Urania Horror 5 : Notte Eterna

febbraio 27th, 2014

LOGANPREVSono trascorsi due anni da quando il virus diffuso dai vampiri ha invaso il mondo, che è ormai sull’orlo della distruzione. Il Padrone, il potentissimo capo degli strigoi, dopo aver annientato qualunque forma di resistenza da parte degli umani, ha rinchiuso in vasti campi di prigionia i sopravvissuti. A guidare i ribelli è una banda improvvisata di combattenti: Ephraim Goodweather, capo dell’Ente controllo e prevenzione malattie infettive, la dottoressa Nora Martinez, il disinfestatore russo Vasiliy Fet e il misterioso signor Quinlan. Le creature del male sembrano avere vinto su tutti i fronti, ma anche il Padrone ha un punto debole e solo un uomo è in grado di approfittarne. Ci si potrà fidare di lui? Epica conclusione della trilogia “Nocturna”, Notte eterna è una storia di pura adrenalina, tra scenari cupi e spiazzanti, in cui pochi eroi di tragica grandezza tengono alta la fiamma della speranza per aggiudicarsi l’ultima, imprevedibile mano di una partita decisiva.

GUILLERMO DEL TORO nato e cresciuto a Guadalajara, in Messico, ha debuttato come regista nel 1993 con il fi lm Cronos.

 

CHUCK HOGAN è autore di molti romanzi di successo, tra cui The Standoff e Prince of Thieves.

 

EBOOK GIA’ DISPONIBILE IN ALTRA EDIZIONE

 

 

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Michael Moorcock

febbraio 18th, 2014

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Nato a Londra nel 1939, Moorcock ha impresso il segno a tre decenni della fantascienza britannica. Negli anni Sessanta ha diretto la storica rivista “New Worlds” – favorendo il decollo della cosiddetta new wave inglese – e ha pubblicato i suoi primi romanzi di fantascienza, imboccando nuove strade rispetto agli esordi fantastico-avventurosi. Tra i frutti di questo lavoro vi è I.N.R.I. (1966, premio Nebula ’67), romanzo che abbiamo ripubblicato con successo nel n. 102 di Urania collezione, e che, pur facendo uso di un luogo tipicamente fantascientifico come il viaggio nel tempo, lo sfrutta per arrivare a una narrazione mitologica. I racconti fantasy di Moorcock, del resto, avevano gettato le basi per una concezione unitaria del genere: le avventure di Sojan lo spadaccino e, successivamente, i pastiche burroughsiani di Marte, le gesta del principe Corum e quelle di Elric di Melniboné, la sua creatura più famosa, hanno in comune l’idea che tutte le storie possibili siano ambientate su altrettanti piani della realtà: e che miriadi di storie, su miriadi di livelli, formino nell’insieme il Multiverso in cui rientra tutta la produzione moorcockiana. Nella saga fantasy del principe Corum (sei romanzi pubblicati fra il 1971 e il 1974) il concetto viene chiarito in modo definitivo, sicché tutto quanto prende vita in Moorcock è collegato, niente appare casuale.

Negli anni Settanta il nostro crea alcune tra le opere più impegnative: la cosiddetta sequenza del “Campione eterno” – in cui rientrano le avventure di Corum e che vede in I.N.R.I. una sorta di premessa generale, perché i protagonisti della serie saranno tutti uomini del destino, eroi/antieroi dei rispettivi miti – e le Cronache di Jerry Cornelius. Quest’ultimo, personaggio ricorrente in una serie di romanzi ai confini tra science fiction e postmoderno, è una creatura ambigua che si muove in un mondo futuro distorto, apocalittico e grottesco dove i molti problemi dell’umanità sono giunti alla resa dei conti. In The Final Programme, ad esempio (da cui Robert Fuest trasse il film omonimo, ribattezzato in Italia Alpha Omega, il principio della fine), un trio di malfattori si impossessa del programma studiato dal padre di Jerry per combattere la fame nel mondo e lo usa ai propri fini, favorendo la nascita diun nuovo, mostruoso messia.Negli anni Ottanta Moorcock è tornato alla fantasy, suo antico amore, e al romanzo tout-court, con opere mature e personali. In questo periodo ha completato il ciclo di Elric di Melniboné, il principe albino dalla spada fatata e il tragico destino che resta una delle creazioni più originali nel campo della fantasia eroica, ma si è dato anche al fumetto e alla sistemazione della sua vasta produzione in una serie di edizioni accurate e pressoché onnicomprensive. In seguito si è trasferito in America, dove ha portato la sua cultura ed esperienza, senza abbandonare idealmente il vecchio continente: recentemente è stato ospite di Lucca Comics dove gli appassionati italiani hanno potuto festeggiarlo calorosamente.

