tenaglia, l’uomo si presentò, sistemandosi sul fianco il suo P90 ed esponendo uno scudetto francese sulla spalla mentre sullo sfondo le pale di un elicottero cougar spazzavano il terreno. Notai il piccolo basco infilato nella tasca laterale dei pantaloni. L’uomo anticipò la domanda.

2 reggimento paracadutisti Calvi. Légion étrangère” mi disse.

Come Chance Renard…” commentai.

Perché leggo il professionista? I suoi romanzi seriali propongono moduli di intrattenimento sempre nuovi e innovativi, caratterizzati da un efficace realismo, pur con un ritmo atipico, assente in natura, che lascia senza fiato il lettore, tirandolo dalla prima all’ultima pagina in un tour de force di adrenalina e divertimento. Credo che attualmente sia il miglior modello moderno di superuomo di massa dai tempi di Fleming, un modello positivo nei tratti generali, ma umano nei dettagli, che sa essere cinico e spietato quanto ispirato da un codice cavalleresco che i suoi nemici sembrano aver rinnegato. Gli ingredienti per un serial di successo ci sono tutti, dalla profondità dei personaggi talmente vividi, Chance in testa, da sembrare ogni volta dei vecchi amici, allo spessore dello scenario reso più appetibile da tinteggiate di azione, tecnologia, erotismo, violenza e sarcasmo che rendono unico e irripetibile ognuno dei suoi romanzi, aggraziati da una prosa più che elegante che rende più morbida l’”esperienza” di un romanzo che parli di lui.

E con Chance di esperienze se ne fanno innumerevoli! Grazie a lui puoi fuggire da un carcere di massima sicurezza o da un sottomarino che affonda. Puoi paracadutarti nel vuoto o esplorare la Guyana francese. Puoi andartene ovunque, dall’africa al mar di Barents, a conoscere tribù indiane o orde di talebani. Chance ti insegna a non fidarti di nessuno, sia essa una donna avvenente, un contractor, un Agente della CIA o tutte e tre le cose insieme.

Leggere di Chance è talmente coinvolgente che poi, per un po’ di tempo dopo averlo letto, ti viene naturale andartene in giro per la strada guardingo, frugando ogni anfratto con lo sguardo e studiando ogni possibile riparo, in attesa di un agguato imminente.

Perché leggo il Professionista?

Perché lui è il migliore.

Da sempre.”

 Traduttore, consulente editoriale, scrittore specializzato in racconti (ha partecipato a numerose antologie, tra cui Killers & Co., Fez, struzzi e manganelli, Anime Nere,…) Giovanni Zucca ci suggerisce una seria di personali “perché”…

Perché leggere il Professionista?

E che ne so? Ma che razza di domande mi fai, Fabio? Chi ti paga, eh? La CIA? IL Mossad? Mia zia?

Vabbè, allora… mi viene in mente qualche rapido perché, senza tanti giri di parole, perché a CHANCE non piacciono le ciance… Perché Salgari non c’è più…

E hai detto niente, e se anche tornasse da queste parti, poveretto, scapperebbe a gambe levate… Perché i veri pulp writer, umili e grandi, i forzati della Underwood, quelli che sputa(va)no parole, frasi, libri interi pestando i tasti in mezzo al fumo del sigaro, non ci sono più…

Perché dieci (o venti, o trenta) anni fa volevo scrivere anch’io delle storie così

(Perché non le ho scritte? È un’altra storia… siamo fatti di storie, solo che alcune si interrompono, restano sospese…)

Perché gli piace Parigi, e Parigi è Parigi è Parigi.

Perché, come recita il titolo di un vecchio film, “l’avventura è l’avventura”…

Perché chi fa la spia… (completare a piacere – il PIACERE della lettura).

Perché mi piacerebbe vederlo seduto a bere con André Héléna (vodka per Chance, pastis per André) a parlare di vita e di morte, di donne e di poesia (Come? Chance non è un poeta? E chi l’ha detto?)

Perché è uno che rende… la vita dura alle canaglie.

E poi… e poi… perché se non lo leggo, mi tocca farmi spaccare le ossa da Stefano Di Marino, ma anche da Stephen Gunn, Xavier Le Normand, Etienne Valmont, Frederick Kaman e non so quanti altri… e non ce la posso proprio fare! Quindi, lunga vita al Professionista (e naturalmente anche al suo autore…)”

 Il Professionista non poteva non essere entrato nel sangue anche al giallista “duro&kattivo” Stefano Pigozzi, autore dei romanzi Metal Detector e Rosso come il sangue

Chance Renard, già… Quel gran bastardo non si arrende. Mai. Tenta di camuffarsi; a volte si mostra per quello che non è: uno che lascia perdere, che rinuncia. Che perdona. Balle. È solo un malinteso senso di umanità, una artefatta concessione nei tuoi confronti. ” Vedi, potrei anche essere un culo di cemento come te… come voi… ma non è così”. Sorride, sputa a terra un frammento di tabacco ed incendia il Mondo. Il suo Mondo. Fuoco purificatore? No. Fuoco Distruttore? Sì, ma non solo. Fuoco che cauterizza, che sana una ferita in un corpo piagato grande come il dis-ordinato mondo.

E va avanti. Un soldier of fortune incontaminato ed innocente: la Colpa è tutta e solo in quello che fa. Non puoi non consacrare rispetto ad un coerente iconoclasta che sputa frammenti incendiari in tutti gli ombelichi piagati del mondo. Sierra Leone, Istanbul, Napoli, Monaco, Hong Kong, lo stato prigione North Korea. Milano/Gangland. Ombelichi che trasudano sangue. Ombelichi che sono cauterizzati dal fuoco. Un sorriso e… Bummm. Il Fuoco è comunque una soluzione. È la Soluzione. Consuma corpi ed anime immaginari/letterari e ne consolida l’esistenza in una pseudo/realtà.

E lui, Chance Renard, assorbe tutto e ce lo rende purificato e scarnificato dal suo Fuoco.

L’ Amore, l’Amicizia, il Dovere e l’Onore. Bummm! Lui narra. Lui esagera. Lui ricorda. Noi non ci caschiamo: sappiamo che ha un cuore, ma non è come il nostro. Il suo cuore pompa intenzioni integre, pompa decisioni cristalline etero dirette. È stato tradito, ma non importa. Il tradimento non esiste nel suo Mondo. È una condizione intrinseca della Lotta e quindi si annulla nel senso; perché non puoi essere tradito in un Mondo che è Tradimento. Puoi solo lottare, affidarti all’istinto del Rettile che scorre nei nervi e fa affiorare artigli e zanne.

E la Donna? È una perla, una perla preziosa, bellissima, che scivola lungo il filo. E si perde. Le donne amate sono tatuaggi: graffi indelebili, non piaghe incurabili.

Gli Amici condividono il suo sorriso e sanno come maneggiare il Fuoco. Conoscono/intuiscono Il Rettile che si annida nelle fibre dei loro cuori e sono guardinghi quando si avvicinano gli uni agli altri. Si scrutano, si abbracciano. Ma il Rettile annusa continuamente l’aria con la sua lingua vibrante. All’erta. Tra gli altri, Russel Kane è apparso nel suo Mondo. Non è un amico; è più un’immagine riflessa di sé stesso in un altro-Mondo letterario. Entrambi condividono il sacerdozio della dissoluzione.

L’occhio di Chance Renard è traslucido. Rivela una condizione ed un intenzione. I nostri occhi pompano affanno e frammenti di desideri; rivelano decisioni razionalizzate ridotte a balbettii. L’occhio del “Professionista” è un occhio che pompa Fuoco nel suo Mondo, il quale è la mappa del nostro mondo.

Immergersi in quell’occhio traslucido, scrutare attraverso quella pupilla mai omologata il Mondo ed i suoi ombelichi piagati, e riconoscerne le coordinate del nostro mondo reale, è un buon motivo per leggere “Il Professionista”.

È un fottuto ottimo motivo.”

 E altri fottuti ottimi motivi arrivano da altri scrittori.

