I capolavori di Urania 1601: Pianeta stregato

dicembre 4th, 2013

pianetaprevQuando la scialuppa della missione scientifica atterra sul pianeta dove vive Lant, il suo pilota (chiamiamolo Purple) non sospetta che i nativi lo scambieranno per uno stregone piovuto dal cielo, né che il locale sciamano tenterà di distruggere l’astronave dalla simbolica forma a uovo. Segue una piccola esplosione atomica e addio navetta: per sopravvivere, l’antropologo venuto da un altro mondo dovrà adattarsi a fare il mago presso una delle tribù, avendo come principale alleato il peloso Lant. Ma il suo obiettivo è un altro, tornare sul luogo dell’atterraggio e comunicare con l’astronave madre, in modo da poter essere salvato. Tra scienza e magia, anzi, ai confini di una scienza tanto avanzata da poter essere scambiata per stregoneria, torna il brillante romanzo scritto a quattro mani da Niven e Gerrold, veri “maghi” della moderna sf americana.

DAVID GERROLD – LARRY NIVEN Due tra i più noti esponenti della sf moderna, Niven (1938) ha cominciato a pubblicare fantascienza nel 1964, segnalandosi poi con il ciclo di Ringworld: I Burattinai (Ringworld, 1970), I costruttori di Ringworld (The Ringworld Engineers, 1979), Il trono di Ringworld (The Ringworld Throne, 1996, che “Urania” ha tradotto nel n. 1389) e The Ringworld’s Children che abbiamo presentato nel n. 1521 con il titolo I figli di Ringworld. Di David Gerrold (1944) è notissima la saga degli Chtorr: La guerra contro gli Chtorr (A Matter for Men, 1983), nel n. 1194; Il ritorno degli Chtorr (A Day for Damnation, 1984), n. 1218; Il giorno della vendetta (A Rage for Revenge, 1987), nn. 1244-1245 e L’anno del massacro (A Season for Slaughter, 1991), “Urania Argento” n. 7.

 

All’interno, il racconto “Materia prima” di Alessandro Forlani, vincitore del premio Stella Doppia 2013.

 

EBOOK DISPONIBILE

 

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Urania Horror 4: La caduta

dicembre 4th, 2013

deltoroprevDopo il ritrovamento dei cadaveri infettati da un misterioso virus letale, a New York regna il caos: le persone spariscono, i negozi vengono saccheggiati e l’esodo di massa dalla città sembra inarrestabile, mentre il sottosuolo brulica di creature assetate di sangue. È scoppiata la guerra tra vampiri del vecchio e del nuovo mondo per il controllo totale degli esseri umani, che risultano ancora più deboli e vulnerabili. Abraham Setrakian, l’anziano professore sopravvissuto allo scontro con il capo dei vampiri, continua a guidare il piccolo gruppo di resistenza composto dagli scienziati Ephraim Goodweather e Nora Martinez, oltre al disinfestatore Vasiliy Fet. Ma potrebbe essere troppo tardi… Secondo episodio della trilogia “Nocturna” dopo La progenie, La caduta è un thriller avvincente e cinematografico, ricco di azione e suspense, che conferma le notevoli doti dei suoi autori.

 

GUILLERMO DEL TORO nato e cresciuto a Guadalajara, in Messico, ha debuttato come regista nel 1993 con il fi lm Cronos.

CHUCK HOGAN è autore di molti romanzi di successo, tra cui The Standoff e Prince of Thieves.

 

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Urania Collezione 131: La macchina della realtà

dicembre 4th, 2013

gibprev

Prima venne la macchina a vapore, poi la Macchina della realtà: come sarebbe il mondo, se il computer fosse già stato inventato nel XIX secolo? La vera storia di Charles Babbage e del suo Calcolatore analitico è narrata in questo romanzo, insieme alle sue sorprendenti conseguenze. In un’Inghilterra tecnologicamente avanzata dove impera la dittatura tecnocratica di Lord Byron, l’unica rivale è la Francia; innovazioni come carte di credito e fast food sono pronte a rivoluzionare il mondo vittoriano. A Londra la civiltà informatica è già all’avanguardia, anche se il paesaggio urbano ricorda quello di un romanzo di Dickens… Un libro in cui l’invenzione non si ferma mai e il mondo del futuro si specchia in un passato credibilissimo, ricostruito nei più inquietanti particolari.

WILLIAM GIBSON – BRUCE STERLING Nati rispettivamente nel 1948 e nel 1954, sono i due “guru” della science fiction americana. Hanno cominciato a collaborare dopo che Sterling aveva inventato il termine cyberpunk, adattissimo a descrivere il nuovo genere di cui faceva parte il più noto romanzo di Gibson, Neuromante (Neuromancer, 1982). Insieme hanno scritto il classico di storia alternativa La macchina della realtà (The Difference Engine, 1990), storia di un’invenzione vittoriana in cui il nostro presente è visto in una chiave sottilmente alterata dai processi di assuefazione tecnologica. Sterling ha scritto in proprio vari capolavori, tra cui Schismatrix (La matrice spezzata, 1985; in “Urania Collezione” n. 32) e Islands in the Net (Isole nella rete, 1988). Insieme, i due hanno dato vita al genere “steampunk”, vale a dire la fantascienza ambientata non nel futuro, ma in un passato prossimo reinventato completamente.

