Visti con Il Professionista/8 – Peacemaker

maggio 20th, 2009 by Alessio Lazzati

VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

Peacemaker

A cura di Stephen Gunn

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“La Russia oggi? Un casino! Quanto mi manca la Guerra fredda!” esclama un agente dei Servizi americani mentre il mondo è in subbuglio in seguito a un’esplosione nucleare avvenuta nei monti Urali. Che non si sia trattato di un incidente ma del primo passo di un complesso piano terroristico ordito da un gruppo di serbo-bosniaci decisi a coinvolgere il mondo occidentale nella loro tragedia, lo spettatore lo sa già.

Con un inizio suggestivo ( fumate bianche di treni in corsa nelle montagne caucasiche, scintillio di infrarossi e musiche dell’Armata Sovietica), Mimi Leder smentisce la convinzione che una donna non possa girare un serrato film d’azione, genere ritenuto abitualmente “da maschi”. Siamo nel ‘97 in epoca di correttezza politica, di finto benessere e il timore di un attacco terroristico nel cuore dell’Occidente sembra ancora e solo un’idea da film. E la sceneggiatura di Michael Schiffer riflette perfettamente un’epoca che adesso ci sembra lontanissima.

Julia Kelly (la Kidman qui bellissima e volitiva) è una donna acuta, indipendente, certamente sicura nelle sue convinzioni. Un personaggio tipico dei thriller della fine del ventesimo secolo. Essere a capo di una task force speciale per il controllo dell’energia atomica da due settimane non l’aiuta quando scoppia il caso di una “nuova Chernobyl”. Fortunatamente le affiancano un ufficiale dei servizi d’azione con il viso e l’aplomb canagliesco di George Clooney (nel film si chiama Tom Devoeux). Intrallazzone, donnaiolo e a volte violento, Devoeux sembra dover ingaggiare una guerra dei sessi con la bella collega. Ma tutto si svolge in poche battute perché entriamo subito nel vivo della vicenda. Alexander Komarov, mastino dell’Armata Rossa deciso a farsi una fortuna a ogni costo ha provocato un incidente e fatto detonare un’arma nucleare in piena Russia per rubarne altre 19 e venderle in Iran. Il piano non è suo ma di Dusan, diplomatico serbo di Sarajevo, pianista, vedovo di guerra che ha organizzato l’operazione in cambio del nucleo di un solo ordigno che progetta di far saltare all’ONU nel corso di una conferenza per la pace nella Ex Yugoslavia. Nei primi venti minuti lo spettatore si trova molte carte in mano, solo con il procedere serrato della vicenda riuscirà a dare un viso a buoni e cattivi e un senso a tutta l’operazione. La vicenda segue binari ben collaudati del genere.

Si sposta a Vienna dove Devoeux e Julia incontrano il colonnello Dimitri Vertikoff, ufficiale russo forse non onestissimo ma chiaramente schierato contro i fanatici del genere di Komarov. Indagando su una società di trasporti austriaca, la Kordek, che fornisce servizi alla mafia russa, ci rimetterà la pelle. Una delle sequenze d’azione clou si svolge proprio in piena Vienna. Devoeux spara, scazzotta, guida come un matto e non si risparmia neppure un gesto di violenza a sangue freddo per l’epoca (dominata da scrupoli di correttezza anche nei film d’azione) piuttosto coraggioso. Julia è sconvolta, condanna il collega maschilista e non nasconde l’indignato disprezzo per i suoi metodi. Eppure una scintilla tra Devoeux e Julia si accende benché i loro rapporti rimangano sempre irrisolti, lasciati all’intuizione del pubblico. L’indagine procede tra triangolazioni satellitari, incursioni informatiche e umane intuizioni. Komarov viene bloccato alla frontiera con l’Iran ma la bomba mancante è l’unica che veramente potrebbe esplodere.

Ormai coppia collaudata sul campo Devoeux e Julia si trasferiscono nella metropoli americana che, malgrado l’allarme terroristico, sembra quasi incurante.

