John W. Campbell

ottobre 21st, 2013

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John W. Campbell, garanzia di fantascienza

Ogni volta che i nostri lettori dicono di voler leggere “sf e solo sf”, senza contaminazioni fantasy, al riparo da impiastri horror et similia, essi non lo sanno, ma dovrebbero correre al più vicino ufficio della SIAE e versare le competenze dovute a John W. Campbell jr. Era l’unico uomo al mondo che fosse in grado da vivo (e lo è tuttora in spirito) di garantire solidità nell’approccio al futuro, naturalezza nell’ingresso in un mondo che non ci appartiene ma che erediteremo un giorno, riservatezza nel trattamento dei dati. Senza Campbell e la sua rivista “Astounding Stories” – poi ribattezzata “Astounding Science Fiction” e infine “Analog” – non avremmo avuto la prima età d’oro della science fiction americana, quella che in Italia fu definita “fantascienza tecnologica”. In realtà, la sf pubblicata su “Astounding” dagli scrittori della scuderia Campbell era anche un genere sociale, proiettato all’utopia e al suo contrario, la dystopia popolare, ma in seguito questo fatto venne messo tra parentesi perché negli anni Cinquanta un’altra testata, “Galaxy”, si sarebbe specializzata così bene nei temi della social sf da far sottovalutare il precedente apporto campbelliano.

John Campbell assunse la direzione di “Astounding”, il mensile pubblicato a New York dalla Street & Smith, nel 1937. Succedeva al fondatore della testata Harry Bates, un uomo d’azienda buono per tutti i generi del pulp nonché abile scrittore in proprio, e a F. Orlin Tremaine, artigiano del giornalismo popolare che aveva aiutato “Astounding” ad emergere dall difficili acque del fallimento Clayton, il suo primo editore. Nonostante una curiosa idiosincrasia personale (sembra che Tremaine comprasse ottimi racconti senza leggerli, e in seguito permetteva ai suoi redattori di condensarli prima della pubblicazione: è capitato alle Montagne della follia e a L’ombra calata dal tempo di Lovecraft), intorno al 1937 fu nominato direttore editoriale della Street & Smith. Questa promozione lasciò vacante il suo posto che venne ricoperto dal giovane Campbell, un’altra scoperta tremainiana. Nato nel 1910 a Newark, New Jersey, Campbell avrebbe voluto studiare al MIT perché le scienze erano sempre state la sua passione, ma la prestigiosa scuola di tecnologia del Massachusetts lo bocciò per non aver superato l’esame di tedesco.  (Come occuparsi di fisica e non conoscere la lingua di Hermann Oberth?) Lo studente respinto provò a lenire la cocente delusione mettendosi a scrivere fantascienza e indirizzandola un po’ a tutte le riviste, compresa “Astounding”. Anzi, fu proprio su quella pubblicazione – per lui fatale, ormai – che diede il meglio di sé, producendo fra l’altro tre dei racconti proposti in questo volume: “Twilight” (“Crepuscolo” o, nella nostra edizione, “Sette milioni di anni”: novembre 1934); “Night” (“Notte” ovvero “Alla fine del tempo”: ottobre 1935) e “Who Goes There?” (“Chi va là” o anche “La cosa da un altro mondo”: agosto 1938).

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Ian Watson

ottobre 21st, 2013

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Torna il maestro di A.I. intelligenza artificiale, già collaboratore di  Kubrick e Steven Spielberg