 

EBOOK DISPONIBILE

 

 

 

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Premio Urania 2014

novembre 27th, 2013

Arnoldo Mondadori Editore bandisce il premio Urania per il miglior romanzo di fantascienza italiano inedito.

Il concorso sI svolgerà secondo le seguentI norme:

1 Sono ammesse solo le opere in lingua italiana, inedite, mai pubblicate neppure parzialmente, né partecipanti ad altri concorsi nello stesso anno. I romanzi dovranno avere una lunghezza minima di 200 cartelle dattiloscritte e una massima di 300. La cartella dattiloscritta deve essere di 30 righe di 60 battute circa, fino a un massimo di 2000 battute, spazi inclusi.

2 È consentito partecipare con una sola opera.

3 Il contenuto dovrà essere strettamente fantascientifico. Non saranno accettate opere di

fantasy o di horror.

4 È ammessa la partecipazione di autori già pubblicati in “Urania” o collane a essa collegate.

5 I romanzi dovranno essere inviati a mezzo plico raccomandato al seguente indirizzo:

PREMIO URANIA 2014

c/O URANIA – ARNOLDO MONDADORI EDITORE

20090 SEGRATE (MILANO)

entro e non oltre il 30 novembre 2014. Vale la data del timbro postale. Avvertiamo che non si accettano manoscritti e che I DATTILOSCRITTI NON SARANNO RESTITUITI Le opere dovranno essere inviate in due copie e i concorrenti dovranno indicare chiaramente le proprie generalità e il domicilio, nonché il numero di telefono e l’indirizzo e-mail. Sarà cura della redazione comunicare a tutti i partecipanti, esclusivamente via e-mail, i nomi dei finalisti, che saranno anche pubblicati sul blog (www. uraniamondadori.it). Non saranno fornite ulteriori informazioni sulle opere in concorso.

ATTENZIONE: per poter partecipare è indispensabile ritagliare e allegare al dattiloscritto copia in originale del Certificato di Partecipazione (CdP), che si trova nelle ultime pagine di “Urania” (triangolino da ritagliare a piede pagina).

6 Una giuria composta da esperti esaminerà i dattiloscritti, assieme alla redazione, e deciderà il vincitore, il cui romanzo sarà pubblicato su “Urania” nel prossimo anno.

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Piero Schiavo Campo

novembre 18th, 2013

Abbiamo incontrato l’autore di L’uomo

a un grado kelvin per chiedergli di

raccontare la genesi del suo romanzo.

 

Piero Schiavo Campo è nato a Palermo nel 1951 ma poi è vissuto a Milano o in Lombardia, a parte una pausa di alcuni anni a Bologna. È docente a contratto di Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università di Milano Bicocca e i passato si è occupato di astrofisica. Ha scritto due romanzi brevi di carattere fantastico, uno dei quali è stato pubblicato recentemente su internet (ilmiolibro.kataweb.it.) Con L’uomo a un grado kelvin ha vinto il Premio Urania… senza averci neanche puntato!

 

È così, dunque. Hai scritto il romanzo senza avere in mente il premio Urania?

Inizialmente ho scritto senza velleità di pubblicazione, poi l’ho fatto leggere ad alcuni amici e a mia moglie che mi hanno incoraggiato. Non pensavo però a Urania, perché ritenevo che il suo essere un thriller fantascientifico lo rendesse troppo  “di confine”. È stata un’amica che lavora in campo editoriale a dirmi che le cose non stavano così, e a indurmi a partecipare al premio.

In effetti il tuo è sicuramente un romanzo di fantascienza, ma rispetta del tutto anche i canoni del romanzo di investigazione…

Sono da sempre molto affascinato dal giallo e sono stato un accanito lettore di Agatha Christie. Quello che trovo stimolante, e che mi ha creato molte difficoltà, è la struttura: un libro del brivido deve avere un trama di background, cioè quello che è veramente successo, e una di foreground, che è quella a conoscenza del lettore. Ovviamente devono convergere, ma su quale delle due ci si deve appoggiare per costruire il romanzo? Credo che anche i giallisti di nome oscillino tra queste due soluzioni. Per esempio, Agatha Christie dà l’impressione di basarsi sul background; costruisce perfetti meccanismi a orologeria, ma i suoi personaggi, Poirot e Miss Marple, a me sembrano delle macchiette. In autori come James Ellroy o Raymond Chandler, d’altra parte, la cosa importante sembra essere il foreground, mentre la trama investigativa serve per fornire i colpi di scena al momento giusto.

