“Geografia criminale” di Mario Gerosa

febbraio 15th, 2020 by Redazione
Stephen Gunn, Il professionista Story: "Prima missione", "Gangland", Segretissimo special 27, febbraio 2020

Stephen Gunn, Il professionista Story: “Prima missione”, “Gangland”, Segretissimo special 27, febbraio 2020

Mario Gerosa, giornalista e saggista, esperto di cinema e thriller, ci regala un approfondimento sulla Milano nera della “Gangland” di Stephen Gunn, questi giorni in edicola insieme a “Prima missione” nel Segretissimo special n.27.
Buona lettura!

 

Geografia criminale di Mario Gerosa

 

Ci sono città che si raccontano in tre righe, con pochi aggettivi e quattro canzoni.
Milano è complessa, è nebbiosa, si nasconde sotto una coltre di false apparenze e tende a depistare chi, senza avere una certa familiarità, pretende di capirla. Per farsi un’idea di Milano bisogna aver letto, visto e ascoltato tanto: i film di Luchino e di Prandino Visconti, le canzoni dei Gufi e di Walter Valdi, i romanzi di Testori, i gialli di Pinketts e di Olivieri
Milano si concede e si svela in modi diversi, in una pubblicità del Carosello, in un film neorealista, in un romanzo dai toni cupi e sofferti, in un abito di Armani o in una lampada di Castiglioni.
Milano è come una donna elegante che si lascia vestire e svestire in modi diversi dagli autori di talento, che le hanno regalato decine di interpretazioni.
In questo senso, Milano è una delle città più versatili del mondo, lontanissima da letture univoche e tantomeno stereotipate. E una delle interpretazioni più originali di Milano l’ha offerta Stefano Di Marino alias Stephen Gunn, che ha dedicato alla sua città l’episodio Gangland, numero 1527 di Segretissimo, pubblicato nel maggio 2007.

Gangland nasceva nel 2005 dal desiderio di riappropriarmi degli ambienti di casa nostra, un po’ per dimostrare che dopo aver girato il mondo con il Professionista potevo ancora trovare spunti vicino a me, anche perché l’Italia è diventato uno scenario molto meno provinciale di quanto si pensasse una volta.
È un nodo importante anche per storie internazionali. E poi mi piaceva l’idea di raccontare la mia città (che poi è Milano anche se la chiamo Gangland) con un piglio più dinamico di quello usato in tanti romanzi nostrani che mi sembra seguano una via… come dire, più sommessa, più da racconto di costume, quasi da commedia”.

(intervista a Stefano Di Marino, in: “Antonio Dini, La narrativa popolare non conosce confini”, Fumettologica, 21 marzo 2018. Disponibile online).

L’atteggiamento di Di Marino nei confronti della sua città è piuttosto energico. Come Orson Welles, che per La signora di Shanghai impose a Rita Hayworth di tagliare i suoi capelli rosso fuoco e di farli diventare biondo platino, Di Marino impone alla città un trattamento drastico.

Per prima cosa le cambia il nome, e l’operosa Milan col coeur in man diventa Gangland. Un cambio di nome, da cantilenante a secco, che comporta un immediato cambio di look. Gangland è un nome che fa il botto. Di colpo spariscono gli echi immaginari delle canzoni della tradizione e ci si immagina una città rock, aggressiva, scenario ideale per la guerra per bande evocata sullo strillo in copertina, dove campeggia una bella mora avvinghiata a un palo da lap dance. È una metropoli pericolosa e indomabile quella che affiora pagina dopo pagina.

“Sembra che le autorità non ci siano in questa città”, si dice categoricamente a pagina 112, e viene in mente uno scenario da film di Stallone anni ’90, si dà il tono di un urbanistica pessimista e cupa, che ha tanti riferimenti nel cinema e nelle graphic novel.

Da tempi immemori le parole schiudono interi universi, e dire Gangland è sufficiente per addentrarsi in una Milano parallela, che virtualmente è quella che tutti noi abbiamo percorso e vissuto, ma che poi è anche un’altra cosa.

“Non so molto della geografia criminale di qui”, dice il Professionista, a proposito di Gangland. Invece conosce ogni piega della geografia di quella città Stephen Gunn. Da provetto urbanista letterario, Di Marino, come fece il barone Haussmann per Parigi, sposta case, apre viali, ridisegna piazze, mantenendo comunque l’assetto di base della sua città, non tradendone mai la natura. E regala a Milano/Gangland un apparato da metropoli noir, come fosse una Los Angeles lombarda, pronta ad accogliere una nuova avventura di Chance Renard.

Il Professionista arriva a Gangland per aiutare Renzo Sarni, un suo vecchio compagno d’arme che a Gangland si era creato una nuova identità come dottor Merli, ma che ora è minacciato da Zlatko Noric, un killer macedone la cui famiglia venne sterminata da Chance e dal suo commilitone durante un’azione in Kosovo. Il killer cerca vendetta nei lunghi viali persi nel grigio, negli appartamenti ammobiliati, tra i privé dei locali dell’hinterland e nei quartieri dove le saune e i finti negozi di estetica si alternano agli alberghi a ore.

Le ambientazioni sono sempre state un punto di forza nei romanzi della saga del Professionista, ma in questo caso l’operazione di lifting e di restyling della città assume un valore aggiunto notevolissimo. Tra le tante qualità di Stefano Di Marino c’è la capacità di spiegare i meccanismi della narrazione, rivelati generosamente anche nei suoi manuali di scrittura.

