L’ultimo teorema (1587)

settembre 26th, 2012

fermatprev.png

Un uomo non potrà mai volare nello spazio, dicevano i saccenti. Negli stessi anni, e per lo stesso motivo, decretarono che un’astronave non potesse atterrare in Italia. Invece l’astronave Ares atterrò, “prima nave di linea regolare tra i pianeti”, e cambiò tutto. Era quella del n. 1 dei “Romanzi di Urania”, scesa su di noi il 10 ottobre 1952. Oggi, a sessant’anni di distanza e quasi 1600 numeri dopo, l’ultimo romanzo di Arthur Clarke – scritto in collaborazione con Frederik Pohl – viene a festeggiare degnamente il nostro anniversario. E se qualcuno si chiedesse: “Ma che teorema mi hai fatto?”, gli risponderemmo che si tratta del celebre teorema di Fermat, e che un giovane matematico dello Sri Lanka è il primo ad averne scoperto la dimostrazione originale. Mentre ai danni della Terra, strisciante e insidiosa, si prepara l’invasione aliena…

ARTHUR C. CLARKE (1917-2008) e FREDERIK POHL (1919) sono tra i maestri della fantascienza angloamericana. Al primo si devono romanzi come Le guide del tramonto, 2001: Odissea nello spazio, Incontro con Rama, Terra imperiale e Le fontane del paradiso. Al secondo I mercanti dello spazio, il ciclo degli Heechee (Gateway) e quello di Marte. The Last Theorem (2008) è stata la loro prima collaborazione.

Posted in Urania Collana | commenti 98 Comments »

Lo spazio è la mia patria: Arthur C. Clarke

maggio 21st, 2012

 arthur-clarke-young.jpg

 

Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973) è uno dei romanzi più affascinanti di Clarke e, probabilmente, di tutta la fantascienza.

E’ un libro che va al di là delle mode e dei calcoli di convenienza; è un capolavoro dell’avventura moderna e uno dei pochi romanzi ad aver generato tre seguiti che, per ricchezza inventiva, stanno ben alla pari con il testo originario. Questi seguiti, scritti in collaborazione con Gentry Lee, sono: Rama II, The Garden of Rama e Rama Revealed.

Il successo del libro si deve a molti fattori: le accurate ipotesi scientifiche di Clarke, oggi tornate alla ribalta con la paura degli asteroidi minacciosi vaganti nello spazio; la grandiosa immagine di un manufatto exraterrestre – di fatto, un’astronave – che tuttavia è così grande da potersi definire un mondo autonomo e misterioso; il fascino delle civiltà perdute, di cui quella ramana costituisce un perfetto aggiornamento. E naturalmente, l’emozione del primo contatto con un’altra forma di vita intelligente. Ma ci sono altre ragioni, che fanno di Incontro con Rama un nuovo tipo di avventura nello spazio paragonabile a ben pochi altri testi degli anni Settanta o anche successivi (uno di essi è il ciclo di Ringworld di Larry Niven).

I vari elementi del romanzo sono fusi con maestria nel racconto dell’esplorazione che una squadra scientifica umana intraprende a bordo dell’oggetto Rama, arrivato dai confini dello spazio e diretto verso il nostro sistema solare. Questa parte del libro è anche la più vicina allo spirito avventuroso – nel senso di avventura intellettuale – che contraddistingue il Clarke degli anni Settanta, cioè l’uomo che è da poco emerso dalla grande odissea di 2001. Il film di Stanley Kubrick, da Clarke in parte ideato, si poneva nel 1968 come un ponte gettato fra una concezione provinciale del racconto di fantascienza e la sua nuova, più complessa dimensione “multimediale”. Rendezvous with Rama continua, nel 1973, quel discorso e illustra l’idea di pluralità dei mondi, così cara alla sf come alla filosofia, da un punto di vista “alieno”, cioè dall’interno di un’architettura definitivamente estranea all’uomo. La misteriosa, impenetrabile natura di Rama è l’equivalente dell’appartamento rococò in cui è arrivato Dave Bowman in 2001: una volta, naturalmente, che siano state tolte le tende e smontati i baldacchini.

Per la fantascienza d’ambiente spaziale è una sorta di rinascita, ma su basi completamente nuove; basi che devono la loro robustezza, e certo tutta la loro originalità, al penchant metafisico di Arthur C. Clarke, già visibile nelle premesse di 2001 – e cioè nel racconto “La sentinella” – ma anche in altre opere, da “I nove miliardi di nomi di Dio” in avanti.