Per esempio, da Angelo Marenzana: giornalista, autore di romanzi (Legami di morte, Buchi neri nel cielo, Destinazione Avallon,…) e racconti, di cui vari presenti in antologie (La legge di figli, Omissis, Bad Prisma,…). “Come definire un personaggio che sopravvive alle intemperie dell’editoria e ai gusti oscillanti di un pubblico variegato, e arriva, cavalcando migliaia di pagine che raccontano le sue avventure, a compiere ben quindici anni di esistenza? Un Professionista. In nessun altro modo. Un Professionista in tutti i sensi. Nomen omen. Il suo nome è un presagio. Ne raccoglie tutta la potenza e proietta il suo futuro. Non ricordo quante sono le storie vissute da Chance Renard (trenta? Forse qualcuna in più), ma di certo sono tante. Un numero incredibile, che avvicina Stefano Di Marino agli autori che hanno fatto letteratura con i loro personaggi seriali. Storie e immagini uscite a getto continuo dal cuore e dalla testa di Stefano. Senza mai cedere il ritmo. Senza mai deludere. E se si è ripetuto, non me ne sono mai accorto. Un esempio tra i tanti. A leggere Pietrafredda pare di varcare la soglia di un mondo in 3D, con proiettili che fischiano tanto da far scostare la testa in un gesto quasi istintivo, con l’odore dell’azione, del fuoco e della rabbia che si infila nel naso e a filo di pelle. Ma gli ingredienti sono tanti per ridurre il Professionista solo al protagonista di un action book. Che dire delle atmosfere? Dalla Thailandia a Parigi, dalla Siberia a Hong Kong… e anche quando si muove con armi di alta tecnologia o su sottomarini nucleari, io riesco a pensare che il Professionista è grande perché è immortale. Non perché riesce sempre a tirare fuori la pelle dalle situazioni più complesse, ma per la sua capacità di esistere senza bisogno di confrontarsi con il tempo. La sua contemporaneità è tale perché potrebbe agire in un qualunque secolo a nostra disposizione regalandoci le stesse, identiche emozioni.”

 Lo scrittore di SF Dario Tonani (suoi i romanzi Infect@ e L’algoritmo bianco, ha inoltre partecipato a svariate antologie, tra cui In fondo al nero e Strani giorni) è anche lui tra gli amici di Chance Renard. “ “Cento sigari. Mille shot di vodka. Diecimila caffé”. Sebbene sia lo stesso Professionista a darcene conto in “Pietrafredda”, le cifre sono da intendere probabilmente per difetto. Il senso della contabilità però è quello: tanto di tutto, donne, pallottole (sparate e schivate), guai…. Tre lustri di longevità che, da autore anch’io, mi sembrano un miracolo e un miraggio insieme. Difficile stabilire se sia più eroico il personaggio a portare a casa la pelle ogni volta o l’autore che l’ha creato a tirare diritto senza stanchezza né cadute: sta di fatto che nel panorama editoriale nostrano qualcosa di analogo non si è mai visto. Perché dunque leggere il Professionista? Provenendo da un genere letterario molto diverso (la fantascienza e il fantastico in senso lato) non posso dirmi un lettore assiduo delle storie di Chance Renard, ma non esito a dichiararmene ugualmente fan entusiasta, per quello che in questi anni ha saputo rappresentare per chiunque avesse il sacro fuoco della scrittura: una piccola alchimia di perseveranza, ricchezza immaginifica e risultati. Se creare e dare alle stampe una bella storia è già motivo di orgoglio per uno scrittore, plasmare un personaggio in grado quasi di produrre dipendenza nei lettori assume davvero i connotati di una conquista. Se poi questo si ripete puntuale da quindici anni, senza che ancora generi assuefazione, la conquista non ha prezzo. Buon compleanno Prof, e alla prossima avventura!”

 Passo ora la parola a Romano De Marco, autore di Ferro e fuoco e del suo sequel, in uscita nel 2010: Codice di Ferro.

Perché è una serie solida, ben strutturata, divertente. Una serie che resiste ai cambiamenti riuscendo ad adattarsi alla contemporaneità senza venir meno alla sua mitologia e ai suoi presupposti di base. Quelle del “Professionista” sono storie che riflettono l’onestà dell’autore, rivelano passione e esperienza nella descrizione di scenari geopolitici, nel racconto della mentalità e della cultura di popoli lontani, rivelando la genuina competenza di Stefano Di Marino nelle sequenze di combattimento e nella descrizione di armi e equipaggiamenti bellici. Una narrativa di genere che costituisce, spesso e volentieri, anche un’occasione di riflessione, di informazione, di conoscenza.

Chance Renard è un personaggio che ha infinite potenzialità e Di Marino lo ha dimostrato narrandoci la sua ultima, bellissima, avventura, Pietrafredda. Un’operazione d’autore che ricalca involontariamente ciò che Frank Miller aveva fatto nel 1986 con Batman, il personaggio che aveva riportato ad altissimi livelli narrandone il canto del cigno nella graphic novel Dark Knight Return.

Ho un unico rimpianto: non aver letto la serie in ordine cronologico! E la paura che non mi basti una vita per recuperare tutte le avventure perse…

Lunga vita al Professionista!”

 Once more?

E allora, avanti con il prossimo narratore: Umberto Maggesi (Setta bugiarda, Nhan Bu, Il sangue dell’elfo,…). “Leggo il Professionista perché è un sognatore, un uomo che ha immaginato una vita di un certo tipo e ha avuto il coraggio di percorrerla, nel bene e nel male, prendendosi le cose belle e mai tirandosi indietro davanti agl’inevitabili problemi. Lo leggo perché è un uomo che sa dare valore all’amicizia, non lascia un amico nei guai, si fa carico della sua sicurezza, dei suoi problemi e, nel possibile, della sua incolumità. Inoltre è spietato con i nemici, non ama i conti in sospeso e dà fondo a ogni risorsa per annientarli.

Leggo il Professionista perché non è perfetto, a volte sbaglia, a volte giudica male le persone e deve cavarsi da impicci impossibili.

Lo leggo perché è uno dei personaggi più umani usciti dalla penna di un autore, un compagno d’avventura, un personaggio che è maturato nel corso degli anni e che conserva tutte le cicatrici della sua vita, sia sulla pelle che nell’anima.”

 Come dite?

Vi sembra che manchino testimonianze femminili tra le scrittrici?

Beh, il Professionista vanta numerose ammiratrici. Per esempio, la scrittrice Barbara Baraldi (La collezionista di sogni infranti, La bambola dagli occhi di cristallo, La casa di Amelia, Lullaby, Scarlett,…). “Leggo il Professionista perché è scritto da un professionista della scrittura. Così, oltre l’avventura e lo svago posso sempre contare sulla buona scrittura. E poi Chance è una fonte inesauribile di sorprese.”

 Alessio Lazzati è uno che di spy fiction e action thriller se ne intende. Tanto è vero che, oltre che a fare il consulente editoriale, il traduttore e talvolta anche l’autore di racconti (in Bad Prisma, Progenie e su M-La rivista del Mistero), è il curatore Mondadori del Segretissimo Blog. Alessio ci spiega: “Leggo il Professionista perché mi piacciono le storie avventurose, ben costruite, piene d’azione ed esotismo. Considerato che sono un appassionato di cinema dello stesso genere poi, è un po’ come avere in mano a scadenza regolare il proprio film action preferito, sempre col cast perfetto e con le location migliori: spesso è meglio di quello che passa nelle sale o in DVD.”

 Omologo in Mondadori di Alessio Lazzati, è Dario Geraci, blogmaster del Giallo Mondadori Blog. Dario è un appassionato di narrativa e cinema, ha pubblicato vari articoli e alcuni in volume, tra cui Piombo ’70: il braccio armato del cinema italiano. Ha pubblicato anche alcuni racconti.

Recarsi in edicola ad acquistare un libro di Stefano Di Marino, da molti anni a questa parte ormai, è divenuto una sorta di rito, una cerimonia solenne, una liturgia silenziosa. Si dice, “leggere un libro è come viaggiare, ma costa molto meno”, beh, provate a comprarvi l’autobiografia di Gigi D’Alessio e poi ne riparliamo. Ci sono romanzi e romanzi, non tutti però hanno la capacità di far vivere al lettore “forti” ed “intense” emozioni come quelli di Di Marino. Salgari aveva capito tutto, si può girare il mondo senza alzarsi dalla poltrona del proprio studio. Ecco, Di Marino ha implementato tale concetto, sommando allo stilema salgariano la sua lunga esperienza di “reale” viaggiatore. “Regalati un’avventura” è la prima dedica che mi regalò qualche anno orsono. Beh, in quindici (e più) anni di carriera, di avventure ne ha regalate moltissime a tutti e sono certo (potendomi onorare della sua amicizia) che ne regalerà molte e molte altre ancora.”

