Dalla storia alla Cabala,
i molti aspetti di un
traguardo “numerico”
Dopo aver compiuto sessant’anni nell’ottobre 2012, “Urania” festeggia, appena tredici mesi dopo, l’uscita del numero 1600 che, caso significativo, è dedicato al romanzo italiano vincitore del concorso 2012. Si conferma dunque come l’unica testata (rivista, collana) al mondo che attualmente possa cumulare due caratteristiche importanti: la più continuativamente longeva e quella con più fascicoli al suo attivo. Una cifra inconsueta, per non dire significativa, in un ambito, quello delle pubblicazioni dedicate all’immaginario, che raramente ha raggiunto di questi traguardi neppure negli Stati Uniti d’America, patria d’elezione della science fiction popolare.
Se andiamo a dare un’occhiata alle riviste più longeve sia in attività che defunte, vedremo che non tutte riuniscono le due caratteristiche di “Urania”. In teoria il primato della longevità dovrebbe spettare ad “Amazing Stories”, la capostipite, fondata da Hugo Gernsback (1884-1967) nel 1926 e durata sino al 1995, poi ripresa saltuariamente nel 1999 e nel 2005 senza successo. Ci sarebbe poi un’altra rivista, anche più continua nel tempo, che ha avuto però due nomi diversi: come “Astounding Stories” è nata nel 1930 ed è stata portata al successo da John W. Campbell (1910-1971), che la diresse dal 1937 al momento della morte; ma dopo tre decenni, nel 1960, la rivista cambiò nome e divenne “Analog Science Fact and Fiction” e dura sino ad oggi, quindi da cinquantatre anni, distribuita perlopiù in abbonamento.
Nell’ambito di un altro settore dell’immaginario, la famosa “Weird Tales” uscì dal 1923 al 1954, per trentun anni consecutivi, con tentativi di farla rivivere negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Duemila. Ultimo tentativo nel 2007. “Urania” ha, rispetto alle autorevoli testate americane, una regolarità di uscita, una unicità di nome ed un formato cartaceo al quale si può riferire un numero complessivo di fascicoli superiore, ma soprattutto l’uscita ininterrotta in edicola dal 1952, senza alcuno iato o mutamento sostanziale di nome (al massimo nel 1957 dopo 152 numeri, da “I romanzi di “Urania”” a “Urania”, che è ben diverso dal caso “Astounding/Analog”).
In Francia la collana di romanzi di fantascienza “Anticipation” della casa editrice Fleuve Noir, nata quasi contemporaneamente a “Urania” nel 1951, ha pubblicato 2001 volumi tascabili (cifra fantascientificamente simbolica!), quindi più di “Urania”, ma ha chiuso i battenti nel 1997, dopo quarantasei anni. In Germania esce il settimanale di romanzi di fantascienza “Perry Rhodan”, personaggio creato da Walter Ernsting nel 1961: a tutt’oggi sono apparsi oltre 2700 fascicoli della serie ordinaria più molti altri di varie serie speciali, scritti attualmente da una ventina di autori ai quali se ne devono aggiungere altrettanti per i decenni passati. Qui si tratta di una collana popolare dedicata ad un solo personaggio che si rivolge esplicitamente ad un pubblico giovanile, nulla a che vedere con “Urania”, anche se la cifra resta impressionante per la risonanza che ancora ha dopo cinquantadue anni ed il trascorrere delle generazioni, ampliatasi nel frattempo ai fumetti, ai film e ai videogiochi.
“Urania” ha dunque un senso nella petite histoire della narrativa popolare del nostro paese. E’ una testata che ha accompagnato gli italiani, almeno quelli con certe propensioni immaginative e letterarie, per quattro generazioni (anni ‘40, ‘60, ‘80 e 2000) lungo le vie della fantasie scientifiche, facendoci man mano conoscere i vari generi, autori, tendenze, filoni. Certo, l’iniziale “età d’oro” sembra irripetibile perché allora si poteva pescare fra i grandi scrittori che si erano succeduti nei precedenti venticinque anni nei paesi di lingua inglese, ma anche in seguito, con la sua regolarità di uscite, ci ha fatto conoscere le novità che si affacciavano nell’editoria estera, attingendo per un certo periodo anche a quella francese e sporadicamente a quella tedesca, romena, russa e cinese. Quando venne lanciato il primo satellite artificiale nel 1957 o quando avvenne il primo sbarco sulla Luna nel 1969, i lettori di fantascienza (che seguivano anche “Oltre il Cielo”, “Cosmo” e “Galaxy”) non erano impreparati, e s’irritarono non poco quando i giornali scrissero che ormai “la realtà aveva superato la fantasia”.