E tu dove ti collochi tra queste alternative?

Penso a metà strada. L’idea iniziale che ho avuto era quella di un teatro, in cui si alzava il sipario e per prima cosa si vedeva un uomo congelato. Un’immagine forte. I problemi sono venuti quando ho cercato di immaginare come poteva avere avuto origine questa situazione, e mi sono imbarcato in una trama di background molto complessa. Tuttavia il mio non è solo un romanzo a chiave, ma un romanzo di fantascienza a tutti gli effetti. Nell’idea originale l’ambientazione e i temi sociali erano più accentuati: al centro c’era la descrizione di questa Milano divisa in spicchi dominati da etnie differenti, che ha perso la sfida dell’integrazione. Tuttavia, a mano a mano che scrivevo, mi sono reso conto che la parte fantascientifica e quella misteriosa erano più interessanti, e così ho sfrondato le parti relative all’ambientazione, anche perché avevo superato la lunghezza massima consentita dal regolamento. Sono convinto che il romanzo ne abbia guadagnato.

Oggi vanno di moda i personaggi pieni di problemi personali o intenti a filosofeggiare. Tu invece proponi un protagonista che si limita a indagare, senza rivelare troppo di sé…

Sembra che un personaggio per essere considerato interessante debba avere appena perso una figlia o essere un tetraplegico in carrozzella. La mia opinione è che non ci sia bisogno di questo, che chiunque possa essere interessante. Comunque ammetto senza problemi di aver clonato in parte Dick Watson a partire da Archie Goodwin, l’assistente di Nero Wolfe. Penso che sia un’operazione lecita, e che la clonazione in letteratura porti spesso a risultati interessanti. Come Goodwin, anche Watson ha uno sguardo ironico sulla vita ed è fisicamente invincibile. Però, a differenza di lui, non è solo un “braccio” ma anche una “mente”, in grado di avere intuizioni proprie. Spero poi che si capisca che lo prendo volutamente un po’ in giro: per esempio quando fa a gara di erudizione con Long John Silver, e si trova in difficoltà pur avendo frequentato buone scuole. Mi piace pensare di averne fatto non una macchietta, ma una caricatura.

È perché hai scelto di chiamarlo Dick Watson?

Anche questo è un modo per prenderlo in giro, dandogli il cognome di uno dei più celebri personaggi del giallo. Sempre per questo motivo ho deciso che fosse inglese. È un altro modo di fare dell’ironia, anche se la mia intenzione non era di scrivere un giallo ironico, ma con elementi ironici.

In effetti, pur essendo il tuo romanzo ambientato in Italia, i personaggi sono quasi tutti stranieri. Come mai?

Volevo dare all’ambientazione un respiro europeo. Anche se oggi l’idea di Europa è un po’ in crisi, sono stato un europeista convinto, e mi piace immaginare che in futuro l’Europa torni a essere un’idea, e non solo un luogo dove si fanno i conti delle quote latte. Inoltre a parte pochi casi di alta letteratura, l’ambientazione nostrana finisce col generare certi commissari pieni di vezzi italici, cose che mi annoiano un po’.

Tu però hai anche previsto che l’Europa abbia attraversato qualcosa di simile a una rivoluzione…

Spero ovviamente di sbagliarmi. Però ho l’impressione che la crisi che stiamo vivendo sia molto profonda, e che ci vorranno diversi anni prima di superarla. E perciò si potrebbero avere anche sviluppi di questo genere.

Il tuo villain è stato un rivoluzionario, però sembra agire per tornaconto personale.

Per entrare nel mondo della scienza ha dovuto abbandonare la parte precedente della sua vita. E comunque non è certamente un personaggio positivo. Tra i personaggi degli scienziati, quello a cui tengo di più è Sonnenborg, il quale è in parte “clonato” da Erwin Schrödinger, uno scienziato per cui da giovane ho nutrito un’ammirazione particolare. Oggi si sente forse la mancanza di persone come lui, o come Bohr e Einstein, in grado di esprimere una visione generale. Sembrano dominare scienziati più “tecnici”: gente di enorme competenza, intendiamoci, ma che sembra badare più ai dettagli delle equazioni che non alle domande ultime. Ammesso che le domande ultime abbiano delle risposte, e che la specie umana sia in grado di trovarle! Sonnenborg rappresenta la rivincita dei personaggi “alla Einstein”: non è bravo a manipolare le macchine o con la matematica, ma ha intuizioni profonde.

 E i computer quantistici come sono entrati nella trama?