Ian Watson (n. 1943) è uno tra i maggiori autori inglesi di fantascienza. Notissimo per aver scritto il soggetto cinematografico di A.I. Iintelligenza artificiale (il film di Stanley Kubrick-Steven Spielberg tratto dal racconto di Brian W. Aldiss), ha esordito nel 1969 con il racconto “Roof Garden Under Saturn”, apparso sulla rivista “New Worlds”. A partire dal 1976, questo ex-insegnante d’inglese ed ex-professore di futurologia al Politecnico di Birmingham (con relativi corsi sulla fantascienza) si è dedicato alla letteratura a tempo pieno. Diversi romanzi e molti racconti sono apparsi anche in italiano, dove la sua opera è stata costantemente seguita da “Urania”. Il romanzo d’esordio di Watson, The Embedding (1973), è uscito – con il titolo Il grande anello, 1979 – nella collana “Sigma” di Moizzi, che ha presentato diverse opere notevoli degli anni Settanta; mentre quello stesso anno vede l’inizio delle traduzioni di Watson nella nostra collezione, che fa uscire Miracle Visitors del ’78 come La doppia faccia degli UFO. L’anno successivo, 1980, è sempre “Urania” a proporre un’importante antologia apparsa in Inghilterra nel ’79, The Very Slow Time Machine (Cronomacchina molto lenta). Come autore di racconti Watson è originale e prolifico: ne ha scritti oltre cento.

Benché le sue brillanti short stories continuino ad apparire in appendice a “Urania” e su altre pubblicazioni – una per tutte, la pluriristampata “Convention mondiale del 2080” – bisogna aspettare il 1986 prima di vedere un altro romanzo di Watson nella nostra lingua. E’ Il libro del fiume (The Book of the River, 1983), compendio di quattro parti uscite originariamente sul “Magazine of Fantasy and Science Fiction” e seguito poi da Il libro delle stelle (The Book of Stars, 1984; tr. it. 1988) e Il libro delle Creature (The Book of Being, 1985; tr. it. 1988), tutti apparsi sulle nostre pagine nella traduzione di Laura Serra. E’ il tentativo di Watson di comporre un vasto affresco a metà tra la fantascienza e il fantastico, e gli conquista le simpatie di un pubblico più vasto. Nel 1990 la  “Biblioteca di Nova SF” recupera God’s World del 1979 (Il pianeta di Dio), un romanzo a sfondo metafisico in cui la nostra razza riceve in dono la propulsione interstellare, ma solo un gruppo ristretto di individui viene scelto per raggiungere il pianeta dei donatori e incamminarsi sulla strada di un’imprevedibile trasformazione. Nel 1997 appare su “Urania” L’ultima domanda (Hard Question, 1996), un thriller tecnologico ricco di sorprese, e nel 2000 Superuomo legittimo (Converts). Intanto, nel 1999 l’Editrice Nord ristampa, nelle proprie collane, Il grande anello e La doppia faccia degli UFO, cambiando i titoli a entrambi: diventano rispettivamente Riflusso  e L’enigma dei visitatori. Nel 2002 esce su Urania Il mistero dei Kyber (Under Heaven’s Bridge, un romanzo del 1981 scritto in collaborazione con Michael Bishop). Nel 2004 Hobby & Work fa uscire Draco (id., 2002) e Harlequin (id., 2004). Nel 2005 replica “Urania” con L’anno dei dominatori (Mockymen, 2003), mentre Hobby & Work presenta I figli del caos (Caos Child, 2004).

Tra i romanzi che restavano inediti in Italia, The Fire Worm (1988) che qui presentiamo è uno dei più originali per concezione e sfondo storico, con un richiamo alle scoperte dell’alchimia che non suonerà fuori luogo in chiave fantascientifica; mentre rimangono da scoprire The Jonah Kit (1975), vincitore del premio British Science Fiction; The Gardens of Delight (1980), Deathhunter (1981), Chekhov’s Journey (1983), Queenmagic, Kingmagic (1986), Whores of Babylon (1988), The Flies of Memory (1990) e altri testi notevoli.

Nel giudizio di John Clute e Peter Nicholls, forse i migliori studiosi contemporanei della fantascienza inglese, “la narrativa di Ian Watson, a volte obbiettivamente ardua nella sua complessità, può essere vista come una vivace rivolta contro l’oppressione intellettuale e politica, ma anche come una dichiarazione dei limiti – almeno per quanto riguarda gli esseri umani – del concetto di realtà. Quest’ultimo, essendo stato creato su misura dei nostri ristretti canali percettivi, risulta soggettivo e parziale; il tentativo umano di accedere a realtà più complesse, attraverso metodi che vanno dalle droghe alle discipline linguistiche, dalla meditazione a un’educazione radicalmente innovata, non sarà mai completamente coronato dal successo. L’umanità è troppo limitata, troppo poca cosa per afferrare la realtà nel suo complesso. Ian Watson è forse lo scrittore di fantascienza contemporaneo che meglio sintetizza questi temi, e il meno illuso”.