“Urania” è cambiata in molte cose, come si è già detto; copertina, colore, formato, logo e periodicità: quindicinale, mensile, quattordicinale, settimanale (per un lungo periodo è stata l’unico settimanale di fantascienza al mondo, a parte “Perry Rhodan” che però ha le tipicità già accennate) e ovviamente curatori, ma la sua sostanza è rimasta la stessa: aprire una finestra sull’alterità, un passato-presente-futuro diverso, permettendo di sognare e appassionarsi a cose non di questo mondo. Certo, in sei decenni ha ricevuto anche la sua dose di critiche, per difetti o scelte d’impostazione che man mano ha corretto al fine di arricchire la sua formula editoriale: scelte che, se fossero state diverse, avrebbero consentito di far prendere alla fantascienza italiana strade alternative. Ma questa è roba da ucronia, anche se non lo si scrive certo qui per la prima volta. Il primo “difetto” consisté nell’abbreviare i romanzi che non entravano nella lunghezza prefissata della collana (la cosiddetta foliazione), e quindi nelle mediocri traduzioni con errori e travisamenti (ne fanno fede le nuove traduzioni dei “classici” che “Urania” ripubblica). Ormai un argomento superato positivamente da anni grazie alla competenza dei curatori che vennero dopo Monicelli e Fruttero e Lucentini, e alla possibilità di ampliare la foliazione dei fascicoli. Oggi abbiamo la possibilità di leggere romanzi integrali anche di quattro o cinquecento pagine.
Il secondo punctum dolens fu l’atteggiamento nei confronti degli scrittori italiani. Mentre tra le due guerre la protofantascienza nazionale aveva i suoi autori specializzati o quasi, che pubblicavano ad esempio sulla collana “Il romanzo d’avventure” e sul quindicinale “Il giornale illustrato dei viaggi”, dal 1952, a causa della americanizzazione imperante nei costumi e nei gusti, si decise di adottare camuffamenti anglosassoni, francesi o comunque esotici, a parte poche eccezioni tra cui quella rappresentata da Franco Enna, famoso però già come autore di polizieschi. Se invece di Elisabeth Stern, Audie Barr, Julian Berry e così via si fosse scelto di usare i loro veri nomi, il pubblico di lettori italiani di fantascienza non avrebbe sviluppato una sorta di idiosincrasia preconcetta per le firme nazionali, pensando che gli italiani fossero incapaci costituzionalmente di scrivere fantascienza. Viceversa, ad esempio in Francia, le citate edizioni Fleuve Noir, nelle collane “Anticipation” e “Angoisse”, pubblicavano sin dagli anni Cinquanta autori francesi alternati a inglesi, e ben presto soltanto autori nazionali con il loro riverito nome. In Germania, a partire dagli anni Sessanta, lo stesso. Il pubblico non li rifiutava certamente.
Ma anche questo è ormai acqua passata: “Urania” pubblica la sua appendice critica e/o narrativa ormai da tempo e soprattutto ha istituito nel 1990 un premio che resta unico a questo livello, dato che gli altri nati insieme con lui, il Premio Cosmo e il Premio Solaria, hanno chiuso i battenti dopo poco. Ventitre anni fa il Premio Urania diede la possibilità di reinserire firme italiane sulla testata dopo una lunghissima assenza, e creò anche un piccolo “effetto valanga”, dato che per un certo periodo i romanzi di nostri autori furono anche due o tre ogni anno, rimbalzando poi nei “Millemondi”. Attraverso di esso è possibile individuare l’evoluzione di temi e tendenze fra gli autori vincitori, sia nomi già noti sia esordienti, dalla space opera all’antiutopia, dalla storia alternativa al connettivismo. Infine, è servito da stimolo: non pochi sono gli autori che, giunti in finale ma non vincendo, hanno poi rimesso mano alle loro opere modificandole e migliorandole sino a riuscire a farle pubblicare.