È accaduto così che un autore ingiustamente tacciato di arido tecnicismo si aprisse a un’esplorazione di orizzonti cosmici impensati, a visioni dell’universo che non sono per nulla aride o tecnicistiche, ma anzi ci riportano alle radici stesse della ragion d’essere della fantascienza.

Leggi tutto »

Posted in Antigravità | commenti 13 Comments »

Arthur C. Clarke, sogno imperiale

gennaio 14th, 2011

Tags:

cattura.PNG

Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

Leggi tutto »

Posted in Profili | commenti 9 Comments »

Urania Collezione 96: Terra imperiale

dicembre 29th, 2010

e2.PNG

XXII secolo: la Terra è diventata la capitale e il giardino dei mondi, un pianeta addirittura favoloso. Qui deve sbarcare Duncan Makenzie, titaniano, il rampollo della più grande dinastia di mercanti d’idrogeno. La missione è diplomatica ma il romanzo si rivelerà ricco di misteri. Come hanno scritto Carlo Fruttero e Franco Lucentini, “ci sono mille modi di fare la fantascienza, ma a uno solo si deve la sua fortuna, la sua fama, la sua stessa esistenza. È il modo che combina l’avventura con l’accurata informazione scientifica, lo stupore di fronte alla grandiosa verità della natura con la verosimiglianza dell’invenzione romanzesca. Da questi elementi base la fantascienza è nata, e continua a vivere in scrittori come Arthur C. Clarke, giustamente considerati classici”.

Arthur C. Clarke Nato in Inghilterra nel 1917, è morto nello Sri-Lanka nel marzo 2008. Il suo racconto più celebre è “La sentinella” (1953), da cui Stanley Kubrick ha tratto il film 2001: Odissea nello spazio, poi trasformato in romanzo dallo stesso Clarke (1968). Altri importanti romanzi: Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951), Le guide del tramonto (Childhood’s End, 1953), La città e le stelle (The City and the Stars, 1956, “Urania Collezione” n. 14), Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973), Terra imperiale (Imperial Earth, 1975), Le fontane del paradiso (Fountains of Paradise, 1979), Luce del passato (Light of Other Days, 2000). È imminente la pubblicazione su “Urania” del suo ultimo romanzo, The Last Theorem, scritto in collaborazione con Frederik Pohl.

(vai alla visualizzazione completa del volume)

Posted in Urania Collezione | commenti 22 Comments »

Bob Shaw, l’arte della fantascienza europea

novembre 8th, 2010

Tags: , , , , , , , , , ,

bobshawwriter.jpg

Quando “Urania” lo introdusse sul mercato italiano con Cronomoto (The Two-Timers, 1968, in realtà il suo secondo romanzo), i lettori capirono subito che quel libro denso e ingegnoso rappresentava l’avanguardia di una produzione ricca di idee. In seguito, apprezzarono come il suo autore rinverdisse i classici luoghi della science fiction con una sensibilità tutta europea; Bob Shaw era noto da tempo come attivista del fandom, il mondo degli appassionati , ed era già da alcuni anni un fan-writer, cioè una persona che pubblicava racconti lunghi o brevi senza (per il momento) fine di lucro. Ma nel 1967 aveva compiuto il balzo uscendo professionalmente con il romanzo che ripresentiamo in questo volume, Night-Walk, al quale Carlo Fruttero e Franco Lucentini attribuirono il titolo non-euclideo del Cieco del non-spazio. Per essere una prima prova è già brillantissima, e il successivo Cronomoto, e poi quel rarefatto capolavoro che è Altri giorni, altri occhi (Other Days, Other Eyes, 1972), confermarono appieno la diagnosi, giustificando le future aspettative.

Leggi tutto »

Posted in Profili | commenti 5 Comments »

Clarke, visioni dall’oceano dello spazio

dicembre 23rd, 2008

Tags: , , , , , , , , , , ,

Ospite d’eccezione su Urania Blog, la giornalista del “Manifesto” Silvana Natoli con un ritratto di sir Arthur C. Clarke (già apparso sulle pagine del supplemento culturale del quotidiano, “Alias”), di cui potete attualmente trovare in edicola nella collana “Urania Collezione” l’antologia Spedizione di soccorso.