Tanto affetto e considerazione poggiano però soprattutto sulla memoria, perché a differenza che sui mercati librari più maturi, oggi di Michael Moorcock in Italia si trova soltanto la ristampa del ciclo di Elric, passata dalla Nord a Fanucci, mentre la lodevole iniziativa di rimettere in circolazione il Programma finale (riproposto dallo stesso editore nel 2006) non ha avuto praticamente seguito. Eppure si tratta di un narratore chiave, senza il quale buona parte della fantascienza degli anni Settanta non sarebbe stata possibile. Un narratore che speriamo di poter proporre anche in futuro, su queste pagine e su Urania, per riprendere il discorso che riguarda il versante fantascientifico della sua produzione.

Dopo I.N.R.I. (che era uscito da MEB nei remoti anni Settanta), bisognava ripubblicare almeno due romanzi tradotti su “Galassia” quarant’anni fa: Il corridoio nero e Il veliero dei ghiacci. Lo faremo quest’anno, partendo con il volume di Urania collezione che avete fra le mani e proseguendo in agosto con uno straordinario Millemondi tutto-Moorcock dove appariranno Il veliero dei ghiacci, Il campione eterno e I riti dell’infinito. Dopodiché si dovrebbero affrontare i romanzi inediti di Jerry Cornelius, cioè tutti meno uno, il già ricordato Programma finale: i primi sono A Cure for Cancer (1971), The English Assassin (1972), The Condition of Muzak (1977, vincitore del premio letterario indetto dal “Guardian”), giù giù fino a The Entropy Tango (1981), The Alchemist’s Question (1984) e Firing the Cathedral (2002).

Se questo programma può sembrare ambizoso (e indubbiamente lo è), bisogna aggiungere che servirebbe soltanto a dare un’idea del vulcanico Moorcock. Poi bisognerebbe rileggere i romanzi del lontano futuro che il nostro ha costruito intorno alla figura di un personaggio simile a Jerry Cornelius – anche nel nome – ma forse ancora più ambiguo e “spiazzato” nel tempo: Jherek Carnelian. La serie è composta da tre titoli principali – An Alien Heat, The Hollow Lands e The End of All Songs, rispettivamente del 1972, 1974 e 1976 – più la raccolta di racconti Leggende alla fine del tempo, che ha visto la luce anche in italiano nel n. 7 di “Robot” speciale; infine, dal romanzo del 1977 The Transformation of Miss Mavis Ming. Si tratta di racconti fantastici “dal clima sognante”, come dice John Clute, ambientati in un’epoca lontanissima in cui gli esseri umani hanno poteri semidivini, ma anche, in parte, nel XIX secolo inglese, epoca nella quale Carnelian farà ritorno innamorandosi per la prima volta.

Infine, si potrebbero riesaminare il ciclo bellico di von Bek – solo un titolo apparso da noi, Il mastino della guerra del 1981 – , quello dell’Etere, i romanzi fantasy come Gloriana… In realtà, non è un programma che possiamo sostenere da soli qui a “Urania”. Dovremmo essere fiancheggiati da un editore generalista – ad esempio, i nostri cugini “Oscar” – che ci assicurasse una permanenza in libreria dei titoli migliori. Lo stesso I.N.R.I., con la sua devastante carica polemica ma anche con il suo uso brillante del mito cristiano, meriterebbe di essere conosciuto tra i lettori di narrativa tout-court.(Il romanzo descrive una sorta di palingenesi alla rovescia: il protagonista Karl Glogauer arriva all’epoca di Cristo in una macchina del tempo che sembra una placenta e “nasce” al mondo del passato ma anche del mito. Si tratta, all’apparenza, di un mito capovolto, ma in effetti le tappe della tragica odissea di Glagauer ricalcano fedelmente quelle del Messia perché così dev’essere, fino alla conclusione sulla croce e al grido umanissimo che gli esce dalla gola quando si rende conto che sta per morire al posto di nostro Signore: It’a lie! It’s a lie! Let me down!)Un romanzo iconoclasta? Non soltanto: piuttosto, un romanzo che moltiplica le icone creandone di proprie e facendo riecheggiare l’urlo della vittima – del figlio dell’uomo – attraverso le gallerie del tempo, fino alle estreme conseguenze. Il personaggio di Karl Glogauer tornerà in una seconda avventura, Breakfast in the Ruins – A Novel of Inhumanity del 1972, dando vita così a un proprio mini-ciclo all’interno del più grande mosaico che riguarda il Campione eterno.