Stiamo assistendo ad un fenomeno curioso. In un momento in cui – inutile nascondersi dietro un dito – in Italia la fantascienza non ha ancora raggiunto il successo di altri generi di narrativa popolare come il poliziesco, l’orrore e il fantastico, anzi in un momento in cui sembra, come dire, battere la fiacca, essa al contrario pare attirare l’attenzione di autori mainstream e servire da sfondo di romanzi ambientati nel futuro (in specie italico) per effettuare una critica socio-culturale o vere e proprie antiutopie. Però senza mai essere definita tale, quasi che da parte di editori e autori ci si vergognasse di un nome non del tutto ancora accettato. In ogni caso, il “genere” viene ormai sfruttato assai spesso senza dirlo esplicitamente. Sicché, a livello specializzato, la presenza di “Urania” può essere utile e stimolante sia grazie al colloquio diretto con i lettori di recente approdato dalla rete alla carta stampata, sia, appunto, con il Premio “Urania” (e il recentissimo Premio Stella Doppia dedicato ai racconti) per poter mettere in luce le potenzialità esistenti. E naturalmente, per aggiornare i lettori sulle opere che vengono prodotte, sempre in gran copia, ormai in tutto il mondo.
Al di là delle considerazioni storiche, l’aver raggiunto il fascicolo 1600 è un fatto straordinariamente significativo. E’ un bellissimo numero, il 1600, dal punto di vista dei simbolismi connessi. Giusta quanto s’apprende dai tomi del sapiente Jorg Sabellicus dedicati alla disciplina tradizionale della numerologia (1), la sua radice cabalistica è 7, ovvero 6 + 1. Il significato che si associa al 7 è il mistero, l’ignoto, la verità da scoprire. E’ il numero degli enigmi e delle esplorazioni in terre incognite, tanto nel mondo materiale che in quello mentale. E’ il numero che sigilla i coraggiosi che salpano verso l’ignoto, guidati dalle sette stelle dell’Orsa, e scandagliano i sette mari e i sette cieli. La radice numerica del nome Odisseo è 7, e così quella di Einstein e di Gagarin, il primo uomo nello spazio. Il 7 identifica cioè quanti, con le azioni o con il pensiero, bramano sciogliere gli enigmi per nessun altro motivo che il loro essere enigmi, che vogliono vedere al di là delle montagne solo perché le montagne ci sono e sono lì, davanti ai loro occhi. Coloro che non esitano a varcare le porte d’avorio del sogno né le soglie quantistiche dello Stargate. Un tempo, era il sigillo del mago, oggi lo è dello scienziato: davvero il numero adatto a identificare chi sente il fascino delle “avventure nel tempo e nello spazio” (per quanti non lo sapessero, questa era la frase che incorniciava il logo dei primi “Romanzi di Urania””).
Gli elementi che compongono il numero 1600 sono le cifre 1 e 6, e la non-cifra 0. Di quest’ultima diremo dopo. Vediamo ora i significati tradizionali di 1 e 6. L’1 è, ovviamente, la cifra del primato: identifica chi per primo conquista la vetta e vi s’asside, restano a guardare dall’alto quanti s’affaticano inanemente a imitarli. E’ il numero di chi apre la strada e vi s’inoltra per primo, lasciando gli altri ad arrancare dietro di sé. E’ il numero di chi è primo non soltanto una volta, ma è primo sempre: tutti gli altri si dovranno accontentare, al massimo, del 2, accapigliandosi fra loro. Volete sapere qual è la radice cabalistica del nome “Urania”? Avete indovinato: 1.