 Molti amici del Professionista anche tra i collaboratori di ThrillerMagazine. Riportiamo i commenti di due di loro.

Angelo Benuzzi: “Come in tutte le serie, la chiave di volta è il protagonista. Chance Renard l’ho visto esordire come giovane avventuriero pronto a tutto, l’ho visto soffrire, maturare, invecchiare, evolversi attraverso prove e traversie che avrebbero spezzato chiunque altro. Mi sono affezionato a questo vecchio lupo borzoi, ricoperto di cicatrici che vanno molto al di sotto della pelle e tuttavia sempre pronto ad accendersi un sigaro e a mettersi in gioco su un altro campo di fuoco. Chance è cambiato in questi quindici anni. Si è forgiato da solo sul fuoco della sofferenza, si è costruito uno strato di cinismo da interporre davanti a un mondo sempre più freddo, è passato da essere un solitario a un capo. Persino il suo leggendario ascendente sulle donne e il rapporto che ha con loro si è evoluto. Il sesso rimane un vettore primario ma è percepibile come Renard cerchi qualcosa di più, in bilico tra una vita randagia e la necessità di sentimenti duraturi. In sintesi, perché leggo le sue avventure? Perché è un uomo vero. Di quelli che si vorrebbe sempre avere al proprio fianco.”

Lucius Etruscus: “Il Professionista nasce come eroe tridimensionale, e già questa sarebbe una qualità di tutto rispetto, ma – non pago – nel corso del tempo è divenuto un eroe “multimediale”. Nelle sue storie troviamo citati film, libri e canzoni, lo troviamo immerso in situazioni che sembrano uscire da film di genere ma che diventano estremamente reali. È un personaggio romanzato che legge romanzi; è un eroe d’azione che vive situazioni da film d’azione: è un personaggio che proprio riflettendo su se stesso, giocando con il proprio ruolo e la propria natura, ha saputo distaccarsi da un “normale” eroe da romanzo, limitato alle parole che ne raccontano le avventure. Chance Renard è uno e tanti: è l’insieme di tante diverse ispirazioni che si fondono e si rielaborano a creare qualcosa di nuovo, di unico e di dirompente. Più che umano, non proprio eroe, il Professionista vive e agisce in quella terra di mezzo fra la realtà della finzione e la finzione della realtà, dove si può uccidere con un sol colpo, ma dove quell’uccisione pesa come un macigno sul cuore, un cuore dove Chance porta sempre incisi i nomi dei compagni lasciati nella polvere.” Lucius è peraltro anche l’ideatore di molti booktrailer dei romanzi di Di Marino, disponibili su YouTube. Su questo, aggiunge… “Un personaggio così multimediale è perfetto per i “booktrailer”, questa tecnica promozionale che sempre più sta divenendo importante per romanzi d’ogni tipo. Il primo booktrailer che ho creato è stato per il romanzo “Vladivostok Hit”, con protagonista quell’Antonia Lake entrata di prepotenza nell’olimpo dei personaggi renardiarni. L’operazione piacque all’autore, perché è innegabile che Chance e i suoi “amici” sono perfetti per essere accompagnati da musica e video.”

Concludiamo l’articolo con una carrellata di lettori…

Ernesto Castiglioni: “La risposta per me è semplice, leggo il Professionista perché ho affinità con le sue avventure,i suoi piaceri la sua filosofia di vita.

Anche io da piccolo inseguivo il sogno avventuroso e romantico del mercenario,amavo film come I 4 Dell’Oca Selvaggia,Il Gioco degli Avvoltoi,i grandi film sulle battute di caccia in Africa,e le avventure poco scollacciate ma venate di battute di Io sto con gli Ippopotami e Piedone l’Africano.

La conoscenza l’ho fatta grazie ad un altro amico, uno Sniper del SAS che conoscevo dai tempi della scuola Ufficiali ad Aosta, quando abbiamo accompagnato sul Gran Paradiso dei ragazzi Britannici, molto silenziosi.(Romanzata ma vera, erano venuti dei militari inglesi a fare alpinismo e alcuni fortunati di noi allievi li ha accompagnata al Gran Paradiso).

L’amicizia con Chance si è rafforzata negli anni,tanto da guadagnarmi qualche sua chiamata nel cuore della notte,a cui non si può non rispondere.

Con lui è bello passare i pomeriggi con un buon Gran Cru n°5,un rum agricolo,e sulle ginocchia una sventola in calore,di quelle che lui più vecchio di me ma in gamba,continua a svangarsi.

Più seriamente trovo Chance uno dei “Professionisti” più realistici,pur nella fiction,sulla scena,mondiale,e se SDM non fosse in Italia,ma in America sarebbe più tradotto di Clancy, Cussler,e altri.”

Rosario Altomare: “Sono sempre stato un avido lettore e grandissimo appassionato di action/thriller e spy story e come tale non perdevo un numero della collana Segretissimo.

Quando nel 1995 lessi il primo episodio della serie “Raid a Kurou” rimasi letteralmente folgorato, finalmente un personaggio nuovo, diverso.

Di Marino/Gunn, pur ispirandosi agli eroi dei romanzi di spionaggio classici (OSS 117, Sam Durell, Nick Carter,, Bond, SAS, Malko Linge) creava un personaggio completamente diverso, moderno, affascinante.

L’ ex legionario divenuto mercenario per un inganno e ricercato dai suoi stessi commilitoni, un uomo libero al servizio di tutti e di nessuno, una canaglia, un uomo duro e violento ma anche romantico , onesto e dotato di una propria morale, capace di perdere tutto, anche la vita, per l’amore di una donna o per un semplice ideale.

Da allora ho letto e riletto tutte le sue storie che miscelando generi diversi come l’ hard boiled, l’avventura classica, il noir, il western, rimangono sempre profondamente realistiche ed ancorate, nei temi ai cambiamenti economici e politici di questi anni.

Grazie di cuore Stefano.”

Giuseppe Ciluffo: “Ero un bambino… mio padre lavorava allora per una grande fabbrica del Nord.

La tradizione voleva, erano gli anni settanta, che poco prima di Natale l’azienda facesse dei piccoli regali ai figli dei dipendenti. Attendevo quindi con piacere il momento in cui mio padre sarebbe tornato a casa con quei doni, sorprese che potevano fare la gioia di un ragazzino di una decina d’anni.

Quell’anno, però, poiché avevo superato i dieci anni non avevo diritto al solito giocattolo e restai quasi deluso quando mio padre mi mise sotto il naso un libro… un libro?!

E io che mi aspettavo un gioco!

La delusione durò poco: mi bastò guardare bene la copertina dove, su uno sfondo azzurro separato tra cielo e mare, si agitava brandendo una pistola e una scimitarra un tizio barbuto con una casacca rossa e un turbante decorato con perle e pietre preziose. Al suo fianco un occidentale dalla pelle scura e dall’aria flemmatica sparava con un fucile agli assalitori della nave su cui si trovavano i due. Infine, in primo piano all’interno di un cerchio sovrapposto, si trovava il viso di un’incantevole ragazza bionda dagli orecchini di perla.

Era il mio primo contatto con la Perla di Labuan, Sandokan, Yanez e gli altri protagonisti immaginati da Emilio Salgari. Non me ne sarei più dimenticato!

Divorai il libro, lo rilessi più volte e, dopo, cominciai a sfinire i miei genitori fino a quando non recuperarono altri libri di quell’autore, che consumai fino a distruggerli.

Soltanto qualche anno fa, a seguito di un trasloco dei miei genitori, quel libro (Le tigri di Mompracem) riapparve… ora è a casa mia!

 

La lettura e rilettura di questo volume (e degli altri della stessa serie) rappresentò una sorta di imprinting psicologico. Per anni, forse per cercare di ritrovare l’avventura eroica, l’atmosfera esotica e il profumo di paesi lontani che avevano segnato le letture della mia preadolescenza, mi sono dato alla ricerca di libri che raccontassero dell’Asia o che fossero ambientati nell’estremo oriente.

Leggevo decine di libri, romanzi, racconti e saggi, purché parlassero dell’Asia.

Mi bastava che narrassero dei paesi dell’oriente, che l’autore fosse un asiatico, che l’ambientazione fosse in uno di quei paesi lontani per attirare la mia attenzione.

