L’estate del mio primo giallo

gennaio 23rd, 2009 by Moderatore

Quella lontana estate del 1970 è proprio indimenticabile. Comincia dalla fine, come un gioco di parole. Con la licenza elementare, ai primi di Giugno, e la prospettiva di frequentare le medie in un altro quartiere, cambiando scuola e compagni di classe.

Prosegue qualche giorno dopo, con i campionati mondiali di calcio in Messico, le partite in bianco e nero viste a notte fonda, un po’ assonnato, le immagini a volte tremolanti che sembrano precedere di qualche secondo la voce del telecronista Nando Martellini. Pelè e Gigi Riva, Müller e Albertosi, Rivera e Jairzinho danzano sullo schermo, e continuano a farlo nell’immaginazione mia e dei miei amici quando giochiamo a pallone sulla spiaggia, per lunghe ed estenuanti partite che sfinirebbero chiunque meno che dei ragazzi incuranti del sole a picco e della sabbia rovente. Poi la sera l’autobus per tornare a casa, e sognare altre partite, nelle orecchie le voci dei Dik Dik che cantano L’isola di Wight, sparata a tutto volume dal juke-box del bar accanto alla spiaggia.

E soprattutto un libro posato su una borsa di paglia sotto l’ombrellone, con la copertina di un giallo vivace e il disegno che mi ricorda i miei fumetti preferiti. Una combinazione che ricorda un libro per adolescenti piuttosto che per “grandi”. Lo guardo incuriosito e mi chiedo se lo legga il papà o il figlio, che gioca con me a pallone e m’infila sempre qualche gol quando io sono Albertosi e lui Pelè, proprio come nella realtà.

Alla fine di Agosto sono in viaggio con la mia famiglia: qualche giorno in una nazione così vicina e allo stesso tempo distante, che adesso non esiste più, spazzata via come tanti ricordi dell’infanzia: la Yugoslavia. Altre spiagge, in Istria, e altri boschi e laghi, in Slovenia. Scopro che quella terra non è poi così diversa dalla mia, hanno anche la Coca-Cola, anche se qui si chiama Sinalco-Cola. Però mi annoio un po': niente fumetti, né ragazzi con cui giocare a pallone sognando di parare finalmente un colpo di testa di Pelè, e nemmeno quella poca televisione che si vede a casa.

Così quando un giorno spunta da una borsa, che stavolta non è di paglia, un altro libro con la copertina di un giallo vivace, non ho esitazioni e comincio a sfogliarlo e poi a leggerlo, tanto per passare il tempo che precede la cena di quel lunghissimo pomeriggio estivo. Invece no, dopo qualche pagina mi accorgo che è appassionante, così diverso dalle storie che ho letto fin qui. Perché La morte fa l’autostop di James Hadley Chase è davvero un concentrato di tensione, ritmo e azione, un romanzo che vorrei far durare a lungo.

Ci sono riuscito. Si può dire che stia idealmente leggendo ancora quel libro, ogni volta che compro e sfoglio un Giallo Mondatori, perché, ormai lo sappiamo, la prima volta non si scorda mai. Certo, ne verranno tanti altri, di gialli, dopo quel primo romanzo letto un po’ di nascosto alla fine di Agosto del 1970, in una nazione che non esiste più, ma ora mi accorgo che nessuno, neanche quelli della mia amatissima Agatha Christie, mi hanno dato le stesse emozioni e quel sottile piacere della trasgressione, di fare una cosa da “grandi”, di sentirmi come loro senza desiderare di esserlo fino in fondo.

Ancora adesso spero di aver conservato qualcosa dello spirito di allora, di non essere diventato “grande” del tutto, come in quei giorni che nel mio ricordo si confondono in un’unica, lunga e indimenticabile estate.

 

                                                                                                                                                                         Enrico Luceri

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3 Responses

  1. Silvia

    Questo racconto mi ha ricordato il mio primo giallo, quello di cui coservo un ricordo particolare. Agatha Christie, Miss Marple: Nemesi.
    Anche nel mio caso si era d’estate e dopo quel libro, lessi Rex Stout, La traccia del serpente.
    Ed è propro vero che le prime letture lasciano sensazioni indimenticabili :)

  2. Andrea Franco

    un racconto nostalgico che prende come un pezzo di bella narrativa!! 😉

  3. cinzia andrei

    per me si parla dei primissimi ’60( ne avrò avuti 8) abitavamo in una splendida casa in mezzo al bosco (era un albergo dove eravamo piu’ o meno i domestici).io leggevo qualsiasi cosa, anche le etichette dll’acqua minerale a tavola.in un edificio separato,silenzioso, con le finestre all’altezza dell’erba incolta lungo un viottolo, c’erano le vasche per lavare il bucato, e accanto una stufa di pietra inutilizzata (probabilmente risalente all’epoca del lavaggio con la cenere). una volta ho sollevato il coperchio… e messi li’ qualche anno prima per essere bruciati c’erano: un woolrich dove lui crede di avere ucciso una certa leona harris; una christie che si svolge nell’antico egitto; e uno o due gialli che non ricordo. mi si è aperto un mondo.

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