G.L.

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“Premio Jacono 2013”

ottobre 15th, 2013

 DA CARLO JACONO A FRANCO BRAMBILLA

 

IL FUTURO CHE SARA’

 

Premio Jacono 2013”

 

19-27 ottobre 2013

 

 Spazio Excalibur

 Corso Genova, 114 – Vigevano (PV)

 premiazione – sabato 19 ottobre 2013, ore 18

 inaugurazione mostra – sabato 19 ottobre 2013, ore 15

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In occasione della Rassegna Letteraria 2013 (http://rassegnaletterariavigevano.jimdo.com), presso Spazio Excalibur, la galleria di Vigevano dedicata all’arte, l’illustrazione e il fumetto, si terrà la VI edizione del “Premio Jacono”, quest’anno assegnato a Franco Brambilla, dal 2000 illustratore delle copertine di “Urania”. Alla premiazione saranno presenti Franco Brambilla, il curatore di “Urania” Giuseppe Lippi, autori e illustratori italiani.

In concomitanza con il premio, sempre presso lo Spazio Excalibur (www.spazioexcalibur.info) sarà allestita la mostra “Il Futuro che sarà”, con opere di Carlo Jacono e Franco Brambilla.

La mostra è aperta dal 19 al 27 ottobre, tutti i pomeriggi dalle 16 alle 19 – ingresso libero

 

 IL “PREMIO JACONO”

Nato per celebrare il maestro dell’illustrazione italiana, conosciuto soprattutto per le migliaia di copertine realizzate per i “Gialli Mondadori” e “Segretissimo”, il “Premio Jacono” è giunto alla sua sesta edizione.

Viene assegnato ogni anno all’autore contemporaneo che maggiormente si avvicina a Jacono, non tanto per lo stile quanto per la costanza della qualità artistica. Le edizioni passate, dedicate ognuna a uno specifico genere (western, spy story, giallo), hanno visto tra i premiati Claudio Villa, copertinista di “Tex”, Victor Togliani, fantasioso creatore di mondi fantascientifici per “Urania” o inquietanti per “Segretissimo” e Giuseppe Rava autore di spettacolari illustrazione di ambientazione storico militare. L’edizione 2013 del premio sarà assegnata a un autore dal grande impatto visivo, che dal 2000 realizza le copertine di “Urania”: Franco Brambilla. Quest’anno, infatti, il focus del Premio è dedicato all’illustrazione fantascientifica, poiché Carlo Jacono è stato uno dei principali collaboratori di “Urania”, la collana con cui Giorgio Monicelli ha fatto conoscere la fantascienza in Italia. Fin dal 1952, e per oltre dieci anni, Jacono ha realizzato le illustrazioni interne dei romanzi per poi dipingere, dal 1958 al 1960, anche le copertine, in sostituzione di Caesar.

 

IL FUTURO CHE SARA’ – LA MOSTRA

 Se nulla accade a caso è certo una bella coincidenza che Franco Brambilla cominci la sua longeva collaborazione con “Urania” poco dopo che Carlo Jacono ha smesso per sempre di dipingere. I due illustratori non si conoscono ma benché lontanissimi nel modo di lavorare, Jacono artista del pennello Brambilla maestro nell’uso del computer con il quale crea sono modelli tridimensionali, hanno in comune una visione ipertecnologica del futuro.

 Tra le opere in mostra una selezioni di tavole in bianco e nero realizzate da Jacono negli anni 50 per le pagine interne di Urania e alcune copertine sopravvissute alla distruzione dell’archivio Mondadori. Accanto agli originali una selezione delle opere stampate e alcune opere della sua produzione realizzata per i paesi del nord Europa.

 Oltre a questi lavori editoriali vengono presentate le sue “cartoline“ della serie Invading the vintage. Da sempre appassionato di fantascienza, Brambilla, accanto al suo lavoro di illustratore si è divertito a contaminare con i protagonisti delle saghe del cinema e della tv più amate e conosciute le cartoline degli anni ’50/’60 creando un mondo alternativo unico.