Mi è sembrato ovvio che un centro avanzatissimo nel campo della meccanica quantistica fosse molto avanti anche in quel tipo di tecnologia, già oggi al centro di molte ricerche. Qui mi sono concesso anche di introdurre alcuni elementi non del tutto realistici. La battaglia finale dei due “mostri” difficilmente potrebbe avvenire nella realtà, dato che i condensati di Bose-Einstein vanno confinati in maniera rigidissima, e perdono le loro caratteristiche se interagiscono con qualunque oggetto. Gli stessi computer quantistici sono di molto difficile realizzazione. Non ho idea se nel 2061 esisteranno davvero.

(A cura di Marco Passarello)

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Edmond Hamilton tra due mondi

novembre 18th, 2013

“Com’è bella l’avventura,

Un cavallo e una chitarra

Ogni punto della terra

per fermarsi o per andar.

 

Com’è bella questa vita,

senza ieri e né domani,

tutto il mondo fra le mani

e una voglia di cantar.

 

E se l’amore verrà

sono qui.

Io gli offrirò

tutto quello che ho.

 

Ma è più bella l’avventura,

senza ieri e né domani,

tutto il mondo fra le mani

per fermarsi o per andar.”

 

Domenico Modugno

 

Edmond Hamilton (1904–1977) è stato uno dei primi scrittori a portare l’avventura nella fantascienza, e in due forme: avendo partecipato alla nascita del genere con le rutilanti space opera degli anni Venti e Trenta, una parte della sua produzione è pervasa dai toni del weird, l’arcano che si presume debb trasudare dallo spazio incognito. La prosa s’imporpora, le immagini sprizzano colori ultraterreni (o terreni ma rivestiti dei nomi più poetici), le stelle sono chiamate “soli” per fare più effetto. «Milioni di soli» popolano un ammasso galattico letterario, «milioni di stelle» soltanto un atlante astronomico. Ma questo è ancora nulla: i soli hanno seminato pianeti e i pianeti fertili come uteri hanno prodotto razze variegate, quale a forma di stella, quale di medusa, comunque una figliolanza molto strana. Gli extraterrestri brillano di tutti i colori dell’arcobaleno e hanno un fegato ipertrofico che travasa bile nel sangue verde, invelenendoli contro di noi. Noi la norma, i begli esseri umani, i civili esploratori di un cosmo pulito e non tentacolato. La fantascienza weird, che pigia sul pedale dello straordinario e l’extramondano come certe storie di spettri – non dovrebbe accadere ma è accaduto – ha un unico problema: non è sostenibile troppo a lungo, perché il lettore si assuefà mentre l’autore esaurisce la scorta di wonder e terror. Ecco, allora, la necessità di inventare una seconda e più pratica forma di narrativa: meno mostri, meno fanghiglia verde, meno inspiegabili putrescenze sulle paratie delle astronavi e più muscoli, disintegratori, battaglie e cannoni a raggi.

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“Urania” 1600

novembre 18th, 2013

Dalla storia alla Cabala,

i molti aspetti di un

traguardo “numerico”

 

Dopo aver compiuto sessant’anni nell’ottobre 2012, “Urania” festeggia, appena tredici mesi dopo, l’uscita del numero 1600 che, caso significativo, è dedicato al romanzo italiano vincitore del concorso 2012. Si conferma dunque come l’unica testata (rivista, collana) al mondo che attualmente possa cumulare due caratteristiche importanti: la più continuativamente longeva e quella con più fascicoli al suo attivo. Una cifra inconsueta, per non dire significativa, in un ambito, quello delle pubblicazioni dedicate all’immaginario, che raramente ha raggiunto di questi traguardi neppure negli Stati Uniti d’America, patria d’elezione della science fiction popolare.

Se andiamo a dare un’occhiata alle riviste più longeve sia in attività che defunte, vedremo che non tutte riuniscono le due caratteristiche di “Urania”. In teoria il primato della longevità dovrebbe spettare ad “Amazing Stories”, la capostipite, fondata da Hugo Gernsback (1884-1967) nel 1926 e durata sino al 1995, poi ripresa saltuariamente nel 1999 e nel 2005 senza successo. Ci sarebbe poi un’altra rivista, anche più continua nel tempo, che ha avuto però due nomi diversi: come “Astounding Stories” è nata nel 1930 ed è stata portata al successo da John W. Campbell (1910-1971), che la diresse dal 1937 al momento della morte; ma dopo tre decenni, nel 1960, la rivista cambiò nome e divenne “Analog Science Fact and Fiction” e dura sino ad oggi,  quindi da cinquantatre anni, distribuita perlopiù in abbonamento.

Nell’ambito di un altro settore dell’immaginario, la famosa “Weird Tales” uscì dal 1923 al 1954, per  trentun anni consecutivi, con tentativi di farla rivivere negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Duemila. Ultimo tentativo nel 2007. “Urania” ha, rispetto alle autorevoli testate americane, una regolarità di uscita, una unicità di nome ed un formato cartaceo al quale si può riferire un numero complessivo di fascicoli superiore, ma soprattutto l’uscita ininterrotta in edicola dal 1952, senza alcuno iato o mutamento sostanziale di nome (al massimo nel 1957 dopo 152 numeri, da “I romanzi di “Urania”” a “Urania”, che è ben diverso dal caso “Astounding/Analog”).