A volte ritrovavo, immaginandoli, i colori, gli odori e le atmosfere che cercavo, ma qualcosa spesso mancava … l’avventura!

Poi ho scoperto il Professionista!

Il mio primo impatto fu con “Morire a Kowloon” (poi ristampato con il più evocativo titolo di “La notte dei mille draghi”) ai tempi, pur conoscendo l’autore, non sapevo della produzione sotto pseudonimo di questa serie. Fu una rivelazione! Ecco dove potevo trovare il tassello mancante, l’ingrediente a lungo ricercato… ecco dove l’avventura sposava efficacemente l’ambientazione esotica orientale!

Da allora con pazienza, e dedicando tempo alla ricerca, ho recuperato tutti gli episodi di quella saga che, oltre ad avermi fatto fare il giro virtuale del mondo, mi ha abbondantemente fornito quel magico ingrediente che cercavo.

Oggi sulla mia libreria, in bell’ordine, tutti i racconti pubblicati nella serie del Professionista fanno la loro figura.

Credo di doverne leggere ancora meno di una decina (ho letto i primi e gli ultimi), ma quando non trovo nulla di nuovo, di interessante o di gustoso da leggere so di poter ricorrere allo scaffale del Professionista… è come ritrovare un buon amico!”

Valentino Colapinto: “Purtroppo, non posso vantarmi di leggere le avventure del Professionista da Raid a Kourou, Segretissimo n. 1279, pubblicato ormai quindici anni orsono. L’ho scoperto solo recentemente, ma da quando sono entrato nel suo mondo, non ho più potuto staccarmene.

Chance Renard è il più grande personaggio pulp che la letteratura di genere italiana può vantare dai tempi di Sandokan. Bisognerebbe insegnare agli analfabeti a leggere solo per poterlo conoscere! :)”

L’ultima (per ora) voce è quella di Riccardo Falcetta, lettore ma anche esperto di cinema e musica e articolista per riviste elettroniche e cartacee: L’isolazionismo strangolante di Cornell. Jimmy a guardia dalle torri, sulla civiltà. James e Joe: sguardi discordi e febbricitanti, sulle spiagge, i deserti e i viali al tramonto del sogno americano. Sognavo Sin City e Chiba City. Bramavo l’universo a migliaia di anni luce nel futuro. Cercavo l’infanzia abbandonata, nell’Altrove o sul limitare del Paese d’Ottobre (Vero Ray?). Sognavo e sorridevo molto allora. Cercavo e non scorgevo le insidie.

Un giorno, inaspettato un libro, un messaggio: Appuntamento a Shinjuku. Segretissimo. Micidiale. Un treno che si scaglia nel nucleo di massa cosciente. Lo Sconosciuto: francese, brav’uomo forse no, grand’uomo sicuro! Di quegli anti coi quali puoi davvero esperire una identificazione spinta. Finita lì, ritorno ai lidi abituali. Anni passano, giungono Anime Nere. Il tipo, quel Chance, me lo ritrovo tra i piedi un’altra volta. A Milano stavolta, è caccia di Lupi. Secondo appuntamento, situazione italiana, Servizi Italiani. Tutti prede e tutti predatori a Gangland, su un tracciato di sangue lungo decenni di Storia Nera del Belpaese. Nero assoluto. Amaro. Romantico desperado. Come chi non s’arrende mai neanche a se stesso. L’Italia e il Professionista, scontro che libera demoni da squarci di tragica bellezza. Autentica epica apocalittica dei nostri tempi. Non possono più fare a meno l’una dell’altro e io di lui. Pedino Chance nelle sue scorribande. Venezia. Parigi. Beirut. Nigeria. Estonia. Ancora Italia e Gangland. Attraenti e sconsigliabili come le sue donne. Inseguo suggestioni nei luoghi straziati del suo passato. Costanti insidie, molte le connessioni. Infine lo vedo.

Nell’ombra un altro uomo. L’ho già incrociato prima, in qualche altro dove. Continuo a incontrarlo, sempre più spesso. Lo blocco, non mi teme. Tipo riservato, sguardo da duro. Cordiale, forse prova a reagire ma non ci riesce. Nel terzo grado, mi parla si sé. Lottatore e creatore. Ha molti nomi, dice, ma è tutt’uno col Chance. Entrambi sono Il Professionista. Penso che sia pazzo ma non glielo dico. Così mi spiega un sacco di cose. Diventiamo amici. Continua a spiegarmi cose mentre tengo d’occhio quel Renard, suo alter ego. Poi mi perdo, nella notte e lui viene a cercarmi. Tre o quattro parole soltanto. Non posso ignorarlo. Un maestro. Per me e gli altri della sua gang. . Il Prof. Gli ci vuole un po’ ma si abitua all’idea. Forse questo mitiga quella mania di identificazione col Francese. Mitiga. Non credo gli passerà mai del tutto. E meno male.

Continuo a sognare e sorridere molto come allora, ma cercando, adesso, scorgo le insidie. Sono cambiato, forse cresciuto. Col Prof e col Professionista. Campioni. Ognuno la sua gang. Entrambi punti di riferimento. Imprescindibili.”

 

E’ tutto?

No: non lo è.

Sia ThrillerMagazine che il Segretissimo Blog prevedono spazi per postare commenti. Quindi, ora, la domanda la pongo anche a voi…

Perché leggete il Professionista?

Posted in Black Ops | commenti 26 Comments »

Intervista a Chris Grabenstein

marzo 16th, 2010

Ho avuto il piacere di scambiare quattro parole via email con Chris Grabenstein, l’autore di “Weekend all’inferno”, Segretissimo di Febbraio e in passato di due Gialli Mondadori (Giro della morte, N°2946 e Giro di Killer, N°2970) in occasione del suo esordio sulla collana. Grazie a Chris, persona davvero simpatica e disponibile, per la chiacchierata.

weekend-grabenstein.jpg

AL – Buongiorno Chris e benvenuto sul blog di Segretissimo Mondadori.

CG – Grazie per avermi invitato!

AL – Due tuoi romanzi sono già usciti in passato per il Giallo Mondadori. Cosa puoi dirci di «Weekend all’inferno»?

CG – “Weekend all’inferno» è stato ispirato da una domanda: cosa succederebbe se la più grande minaccia alla sicurezza americana venisse non da un gruppo di terroristi stranieri, ma da una cellula cresciuta all’interno degli USA e che impiega le stesse tattiche di Al Qaeda? È interessante e triste al tempo stesso notare che con la vittoria di Barak Obama, primo presidente nero della storia americana, questi gruppi, specie quelli per la supremazia della razza bianca che descrivo in «Weekend all’inferno», stanno guadagnando forza. Ho fatto in modo che il mio eroe, Christopher Miller, si sia trovato a fronteggiare i medesimi ostacoli incontrati dagli agenti dell’FBI che, prima dell’11 Settembre, dovettero interrogare musulmani sospetti che stavano prendendo lezioni di volo.

AL – La serie dei romanzi con protagonista Miller è più orientata all’azione?

CG – Cerco di scrivere i thriller con Miller dandogli lo stesso ritmo della serie TV «24». Colpi di scena senza sosta, un continuo gioco tra gatto e topo con sorprese e capovolgimenti di fronte inaspettati. Parecchi lettori non sono riusciti a mettere giù il libro finché non l’hanno terminato!

AL – Il fulcro del romanzo è la minaccia della supremazia bianca. Posso permettermi di chiederti quanto è concreta questa minaccia e a cosa ti sei ispirato?

CG -Come dicevo, è una minaccia in crescendo e molto concreta. In America abbiamo Glenn Beck, un personaggio della TV, che cerca di instillare nella gente una sorta di fervore rivoluzionario, proprio come il predicatore misterioso del mio libro. Solo che Beck lo fa alla TV nazionale! Ho preso ispirazione dalla mia infanzia nel sud degli Stati uniti, dove atteggiamenti razzisti sono ancora fin troppo diffusi. Scrissi il romanzo anni prima dell’elezione di Obama. Oggi temo che potrei aver predetto il futuro.

AL – Ho letto sul tuo sito che hai iniziato come autore per la pubblicità. Come sei diventato un narratore?

