H305 di Enzo Verrengia

novembre 4th, 2012 by Alessio Lazzati

Cari lettori e lettrici di Segretissimo, da oggi al blog si aggiunge una nuova firma. Di seguito infatti trovate un articolo scritto da Enzo Verrengia, eccellente autore (sì, anche della nostra collana) e traduttore. Enzo presenterà approfondimenti storici sul mondo dell’intrigo e dello spionaggio: una serie di imperdibili e dettagliati “dietro le quinte”. In questo primo articolo scopriremo cosa si nasconde dietro la misteriosa sigla “H305″.

H305

A volte la Storia si fa in una stanza. Quella in cui danno udienza i custodi dei custodi, cioè i supervisori dell’intelligence negli Stati Uniti è nota con una sigla alquanto scarna: H305. È un ambiente grande quanto un campo da tennis, con pareti insonorizzate e porte imbottite. Si trova nel cuore del Campidoglio, a Washington, una città dove al sapore di patriottismo che trasuda dai monu­menti e dalle strade, si accompagnano retroscena di intrighi. Come quelli spionistici, che nella stanza H305 hanno sempre il loro scioglimento finale, perché è la sede del potentissimo Comitato del Congresso sui Servizi Segreti. Qui finisce lo scaricabarile, come aveva fatto scrivere Roosevelt sulla sua scri­vania. Nel senso che tutti gli scandali e scandaletti, le sempiterne magagne dell’underworld spionistico divengono nodi da passare al pettine.

Nella stanza H305 del Campidoglio si svolsero, a suo tempo, degli imbarazzanti interrogatori, in assenza dei veri imputati. Che erano Aldrich Hazen Ames, analista della CIA, e la moglie colombiana, Maria del Rosario Casas Dupuy. Lui, occhiali e capelli radi, aveva proprio le phisique du rôle della talpa. Solo che era ormai fuori tempo: si fece sorprendere con le mani nel sacco a passare informazioni a Mosca quando la Guerra Fredda non entrava più neanche nei romanzi di spionaggio e apparteneva semmai al modernariato geopolitico. Lei, bruni tratti sudamericani, non era neanche la parodia di una Bond-girl, tutt’altro che la compagna fascinosa di uno 007. I due, dal 1985, avevano rim­pinguato di pratiche top-secret gli archivi del KGB e del suo primo sostituto, il MBRF, Ministero della Sicurezza Russo. Una farsa tardiva del mondo diviso in blocchi che non riusciva a scrollarsi i ruoli del vecchio gioco planetario a gu­ardie e ladri. Se non fosse che ai severi parlamentari della stanza H305 intereessava l’aspetto più prosaico della vicenda: il denaro. Durante la sua carriera di doppio agente, Ames superava di gran lunga il salario annuale di 69.843 dol­lari. Per esempio, dove aveva pescato i 540.000 dollari in contanti per compe­rarsi la nuova abitazione?

Lo sguardo e le voci inquisitorie dei componenti del Comitato del Congresso sui Servizi Segreti si appuntarono contro R. James Woolsey, all’epoca direttore in carica della CIA. La sua responsabilità includeva quella di tutte le agenzie governative di informazione, ed in questa sorta di onnipotenza federale, lo smacco del caso Ames appariva intollerabile. Tanto più se si tentava di accampare argomenti che apparivano troppo esili a difesa dell’operato dell’Agenzia. Come l’impossibilità di verificare in Colombia se era vera la notizia di un’eredità ricevuta dalla moglie, cui Ames attribuiva la sua improvvisa ricchezza. Woolsey affer­mò che nel Paese della signora Dupuy i testamenti non vengono iscritti all’Ufficio del Registro. «Per favore!» sbottò un congressista del Comitato. E un altro: «Andiamo, ci sono altri posti in Colombia in cui si può cercare di sapere se la famiglia è benestante».

A questo punto, la scena si spostava al senato, dove Dennis DeConcini, presidente dell’apposita commissione d’inchiesta, ripesca un’antica questione. I rapporti tra CIA e FBI. Il secondo è preposto per legge alle operazioni di sicurezza in territorio statunitense, dove al contrario, i ragazzi di Langley, sede dell’Agenzia, non possono operare arresti. DeConcini ricordava che esisteva un memorandum del 1988 che stabilisce lo scambio di informazioni tra CIA e FBI nel caso di inchieste interne. Perché non c’era stata sinergia fra i due colossi della sicurezza made in USA?

Semplice, perché a sua volta l’FBI è un’altra istituzione gelosa delle proprie competenze. Soprattutto quando, a non intervenire per tempo, si lasciano affiorare i peccatucci della concorrenza. Salvo poi accordarsi quando le cose diventano imbarazzanti per tutto l’establishment. Come dopo l’assassinio di Dallas o durante il Watergate. Nelle due crisi che hanno segnato la vita americana, CIA, FBI ed altri uffici più oscuri del governo hanno collaborato all’insabbiamento. Ma in fatto di spionaggio, le competenze non erano mai rigide. Tanto che durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, l’FBI riuscì a costruirsi il miti di ba­luardo anti-comunista, smascherando vere e presunte spie. Mentre la CIA, dal canto suo, si dotava di una tentacolare sezione di controspionaggio, affidandola al controverso James Jesus Angleton.

L’FBI visse per quasi mezzo secolo sotto il tallone di ferro di John Edgar Hoover, che aveva schedato praticamente l’intera nazione. Sfruttando le infor­mazioni più scottanti, l’uomo ricat­tava chiunque, ma soprattutto i vertici della classe politica, non esclusi i presi­denti, per mantenere ed accrescere il proprio potere. Fu comunque grazie a Hoover che si ebbe il decollo di un organismo di polizia istituito inizialmente con lo scopo di vigilare sull’applicazione del Mann Act, una legge che proibisce di portare una donna da uno stato americano all’altro con scopi immorali. Una sorta di supersquadra buoncostume che in seguito divenne determinante nella lotta al gangsterismo e annoverò tra i pro­pri uomini Melvin Purvis, quello che uccise John Dillinger… o almeno così fece credere.

Enzo Verrengia

Posted in Black Ops, Spy - Story

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