 Dopo lo Spazio Excalibur di Vigevano la mostra sarà esposta da novembre 2013 a gennaio 2014 a WOW Spazio Fumetto, il museo del fumetto e dell’illustrazione di Milano, e al MuFant, il Museo della fantascienza di Torino.

 

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Urania 1599: Creatura del fuoco

ottobre 2nd, 2013

watsonprevChe un rettile fiammeggiante esista davvero a Tynemouth, e che spii dalle caverne inviando segnali paranormali sotto la crosta sottile d’Inghilterra, sembra la trama di un romanzo. Invece lo psichiatra John Cunningham deve ricredersi e ascoltare molto attentamente i discorsi di Tommy, un paziente schizofrenico che comincia a raccontargli un’esistenza precedente. Il medico-scrittore si trova di fronte a un’ipotesi sconcertante: che una leggenda locale, la Creatura di Lambton, non sia affatto il frutto di una fantasia malata ma degli esperimenti parabiologici compiuti da Raimondo Lullo. Con conseguenze molto pericolose per il mondo di superficie…

IAN WATSON Nato nel 1943, è uno dei migliori esponenti della science fiction britannica. Ian Watson è diventato famoso per aver scritto la sceneggiatura del film di Steven Spielberg e Stanley Kubrick A.I. Intelligenza artificiale, ha pubblicato su “Urania” numerosi romanzi, fra i quali L’ultima domanda (n. 1319), Superuomo legittimo (n. 1399), Il mistero dei Kyber, in collaborazione con Michael Bishop (n. 1431), e L’anno dei dominatori (n. 1496). L’anno scorso abbiamo tradotto Gli dei invisibili di Marte (n. 1581).

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Urania Collezione 129: Luna d’inferno

ottobre 2nd, 2013

camprevSi può sopravvivere in un ambiente senz’aria e privo di ogni manifestazione vitale? John W. Campbell risponde di sì e racconta la vicenda avventurosa di un pugno di naufraghi intrappolati nell’inferno squallido e raggelato della Luna, in attesa dell’astronave di soccorso che venga a liberarli. Nel frattempo dovranno strappare il diritto all’esistenza a un pianeta spento: esistenza che, come dice il titolo del romanzo, sarà un inferno allucinante. Ma l’uomo non è nuovo a certe imprese… Insieme alla ristampa di Luna d’inferno, uscita originariamente con il titolo Martirio lunare (“I romanzi di Urania” n. 30), il volume presenta anche “Sette milioni di anni”, “Notte” e “La cosa da un altro mondo”, il racconto da cui sono stati tratti i classici cinematografici di Howard Hawks e John Carpenter.

JOHN W. CAMPBELL (1910-1971) È da molti considerato l’editor per eccellenza della sf americana, l’uomo che dirigendo “Astounding Science Fiction” a partire dal 1938, e poi la sua reincarnazione “Analog”, ha reso possibile l’affermarsi di scrittori come Asimov, Heinlein, Leiber, Sturgeon e Van Vogt. Come autore di racconti ha firmato la celebre trilogia di Aarn Munro il gioviano e il ciclo delle Isole nello spazio. Con lo pseudonimo Don A. Stuart ha scritto memorabili racconti di un futuro lontanissimo, alcuni dei quali presentati in appendice a questo volume.

 EBOOK DISPONIBILE

 

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Urania Horror 3: La progenie

ottobre 2nd, 2013

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Un Boeing 777 atterra all’aeroporto di New York e rimane immobile sulla pista. Si sospetta un attentato terroristico, ma quando le forze speciali salgono a bordo si trovano invece di fronte a una scena agghiacciante: sembra che tutti gli occupanti dell’aereo siano morti senza una ragione comprensibile. Eph Good weather, dell’Ente prevenzione malattie infettive, e la sua collega Nora Martinez esaminano i cadaveri; qualunque ne sia stata la causa, la morte deve averli colti di sorpresa. La notizia dell’accaduto arriva fino ad Abraham Setrakian, un anziano ex professore, l’unico in grado di capire la situazione. L’uomo riconosce in quel fatto inspiegabile l’evento a cui si è preparato per tutta la vita… Si tratta di un morbo dagli effetti letali, la cui diffusione nelle strade di Manhattan dà inizio a uno scontro in cui gli umani diventano il cibo di misteriosi esseri soprannaturali. Con l’aiuto di Setrakian, Eph dovrà cercare di fermare il contagio e salvare la città prima che sia troppo tardi…