Se fosse esistita una collana editoriale dal titolo “gli incontri che ti cambiano la vita”, Clarke avrebbe certo scritto di Kubrick (2001: Odissea nello spazio, anno di grazia 1968). Lui è già autore di romanzi importanti e quando Kubrick gli chiede un’idea, appena un’idea, per un “proverbiale buon film di fantascienza”, Clarke rispolvera un suo vecchio racconto, “La sentinella” (1948), che narra la scoperta sulla Luna di una piccola piramide, messa lì da qualche civiltà aliena, a guardia e in attesa. Di cosa? La figura enigmatica della sentinella-piramide e la domanda senza risposta, mostrano che Clarke ha compreso il desiderio di Kubrick. Poi, la genialità di Kubrick muta uno spazio, la Luna, in un contro-spazio, Giove, e la piramide in monolito, facendone la figura di una nuova mitologia, dove il massimo di futuro si genera dal passato più remoto, l’astronave dalla clava primitiva.

Simak, in Anni senza fine, vede già prefigurato nell’arco e nella freccia, segno di morte e di guerra, il destino di estinzione dell’Uomo. La clava sembra invece spingere l’Uomo in alto, verso le galassie e la gloria, ma lo prepara ad un altro genere, più sottile ed inquietante, di estinzione. I veri protagonisti del film, con Giove, il più misterioso ed alieno dei nostri pianeti, sono Hal e il Bambino delle Stelle, due mutanti…

E’ questo, soprattutto, che Clarke e Kubrick hanno in comune, d’essere refrattari al “troppo umano”. Sono i mondi che li affascinano, e gli esperimenti al limite del possibile. Come nel bellissimo Incontro con Rama (1973) di Clarke, mondo-astronave che viaggia tra le stelle, alieno ed enigmatico come il monolito, imprendibile dagli uomini. Anche Rama è una domanda senza risposta. O come nell’esperimento di città del futuro (La città e le stelle, 1956), luogo iper-tecnologico e claustrofobico, alienità costruita dall’uomo, dove il tempo è circolare e la vita sterilizzata. Poi Clarke ha moltiplicato le Odissee, ma i cicli sono sempre pericolosi: se la prima è notevole perché clona il film, il resto della quadrilogia è mediocre. Si può anche ipotizzare che Kubrick sia il genio e Clarke il talento, secondo la mirabile definizione di Carmelo Bene, per cui il talento fa quello che vuole e il genio quello che può. Tra le idee più interessanti delle varie Odissee vi è il racconto di una missione congiunta di russi e americani, alla ricerca del monolito, la dedica ai sovietici Alexej Leonov, cosmonauta e Andrej Sakharov, scienziato e premio Nobel: il tutto nel 1983, in piena guerra fredda… E tra le idee più divertenti, l’invenzione della prima Cattedra Virtuale e delle prime Guide Turistiche ai Sistemi Solari.

Clarke è un esperto scienziato, laureato in matematica e fisica al King’s College di Londra, membro della British Interplanetary Society, autore di studi pionieristici sulla comunicazione intersatellitare, premiato con numerosi riconoscimenti scientifici. Quando lo scrittore e lo scienziato in lui, non si giustappongono e non prevarica la tentazione didascalica, quando la sua intelligenza scientifica si traduce in narrazione e visione, la scienza funziona come una condizione di possibilità. Gli permette di spostare costantemente i confini e di moltiplicare la domanda-tipo della fantascienza: “e se…?”.

La credibilità di cui Clarke ha goduto nella comunità scientifica ha riguardato, in maniera inseparabile, il suo lavoro di fisico e quello letterario. Anzi, è tra scienziati ed astronauti che ha avuto i lettori più entusiasti. All’epoca del film con Kubrick non erano neanche iniziate le missioni verso Giove e nessuno aveva ancora immaginato quel gigantesco pianeta e i suoi terribili e inquietanti satelliti, Europa Ganimede e Callisto. Nel ’70 gli astronauti di Apollo 13 raccontano di avere battezzato “Odissea” il modulo di comando e d’aver ascoltato, durante il viaggio, “Zarathustra” di Richard Strauss. Quando il modulo Falcon di Apollo 15 scende sulla Luna, gli astronauti regalano a Clarke la mappa in rilievo della zona di atterraggio, con l’iscrizione: “Ad Arthur Clarke dall’equipaggio di Apollo 15, con molti ringraziamenti per le sue visioni dello spazio”. L’università dell’Illinois si è spinta fino ad organizzare feste di compleanno di Hal… Ma l’omaggio più importante è avere dato il suo nome all’Asteroide 4923, scoperto nel 1981. Lui dichiarò che avrebbe preferito l’Asteroide 2001, ma che ahimé, “era stato assegnato a un tizio di nome Einstein…”.