CG – Sì, ho scritto testi di pubblicità per diciassette anni. A dire la verità, il mio primo capo nel settore fu un signore di nome James Patterson, uno degli autori più venduti in America e nel mondo. Molti autori di thriller hanno cominciato nel mio stesso settore: Clive Cussler, Ted Bell, Stuart Wood, e l’elenco potrebbe continuare. Nel campo della pubblicità si acquisisce la disciplina necessaria per scrivere otto ore al giorno, davvero preziosa quando si tratta di completare un romanzo. Si impara anche a non sprecare il tempo del proprio pubblico. Nel settore della pubblicità televisiva, se lo annoi, lo spettatore cambierà canale. Così i mie libri, credo che ve ne accorgerete, non sono mai noiosi!

AL – Su cosa sei al lavoro in questo momento? Quale sarà il tuo prossimo lavoro e quando uscirà?

CG – Quest’anno sto scrivendo tantissimo. Il 5 Maggio l’editore Pegasus pubblicherà qui negli States «Rolling thunder» il sesto volume delle avventure di John Ceepak. Il primo racconto breve con Ceepak protagonista uscirà sull’Alfred Hitchcock Mistery magazine di Giugno. In Agosto il mio racconto «Demon in the Dunes» sarà nell’antologia dedicata al soprannaturale curata da Charlaine Harris, l’autrice dei libri da cui è tratta la serie TV True Blood. Sempre in Agosto poi uscirà il mio nuovo libro per adolescenti, The Smoky Corridor, per la Random House.

AL – Hai qualche consiglio per gli aspiranti scrittori?

CG – Leggere, leggere, leggere. Poi scrivere, scrivere, scrivere. Una buona idea è prendere un libro che avete adorato e leggerlo tre o quattro volte. Durante la terza e quarta lettura, cominciate a smontarlo come farete col motore di un’auto, per vedere come funziona. È così che ho imparato le regole del thriller e del Mystery. Trovate la struttura, la spina dorsale della narrazione e poi filtratela con la vostra voce!

AL – C’è qualche episodio divertente o curioso capitato durante la tua carriera che ti va di raccontarci?

CG – Le cose più divertenti probabilmente sono quelle che capitano quando svolgo le mie ricerche. Nel romanzo «Hell Hole» il quarto della serie di Ceepak per esempio, dovevo far succedere un omicidio all’interno di un gabinetto pubblico chiuso, lungo un’autostrada. Per riportare ogni dettaglio in maniera corretta, ho dovuto svolgere un sopralluogo in una struttura parecchio puzzolente e fare delle fotografie. Quando ho tirato fuori la macchina fotografica vicino agli orinatoi mi sono beccato davvero delle brutte occhiate.

AL – Qualcos’altro da aggiungere per i lettori di Segretissimo? Ti lascio la scena.

CG – È entusiasmante vedere le proprie storie tradotte in un’altra lingua. Non tutti gli americani sono fuori di testa come i cattivi di «Weekend all’Inferno», ma purtroppo, alcuni di noi sì!

Posted in Black Ops, Interviste | commenti 1 Comment »

Spy Fiction: Italian Ways/III di Fabio Novel

dicembre 18th, 2009

Tags: , , , , , , , ,

Cari lettori e lettrici, a voi la terza (e per ora) ultima parte dell’articolo/saggio di Fabio Novel sulla toria della Spy Fiction Italiana. Nei prossimi giorni, con qualche giorno di anticipo rispetto al solito e per via delle festività incombenti, potrete visionare le anteprime di Segretissimo e Segretissimo SAS, Gennaio 2010!

Spy Fiction: Italian Ways/III di Fabio Novel

Stefano Di Marino, dal canto suo, continua ad essere portabandiera di una moderna spy story anche in libreria. Mentre TEA inizia dal 2004 a ristampare la fortunata serie del Professionista, la Nord da’ piena fiducia all’autore milanese mandando in stampa le quasi 700 pagine di Ora Zero, coinvolgente thriller ad ambientazione (e anima) europea. Dove l’adrenalina scorre a fiumi, ma non ottenebra le menti di chi vuole pensare anche con dell’ottima evasione. Ad Ora Zero farà seguito, nel 2007, il sequel Sole di fuoco (TEA). Nello stesso anno, in edicola esce uno speciale Segretissimo dedicato al Professionista e a Stephen Gunn: Professional Gun. Il volume antologizza un romanzo, un romanzo breve e tre racconti di Gunn/Di Marino più una serie di racconti scritti da altri autori (Altieri, Narciso, Cappi, Nerozzi, Zucca, Maggi, Novel), tutti impegnati a rivisitare il Professionista, mettendolo (nel caso degli autori della Foreign Legion) in compagnia degli altri protagonisti seriali di Segretissimo.

Su Segretissimo, la situazione va intanto ulteriormente maturando. Arrivano altri romanzieri, affermati ed esordienti. Viene meno la preferenza per lo pseudonimo straniero. Un ingresso imprevedibile è quello di Claudia Salvatori, che inaugura lo spionaggio a sfondo storico di Walkiria Nera, con i suoi scenari Anni Trenta, ricchi d’atmosfera. Due i romanzi sinora usciti: La genesi del male (2007) e Golden Dawn (2008). L’eroina della Salvatori, Kira von Durcheim, è assolutamente fuori schema. Un’infanzia sbagliata, un’adolescenza travagliata e illecita, Kira è un personaggio non negativo che si muove e agisce per un mondo negativo: diventa infatti uno straordinario agente segreto al servizio del nazismo.

Dopo la Salvatori, fa la sua apparizione Danilo Arona che propone un bel one shot (commisto sino ai limiti del genere di collana) intitolato Finis Terrae (2007). Farà seguito un “quattro mani”, in coppia con Edoardo Rosati: La croce sulle labbra (2008).

Luglio 2008 è una data importante per la spy fiction in Segretissimo. La Mondadori celebra infatti i suoi autori della Foreign Legion dedicando loro l’antologia Legion, che raccoglie dieci racconti (firmati Altieri, Cappi, Di Marino, Faraci, Forte, Mazzoni, Narciso, Nerozzi, Salvatori, Signoroni).

Sempre in edicola, ma nell’ambito della collana Il Giallo Mondadori Presenta, è ancora Stefano Di Marino a dominare la scena: tra il 2008 e il 2009 viene proposta la sua trilogia di Montecristo (Un uomo da abbattere, Giorno maledetto e Stagione di fuoco). Più di 800 pagine di adrenalinico thriller, a modo suo decisamente politico. L’Italia ne viene fuori con le ossa rotte.

Sempre nel 2008, la Fanucci distribuisce in libreria Il gioco estremo, di Adriano Casassa: viene definito un thriller ecologico per il messaggio che vuole dare, ma nell’impianto di certo fa ampio utilizzo di attributi propri dello spy thriller.

Anche la Armando Curcio Editore gioca la carta dello spionaggio d’azione con James C. Copertino, un altro italiano “sotto copertura”, ma in questo caso per celare la sua identità di ex appartenente ai corpi speciali e di consulente per la sicurezza. I suoi romanzi sono evidentemente caratterizzati da una conoscenza professionale degli aspetti tecnici, con una propensione all’azione. Il romanzo proposto si intitola La coda del diavolo. Verrà riproposto in economica nella primavera dell’anno successivo, nella collana BM-Noir della Curcio, seguito di lì a poco dall’inedito Angeli neri.

Nel 2009, Segretissimo ristampa Grande Madre Rossa, di Giuseppe Genna.

A giugno, è la volta dello scrittore, giornalista ed editore Franco Forte a lanciare un nuovo protagonista seriale per Segretissimo (in realtà, apparso per la prima volta in uno dei racconti di Legion). Si tratta del moldavo Redka “Stal” Starnelov, un ex-spetsnaz, ora professionista free lance. Estrema freddezza e pochissimi scrupoli (a dire il vero, con qualche residuo morale), con solo due punti deboli. Operazione Copernico è il titolo del primo romanzo della serie.

Con lo speciale Estate Spia 2009, Segretissimo offre anche al pubblico dell’edicola la possibilità di leggere Confine di stato, il felice esordio narrativo di Simone Sarasso, già pubblicato in libreria prima da Effequ (2006), poi da Marsilio (2007). Con Confine di stato, torna alla ribalta la storia italiana e suoi “segreti”. Il romanzo – adottando uno stile particolare e usando nomi fittizi – parte dagli anni ’50 e, concentrandosi sul delitto Mattei, arriva sino alla strage di Piazza Fontana e alla morte di Giangiacomo Feltrinelli. Il libro è parte di un progetto più ampio (la trilogia sporca dell’Italia), il cui secondo romanzo, incentrato sugli Anni di Piombo e intitolato Settanta, è stato pubblicato da Marsilio a maggio di quest’anno.