Guillermo Del Toro e Chuck Hogan rinnovano gli schemi del genere horror, facendo della Progenie un romanzo ad alta tensione visionaria che ci trascina nel cuore di un’epica battaglia tra bene e male, vita e morte, umano e disumano.

GUILLERMO DEL TORO nato e cresciuto a Guadalajara, in Messico, ha debuttato come regista nel 1993 con il film Cronos.

CHUCK HOGANè autore di molti romanzi di successo, tra cui The Standoff e Prince of Thieves.

EBOOK GIA’ DISPONIBILE ALL’INTERNO DELL’OMNIBUS

 

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Leigh Brackett di Marte

settembre 18th, 2013

leigh_brackettLe avventure marziane riproposte in questo volume sono state scritte e pubblicate su rivista tra il 1949 e il 1964, mentre nel 1967 sono state raccolte in volume con il titolo The Coming of the Terrans (Storie marziane). Insieme a quelle contenute nel dittico dei Canali di Marte, da noi pubblicato anni fa (1), formano un ciclo unitario e forniscono un’immagine del pianeta rosso tutt’altro che convenzionale, se per “convenzione” si intendono i dati scientifici ormai comunemente accettati e trasmessi dalle sonde spaziali fin dagli anni Settanta. Oggi sappiamo che Marte è un luogo deserto, con due lune piccolissime e una temperatura vagamente paragonabile a quelle della terra solo all’equatore, perché la maggiore distanza dal sole lo rende un pianeta freddo. Potrebbe essere terraformato, è vero: ma per adesso ci appare come una gelida Death Valley che solo per dimensioni, e grazie alla presenza di un’atmosfera rarefatta, può essere considerato il pianeta più “ospitale” del sistema solare. Tuttavia c’è stato un periodo di tempo abbastanza lungo – dalle osservazioni di Schiaparelli nel 1877 sino agli anni Cinquanta del XX secolo – in cui l’opinione pubblica è stata influenzata dalle prime, azzardate speculazioni su Marte o dalle immagini dei pulp magazine, e il pianeta rosso è stato concepito come un mondo abitabile e abitato, teatro di ogni sorta di fantasie. Un esempio recente lo si è potuto vedere al cinema, con l’epico John Carter prodotto dalla Disney e tratto dai romanzi di Edgar Rice Burroughs: film che mette in scena le antiche civiltà marziane con la disinvoltura di un péplum un po’ aggiornato.

A quegli scenari favolosi si è ispirata Leigh Brackett, la scrittrice nata a Los Angeles nel 1915 e attiva molto presto anche nell’ambiente del cinema. Nel 1946 avrebbe sposato Edmond Hamilton, un altro affermato autore di fantascienza, e collaborato ad alcuni dei primi racconti di Ray Bradbury, trasferitosi a Los Angeles proprio negli anni Quaranta. Brackett ha pubblicato racconti e romanzi di fantascienza, polizieschi (Un cadavere di troppo, Giano), spionistici (Amico mio, fratello assassino, “Segretissimo” Mondadori) ed è morta a Lancaster, in California, nel 1978, un anno dopo la scomparsa del marito; aveva appena completata la sceneggiatura dell’Impero colpisce ancora di Irvin Kershner (1977). Collaboratrice dei pulp ma anche sceneggiatrice affermata per registi come Howard Hawks (Il grande sonno, 1939) e Robert Altman (Il lungo addio, 1973), ha dedicato gran parte della sua opera letteraria alla continuazione del genere marziano.