Tutta l’opera di Clarke è disseminata di invenzioni, a volte estrapolate dalle ricerche scientifiche, a volte anticipatrici e profetiche: i wormhole, visualizzatori del tempo; il sistema di propulsione a mini-buchi neri; il vuoto che non è vuoto, ma ribollente di energie; gli ascensori spaziali, ispirati a vari progetti di anelli intorno al mondo e torri orbitali. Quando, con la navetta Atlantis (1992) si progetta un piccolo reale passo verso l’ascensore spaziale, l’equipaggio lo annuncia in conferenza stampa esibendo il romanzo di Clarke Le fontane del paradiso (1979). Che è il vero romanzo dello Sri Lanka, dove Clarke ambienta una storia doppia e sdoppiata tra il presente tecnologico e il passato mitologico dell’isola: un ascensore spaziale, costruito nel cuore dell’antica Ceylon, si eleva costeggiandone la montagna più alta, lo Sri Pada, la cui cima raggiunge i 2240 metri, e la sua storia si intreccia alle antiche leggende e mitologie della Montagna Sacra.

Nello Sri Lanka Clarke si è trasferito fin dal 1956, affascinato dall’oceano e dalla biologia marina, cui dedica due libri, “I guardiani del mare” (1957) e “Le porte dell’oceano” (1963). L’acqua ha un posto speciale tra i temi fondanti della fantascienza, con i mondi d’acqua di Lem (Solaris) e Ballard (Il mondo sommerso) per esempio e persino con il mondo di sabbia di Herbert (Dune) nonostante, e proprio perché, essa manca del tutto: “nella lingua di Dune la parola ‘annegato’ non esiste”. In Clarke l’attrazione per l’acqua è antica, anche Rama a suo modo è un oceano che viaggia tra le stelle, un oceano cilindrico con l’acqua che sale verso l’alto anziché cadere, e rotea circolarmente. Ne La città e le stelle, in un remoto futuro, nel lago (acqua) che è il cuore della vecchia Terra appare, come sospeso, un grande pesce argenteo: sembrava, scrive Clarke “l’essenza della forza e della velocità. Qui, incorporate nella carne viva, c’erano le linee slanciate delle grandi astronavi che avevano solcato i cieli della Terra”.

In quest’isola Clarke si costruisce una casa e vi resta fino alla morte. E’ un’isola selvatica, giungla e savana, acque indomabili e tsunami: “E’ singolare – scrive – udire l’Oceano Indiano sferzato dai monsoni ruggire a pochi metri dalla mia finestra…”. E’ il suo “oriente” personale, ma non ha niente a che vedere con le piccole mitologie occidentali, con i turismi esotici. Come per altri artisti, e scienziati e filosofi, l’oriente è un necessario spaesamento del pensiero. Il confronto con una cultura e sensibilità altra (eterotopia), con un sistema simbolico differente, decentra la propria visione delle cose, incrina il senso, rimette in gioco l’intelligenza, la rende impermeabile agli assoluti, soprattutto religiosi: “la religione – scrive Clarke – è un sottoprodotto della paura, una reazione a un universo misterioso e spesso ostile (…) e la paura conduce alla crudeltà. Il solo sapere che è esistita l’Inquisizione dovrebbe indurre chiunque a vergognarsi di appartenere alla razza umana”. L’assoluto è una risposta, che si crede veritiera e definitiva, e le risposte, scrive Herbert, “sono una presa pericolosa sull’universo. Sradica le tue domande dal loro terreno, e ne vedrai penzolare le radici. Altre domande!”.Silvana Natoli

Posted in Orizzonti, Profili | commenti 5 Comments »

Arthur C. Clarke

dicembre 18th, 2008

Tags: , , , , , , , , , , , , ,

Un profilo del maestro dell’hard sci-fi tracciato da Giuseppe Lippi.

Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

Del resto, nell’Inghilterra degli anni Cinquanta Arthur già parlava di astronavi e satelliti geostazionari per telecomunicazioni: vale a dire oggetti che, messi in orbita come il primo Sputnik, ruotassero in sincrono con il pianeta e potessero diffondere in un emisfero le trasmissioni ricevute dall’emisfero opposto, superando l’ostacolo della curvatura terrestre. Né si trattava di semplici fantasie: il progetto del satellite geostazionario è oggi ufficialmente attribuito a Clarke, che ne ha parlato nei suoi libri di divulgazione e ha sostenuto la fattibilità del volo spaziale fin da opere come The Exploration of Space (1951) e Il volto del futuro (1955, il cui titolo originale suona appunto “The Challenge of the Spaceship”: la sfida dell’astronave). In una recente intervista Clarke ha dichiarato di aver saputo dalla segretaria di Wernher von Braun, Carol Rosin, che il grande scienziato tedesco si basò proprio su The Exploration of Space per convincere il presidente Kennedy della fattibilità del viaggio sulla luna. Leggi tutto »

Posted in Profili | commenti 3 Comments »

Urania Collezione 71: Spedizione di soccorso

dicembre 4th, 2008

Tags: , , , , , , ,

“Urania Collezione” rende omaggio a uno dei grandi maestri del genere, il padre dell’hard sci-fi scomparso lo scorso marzo: sir Arthur C. Clarke.

Considerato l’autore più popolare della SF inglese, Arthur Clarke ha legato per sempre il suo nome all’avventura di 2001: Odissea nello Spazio, di cui scrisse romanzo e sceneggiatura nel 1968. Ma Clarke, scomparso nel marzo di quest’anno all’età di novant’anni, è anche un celeberrimo autore di racconti, e “Urania Collezione” non poteva non rendergli omaggio con un volume che contenesse alcune delle short stories più belle. Accanto all’indimenticabile suspense di “Spedizione di soccorso” sfilano capolavori come “Lezione di storia”, “Estate su Icaro”, “La stella” e, soprattutto, “I nove miliardi di nomi di Dio” nella classica traduzione di Carlo Fruttero.

Indice del volume: Urania Collezione n. 71

Arthur C. Clarke
SPEDIZIONE DI SOCCORSO

 9 SPEDIZIONE DI SOCCORSO
 49 LEZIONE DI STORIA
 63 SUA ALTEZZA SPAZIALE
 81 SUPERIORITÀ
 99 PRIMA DELL’EDEN
 117 ESTATE SU ICARO
 135 GLI ANELLI DI SATURNO
 153 SEGUENDO LA COMETA
 171 LA NUBE
 183 LA STELLA
 195 I NOVE MILIARDI DI NOMI DI DIO

 207 Arthur C. Clarke

Nato in Inghilterra nel 1917, Arthur C. Clarke è morto nello Sri-Lanka nel marzo 2008. Dal suo racconto “La Sentinella” (1953), Stanley Kubrick ha tratto il film 2001: Odissea nello Spazio. Altri importanti romanzi: Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951, tradotto sul primo numero dei “Romanzi di Urania”), La città e le stelle (una cui prima versione risale al 1952 ed è intitolata Against the Fall of Night, mentre la versione definitiva The City and the Stars è del 1956), Le guide del tramonto (Childhood’s End, 1953), Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973), Terra imperiale (Imperial Earth, 1975), Le fontane del paradiso (Fountains of Paradise, 1979).

[Vai alla quarta di copertina.]

Posted in Urania Collezione | commenti 43 Comments »

Le (altre) donne della SF italiana

dicembre 17th, 2022

Tags: , , , , , , , , , ,

Le (altre) donne della SF italiana

di Giulia Abbate

 

Dopo l’uscita dell’articolo “Le donne della SF italiana”, sul Millemondi “Primo Contatto” di luglio 2022, ho avuto diversi e interessanti confronti: più persone mi hanno raccontato di essere state invogliate a nuove letture, e di voler riscoprire le scrittrici citate. Sono profondamente grata a chi me lo ha detto, e anche a chi mi ha permesso di essere tramite di una riscoperta, e anche oggi mi ospita sulle pagine ‘ufficiali’ di Mondadori. Grazie a loro, posso aggiungere un nuovo tassello a quello già posato.