E qui chiudo. In attesa, fiduciosa, degli sviluppi che verranno…

Spero che il “bignamino” che vi abbiamo proposto possa essere stato apprezzato.

Vi invito comunque a colmare le eventuali lacune della panoramica con i vostri commenti, approfittando del tool di condivisione a nostra disposizione. Il vostro apporto è importante. Del resto, è senz’altro possibile che io mi sia perso qualcuno qualche titolo per strada, forse persino tra quelli più significativi. Tenete conto che, anche laddove il peccato non stia effettivamente in gap di competenza, la memoria può giocare brutti scherzi. Inoltre, siccome i confini del genere, abbiamo visto, sono flessibili e permeabili, ci saranno sicuramente idee differenti su cosa debba stare fuori dal contenitore “spy fiction” (inteso, ripeto, nel senso lato precisato all’inizio del mio intervento), e cosa possa starci dentro.

Insomma: questo articolo, pur nella sua superficialità dal punto di vista dell’analisi, si propone come spunto di discussione.

Quindi, amici: a voi la palla…

  Fabio Novel

 

 

Posted in Black Ops, Spy - Story | commenti 2 Comments »

OSS117 – La prefazione di G. Lippi

dicembre 7th, 2009

Tags: , , , , , ,

La stoica spia, o Segretissimo ringrazia

Di Giuseppe Lippi

 La S.V. è gentilmente invitata ai festeggiamenti per

il 60° compleanno di Hubert Bonisseur de la Bath,

principe nell’olimpo nero delle spie.

Tutto comincia col Sole a 1° 17 in Ariete e la Luna a 12° 41 nella Vergine; è il 22 marzo 1921, nascita di Jean Brochet. Lui è un uomo piacevole che verrà spesso fotografato in pose pubblicitarie davanti ad aerei in partenza o a famosi locali, e nella maturità esibirà un paio di baffetti eleganti che non sarebbero sfigurati sul labbro di un attore del cinema o a un classico ispettore dei whodunit. In effetti, tra i tanti mestieri che tenterà prima di mettersi a scrivere, il poliziotto l’ha fatto davvero: dopo gli studi secondari, ci informa il risvolto di uno dei suoi romanzi, è entrato alla Scuola nazionale di polizia ed ha fatto parte della brigata speciale che oggi si chiama Interpol. Durante la Seconda guerra mondiale Brochet è stato pilota di aerei civili, poi ha partecipato alla resistenza francese contro i nazisti, collaborando con i servizi segreti. Nel dopoguerra è stato attore in una compagnia ambulante, impresario teatrale (ha scritto diverse commedie, una delle quali, A bout portant, di particolare successo), gioielliere, ispettore di polizia alla Sûreté, impiegato in un’agenzia di informazioni, giornalista indipendente e segretario di un maharajah. Ha cominciato a scrivere nel 1949, convinto di poter guadagnare di più: per le popolari edizioni Fleuve Noir di Parigi ha cambiato cognome, trasformando Brochet nell’uomo universalmente ricordato come Jean Bruce. Si calcola che in una carriera durata quattordici anni abbia scritto una novantina di romanzi, la maggior parte dei quali con il personaggio che gli ha dato fama nel mondo: Hubert Bonisseur de la Bath, l’agente americano di origine francese che unisce la tipica simpatia latina al sangue freddo del vero avventuriero. La prima vita di Bruce-Brochet finirà tragicamente, come vedremo più avanti, ma la sua carriera editoriale è stata una delle più folgoranti nel dopoguerra. romanzadellamorte.jpg

Hubert Bonisseur de la Bath, la spia creata nei suoi romanzi, lavora per l’O.S.S., Office of Strategic Services, il predecessore della CIA (dove in seguito sarà impiegato). Più tardi passa a un altro OSS: l’Organizzazione Speciale per la Sicurezza, un’associazione di stampo pacifista formata dalle più potenti madri di famiglia del mondo che si preoccupano per l’escalation dei conflitti nei cinque continenti. Nel 2009 il suo film più recente, OSS 117 : Rio ne répond plus, esce con un buon successo nelle sale francesi ma i distributori italiani l’hanno snobbato, forse perché l’attore Jean Dujardin non è una stella di prima grandezza nel nostro firmamento. Eppure Hubert è stato popolarissimo anche da noi e proprio quest’anno ne festeggiamo i sessant’anni. Il primo caso, Tu parles d’une ingénue, risale infatti al 1949: a quei tempi Hubert non faceva ancora l’agente segreto ma l’investigatore privato e arrivava a Parigi per risolvere il mistero di un furto di documenti riservati. Subito due donne bellissime si piazzavano sulla sua strada: la contessa Marlène Koslof e la minorenne Sonia, figlia dell’elegante bandito Martin. Hubert sfoderava il suo fascino un po’ guascone, tirava fuori i pugni e metteva tutto a posto. A chi gli chiedeva, stupito, come mai non portasse armi, rispondeva soavemente: “Preferisco prenderle ai miei avversari. In questo modo, se sono costretto a usarle, sarà più facile dimostrare la legittima difesa”.

Jean Bruce lavora a un ritmo infaticabile, scrivendo anche un romanzo al mese: a Tu parles d’une ingénue seguono rapidamente Tous des patates (1949) e Une gosse qui charie (1950). A parte Hubert Bonisseur de la Bath, la sua fervida immaginazione mette in campo altri investigatori privati, avventurieri e uomini d’azione. Già in Une gosse qui charie (1950) la trama è spionistica, benché l’agente di turno si chiami Brian Cannon. Quello stesso anno, colpito favorevolmente dalla nuova formula, l’editore chiederà a Bruce di modificare il suo primo eroe, Hubert, in un nuovo e spericolato agente segreto. Bruce, che durante la guerra qualche lavoretto per il servizio informazioni l’ha fatto, si ricorda dei colleghi americani dell’O.S.S. e si chiarisce definitivamente le idee sul principe pirata. Il quale, nella versione aggiornata, discenderà ancora da una nobile stirpe francese, vivrà a New York ma avrà il cuore a Washington e dintorni, negli uffici del controspionaggio. In seguito verrà chiarita persino la leggenda del suo pomposo nome. L’aneddoto, più volte raccontato da Bruce, viene così ricostruito da Stefano Di Marino in un saggio sull’argomento: anticamente, un nobile avo di Hubert si era guadagnato da vivere con mille espedienti, tra le altre cose improvvisandosi testimone nei processi. Interrogato da un giudice che gli chiedeva di declinare le sue generalità, il poveretto, privato del titolo e del nome, rispose Bonisseur de la Bath, che nel linguaggio dell’epoca significava appunto “testimone a favore”.

Il primo caso che Hubert affronterà nella veste di spia è quello di OSS 117 a denti stretti (Romance de la mort, 1950), incluso nel presente volume. Negli anni successivi, i primi racconti verranno rivisti dall’autore e integrati, con nuovi titoli, nella saga dell’agente guascone: Tu parles d’une ingénue diventerà Qui OSS 117 (Ici OSS 117, 1956, incluso in questo volume; prima edizione italiana come OS 117 chiude la partita); Tous des patates verrà adattato in OS 117 vede nero (OSS 117 et Force Noire, 1957), mentre Une gosse qui charie si trasformerà in Fermi tutti! Arriva OS 117 (OSS 117 joue le jeu, 1957. Da osservare che nelle vecchie traduzioni italiane la sigla veniva inspiegabilmente privata di una “S” e diventava OS 117, situazione che sarebbe andata avanti per alcuni decenni).

Dunque, Hubert antedata la creazione di James Bond di qualche anno e si arruola nell’esercito delle ombre molto prima. Il battesimo avviene, come abbiamo visto, in Romance de la mort, quando lo mandano in Jugoslavia per lottare contro un megalomane che ha inventato una sinistra variante del cervello elettronico.