Quello inaugurato nel 1911 da Burroughs con Under the Moons of Mars, la prima escapade di John Carter, non era il solo esempio a disposizione. Un’abile narratrice degli anni Trenta e Quaranta, Catherine L. Moore, aveva creato un taciturno avventuriero del futuro, Northwest Smith, le cui imprese erano “fantastiche” in un senso più consapevole rispetto a Burroughs e sconfinavano nel gotico. Northwest Smith è un pistolero in cerca di guai su Venere e su un Marte che sembra un paesaggio del West animato da un tocco spettrale. Senza il suo esempio, probabilmente non esisterebbero i colori cupi e le lande romantiche di Leigh Brackett, perché in Burroughs non ve n’è quasi traccia. Nei racconti della Brackett assistiamo a una sintesi di queste attitudini: intrecci senza risparmio d’azione ma anche atmosfere inquietanti e misteriose.

Gran parte della sua produzione, creata tra la fine degli anni Trenta e la metà dei Settanta, è ambientata sul Marte di fantasia cui abbiamo accennato: era nello spirito dei tempi ed era un po’ la politica di “Planet Stories”, la rivista di fantascienza avventurosa su cui sarebbero uscite anche le prime Cronache marziane di Ray Bradbury. Proprio come in Bradbury, vi è in Brackett una sfida cosciente all’immagine del pianeta rosso resa dall’astronomia e dalla fantascienza ortodossa: il suo tentativo non è di costruire un mondo dell’avvenire o della possibilità; al contrario, è quello di appropriarsi di un mondo di sogno, rivendicando le capacità dell’immaginazione. Il risultato è un ambiente crepuscolare, malinconico e dimenticato, una dell grandi creazioni del sottogenere che i critici chiamano planetary romance. (Nell’ambito della fantascienza popolare lo hanno coltivato soprattutto gli americani, da Jack Vance a Marion Z. Bradley, ma vi sono numerosi classici inglesi. Senza voler scomodare il Voyage to Arcturus di David Lindsey o la trilogia di C.S. Lewis, va ricordato che uno dei primi esempi del genere si deve a Edwin Arnold, autore di Lieut. Gullivar Jones: His Vacation pubblicato nel 1905, e che un suo entusiastico continuatore è stato il giovane Michael Moorcock, con un proprio ciclo marziano.)

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K.W. Jeter

settembre 18th, 2013

Image1-10236_w525Un grande amico di Dick,

il continuatore di Blade Runner

e l’inventore dello steampunk

Americano, nato nel 1950 e famoso, inizialmente, soprattutto per alcuni romanzi horror, Kevin Wayne Jeter è oggi riconosciuto come un importante autore di fantascienza e fantasy. È stato il creatore del termine “steampunk”, da lui coniato nel 1986, anche se il suo primo romanzo, Seeklight, risale a undici anni prima. Nel 1979 ci ha dato un seguito della Macchina del tempo di Wells intitolato Morlock’s Night, che “Urania” ha tradotto come La notte dei Morlock. Il suo primo romanzo edito in Italia è però Telemorte (The Glass Hammer, 1985), pubblicato nel n. 1020 di “Urania”.
Probabilmente il suo libro di science fiction più controverso è Dr. Adder (1972, ma rimasto inedito fino al 1984), una storia dickiana tradotta in italiano da Fanucci con lo stesso titolo. Dark Seeker (1987, tradotto da “Urania” come L’ospite) è un romanzo d’angoscia che sfrutta il tema degli allucinogeni. Il presente Infernal Devices: A Mad Victorian Fantasy (1987) è un romanzo steampunk, corrente letteraria che secondo alcuni critici è stata inaugurata proprio da Jeter con La notte dei Morlock. Si tratta di romanzi che, pur essendo tipicamente fantascientifici e sfruttando temi classici come il viaggio nel tempo, l’invenzione innovarice, ecc., fanno riferimento ai capostipiti del genere — Wells, Verne, Conan Doyle — per immergersi con ironia nel mondo vittoriano che generò quelle fantasie archetipali.
Di K.W. Jeter su “Urania” sono apparsi anche Farewell Horizontal (L’addio orizzontale, 1989) e Madlands (Madlands, Terre impossibili, 1991). A metà degli anni Novanta lo scrittore, che è stato amico personale di Philip K. Dick e ancora oggi considera il suo maestro, ha dedicato due seguiti alla vicenda di Blade Runner: Blade Runner 2 (Blade Runner 2: The Edge of Human, 1995) e Blade Runner, la notte dei replicanti (Blade Runner 3: Replicant Night, 1996). Nel 2000 avrebbe pubblicato un terzo seguito intitolato Blade Runner 4: Eye and Talon. Dopo un lungo silenzio letterario, interrotto soltanto da alcuni romanzi su commissione del ciclo di Star Wars, Jeter ha ripreso a scrivere pubblicando il romanzo online The Kingdom of Shadows (2011), il fantasy Death’s Apprentice in collaborazione con Gareth Jefferson Jones (2012) e Fiendish Schemes (2013), un seguito ideale delle Macchine infernali.