Quanto al Corridoio nero che vi accingete a leggere o avete appena letto, uscito nel 1969 precede di poco i devastanti romanzi di Barry Malzberg degli anni Settanta, da Beyond Apollo a The Falling Astronauts, ed è evidente il debito del geniale narratore americano nei confronti dell’inglese Moorcock, che inventa l’ambiente dello “spazio disturbato”, anzi folle: mutuandolo da Ballard o da Dick ma portandola a perfezione. Così, un anno dopo 2001 odissea nello spazio, Moorcock firma la prima odissea tutta psichica della fantascienza moderna; allucinazioni? Realtà multiple? Invasioni mentali? Tutto è possibile in questo romanzo a più livelli che si legge come un implacabile diario di bordo.

Oltre ad averci dato alcuni tra i più originali racconti fantastici del suo tempo, Michael Moorcock ci ha messi di fronte al fatto che non esiste una vera separazione tra realtà e fantasia, tra “oggi” e “domani”, tra mito e storia. Ogni cosa è parte del Multiverso e può apparire davanti ai nostri occhi in forme cangianti. In un artista visionario, tutto ha rilevanza e ci riguarda. Non saranno gli effetti speciali della fantasy o della sf ad attenuare l’impatto sociale della visione, il realismo che sottende le nuove forme del mito. Anzi, come afferma John Clute nell’Encyclopedia of Science Fiction, “i romanzi di Michael Moorcock mescolano fantascienza, fantasy e verismo sociale inglese. Per questa ragione costituiscono un bel passo avanti rispetto alla narrativa popolare e trascendono i limiti del genere, anche se non abbandonano mai la materia e le preoccupazioni delle origini”.

 

Giuseppe Lippi

 

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Robert A. Heinlein e il gioco degli specchi

febbraio 18th, 2014

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a seconda parte dei racconti

introvabili di Heinlein, un

classico di arguzia e inventiva

 

Robert Anson Heinlein è nato a Butler, Missouri, nel 1907 ed è morto nel 1988. Dopo aver dovuto rinunciare alla carriera di ufficiale navale a causa di una malattia, si è dedicato alla fantascienza e scrivendo sulle riviste di John W. Campbell Jr. (“Astounding” e “Unknown”) è divenuto in pochissimo tempo uno dei suoi maestri moderni. Nel periodo maturo della carriera ha firmato alcuni tra i libri per ragazzi più riusciti non solo della science fiction ma di tutta la narrativa avventurosa, come Cittadino della galassia (Citizen of the Galaxy, 1957) e Fanteria dello spazio (Starship Troopers, 1959). Ha affrontato molti temi classici, aggiornandoli: la subdola invasione aliena in Il terrore dalla sesta luna (The Puppet Masters, 1951), il viaggio nel tempo in La porta sull’estate (The Door Into Summer, 1957), il futuro della tecnologia in Waldo (id., 1942); ma ha anche introdottoconcetti nuovi, dal confronto tra scienza e magia in Anonima stregoni (Magic, Inc., 1940) all’astronave generazionale di Universo (Orphans of the Sky o Universe, un testo degli anni Quaranta riveduto nel 1963), il cui tema è stato poi largamente sfruttato; fino al capovolgimento in termini della questione razziale in La fortezza di Farnham (Farnham’s Freehold, 1962), romanzo che abbiamo già presentato in versione integrale su “Urania collezione”.

Molti dei suoi racconti, a cominciare dalla “Linea della vita” (1939), possono essere visti come il tentativo di raccontare il futuro storicamente, in una sequenza logica e ordinata, traendone gli insegnamenti che stanno a cuore a Heinlein e a molti della sua generazione: americani pragmatici, decisi a vincere la Seconda guerra mondiale, a trasformare il mondo in senso tecnocratico e ad amministrarlo come un meccanismo a orologeria. Nei racconti della “Storia futura”– così battezzata dallo stesso Heinlein – vi è la presa di coscienza che l’America è ormai ben altra cosa rispetto ai tempi dei Padri fondatori, ma anche di Abramo Lincoln. Il fatto è che il grande paese si è automatizzato, alterando la propria fisionomia e la volontà che l’accompagna; d’ora in poi la felicità, il diritto all’autorealizzazione, la fede in Dio eccetera non passeranno più per i boschi di Walden o per le riflessioni dei trascendentalisti, ma per le fabbriche, i campi d’aviazione e le catene di montaggio.