Un primo scopo che mi prefiggo nel riprendere il filo è quello, doveroso, della rettifica.

Ho commesso un paio di imprecisioni, nel pezzo di luglio, che è bene che corregga, anche perché la sfortuna ha voluto che riguardino una sola persona: Enrica Zunic’.

Ho scritto: “Enrica Zunic’ condivide con Treves una menzione al premio Omelas.” Ho sbagliato: il premio Omelas vede Enrica Zunic’ tra le organizzatrici.

Ho inoltre omesso il suo nome tra le autrici dell’antologia “Materia Oscura”, dove Zunic’ è presente con il racconto “Di fango e di fuoco”.

Per questi errori rivolgo all’autrice le mie più vive scuse.

Un altro scopo di questo aggiornamento è: l’integrazione. L’articolo di luglio aveva un taglio preciso, si concentrava su autrici e operatrici che con la fantascienza avevano avuto un rapporto stretto, importante e il più delle volte ‘dall’interno’, eccezion fatta per alcune accademiche o autrici mainstream, la cui citazione concorreva alla creazione di un discorso storico e organico. Ma quando si decide di guardare in una direzione, inevitabilmente se ne escludono altre, che qui intendo almeno prefigurare: con nomi di donne che hanno contribuito al lavoro di divulgazione e critica della SF in modi diversi da quelli già considerati.

Leggi tutto »

Posted in Comunicazioni di servizio, Dispacci, Fantascienza | commenti 4 Comments »

Onryo – Gli autori

gennaio 12th, 2012

japan-flag.gif

Masako Bando. È con lei, nata nel 1958, con Hideaki Sena e con l’autore di Ringu Koji Suzuki che il moderno horror giapponese s’impone agli inizi degli anni Novanta dapprima come corrente letteraria che gode di un immenso successo nel paese e che in seguito, grazie anche a film, manga (fumetti) e videogiochi, diventa quel  fenomeno di portata mondiale definito horror japanesque. La novità delle opere di Bando consiste nella riscoperta delle tradizioni del folklore della sua terra. Dopo l’esperienza di studio all’estero, ritornata in patria, comincia a scrivere delle fiabe pian piano rendendosi conto di come un grande patrimonio di leggende e tradizioni popolari dalle infinite possibilità narrative resti ignorato e decidendo di compiere un lavoro di riscoperta. Sebbene i suoi romanzi siano innegabilmente impregnati di atmosfere horror e soprannaturali, allo stesso tempo si riscontra una descrizione assai attenta della vita contadina scandita da un ripetersi di gesti immutati nel tempo. Lo sfondo delle sue storie non sono solitamente gli estesi centri metropolitani giapponesi, bensì località rurali distanti dalla capitale Tokyo (spesso si tratta di luoghi dell’isola di Shikoku nella quale la scrittrice è nata) dove gli aspetti più invasivi della modernità sono assenti o perlomeno poco percepiti. La tecnologia è quasi del tutto nulla e comunque mai un elemento centrale. Il nucleo del racconto s’avvolge e s’innesta su una leggenda o una storia appartenente al folklore locale che funge da supporto per gli eventi che la scrittrice vuole raccontare. Un altro elemento assai importante è la descrizione del rapporto sentimentale uomo-donna spesso analizzato dal punto di vista femminile. L’abilità di scrittura di Bando è notevole, il suo stile preciso ed efficace, le descrizioni sempre acute e profonde. Ma non si deve rimanere sorpresi. Come scrivevamo più sopra,  in Giappone la differenza tra jun bungaku (letteratura pura) ed entateinmento bungaku (letteratura di genere) verte sui filoni trattati e non sulle capacità narrative degli scrittori appartenenti a questi due grandi gruppi. I confini spesso sono assai labili e anche un autore come Haruki Murakami è in realtà collocabile in entrambe le letterature. Identico discorso vale per Bando, soprattutto in considerazione dei suoi ultimi lavori in cui, abbandonato l’elemento fantastico, si concentra su storie che descrivono i sentimenti che legano uomini e donne e nelle quali l’eros rappresenta una forte componente.
Nel 1982 vince la settima edizione del Premio per gli esordienti Mainichi dowa. Nel 1993 pubblica il romanzo horror Shikoku (Il paese dei morti) – trasposto anche in film -, cui segue una lunga serie di volumi. Nel 1994 con Mushi (Insetti) si aggiudica il premio «opera eccellente» nella prima edizione del Gran premio del romanzo horror giapponese. Nel 1996 con Sakuraame (La pioggia di ciliegi) vince la terza edizione del Premio letterario Shimase ren’ai e con Yamahaha (La madre delle montagne) l’anno seguente si aggiudica la centosedicesima edizione del prestigioso Premio Naoki. Nel 2002 con Mandarado (La via del mandala) vince poi la quindicesima edizione del Premio Shibata Renzaburo. Senza dubbio Masako Bando è una delle autrici più valide ed interessanti della letteratura giapponese contemporanea.