G.L.

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I capolavori di Urania 1598: Le macchine infernali

settembre 4th, 2013

jeterprevDopo aver dato due seguiti al ciclo di Blade Runner e aver esplorato un futuro alla H.G. Wells nella Notte dei Morlock, K.W. Jeter ci trasporta nella Londra del XIX secolo, la madre di tutte le città della fantascienza. E a Londra vive George Downer, che un giorno eredita lo stranissimo negozio di suo padre. Un negozio di ordigni meccanici che nessuno sa esattamente a cosa servano, finché arriva uno sconosciuto con una macchina ancora più sbalorditiva da riparare… e una moneta inesistente per saldare il conto. Da qui prende le mosse il romanzo più movimentato di Jeter, considerato in tutto il mondo come un capolavoro dell’avventura steampunk.

K.W. JETER Americano, è nato nel 1950 e ha esordito in Italia con il romanzo Telemorte (The Glass Hammer, 1985), pubblicato nel n. 1020 di “Urania”. La nostra collana ha tradotto anche La notte dei Morlock (Morlock Night, 1979; n..1347), L’ospite (Dark Seeker, 1987; n. 1278), L’addio orizzontale (Farewell Horizontal, 1989; n. 1181) e Madlands, terre impossibili (Madlands, 1991; n.. 1263). Ammiratore e corrispondente di Philip K. Dick, Jeter ha dato due seguiti alla concezione cinematografica del suo romanzo più popolare: Blade Runner 2 (Blade Runner 2: The Edge of Human, 1995) e Blade Runner, la notte dei replicanti (Blade Runner 3: Replicant Night, 1996).

 

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Urania Collezione 128: Storie marziane

settembre 4th, 2013

brackettprevC’è un genere di fantascienza che gli specialisti chiamano planetary romance, e che si svolge su pianeti esotici ideali per ambientare magnifiche avventure. Al genere appartiene, per esempio, il ciclo di Tschai del compianto Jack Vance, ma la sua rappresentante più nota è Leigh Brackett, che dieci anni dopo aver raccolto in volume queste Storie marziane avrebbe scritto la sceneggiatura del secondo capitolo di Star Wars, L’impero colpisce ancora. Brackett ci trasporta su un Marte favoloso come i più lontani pianeti della galassia, forse improbabile eppure necessario. Risalenti all’epoca d’oro delle riviste americane, i capitoli di questa odissea a episodi possono fare concorrenza alle celebri Cronache di Ray Bradbury, ma i loro eroi ed eroine hanno una passione per l’azione e il pericolo che è seconda solo al loro amore per un mondo perduto.

LEIGH BRACKETT Nata nel 1915 e morta nel 1978, è stata romanziera, autrice di racconti nonché sceneggiatrice per il cinema (Il grande sonno, Rio Bravo, Il lungo addio di Robert Altman e L’impero colpisce ancora). È stata anche la moglie di Edmond Hamilton, un’altra star della fantascienza classica. Si può dire che i suoi romanzi abbiano inaugurato la nostra collezione, da La legge dei Vardda (The Starmen, 1952; “Urania” n. 26) a La spada di Rhiannon (The Sword of Rhiannon, 1953; n. 131) e La città proibita (The Long Tomorrow, 1955; n. 122).

 

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