Al tempo stesso, Heinlein si dice favorevole al concetto di democrazia intesa come estrema libertà individuale, e addirittura armata. A un certo punto della sua carriera scrive una controstoria della Rivoluzione americana che intitola La luna è una severa maestra (The Moon Is a Harsh Mistress, 1966), romanzo in cui gli ideali libertari si scontrano con quelli della programmazione statale, mettendo in cattiva luce il modello collettivista. E si potrebbe continuare a lungo sulle ambiguità ideologiche (dal punto di vista europeo) del nostro autore, ma è stato già fatto e non è il caso di tornarvi qui. Ci limiteremo a osservare che, come altri romanzieri prima e dopo di lui, Robert Heinlein si è dotato di un’ideologia-progetto che ha i suoi perni nell’efficientismo, nella disciplina militare, nella necessità di difendere la civiltà combattendo i nemici, ma anche nella difesa radicale delle libertà individuali e in seguito sessuali; e che quegli ideali si alternano nei romanzi, oscillanti tra un anarchismo liberatorio precursore del ’68 e un amore per il militarismo e la repressione “necessaria” di tipo neofascista. Ripetiamo, l’ambivalenza è un fenomeno letterario comune e non dovrebbe stupire più di tanto, ma nel caso di Heinlein colpisce perché è un autore che suscita semplici e immediate passioni.

Il grande vecchio ha avuto una lunga e multiforme carriera, tutt’altro che limitata all’editoria di genere: nel 1950 ha scritto la sceneggiatura del pionieristico Uomini sulla luna (Destination Moon) di George Pal, primo esempio di cinematografia a colori sul tema del volo spaziale. Con il romanzo Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961) ha tentato un esperimento in anticipo sui tempi: in America il libro suscitò polemiche non solo per l’allegra franchezza con la quale affrontava temi scottanti come la religione e il sesso, ma anche per la sua mole. Notissimo nel campo della fantascienza tecnologica, si è divertito a stupire i lettori con quella paradossale e umoristica, compresi alcuni racconti del fantastico puro che sfuggono alla cronologia della Storia futura e sono usciti su “Unknown” o altre riviste ai confini tra i generi. Quest’ultimo tipo di produzione heinleniana è stato raccolto in due antologie, Waldo + Magic, Inc. del 1950 e The Unpleasant Profession of Jonathan Hoag del 1959. Nel 1999 Tor Books, un grosso editore americano di fantascienza, ha riunito le due vecchie raccolte in un imponente volume unico, The Fantasies of Robert A. Heinlein, che “Urania” ha tradotto in due volumi: Anonima stregoni (n. 1456) e Il mestiere dell’avvoltoio (n. 1474). Oggi ripubblichiamo la raccolta, sempre in due parti, reimpostando la cronologia delle antologie originali, per cui questo secondo volume contiene Il mestiere dell’avvoltoio e altri racconti (in modo da rispecchiare la raccolta USA del 1959), mentre il precedente, pubblicato su Urania n. 1596, ripresentava i due romanzi apparsi insieme per la prima volta nel 1950, Waldo e Anonima stregoni.

Ma anche se non avesse scritto queste deliziose avventure, Heinlein sarebbe ugualmente riconosciuto come uno degli autori più estroversi e sempre capaci di rinnovamento della science fiction classica. Non è un caso che dopo il 1971 abbia conosciuto una nuova stagione creativa, iniziando con il grosso romanzo a sfondo psicosessuale Non temerò alcun male (I Will Fear No Evil) e continuando con una serie di opere controverse che hanno mostrato le molte sfaccettature della sua personalità. Questi romanzi sono: Lazarus Long, l’immortale (Time Enough for Love, 1973: un seguito del precedente Ifigli di Matusalemme), Il numero della bestia (The Number of the Beast, 1981, sempre inserito nel ciclo di Lazarus Long), Operazione domani (Friday, 1982), Il gatto che attraversa i muri (The Cat Who Walks Through Walls, 1985, un’altra aggiunta al ciclo di Long), Oltre il tramonto (To Sail Beyond the Sunset, 1987, il suo ultimo romanzo).