In Italia, il successo e l’abbondanza delle sue imprese convincono l’editore Arnoldo Mondadori a importarle in una collezione parallela ai libri gialli: “Segretissimo”, diretta prima da Alberto Tedeschi e Laura Grimaldi e poi dalla sola Grimaldi, affiancata dopo un decennio da Marco Tropea. Nei primi quattordici numeri, usciti tra l’ottobre 1960 e il novembre 1961, “Segretissimo” è dedicata esclusivamente a OSS 117 e a quel primo eroe deve la sua affermazione. A partire dal n. 3 della seconda serie, altri agenti segreti si affacciano nel mensile mondadoriano e da allora è stato il diluvio. Accanto a Hubert ricordiamo Sam Durell e Matt Helm, Nick Carter e SAS, Olivia e il divertentissimo Boysie Oakes il Liquidatore, anche se Hubert rimane il più popolare fino a metà degli anni Sessanta, quando si affaccia sulla scena SAS Malko Linge (di cui Hubert può essere considerato il diretto anticipatore). Bella performance davvero, che consente all’ agente guascone di entrare nell’olimpo dei grandi personaggi capaci di sopravvivere persino alla morte del loro creatore: come Sherlock Holmes, Dracula, Tarzan e James Bond.

Leggi tutto »

Posted in Black Ops, Supersegretissimo | commenti 6 Comments »

Spy Fiction: Italian Ways/II di Fabio Novel

novembre 13th, 2009

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Seconda puntata dello speciale realizzato da Fabio Novel sulla Spy Story italiana. Cominciamo ad avvicinarci ai giorni nostri, partendo dal 1989 fino all’inizio del nuovo secolo.

Nel 1989, con Kabul Kabul arriva Luis Piazzano (Luis Francisco Piazzano y Amador, nato a Santiago del Cile, padre italiano e madre cilena). Presenta Luc Della Rocca, agente della CIA sotto copertura a Firenze. Anche Piazzano dimostra di essersi ben studiato la lezione dello spionaggio avventuroso che, pur se con gusti e formule differenti, è stato il cavallo di battaglia della collana. Le vicende di Della Rocca saranno alla fine più d’una decina: Una volta Benazir, Uccidere all’alba, Allarme Vaticano, Fuga dall’inferno, Le carte somale, Il sopravvissuto, Missione Afrika, Missione Double Face. Dopo sette anni fuori scena, Piazzano tornerà a colpire nel 2008, con la pubblicazione di Destinazione Qumran. L’unica presenza femminile italiana in Segretissimo è stata per lungo tempo quella di Carmen Iarrera, giornalista e scrittrice (nota per la sua collaborazione narrativa con Federico Zeri in Mai con i quadri) con due romanzi all’attivo: Guantanamera e Jihad 1999. Guantamaera, del 1991, si svolge a Miami e a Cuba. Castro ci lascerà le penne. Thomas Monreale, il protagonista, è un agente sui generis, non certo scaltro stante il modo in cui viene manipolato da più parti. Jihad 1999 è del 1995.guantanamera3.jpgSull’onda nostrana, anche il traduttore di SAS, Mario Morelli, costruisce una discreta operazione in terra d’Albania (Ombre rosse su Tirana), pubblicata da Segretissimo nel 1993. Intanto, il già citato Diego Zandel, viene reclutato da Gian Franco Orsi, all’epoca Direttore Editoriale dell’edicola Mondatori. Ne vengono fuori due romanzi: Operazione Venere (1993) e Crociera di sangue (1996).

Lorenzo Giusti, autore di narrativa per ragazzi, inizia la serie degli pseudonimi diventando Lawrence P. Right. Due i suoi lavori: Codice 4458 (1994) e Il quinto diamante (1997).

Una segnalazione di riguardo spetta a uno scrittore di grandi doti: Secondo Signoroni, già autore di polizieschi anni ’70 quali Qui Commissariato di Zona, Petrosino e baffi a manubrio e Testimonianza d’accusa. Signoroni approda a Segretissimo nel 1993, con Operazione Scarlet, in cui il SISDE dà la caccia a un mercenario sudafricano. Dopo questo romanzo, seguirà le vicende del maresciallo Costa, del SISMI, con vari romanzi: L’armata del silenzio, Sotto gli occhi del mondo, Missione confidenziale, Messaggi di fuoco, Il paese delle ombre, Specchio oscuro, La Lega degli innocenti e Oltre la verità. signoroniottobrescal.jpgTra gli autori di Segretissimo in attività, Signoroni è in un certo senso il più “italiano” di tutti. Non solo per una questione di ambientazioni, ma anche di stile. Per completezza, cito altri tre Italiani di Segretissimo usciti a suo tempo con missioni singole: Miro Barcellona (Operazione Ragno), Piero Baroni (Operazione Anemone) e un non “declassificato” italiano che si celava dietro l’alias di “Osman F. Trecca” (Trappola esplosiva). Nel frattempo, le cose si muovono anche in libreria, non solo in edicola.

Varie uscite nel 1988. Marsilio pubblica Floppy disk, di Gaetano Cappelli. Un ragazzo entra per caso in possesso di uno scottante floppy. Finirà incastrato in un traffico internazionale d’armi e droga. Bompiani manda in stampa Il labirinto della memoria (Bompiani) di Roberto Vacca e Cristina Ambrosetti. Siamo ai confini con la fantascienza: l’ennesima invenzione scatena la lotta tra CIA e KGB. Discorso similare per La stanza delle scimmie (1988, Mondadori), di Antonio Caprarica e Giorgio Rossi: un’eccezionale scoperta in campo informatico scatena KGB, CIA e SISMI.

Sempre nello stesso anno, Rusconi distribuisce Il sigillo della porpora, di Luigi Brisignani. Qualche anno dopo, nel 1992, un nuovo romanzo di Brisignani, Nostra signora del KGB, trova il supporto di un notevole marketing editoriale della Rusconi. Il romanzo parla del crollo del Muro, delle sue conseguenze nei paesi dell’ex-blocco. Il protagonista è un carismatico giornalista di Varsavia, intellettuale e dissidente.

Nel 1989, è la volta di uno dei nostri più noti giallisti, Loriano Macchiavelli, a scendere in campo, per quanto con lo pseudonimo di Jules Quicher. Esce Strage (Rizzoli, 1989), dove si parla dell’attentato nella stazione di Bologna. Segue, sempre firmato Quicher, Funerale dopo Ustica (Rizzoli 1990). Un terzo romanzo a matrice spionistica (Un triangolo a quattro lati – Rizzoli 1992), appare invece con il nome di Macchiavelli in copertina. Piero Soria è un altro nome eccellente che ha scritto narrativa spionistica. Nel 1989, pubblica per Rizzoli Colpo di coda, romanzo che ricalca in parte il modello del Giorno dello sciacallo. Laddove Forsyth descrive l’intrigo legato a un attentato De Gaulle, Soria inscena un possibile atto terroristico nei confronti del presidente della Repubblica Italiana. Nel 1990, esce per Mondadori una sua nuova trama spionistica: Croce dell’Est.

Anche Sperling&Kupfer ci prova: Il mercenario di Cracovia, di Derek Moore (alias di Giuseppe D’Agata) ottiene un buon risultato, con tre ristampe del volume.

Torniamo all’edicola. Nei primi anni ’90 un piccolo editore milanese, Garden, tenta una difficile concorrenza all’edicola di Segretissimo lanciando la collana Top Secret. Presenta anche Italiani, tra cui Enzo Verrengia e soprattutto Stefano Di Marino, che qui pubblica alcuni dei suoi primi romanzi (come Braccio di ferro a Kalimantan, del 1990, e Iguana Connection, del 1991, entrambi firmati come Frederick Kaman). Sono gli anni dell’esordio di questo romanziere che (avvalendosi di molteplici pseudonimi) più di ogni altro connazionale ha scritto romanzi di spionaggio e affini, contribuendone in modo innegabile alla crescita della spy story italiana. La sua produzione narrativa è vasta ed eclettica, mi limito a citare intanto alcuni dei titoli “in tema”, pescando nella produzione degli anni ‘90: Sopravvivere alla notte (Segretissimo, 1992), Pista cieca (Mondadori, 1993, come Stephen Gunn), Lacrime di drago (Mondadori, 1994), Il sogno della Tigre (un omaggio a Salgari; Segretissimo, 1995, come Frederick Kaman) e L’ombra del Corvo (Sperling&Kupfer, 1997, come Stephen Gunn). Ma il suo personaggio più importante e conosciuto è senz’altro Chance Renard, il Professionista. E’ il 1995: Di Marino si cala ancora nel suo “doppio” Stephen Gunn e propone Raid a Kouru, il primo volume del Professionista, da tempo la serie più seguita della collana, dopo l’immarcescibile SAS.