In Francia la collana di romanzi di fantascienza “Anticipation” della casa editrice Fleuve Noir, nata quasi contemporaneamente a “Urania” nel 1951, ha pubblicato 2001 volumi tascabili (cifra fantascientificamente simbolica!), quindi più di “Urania”, ma ha chiuso i battenti nel 1997, dopo quarantasei anni. In Germania esce il settimanale di romanzi di fantascienza “Perry Rhodan”, personaggio creato da Walter Ernsting nel 1961: a tutt’oggi sono apparsi oltre 2700 fascicoli della serie ordinaria più molti altri di varie serie speciali, scritti attualmente da una ventina di autori ai quali se ne devono aggiungere altrettanti per i decenni passati. Qui si tratta di una collana popolare dedicata ad un solo  personaggio che si rivolge esplicitamente ad un pubblico giovanile, nulla a che vedere con “Urania”, anche se la cifra resta impressionante per la risonanza che ancora ha dopo cinquantadue anni ed il trascorrere delle generazioni, ampliatasi nel frattempo ai fumetti, ai film e ai videogiochi.

“Urania” ha dunque un senso nella petite histoire della narrativa popolare del nostro paese. E’ una testata che ha accompagnato gli italiani, almeno quelli con certe propensioni immaginative e letterarie, per quattro generazioni (anni ‘40, ‘60, ‘80 e 2000) lungo le vie della fantasie scientifiche, facendoci man mano conoscere i vari generi, autori, tendenze, filoni. Certo, l’iniziale “età d’oro” sembra irripetibile perché allora si poteva pescare fra i grandi scrittori che si erano succeduti nei precedenti venticinque anni nei paesi di lingua inglese, ma anche in seguito, con la sua regolarità di uscite, ci ha fatto conoscere le novità che si affacciavano nell’editoria estera, attingendo per un certo periodo anche a quella francese e sporadicamente a quella tedesca, romena, russa e cinese. Quando venne lanciato il primo satellite artificiale nel 1957 o quando avvenne il primo sbarco sulla Luna nel 1969, i lettori di fantascienza (che seguivano anche “Oltre il Cielo”, “Cosmo” e “Galaxy”) non erano impreparati, e s’irritarono non poco quando i giornali scrissero che ormai “la realtà aveva superato la fantasia”.

“Urania” è cambiata in molte cose, come si è già detto; copertina, colore, formato, logo e periodicità: quindicinale, mensile, quattordicinale, settimanale (per un lungo periodo è stata l’unico settimanale di fantascienza al mondo, a parte “Perry Rhodan” che però ha le tipicità già accennate) e ovviamente curatori, ma la sua sostanza è rimasta la stessa: aprire una finestra sull’alterità, un passato-presente-futuro diverso, permettendo di sognare e appassionarsi a cose non di questo mondo. Certo, in sei decenni ha ricevuto anche la sua dose di critiche, per difetti o scelte d’impostazione che man mano ha corretto al fine di arricchire la sua formula editoriale: scelte che, se fossero state diverse, avrebbero consentito di far prendere alla fantascienza italiana strade alternative. Ma questa è roba da ucronia, anche se non lo si scrive certo qui per la prima volta. Il primo “difetto” consisté nell’abbreviare i romanzi che non entravano nella lunghezza prefissata della collana (la cosiddetta foliazione), e quindi nelle mediocri traduzioni con errori e travisamenti (ne fanno fede le nuove traduzioni dei “classici” che “Urania” ripubblica). Ormai un argomento superato positivamente da anni grazie alla competenza dei curatori che vennero dopo Monicelli e Fruttero e Lucentini, e alla possibilità di ampliare la foliazione dei fascicoli. Oggi abbiamo la possibilità di leggere romanzi integrali anche di quattro o cinquecento pagine.

Il secondo punctum dolens fu l’atteggiamento nei confronti degli scrittori italiani. Mentre tra le due guerre la protofantascienza nazionale aveva i suoi autori specializzati o quasi, che pubblicavano ad esempio sulla collana  “Il romanzo d’avventure” e sul quindicinale  “Il giornale illustrato dei viaggi”, dal 1952, a causa della americanizzazione imperante nei costumi e nei gusti, si decise di adottare camuffamenti anglosassoni, francesi o comunque esotici, a parte poche eccezioni tra cui quella rappresentata da Franco Enna, famoso però già come autore di polizieschi. Se invece di Elisabeth Stern, Audie Barr, Julian Berry e così via si fosse scelto di usare i loro veri nomi, il pubblico di lettori italiani di fantascienza non avrebbe sviluppato una sorta di idiosincrasia preconcetta per le firme nazionali, pensando che gli italiani fossero incapaci costituzionalmente di scrivere fantascienza. Viceversa, ad esempio in Francia, le citate edizioni Fleuve Noir, nelle collane “Anticipation” e “Angoisse”, pubblicavano sin dagli anni Cinquanta autori francesi alternati a inglesi, e ben presto soltanto autori nazionali con il loro riverito nome. In Germania, a partire dagli anni Sessanta, lo stesso.  Il pubblico non li rifiutava certamente.