Intanto, un solo romanzo di Heinlein era rimasto a lungo inedito, pur risalendo agli anni 1938-39: si tratta di For Us, the Living – A Comedy of Customs. In America è stato pubblicato finalmente dall’editore Scribner (2004) e in Italia lo ha tradotto “Urania” nel dicembre 2005 (con il titolo A noi vivi, n. 1505). La decisione di pubblicarlo a quasi settant’anni dalla composizione originaria fa già intendere che si tratta di un testo particolare: quello che avrebbe dovuto essere il primo romanzo di Heinlein e che non lo è stato – per una serie di vicissitudini creative ed editoriali – parte subito con notevoli ambizioni e idee molto precise. Idee sulla scienza, la tecnologia, il ruolo dell’America: perché For Us, the Living non è una storia d’azione e neppure un capitolo della celebre Storia futura heinleniana, ma è semplicemente la storia futura degli Stati Uniti, già tutta racchiusa in una visione utopica e polemica di ampio respiro. L’espediente che dà il via al racconto è talmente classico da richiamare alla mente i maestri storici dell’utopia,Samuel Butler (Erewhon), Edward Bellamy (Guardando indietro)e soprattutto William Morris, le cui Notizie da nessun luogo descrivono, come il testo di Heinlein, l’avventura di un Povero Moderno nel mondo del futuro, della post-modernità. Quello che il libro mette in scena è un esame affascinante e impietoso della civiltà di domani: una civiltà che in Heinlein, come in Morris e Bellamy, è studiata tratto per tratto, settore per settore, con la pazienza di un entomologo. Per i lettori abituati al futuro autore di Fanteria dello spazio, Stella doppia o La porta sull’estate è stata una scoperta, una variazione sul tema del progettare mondi alternativi; per tutti è stata un’importante aggiunta alla conoscenza di un autore che viene ancora considerato sinonimo di fantascienza americana, e di cui Philip K. Dick ha scritto: “Anche se abbiamo idee politiche completamente diverse, lo considero il mio padre spirituale,”1.

Mondadori ha anche ripresentato, in “Urania collezione”, la versione integrale della Fortezza di Farnham, precedentemente noto come Storia di Farnham (Farnham’s Freehold, 1962). Il romanzo affronta uno dei temi più scottanti – quello razziale – da un punto di vista così personale che non possiamo nemmeno definirlo “provocatorio” nel senso abituale del termine. Nel leggere il libro dobbiamo riportarci alla prima metà degli anni Sessanta, quando prendeva piede il movimento per i diritti civili e l’espressione “civiltà multietnica” non aveva semplicemente diritto di asilo (con buona pace del melting pot di ottocentesca memoria). Detto ciò, dobbiamo osservare che questo acre romanzo meritavauna ristampa perché aveva avuto un’unica edizione italiana nel 1965 e neppure in volume a sé stante, ma nell’antologia L’ombra del 2000; che era stato dato in una versione talmente incompleta da mancare di circa un terzo del testo originale; e che rappresentava uno dei libri più oscuri e meno citati di un autore ancora popolare tra migliaia di lettori. Nella prima parte della Storia si parla di sopravvivenza e problemi logistici in un microcosmo post-nucleare; nella seconda di una società capovolta e impazzita che rappresenta il particolare inferno di questa visione heinleniana, in cui i neri d’America sono diventati padroni del campo e hanno reintrodotto vecchie pratiche tabù. Non bisogna dimenticare che lo scrittore di fantascienza – anche uno scrittore idiosincratico come Heinlein – non è necessariamente un sociologo o un filosofo che costruisce sistemi coerenti, ma un artista o aspirante tale. In questo senso, oggi può vedere bianco ciò che domani vedrà nero e viceversa. Sulla particolare scacchiera del futuro, Robert A. Heinlein ha spesso giocato a colori invertiti, da esperto moralista. In successivi romanzi, ad esempio quelli degli anni Settanta, avrebbe assunto altre maschere ancora.

 

G.L.

 

1 Nell’introduzione alla raccolta personale Non saremo noi (The Golden Man).

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I capolavori di Urania 1603: Il mestiere dell’avvoltoio

gennaio 29th, 2014

heinprevÈ uno dei grandi romanzi “irregolari” della sf: insieme al suo enigmatico protagonista, Jonathan Hoag, il lettore si trova preso in una ragnatela di terrori che comincia con una visita medica apparentemente banale e continua in un crescendo di colpi di scena fino a svelare il segreto dell’uomo sotto le cui unghie si nasconde una sostanza che non è affatto sangue. Dopo il romanzo, altri cinque capolavori della narrativa heinleiniana: “La casa nuova” con le sue architetture quadrimensionali, “Loro” con le sue creature in agguato, “La nostra bella città” col suo vecchio parcheggiatore che strappa giornali a fumetti, “L’uomo che vendeva elefanti” (e non disdegnava di “viaggiagli”); fino al paradosso di “Tutti voi zombie”, memorabile storia del futuro prossimo che in una precedente e audace versione italiana era stata intitolata “O tempora, o sexus!”.