Il Professionista è un ex ufficiale della Legione Straniera che, dopo esser stato vittima di un micidiale intrigo, diventa un indipendente, un free lance che di volta in volta viene chiamato ad operare per privati, strutture antiterrorismo e di Polizia, organismi di intelligence…Le qualità principali dei romanzi del Professionista sono: azione ad alto livello, scansione serrata, canovaccio convincente, spettacolarità nelle descrizioni degli scontri a fuoco e plausibilità in quelli corpo a corpo, scenografie d’impatto, cura delle ambientazioni internazionali, assenza di dicotomie, erotismo q.b., qualche ammiccamento al noir, e poi citazioni da film, fumetti e cinema… Ma, tra tanta esemplare evasività, Stephen Gunn non si nega qualche considerazione (non sempre, ma spesso, amara) verso la natura umana e la politica mondiale.

 A distanza di quattordici anni, il Professionista è ancora sulla breccia, con più di 25 romanzi all’attivo fino al più recente Campi di Morte (2009).campi.jpg

In quella metà degli anni ’90, Di Marino è anche responsabile per le scelte per Segretissimo. E’ sotto la sua curatela che si sviluppa un progetto da lui sostenuto: nel 1998, con Campo di fuoco, fa il suo trionfale ingresso in collana Alan D. Altieri. Propone Russell Brendan Kane, Sniper dei SAS. Tre i titoli, di recente ristampati anche in TEA per la libreria: Campo di fuoco, uno scontro tra servizi segreti occidentali e il cartello messicano della coca, L’ultimo muro (1999), e Victoria Cross (2000).

 

La riuscita del Professionista e di Sniper avvia una nuova stagione italiana. Nel 2000 Sandrone Dazieri diventa editor dei Gialli Mondadori e di Segretissimo. Crede nella visione ereditata da Di Marino e apre in modo deciso verso gli autori nostrani. E’ il periodo della cosiddetta Italian Foreign Legion: una new wave caratterizzata dall’uso di alias da parte degli scrittori coinvolti, abili professionisti che riescono ad accettare il format di collana, sfruttandone le potenzialità non solo escapiste, e soprattutto ciascuno reinterpretandolo con un tocco personale d’originalità.

 2001. Stefano Di Marino diventa anche Xavier LeNormand. Con Il primo della lista parte la serie di Vlad. La serie si chiuderà nel 2008, con Tempesta sulla città dei morti, lasciando in eredità un personaggio apparso sul cammino di Vlad, e che ritornerà sia nelle avventure del Professionista che in solitaria: Antonia Lake. Ne riparlo più avanti.

2002. E’ la volta di Andrea Carlo Cappi a scrivere “sotto copertura”. Come François Torrent propone la serie Nightshade (Missione Cuba; Progetto Lovelace; Obiettivo Sickrose; Babilonia Connection; Destinazione Halong). Dopo l’11 settembre, gli USA decidono di riaprire la segreta “sezione omicidi” della CIA. Mercy Contreras, detta Nighshade è uno di questi killer. Predilette le ambientazioni spagnole e americane. Tra i lavori spionistici non Segretissimo firmati ufficialmente da Cappi, vanno citati Morte accidentale di una lady (Alácran e Segretissimo 2007 come Ladykill) e il saggio (con Edward C. Dall’Orto) MondoBond.

Sempre 2002. Massimo Mazzoni (alias Frank Ross), con il romanzo Acquarius inizia la serie Quantum Agency, che prosegue con Golpe e Ultima Thule. Sono romanzi caratterizzati da un’impostazione tematico-divulgativa. Ad un argomento di attualità abbinano una narrazione evasiva, con qualche concessione vagamente fantastica.

2003. Viene reclutato Gianfranco Nerozzi. Entra nei panni di Jo Lancaster Reno e firma la serie Hydra Crisis (L’occhio della tenebra, La coda dello scorpione e Lo spettro corre nell’acqua). Protagonista è Marc Ange, un eroe dal passato inquietante, diviso tra metà oscure. L’impronta di Nerozzi è inequivocabile.

 Ancora 2003. Giancarlo Narciso esordisce in collana. Si sceglie il nom de plume di Jack Morisco. Fa tesoro della sua lunga esperienza di giramondo, soprattutto dei lunghi periodi vissuti a Singapore e in Indonesia, per dare vita a Banshee, un’originale e documentata serie ambientata nel Sud Est Asia. Della serie sono stati finora pubblicati quattro titoli: Furia a Lombok, Le Tigri e il Leone, L’arma birmana e l’ultimo, in edicola in questi giorni, Manila Sunrise.

Ad inizio 2005, Marco Fiocca prende le consegne da Dazieri. Nel 2006 Sergio Altieri viene “arruolato” come consulente editoriale, per poi diventare editor a pieno titolo e autorità. Le scelte alteriane si faranno presto sentire. E saranno anche – manco a dirlo! – all’insegna di una marcata fiducia nell’Italian way non solo in Segretissimo! Teniamo ora in sospeso il discorso dell’edicola, per capire cosa è successo intanto in libreria.

Inizio con rilevare la popolarità raggiunta da Marco Buticchi, narratore italiano efficiente nel riproporre la formula del romanzo organizzato su più vettori temporali, di cui due o tre storici che convergono verso uno contemporaneo. In quello attuale, sono presenti cospicui elementi spionistici. Tant’è che uno dei protagonisti principali appartiene nientemeno che al Mossad, di cui diventerà col tempo responsabile, fino ad assumere la carica di primo ministro d’Israele. Dopo il consenso di pubblico ottenuto all’esordio con Le pietre della Luna (1997), Buticchi riproporrà personaggi e struttura narrative per altri quattro titoli: Profezia, Menorah, La nave d’oro, L’anello del Re e Il vento dei demoni.

Elementi attinenti la spy story li ritroviamo nell’intrigo di Codice ombra (Longanesi, 1997), di Mario Biondi, un thriller sulla cibernetica e sul potere che ne deriva. Un potere che fa gola a mafie e servizi segreti.

Con il giro di boa del nuovo secolo (e del nuovo millennio!), nel panorama narrativo nazionale emerge un autore di grande impegno e caratura: Giuseppe Genna. La produzione letteraria di Genna (spesa su più tematiche, però uniformemente caratterizzata da uno stile originale e incisivo, di forte impatto, ma anche assai attento alle proprietà e potenzialità della lingua oltre che ai contenuti e alle trame) annovera tra l’altro una quadrilogia spy-thriller, con protagonista principale l’ispettore Guido Lopez: Catrame (Mondadori, 1999), Nel nome di Ishmael (Mondadori, 2001), Non toccare la pelle del drago (Mondadori, 2003), Grande Madre Rossa (Mondadori, 2004 e Segretissimo 2009). Lo sguardo di Genna sugli intrighi che descrive, e sulla società che tumorizzano, è duro e impietoso.

Passando ad un’impronta certo più evasiva, con estrema faccia di bronzo (e rischio di “conflitto d’interessi” ) segnalo a questo punto un thriller del 2002 in cui, caso atipico nel panorama italiano, il sottoscritto Fabio Novel coniuga la più classica “formula Segretissimo” (spionaggio avventuroso e scenari esotico/orientali) alla fantascienza: Scatole siamesi (Nord).

 Nel 2003, torna in campo Andrea Santini, con L’inganno (Tropea), una vicenda ambientata nell’Italia del nuovo millennio, nei meandri dei poteri occulti che tumorizzano le istituzioni democratiche. Segue, nel 2004, La trappola. Nel 2004, ritroviamo anche Diego Zandel, con L’uomo di Kos (Hobby & Work), dove riprende i personaggi dei due Segretissimo scritti negli anni ’90.

Anche la Einaudi dice la sua, pubblicando (nel 2006) Omissis, antologia AA.VV. a cura di Daniele Brolli. Una raccolta di racconti dedicata alle “realtà taciute” dell’Italia. Tra gli autori: Piero Colaprico, Giancarlo De Cataldo, Oreste del Buono, Piergiorgio Di Cara, Angelo Marenzana, Maurizio Matrone e due vecchie conoscenze della spy fiction italiana: Andrea Santini e Diego Zandel.

Posted in Black Ops, Segretissimo Foreign Legion | commenti 5 Comments »

« Previous Entries