Ma anche questo è ormai acqua passata: “Urania” pubblica la sua appendice critica e/o narrativa ormai da tempo e soprattutto ha istituito nel 1990 un premio che resta unico a questo livello, dato che gli altri nati insieme con lui, il Premio Cosmo e il Premio Solaria, hanno chiuso i battenti dopo poco. Ventitre anni fa il Premio Urania diede la possibilità di reinserire firme italiane sulla testata dopo una lunghissima assenza, e creò anche un piccolo “effetto valanga”, dato che per un certo periodo i romanzi di nostri autori furono anche due o tre ogni anno, rimbalzando poi nei “Millemondi”. Attraverso di esso è possibile individuare l’evoluzione di temi e tendenze fra gli autori vincitori, sia nomi già noti sia esordienti, dalla space opera all’antiutopia, dalla storia alternativa al connettivismo. Infine, è servito da stimolo: non pochi sono gli autori che, giunti in finale ma non vincendo, hanno poi rimesso mano alle loro opere modificandole e migliorandole sino a riuscire a farle pubblicare.

Stiamo assistendo ad un fenomeno curioso. In un momento in cui – inutile nascondersi dietro un dito – in Italia la fantascienza non  ha ancora raggiunto il successo di altri generi di narrativa popolare come il poliziesco, l’orrore e il fantastico, anzi in un momento in cui sembra, come dire, battere la fiacca, essa al contrario pare attirare l’attenzione di autori mainstream e servire da sfondo di romanzi ambientati nel futuro (in specie italico) per effettuare una critica socio-culturale o vere e proprie antiutopie. Però senza mai essere definita tale, quasi che da parte di editori e autori ci si vergognasse di un nome non del tutto ancora accettato. In ogni caso, il “genere” viene ormai sfruttato assai spesso senza dirlo esplicitamente. Sicché, a livello specializzato, la presenza di “Urania” può essere utile e stimolante sia grazie al colloquio diretto con i lettori di recente approdato dalla rete alla carta stampata, sia, appunto, con il Premio “Urania” (e il recentissimo Premio Stella Doppia dedicato ai racconti) per poter mettere in luce le potenzialità esistenti. E naturalmente, per aggiornare i lettori sulle opere che vengono prodotte, sempre in gran copia, ormai in tutto il mondo.

 

Al di là delle considerazioni storiche, l’aver raggiunto il fascicolo 1600 è un fatto straordinariamente significativo. E’ un bellissimo numero, il 1600, dal punto di vista dei simbolismi connessi. Giusta quanto s’apprende dai tomi del sapiente Jorg Sabellicus dedicati alla disciplina tradizionale della numerologia (1), la sua radice cabalistica è 7, ovvero 6 + 1. Il significato che si associa al 7 è il mistero, l’ignoto, la verità da scoprire. E’ il numero degli enigmi e delle esplorazioni in terre incognite, tanto nel mondo materiale che in quello mentale. E’ il numero che sigilla i coraggiosi che salpano verso l’ignoto, guidati dalle sette stelle dell’Orsa, e scandagliano i sette mari e i sette cieli. La radice numerica del nome Odisseo è 7, e così quella di Einstein e di Gagarin, il primo uomo nello spazio. Il 7 identifica cioè quanti, con le azioni o con il pensiero, bramano sciogliere gli enigmi per nessun altro motivo che il loro essere enigmi, che vogliono vedere al di là delle montagne solo perché le montagne ci sono e sono lì, davanti ai loro occhi. Coloro che non esitano a varcare le porte d’avorio del sogno né le soglie quantistiche dello Stargate. Un tempo, era il sigillo del mago, oggi lo è dello scienziato: davvero il numero adatto a identificare chi sente il fascino delle “avventure nel tempo e nello spazio” (per quanti non lo sapessero, questa era la frase che incorniciava il logo dei primi “Romanzi di Urania””).

Gli elementi che compongono il numero 1600 sono le cifre 1 e 6, e la non-cifra 0. Di quest’ultima diremo dopo. Vediamo ora i significati tradizionali di 1 e 6. L’1 è, ovviamente, la cifra del primato: identifica chi per primo conquista la vetta e vi s’asside, restano a guardare dall’alto quanti s’affaticano inanemente a imitarli. E’ il numero di chi apre la strada e vi s’inoltra per primo, lasciando gli altri ad arrancare dietro di sé. E’ il numero di chi è primo non soltanto una volta, ma è primo sempre: tutti gli altri si dovranno accontentare, al massimo, del 2, accapigliandosi fra loro. Volete sapere qual è la radice cabalistica del nome “Urania”? Avete indovinato: 1.