ROBERT A. HEINLEIN(1907-1988) Notissimo nel campo della fantascienza tecnologica, si è divertito a stupire i lettori con alcuni racconti fuori quadro usciti su “Unknown” e altre riviste degli anni d’oro. Quest’ultimo tipo di produzione è stato raccolto in due antologie, Waldo + Magic, Inc. (1950) e The Unpleasant Profession of Jonathan Hoag (1959), che “Urania” ha tradotto in due volumi: Anonima stregoni (n. 1456) e Il mestiere dell’avvoltoio (n. 1474). Oggi ripresentiamo la serie, in due parti come allora, reimpostando la cronologia delle antologie originali: nel primo volume (uscito su “Urania” n. 1596) abbiamo dato Waldo e Anonima stregoni; nel presente volume concludiamo l’opera con il romanzo Il mestiere dell’avvoltoio e gli altri racconti, in modo da rispecchiare la raccolta originale del 1959 e la volontà degli eredi Heinlein.

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Urania Millemondi 66: Il futuro di vetro e altri racconti

gennaio 29th, 2014

milleprevArrivata alla maggiore età, la serie antologica di David G. Hartwell continua a raccogliere il meglio del racconto fantascientifico senza cedimenti e senza compromessi. In questo volume, ventotto racconti di autrici e autori come Pat Cadigan, Kathleen Ann Goonan, Linda Nagata, Catherine H. Shaffer, Gregory Benford, Paul McAuley, Lewis Shiner, Michael Swanwick e Bruce Sterling offrono un campionario a 360° della miglior fantascienza dell’anno e fanno il punto sulla salute del genere. C’è un’avventura di Holmes Sherlock, un vero e proprio “Mistero hwarhath” impostato da Eleanor Arnason; c’è la storia degli spiriti di Natale (se poi saranno spiriti) di Paul Cornell; c’è un’“Elettrica” avventura di Sean McMullen e la “Sinfonia della Struttura Sigma” di Gregory Benford. Secondo Paul McAuley “L’Antartide comincia qui”, proprio in mezzo a noi, mentre Michael Swanwick ha la terrificante visione della “Donna che scosse l’albero del mondo”. Visioni provocanti ma sempre originali, all’insegna della Year’s Best SF.

DAVID G. HARTWELL È nato nel 1941 e cura da tempo la collezione in cui presenta i migliori racconti e romanzi brevi dell’anno. In questo ricco volume offriamo ai lettori The Year’s Best SF 18, appena uscito anche in America: una vetrina delle migliori short stories pubblicate separatamente nel 2012 e raccolte nel 2013.

 

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Urania Collezione 133: Il corridoio nero

gennaio 29th, 2014

mooprevTra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo sembrò a Ryan (e non solo a lui) che il mondo fosse avviato a una catastrofe indecorosa. La terra scoppiava, rigurgitando disastri come in un romanzo di Alan D. Altieri: sicché Ryan, con la fermezza innata dell’uomo d’affari inglese, decise di sopravvivere a modo suo. Costruì un’astronave, la battezzò Hope Dempsey e con alcuni arditi partì verso la stella di Barnard. Sfortunatamente, durante la crociera nello spazio i suoi compagni ibernati morirono uno dopo l’altro. Ma era vero? Il diario di bordo tenuto da Ryan mentiva?L’astronave era mai partita? Tutto si giocava nella mente del superstite, tutto si decideva sul filo del rasoio, perché i ricordi del più duro fra gli uomini non erano che un Corridoio nero…

 MICHAEL MOORCOCK  Nato a Londra nel 1939, è stato il direttore della rivista “New Worlds” e uno dei promotori della New Wave britannica. Tra i massimi autori inglesi di sf e fantasy (genere cui ha dato la celebre saga di Elric di Melniboné), Moorcock annovera tra le sue opere il ciclo di Jerry Cornelius (iniziato con Programma finale, 1969, da cui Robert Fuest ha tratto il film Alfa Omega il principio della fine) e del Campione eterno. A quest’ultima sequenza si possono ricondurre I.N.R.I. (Behold the Man che ne è l’iniziatore nel 1966: “Urania Collezione” n. 102) e i successivi Il veliero dei ghiacci (The Ice Schooner, su rivista nel 1966-67; ed. definitiva 1969) e Il corridoio nero (The Black Corridor, 1969)

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Henry Kuttner, Lewis Padgett & signora

gennaio 29th, 2014

HotMGallegher balzò in piedi. — Protesto, signor Giudice! Questo giuramento non è valido.

Il giudice era pensieroso. — Vuole spiegarsi, signor Gallegher? Perché questo robot non dovrebbe poter prestare giuramento?

Perché un simile giuramento si adatta solo agli esseri umani.

E perché?

Perché presuppone l’esistenza dell’anima. O, per lo meno, implica una religione personale. Come può giurare un robot?

Il giudice guardò Joe. — Questione interessante, senza dubbio. Ehm… Joe, senti. Tu credi in una divinità personale?

Sì.