Sullo sfondo svettano ancora le torri gemelle. Nel frattempo abbiamo conosciuto meglio Dusan e i suoi compagni. Se questi sono il classico gruppo di idrofobi bombaroli, Dusan è un uomo ferito, segnato dalla morte dei suoi cari. Ritiene l’Occidente responsabile dei massacri nel suo paese in quanto fornitore di armi. Forse ha ragione. Di certo far assassinare un collega parlamentare e portare personalmente la bomba nel cuore della 42° strada lo sconvolge. Ma Dusan non vacilla sino all’ultimo. La fase finale della vicenda è tutta americana. Filmata con dinamismo e abilità, la caccia al terrorista è scandita da un timer e ripropone,all’interno di una chiesa, la classica lotta contro il detonatore. Forse qualcuno potrà pensare che si tratti di un espediente già visto, ma l’aderenza al ruolo degli interpreti, il montaggio concitato ma non confuso rendono piacevolissima la conduzione dell’intreccio. Ad anni di distanza il film resta un piccolo classico del filone. Soprattutto è emblematico di un’epoca. Oggi tutto è più sporco, più cattivo. Forse a causa di un decennio d’inizio secolo dove la guerra si è protratta troppo a lungo e non solo in lontani campi arroventati dal sole mediorientale. Le immagini della Russia in disfacimento, la fotografia di Sarajevo ridotta a un cumulo di macerie dove uomini e donne cercano ancora di sopravvivere e resistere sono forse il pezzo forte del film. Tracciano un quadro di una situazione che ai tempi non fu analizzata con sufficiente lucidità. Eppure i segni erano tutti lì, davanti ai nostri occhi. Entro quattro anni il fuoco sarebbe piovuto dal cielo veramente e New York avrebbe cambiato skyline con i risultati che tutti sappiamo. “Non è la nostra guerra”, la frase che Devoeux pronuncia cercando di placare l’ossessionato Dusan, avrebbe perso di senso. È curioso come un film d’intrattenimento, un film di spionaggio, brillante nei dialoghi e adrenalinico nell’azione (non un prodotto d’autore) abbia focalizzato problemi e situazioni con tanta chiarezza. Una storia articolata e varia nelle ambientazioni quanto negli spunti, con un buon mix tra commedia (i rapporti tra Clooney e la Kidman sono sempre appena sopra le righe e anche l’inevitabile lieto fine, lascia intendere che la figura femminile rimanga saldamente alla guida della relazione) , indagini, doppi inganni e azione. Questa si riassume fondamentalmente in tre momenti. Il furto delle testate nucleari sul treno è un brano d’antologia nella sua essenzialità. Del violento inseguimento a Vienna abbiamo già accennato e non possiamo che compiacerci della quasi totale assenza di accorgimenti in computer grafica. La spy-story richiede in certe situazioni realismo, corpi che si battono senza prodezze da super eroi, auto “vere” che si ribaltano e momenti d’emozione reali come l’assalto degli elicotteri americani al camion russo in fuga sul ponte sospeso.

In un’epoca in cui il filone sembrava morto una bella prova, sicuramente da tenere in evidenza in una ideale cineteca di spionaggio.

SCHEDA TECNICA. Genere:guerra al terrorismo

The Peacemaker (id.) di Mimi Leder- 1997. Sceneggiatura originale di Michael Schiffer ispirata a un articolo di Andrew e Lesile Cockburn sul contrabbando di armi nucleari dagli arsenali dell’unione Sovietica – Durata:119’- Interpreti. George Clooney: Tom Devoeux- Nicole Kidman. Julia Kelly- Armin Mulder Sthal: Dimitri Vertikoff – Michael Iures:Dusan- – realizzato dalla Dreamworks, il film è reperibile in DVD in varie collane su licenza della Dreamworks Home Entertainment.

Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista

5 Responses

  1. f.t.denard

    è vero, non lo ricordavo più, ma mi è venuto in mente e ricordo che era un bel film, molto godibile e mai sopra le righe. Grazie della rimembranza.

  2. Beppeiaf

    Buon film, che si rivede con piacere.
    Da ricordare alcune chicche del tipo:
    “la sai disinnescare?”
    “Cosa? una testata russa modificata da uno scienziato pakistano?”

    E alcune vaccate tipo l’ esplosione della testata nella cripta alla fine

  3. il professionista

    quando smuovono i meccanismi con il coltellino svizzero? eheheh

  4. Beppeiaf

    …e gli si rompe la lama! allora ci pichia con il calcio della pistola…ahaha

  5. Casval Som daikun

    Film che si rivede volentieri,bella e giusta la scena di vendetta gratuita nella piazza di Vienna.
    Evocativi i pezzi sui campi di fuoco a Sarajevo,purtroppo dimenticati troppo in fretta da noi su questa sponda dell’Adriatico

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