Quanto al 6, è il numero della stabilità e della durevolezza. L’esagono, fra tutti i poligoni regolari, è quello che suddivide il piano con il minimo perimetro per porzione di spazio: rappresenta dunque l’essenzialità, la radice di ogni sviluppo di forme possibili. E’ l’infinito moltiplicarsi di ogni eventualità secondo scansioni logiche e non secondo uno sviluppo caotico. E’ la razionalità che impone regole alla fantasia. Insomma, è la fantascienza, dove ogni futuro possibile è analizzato secondo ragione, cartesianamente, e non semplicemente attraverso la libera affabulazione. Inoltre, gli atomi che compongono le cellule viventi si dispongono secondo legami esagonali. Il 6 è dunque anche il numero della vita, che sempre si moltiplica e s’accresce, come gli infiniti esagoni sistematicamente riempiono lo spazio infinito. Jorge Luis Borges, che di simbolismo se n’intendeva, compose la sua “Biblioteca di Babele” come un estendersi infinito di celle esagonali. La Creazione venne compiuta in 6 giorni.

Il 6 è anche il numero della famiglia, intesa come cellula base per lo sviluppo ordinato della società. E’ perciò il numero più adatto ad identificare quella grande famiglia che è il fandom di fantascienza. Una famiglia variegata, eterogenea, chiassosa, spesso litigiosa, ma comunque legata da un indissolubile vincolo di fratellanza. Molte società segrete, fra cui i Templari, avevano simboli che si richiamavano all’esagono, o lo includevano. Nel numero 1600, accanto all’1 e al 6 sono posti due zeri. Lo zero, essendo nulla, non ha significato in sé, però può aver valore significante. I due zeri indicano che il 16 può essere duplicato, o raddoppiato: si arriva così al 32. Quest’ultimo è uno dei numeri al quale sono associati i simbolismi più vasti. E’ presente in tutte le architetture tradizionali, sempre con profondi significati. Tanto per dire, nel Sepher Yetzirah, il libro base della Kabbalah, si dice che Dio incise il suo nome nel Tutto in “trentadue mirabili vie di sapienza”. Le colonne del Tempio di Salomone vennero costruite secondo una proporzione fra altezza e circonferenza di 3:2. In ebraico il 32 si scrive con le lettere beth e lamed, che insieme formano la parola bethel, cioè “casa di Dio” e, lette al contrario, lev, ovvero “cuore dell’uomo”. In altre parole, per entrare nella casa edificata da Dio, cioè l’universo visibile e invisibile, dobbiamo rovesciarci e guardare dentro noi stessi. Questa è impresa destinata ai mistici e a chi abbia animo abbastanza forte. Noi ci accontentiamo di far volare il nostro cuore (che per gli antichi era la vera sede della mente) aprendo le pagine di un libro che si spalancano sull’infinito.

Guardate dove ci può portare lontano il ragionare in modo un po’ “laterale” su un fascicolo di fantascienza.

I due zeri del 1600 indicano anche uno spazio che va riempito: in altre parole, ci dicono che è aperta la strada – anzi è sicura – verso la duplicazione (gli zeri sono due): siamo dunque in marcia verso il numero 3200, e ci arriveremo. Non riuscirà a vederlo chi scrive, sciaguratamente, a meno che non si realizzi un auspicabile passaggio della periodicità di “Urania” alla cadenza quotidiana (e anche in quel caso sarebbe dubbio). Ci riusciranno invece tutti i nostri lettori: almeno, è quanto loro auguriamo. Un augurio fatto da chi ha avuto la ventura di comprare in edicola il primo numero della nostra collana. Non sappiamo quanti siano i superstiti che possano dire altrettanto, ma supponiamo non siano legione.

Questo per dire che “Urania” è stata per noi compagna di tutta una vita, piccola (ma neanche poi tanto) isola salvifica nel mare procellarum dell’esistenza. Le dobbiamo molto, dai sogni da ragazzini alla mania collezionistica, dalle incavolature alle soddisfazioni, e con lei a chi l’ha realizzata: dal non abbastanza ricordato Giorgio Monicelli, che l’ideò, all’ultima sua guida, Giuseppe Lippi, amico nostro e non de la ventura. Li ringraziamo tutti, e che il 1600, con i suoi tanti significati simbolici, sia di augurio.

Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco  

 

 

(1) Magia dei numeri, Edizioni Mediterranee, Roma 1976; Manuale di numerologia, Mediterranee, Roma, 2001.