Il Pubblico Ministero era raggiante. — Allora possiamo procedere.

Aspetti un minuto — disse Murdoch Mackenzie, alzandosi in piedi. — Posso formulare una domanda, signor Giudice?

Si accomodi.

Mackenzie fissò il robot. — Bene, allora. Puoi dirmi com’è la tua divinità personale?

Certamente — disse Joe. — Assomiglia tutta a me.

 

Henry Kuttner, “Ex machina”

 

Nella fantascienza degli anni Quaranta, Henry Kuttner era uno degli autori più amati soprattutto per la forza dei personaggi, la vivacità dei dialoghi, la facilità con cui riusciva a passare da un genere di racconto all’altro. Se da un lato i lettori apprezzavano un certo tipo di storie kuttneriane brillanti e vagamente ispirate alla logica dell’assurdo, come quelle del super-inventore Gallegher riunite nel volume I robot non hanno la coda, dall’altro ammiravano i racconti scritti in una particolare vena di nostalgia del futuro, ad esempio “La grande vendemmia” in cui i visitatori desiderosi di forti emozioni, venuti dai prossimi secoli per assistere a qualche grande catastrofe, si aggirano tra noi con il loro suggerimento di conoscenze superiori alle nostre e tuttavia inaccessibili. E non bisogna dimenticare i romanzi avventurosi come Furia, con la loro atmosfera decadente e bizantina, né i suoi classici racconti del “mistero sovrannaturale” nella tradizione dei grandi autori del genere: Poe, Hawthorne, Mark Twain, Bierce, Henry James.

Per un certo periodo, tutti i giovani scrittori sembravano ispirarsi a Kuttner, anche talenti tra loro diversissimi come Bradbury e Vance. Anzi, si potrebbe perfino dire che per alcuni anni – da quando John Campbell si ritirò come scrittore a quando si affermò un nuovo tipo di fantascienza di più ampio respiro, rappresentato da Asimov con le sue saghe della Fondazione e dei robot, e da Heinlein con la “Storia del futuro” – Kuttner fu il più importante autore americano.

Dopo il 1950, però, venne progressivamente dimenticato, a mano a mano che la sua firma sulle riviste si diradava. Anche se la produzione di Kuttner era molto vasta, finì che i lettori degli anni Sessanta ne conoscevano soltanto qualche racconto ristampato nelle antologie più diffuse (come Il ritorno del cacciatore), ma sempre col dubbio che non fosse suo, perché si sapeva che parte di quelle storie era stata scritta dalla moglie C.L. Moore. Quanto alla produzione del genere heroic fantasy e horror, essa venne del tutto dimenticata.

Kuttner era nato a Los Angeles nel 1914. Il padre era proprietario di una libreria, ma morì quando Henry aveva cinque anni. Non si hanno molte notizie sulla sua infanzia: si sa che la famiglia si trasferì a San Francisco e che la madre faceva l’affittacamere. Il ragazzo crebbe relativamente isolato, ma pare che fin da giovane dimostrasse una grande propensione per scrivere, e in particolare per scrivere racconti a imitazione di quelli degli autori più noti.

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Allen Steele

gennaio 22nd, 2014

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Torna su “Urania” uno degli

autori più amati della moderna

fantascienza americana.

 

Nato a Nashville, Tennessee, nel 1958, Allen Steele ha eletto a sua patria letteraria un credibile mondo tecnologico in cui astronauti, tecnici e ingegneri di domani fabbricano con il metallo e l’energia, sotto i nostri occhi, immense stazioni spaziali, scali fra la terra e la luna e nuovi modelli di astronavi. E’ il cosiddetto ciclo del Ritorno allo spazio, o anche Near Space (lo Spazio vicino). Negli anni, “Urania” ha pubblicato questa sequenza per esteso, traducendo i romanzi Discesa sulla luna (Lunar Descent, 1991; n. 1270); La fortezza sulla luna (The Tranquillity Alternative, 1996; n. 1298); 2049: Contea di Clarke(Clarke County, Space, 1990; n. 1321); L’ultimo giorno di William Tucker(A King of Infinite Space, 1997;n. 1343) e Orbita Olympus (Orbital Decay, 1989; n. 1386). L’universo sul fondo (Oceanspace, 2000; n. 1411) si stacca solo relativamente dalla sequenza, introducendo una suggestiva ambientazione nello “spazio” degli oceani, ma mantenendo lo spirito dei romanzi precedenti. Un altro testo notevole è stato tradotto da Fanucci: Nel labirinto della notte (Labyrinth of Night, 1992, in “Solaria” n. 12).