Inoue Masahiko. Lo scrittore nasce a Tokyo nel 1969. Nel 1981 con la novella sugli spiriti Shobosha ga okurete (L‘autopompa ritarda) attrae l’attenzione dell’autore di gialli Michio Tsuzuki (1929-2003) e vince la terza edizione del Premio Lupin.  Nel 1983 con Yokeina mono ga (L’essere in più), racconto dell’orrore sperimentale, si aggiudica il premio «opera eccellente» all’Hoshi Shin’ichi short short contest iniziando così la sua brillante carriera di scrittore. Inoue si è dedicato in particolare modo alla stesura di racconti brevi o cortissimi – short short – incentrati sul fantastico e sul soprannaturale arrivando ad avere al suo attivo centinaia di storie pubblicate, non tralasciando comunque di scrivere romanzi come Ijinkan no fantazuma (Il fantasma del palazzo degli stranieri, 1991), immaginaria biografia della giovinezza di Van Helsing trascorsa nella città di Nagasaki poco prima dell’apertura del Giappone all’Occidente nel 1868. Tra le sue raccolte di racconti vanno sicuramente menzionate Igyo hakurankai (Esposizione bizzarra, 1994), Gaikotsujo, (Il castello degli scheletri, 1995), Kyofukan shujin (Il padrone del palazzo della paura, 1996), 1001 byo no kyofu eiga (Film paurosi da 1001 secondi, 1997, 2005) che riunisce novelle incentrate sui film horror inizialmente pubblicate nell’edizione giapponese della rivista FANGORIA, Kirei (Spiriti leggiadri, 2000), Kimyona genju jiten (Dizionario delle bizzarre bestie fantastiche, 2002) e Roman (Roman, 2004). Per lo sviluppo delle novelle di fantascienza, fantasy e horror, dal 1997 ha ideato e personalmente curato una serie di antologie tematiche dal titolo generale di Igyo korekushon (Freak Out Collection-Collezione bizzarra) che ha ormai superato i quaranta volumi divenendo la più ampia serie antologica di racconti originali di letteratura fantastica al mondo. Per tale ciclopico lavoro, già nel 1998 gli è stato conferito il premio speciale della diciannovesima edizione del Gran premio della fantascienza giapponese. Suoi lavori sono stati editi su varie prestigiose riviste letterarie sia di genere che mainstream.