 

 

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Urania Millemondi 65: AAA Asso Decontaminazioni Interplanetarie

ottobre 31st, 2013

milleprevDopo Cosmolinea B-1 e Cosmolinea B-2 di Fredric Brown, ecco un altro corposo volume dedicato a un maestro del racconto. Robert Sheckley è, tra i classici della sf americana, il più moderno e uno dei più ingegnosi in assoluto. In questo volume leggerete il ciclo completo dei decontaminatori spaziali AAA Asso, l’agenzia più nota del settore, capace di spurgare un pianeta infestato in men che non si dica (sette racconti). In più, i racconti di due raccolte personali, in ordine cronologico: Fantasma Cinque (1971) e Giardiniere di uomini (1979). Il piano completo dell’opera, che troverete nel sommario, avrebbe occupato due copertine e mezzo di un normale “Millemondi”..

ROBERT SHECKLEY è nato nel 1928 a New York e morto nel 2005. Comincia a scrivere negli anni Cinquanta e diviene in breve tempo una colonna della rivista “Galaxy” diretta da Horace Gold. La sua prima raccolta di racconti è Mai toccato da mani umane (Untouched by Human Hands, 1954, “Urania Collezione” n. 7) a cui ne seguiranno altre, spesso pubblicate da “Urania”. Nel campo del romanzo ha spaziato dalla fantascienza al thriller e allo spionaggio, con opere memorabili come Anonima aldilà (1958, n.¡126), Scambio mentale (1960), Gli orrori di Omega (1960, n. 34), L’agente X (1965), Il difficile ritorno del signor Carmody (1968), Opzioni (1975), Dramocles: dramma intergalattico (1983) e Il matrimonio alchimistico di Aleister Crompton (1986). Dal suo racconto “La settima vittima” Elio Petri ha tratto il film La decima vittima con Marcello Mastroianni e Ursula Andress.

EBOOK DISPONIBILE

 

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Urania 1600: L’uomo a un grado Kelvin

ottobre 30th, 2013

kelvinprevDall’apparecchiatura era uscito un vapore denso, come se il macchinario fosse stato riempito di acqua bollente. Come è noto, invece, l’apparato era gelido: un grado Kelvin, cioè un solo grado al di sopra dello zero assoluto. Attraverso il vapore si vedeva distintamente la figura rattrappita di un uomo. La visione durò pochi istanti, prima che il corpo si tramutasse in una specie di bassorilievo di ghiaccio.” Dall’apparizione del cadavere congelato del professor Jan De Ruiter alla soluzione del mistero del teletrasporto quantistico, molta energia impura scorrerà sotto i ponti. De Ruiter ha avuto infatti un’intuizione geniale, ma non sempre ciò che accorcia le distanze fra due punti permette di seguire la traiettoria più facile. E questa volta le molecole di un uomo sono rimaste impigliate – rimescolate – nella vasca dello spaziotempo…

PIERO SCHIAVO CAMPO è nato a Palermo nel 1951 ma è vissuto lungamente a Milano, a parte una pausa di alcuni anni a Bologna in cui si è occupato di astrofisica. È docente a contratto di Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università di Milano Bicocca e risiede a Bregnano (CO). Per quanto riguarda la narrativa, ha pronti due romanzi brevi di carattere fantastico, uno dei quali è stato pubblicato sul sito Ilmiolibro.it.

EBOOK DISPONIBILE

 

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Urania collezione 130: Il lupo dei cieli / I mondi chiusi

ottobre 30th, 2013

hamilprev Varna è un pianeta inospitale, pesante, selvaggio dove nascono solo lupi. Lupi in senso metaforico, disperati che sopravvivono praticando l’antica arte della pirateria spaziale. Morgan Chane è uno di loro, ma in seguito a una faida è stato esiliato da Varna e i suoi ex compagni gli danno la caccia in tutta la galassia. L’ex predone sarà costretto ben presto a cambiare vita e a diventare un Merc, cioè un mercenario dello spazio… In questo volume di “Urania Collezione” sono riuniti i due primi romanzi di Chane, Il Lupo dei cieli e I mondi chiusi, precedentemente pubblicato con il titolo meno fedele all’originale di Pianeta perduto. I mondi chiusi è offerto anche in una nuova traduzione e completato da un saggio sull’avventura in fantascienza.

EDMOND HAMILTON è nato nel 1904 a Youngstown, Ohio, ed è morto nel 1977 a Lancaster, in California, dove risiedeva con la moglie Leigh Brackett. È l’autore americano più facilmente associato con la space opera dei primi anni Trenta, ma dopo aver pubblicato I soli che si scontrano (Crashing Suns, 1928-’34) e L’invasione della galassia (Outside the Universe, 1929-’30), ha dato opere più riflessive come Agonia della Terra (The City at World’s End, 1951), La stella della vita (The Star of Life, 1959) e Gli incappucciati d’ombra (The Haunted Stars, 1960). Il ciclo di Morgan Chane sarà concluso da un terzo romanzo, Le stelle del silenzio (World of Starwolves, 1968).

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