Quanto al 6, è il numero della stabilità e della durevolezza. L’esagono, fra tutti i poligoni regolari, è quello che suddivide il piano con il minimo perimetro per porzione di spazio: rappresenta dunque l’essenzialità, la radice di ogni sviluppo di forme possibili. E’ l’infinito moltiplicarsi di ogni eventualità secondo scansioni logiche e non secondo uno sviluppo caotico. E’ la razionalità che impone regole alla fantasia. Insomma, è la fantascienza, dove ogni futuro possibile è analizzato secondo ragione, cartesianamente, e non semplicemente attraverso la libera affabulazione. Inoltre, gli atomi che compongono le cellule viventi si dispongono secondo legami esagonali. Il 6 è dunque anche il numero della vita, che sempre si moltiplica e s’accresce, come gli infiniti esagoni sistematicamente riempiono lo spazio infinito. Jorge Luis Borges, che di simbolismo se n’intendeva, compose la sua “Biblioteca di Babele” come un estendersi infinito di celle esagonali. La Creazione venne compiuta in 6 giorni.
Il 6 è anche il numero della famiglia, intesa come cellula base per lo sviluppo ordinato della società. E’ perciò il numero più adatto ad identificare quella grande famiglia che è il fandom di fantascienza. Una famiglia variegata, eterogenea, chiassosa, spesso litigiosa, ma comunque legata da un indissolubile vincolo di fratellanza. Molte società segrete, fra cui i Templari, avevano simboli che si richiamavano all’esagono, o lo includevano. Nel numero 1600, accanto all’1 e al 6 sono posti due zeri. Lo zero, essendo nulla, non ha significato in sé, però può aver valore significante. I due zeri indicano che il 16 può essere duplicato, o raddoppiato: si arriva così al 32. Quest’ultimo è uno dei numeri al quale sono associati i simbolismi più vasti. E’ presente in tutte le architetture tradizionali, sempre con profondi significati. Tanto per dire, nel Sepher Yetzirah, il libro base della Kabbalah, si dice che Dio incise il suo nome nel Tutto in “trentadue mirabili vie di sapienza”. Le colonne del Tempio di Salomone vennero costruite secondo una proporzione fra altezza e circonferenza di 3:2. In ebraico il 32 si scrive con le lettere beth e lamed, che insieme formano la parola bethel, cioè “casa di Dio” e, lette al contrario, lev, ovvero “cuore dell’uomo”. In altre parole, per entrare nella casa edificata da Dio, cioè l’universo visibile e invisibile, dobbiamo rovesciarci e guardare dentro noi stessi. Questa è impresa destinata ai mistici e a chi abbia animo abbastanza forte. Noi ci accontentiamo di far volare il nostro cuore (che per gli antichi era la vera sede della mente) aprendo le pagine di un libro che si spalancano sull’infinito.
Guardate dove ci può portare lontano il ragionare in modo un po’ “laterale” su un fascicolo di fantascienza.
I due zeri del 1600 indicano anche uno spazio che va riempito: in altre parole, ci dicono che è aperta la strada – anzi è sicura – verso la duplicazione (gli zeri sono due): siamo dunque in marcia verso il numero 3200, e ci arriveremo. Non riuscirà a vederlo chi scrive, sciaguratamente, a meno che non si realizzi un auspicabile passaggio della periodicità di “Urania” alla cadenza quotidiana (e anche in quel caso sarebbe dubbio). Ci riusciranno invece tutti i nostri lettori: almeno, è quanto loro auguriamo. Un augurio fatto da chi ha avuto la ventura di comprare in edicola il primo numero della nostra collana. Non sappiamo quanti siano i superstiti che possano dire altrettanto, ma supponiamo non siano legione.
Questo per dire che “Urania” è stata per noi compagna di tutta una vita, piccola (ma neanche poi tanto) isola salvifica nel mare procellarum dell’esistenza. Le dobbiamo molto, dai sogni da ragazzini alla mania collezionistica, dalle incavolature alle soddisfazioni, e con lei a chi l’ha realizzata: dal non abbastanza ricordato Giorgio Monicelli, che l’ideò, all’ultima sua guida, Giuseppe Lippi, amico nostro e non de la ventura. Li ringraziamo tutti, e che il 1600, con i suoi tanti significati simbolici, sia di augurio.
Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco
(1) Magia dei numeri, Edizioni Mediterranee, Roma 1976; Manuale di numerologia, Mediterranee, Roma, 2001.