A Di Marino piace smontare e rimontare gli ingranaggi delle storie, e Gangland è l’esempio di come si possa operare sulla geografia. Gangland è un esempio di sovrapposizione di una città di fantasia a una città preesistente. E’ un’operazione delicata e complessa, che porta a creare una serie di modifiche e di sovrastrutture linguistiche, con cambiamenti di nomi e di dissimulazioni di luoghi che rimangono comunque volutamente riconoscibili. In operazioni letterarie di questo tipo, dove la toponomastica ha un ruolo di primo piano, i nomi da soli evocano un’atmosfera, raccontano qualcosa o danno degli indizi. Prima del luogo, arriva il nome, il suono preannuncia un universo. E i nomi di Gangland sono ben scelti.

L’autore nel romanzo sfida il lettore pratico di Milano a scoprire le strade che si celano dietro i nomi di fantasia, che si intrecciano a quelli simili al vero. Piazza della Cattedrale, i viali della Circonvallazione, i “canali” (ovvero i navigli) fissano i riferimenti di una Milano che si continua a riconoscere in filigrana. Ma poi arrivano i nomi di fantasia, in un esercizio stilistico raffinato. Via Moscovianic ricorda via Boscovich, via San Bernardo riecheggia corso San Gottardo, via Pomellina ha un’assonanza con via Lomellina, via Costanza d’Este è una variazione di Beatrice d’Este, via delle Palme Nuove è una divertente reinterpretazione di via Palmanova. Ma le più riuscite sono via Lazzaro Castoldi, frutto di una contaminazione tra via Lazzaro Palazzi e via Panfilo Castaldi, e il magistrale “corso Manforte”, che reinventa corso Monforte.

Curiosamente, in “Colori di guerra” (Segretissimo 1534, 2007), uscito qualche mese dopo “Gangland”, la metropoli semi-immaginaria ritorna, ma questa volta i nomi delle strade sono quelli veri.
Quando si vuole romanzare una città, si può optare per due differenti soluzioni.
La prima consiste nel prendere un certo luogo come riferimento primario, e poi contaminarlo con frammenti di molteplici città, che vengono ricombinati e assemblati, come fa per esempio Marcel Proust con la sua Balbec, che nasce da Cabourg ma vede aggiungersi tutta una serie di ulteriori suggestioni.
Lo stesso succede a Gotham City, una supermetropoli che ha fagocitato idealmente tante città, da New York a Detroit, a Chicago, o a Basin City, la città di “Sin City”, la graphic novel di Frank Miller, che ha scelto come ispirazione Las Vegas, San Francisco e Los Angeles.
L’altra tendenza consiste nel mantenere più evidente l’identità originaria della città di riferimento, come succede nella serie del videogame Grand Theft Auto, dove si passa da Liberty City (New York City), Los Santos (Los Angeles), San Fierro (San Francisco), Vice City (Miami).
Il romanzo di Stefano Di Marino sta in equilibrio tra le due soluzioni, introducendo una forte componente multimediale. L’autore si cimenta con un’operazione inedita, trasformare Milano in una città profondamente noir, aggiornando l’immagine del capoluogo lombardo offerta dai poliziotteschi degli anni ‘70.

“È stato nell’inverno del 2005 che l’idea di un’avventura ambientata tutta a Milano di Chance si è imposta alla mia immaginazione”, ha scritto Di Marino. “Un’ispirazione scaturita, devo ammetterlo, da una certa rabbia. Di “nero italiano” si parla da anni, tutti gli editori ne pubblicano e sembrava che io schifassi le ambientazioni nostrane in virtù di chissà quale esterofilia. Tutte balle. Ma questa fu l’impressione che ricavai consultando un volume di una prestigiosa collana  che raccoglie fatti di cronaca su varie città italiane, sottolineandole il lato criminale.

Nel volume dedicato a Milano c’erano però due capitoli dedicati al cinema e alla narrativa dove non solo gli autori manifestavano una spiccata predilezione su quel genere di nero italiano che detesto, provinciale nell’animo e adagiato su figure a me lontane, ma disprezzavano l’opera cinematografica di uno dei miei registi preferiti, Fernando Di Leo. […] Al di fuori di “Per il sangue versato” e “La seconda vita“, pubblicati in Nero Italiano, la mia Milano nera aveva già preso una sua forma ben definita, lugubre, violenta. Fotografie della stessa metropoli sulla via di una globalizzazione che cancellava vecchi cliché della mala classica – quella delle canzoni, dei lader della banda dell’Ortica, degli anni 60 – per approdare a un nucleo cosmopolita dove interessi criminali, disagio ambientale, incontrollata integrazione di gruppi extra comunitari creavano una nuova, violenta frontiera.

Era la Milano di “Sopravvivere alla Notte”, un Segretissimo del 1992 che partiva dall’Italia e si sviluppava in Africa. Era un romanzo sulla fine del terrorismo degli anni 70-80 ma già s’intravedevano spicchi di quella Milano che vedevo intorno a me e di cui leggevo sui giornali. Le agenzie di escort, il giro dei pedofili che progettavano turpitudini al bar dietro la stazione, uno scontro a fuoco nei diurni di piazza Oberdan che di lì a poco sarebbero stati chiusi e rimpiazzati da una sala giochi. Scomparsa anche quella.

E così, poco dopo scrissi un racconto, “Riflessi nel buio”, su un cacciatore di serial killer nei quartieri più difficili di Milano. E ancora, “In fondo al fiume nero”, racconto pubblicato per Garden che ho rivisto da poco e gravita tra ciò che resta delle Varesine e la Stazione Centrale”.

(Stefano Di Marino, “Gangland… o Milano?”, Thriller Magazine, 8 maggio 2007, disponibile online).

 

Il Professionista vi aspetta in edicola con il Segretissimo special 27: Stephen Gunn – Il professionista Story, “Prima missione” e “Gangland”!

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