Se già L’ultimo giorno di William Tucker esorbitava dai confini dello Spazio vicino, mostrando di volerne allargare gli orizzonti, il successivo ciclo del Coyote – la luna maggiore del pianeta Orso, nel sistema della stella 47 Ursae Majoris – si svolge sui binari della più classica avventura, trasportandoci nell’universo al di là del sistema solare. I romanzi di questa nuova sequenza sono, in ordine cronologico: Coyote: A Novel of Interstellar Exploration (2002), Coyote Rising: A Novel of Interstellar Revolution (2004), Coyote Frontier: A Novel of Interstellar Colonization (2005), Spindrift (2007), il romanzo breve The River Horses (2007), Galaxy Blues (2008), Coyote Horizon (2009) e Coyote Destiny (2010). Il presente Coyote può essere letto in perfetta autonomia, ma di fatto inaugura la saga in questione. Anche quando si avventura sui binari della space opera, Steele rimane uno scrittore credibile e asciutto, competente e a suo modo veristico. Un traguardo non da poco, nell’epoca dei mondi virtuali, delle realtà simulate e delle varie forme del fantasy…

 

Il sito ufficiale di Allen Steele si trova all’indirizzo http://www.allensteele.com/

 

(a cura di G.L.)

 

 

 

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Urania Collezione 132: Il pozzo dei mondi

gennaio 6th, 2014

kunitprevKlai Ford è un eccentrico milionario e i suoi racconti su spettri che appaiono e scompaiono in una comunissima miniera d’uranio possono anche non essere creduti. Ma quando Clifford Sawyer comincia a indagare, si rende conto che nel mistero c’è qualcosa di veramente insolito. E la scoperta finale è traumatica: un sottilissimo diaframma separa la Terra dai “mondi accanto”. Sawyer, travolto dalle circostanze, attraverserà la soglia per scoprire un universo di isole che galleggiano nello spazio, dove è in corso una lotta di proporzioni colossali. Perduto in una dimensione che non gli appartiene, Sawyer si rende conto che la chiave dell’enigma è il misterioso Pozzo dei Mondi, e che dal suo segreto dipendono le sorti del grande conflitto.

 

HENRY KUTTNER Nato nel 1915 e scomparso nel 1958, è stato il più grande degli autori di sf della generazione “di mezzo”, quella che segue immediatamente i maestri dell’età d’oro e prepara la fantascienza del dopoguerra. Tra i suoi capolavori ricordiamo Furia (Fury, 1947), le raccolte di racconti I robot non hanno la coda (Robots Have No Tails, 1952), Il twonky, il tempo e la follia (Ahead of Time, 1953) e i romanzi La trappola del tempo (Time Trap, 1940), L’altra realtà (The Far Reality, 1946, in collaborazione con la moglie C.L..Moore) e Il pozzo dei mondi (The Well of the Worlds, 1952). Inoltre è stato un prolifico autore di polizieschi, anche con lo pseudonimo Lewis Padgett.

 

EBOOK DISPONIBILE

 

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Urania Collana 1602 : Coyote

gennaio 6th, 2014

coyote prevLa luna maggiore del pianeta Orso, nel sistema 47 Ursae Majoris, ha il poco simpatico nome di Coyote, un animale decisamente infido. Eppure si presenta come un mondo ideale, ricco di una flora e una fauna interessantissime, tanto che l’autore, l’americano Allen Steele, ha potuto ambientarvi una lunga e popolare serie di romanzi. Questo è il primo e ci riporta alle origini della serie, quando l’astronave Alabama, rubata a un’odiosa dittatura terrestre e governata dai ribelli, comincia il suo viaggio a due decimi della velocità della luce, impiegando ben duecentotrent’anni per raggiungere la sua meta. Le sorprese cominciano al risveglio dalla biostasi, quando i membri dell’equipaggio si imbattono nel primo indovinello: il romanzo epico, i “murales” e il misterioso messaggio che Leslie Gillis – un compagno di viaggio risvegliatosi prima del tempo – ha disseminato nella nave come una folle traccia.

ALLEN STEELE Nato nel 1958 a Nashville, in Tennessee, ha vinto il premio Hugo nel 1996 e 1997 con due celebri space opera, La morte di Capitan Futuro e Where Angels Fear to Tread. “Urania” ha pubblicato molti suoi popolari romanzi: Discesa sulla Luna (n. 1270), La fortezza sulla Luna (n..1298), 2049 Contea di Clarke (n. 1321), L’ultimo giorno di William Tucker (n. 1343), Orbita Olympus (n. 1386), L’universo sul fondo (n. 1411) e Galassia nemica (n. 1566).

 

EBOOK DISPONIBILE

 

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