Sakyo Komatsu. Vero nome Minoru Komatsu, lo scrittore nasce a Osaka nel 1931 e trascorre la giovinezza nella città di Kobe. La Divina Commedia di Dante Alighieri (1265-1321) letta durante la scuola media inferiore influenza fortemente la sua visione di un universo fantastico. Si iscrive all’Università di Kyoto dove si laurea in letteratura italiana con una tesi su Luigi Pirandello (1867-1936) al quale, successivamente, dedica anche un racconto. Durante l’università frequenta diversi intellettuali, registi e scrittori, collaborando inoltre con varie riviste letterarie amatoriali. Entra anche a far parte del partito comunista da cui poi però si dissocia. Disegna alcuni manga come Iwan no baka (Ivan lo scemo) e Daichi teikai (Il mare sul fondo della terra) pubblicati con lo pseudonimo di Minoru Mori. Il manga è una forma espressiva verso la quale continuerà sempre a nutrire un profondo interesse. Terminati gli studi nel 1954, cambia più volte lavoro. Decisivo si rivela il suo incontro con la rivista S-F magajin della Hayakawa Shobo che gli permette di trovare un editore attento e interessato al tipo di letteratura che intende sviluppare. Nel 1961, con la pubblicazione di Chi ni wa heiwa o (Pace in terra), si fa conoscere come autore d’avanguardia della SF giapponese. Nel 1971 con il volume Tsugu no wa dare ka? (Chi ci succederà?) si aggiudica la seconda edizione del Premio Seiun. Premio di cui vince anche la quarta edizione nel 1973, la settima edizione nel 1976 e la nona edizione nel 1978 grazie rispettivamente ai racconti Kessho seidan (La costellazione di cristallo), Vomiisa (Vomisa) e Gorudiasu no musubime (Il nodo di Gordio). Ottiene poi, nel 1983, un altro premio alla quattordicesima edizione del Premio Seiun per merito del romanzo Sayonara Jupita (Bye-bye, Jupiter). Nel 1974 Nihon chinbotsu (Il Giappone affonda), forse la sua opera più famosa e rappresentativa dove l’autore immagina lo sprofondamento in mare dell’arcipelago nipponico – tradotta in inglese, francese, spagnolo, russo, cinese, coreano, e in diverse altre lingue ma non ancora in italiano -, vince contemporaneamente la ventisettesima edizione del Premio dell’associazione degli scrittori di giallo del Giappone e la quinta edizione del Premio Seiun. Fino a oggi in patria ha venduto più di quattro milioni di copie. Nihon chinbotsu è un classico riconosciuto della fantascienza mondiale ed è stato trasposto in un film di grande successo nel 1973 e nuovamente nel 2006. Anche da diversi altri suoi lavori sono state tratte delle pellicole, sceneggiati televisivi e fumetti. Nel 1985 grazie a Shuto shoshitsu (La sparizione della capitale), opera nella quale descrive lo stato di panico in cui precipitano i giapponesi di fronte all’improvvisa e misteriosa scomparsa di Tokyo, si aggiudica la sesta edizione del Gran premio della fantascienza giapponese. Nel 1990 gli è stato consegnato il Premio per la cultura di Osaka. Impegnato nel promuovere a livello popolare l’importanza della ricerca spaziale e fervente sostenitore di varie iniziative sociali e culturali, con Shin’ichi Hoshi  (1926-1997) e Yasutaka Tsutsui è considerato uno dei tre grandi scrittori della fantascienza nipponica. Le sue opere non sono soltanto di genere fantascientifico, ma anche fantastico e storico-soprannaturale. Nel 1981 fonda con un capitale sociale di trenta milioni di yen la società IO Corporation che si occupa di promuovere attività di vario tipo. Nel 2000 è stato istituito il Premio Komatsu Sakyo per le opere di letteratura SF, fantasy ed horror e dal 2001 viene pubblicata la rivista trimestrale Komatsu Sakyo magajin (Komatsu Sakyo magazine). La casa editrice dell’Università Internazionale Josai ha iniziato a stampare la sua opera omnia di cui sono previsti cinquantacinque volumi. Komatsu è stato scelto come ospite d’onore insieme con David Brin per Nippon 2007, la sessantacinquesima Worldcon (World Science Fiction Convention) di Yokohama del 2007. E’ morto nel luglio 2011 durante la preparazione di questo volume. All’asteroide 6983 scoperto da Takao Kobayashi nel 1993 è stato dato il nome di Komatsusakyo.

Hiroko Minagawa. Nata a Seoul nel 1930 durante l’occupazione nipponica della Corea; suo padre era un medico giapponese che aveva ricevuto l’incarico di professore associato del dipartimento di medicina dell’Università Imperiale fondata nella capitale coreana. Dopo il diploma Minagawa si iscrive al corso di letteratura inglese della facoltà di lingue straniere dell’Università Cristiana Femminile di Tokyo senza però portare a compimento gli studi. Nel 1970 con Kawato (I Kawato) vince la seconda edizione del Premio per la letteratura per l’infanzia Gakken nella sezione opere non di narrativa. Nel 1972 esordisce come scrittrice con il volume per ragazzi Umi to jujika (Il mare e la croce) ambientato agli inizi del periodo Edo dove affronta temi quali la libertà religiosa e il senso della vita umana. Oggi il libro è incluso nella lista dell’International institute for children’s literature di Osaka come una delle cento migliori opere di letteratura per ragazzi pubblicate nel Sol Levante tra il 1946 ed il 1979. Lo stesso anno un altro suo lavoro, Jan Shiizu no boken (Le avventure dei Jan Seez), arriva in finale al Premio Edogawa Ranpo e, nel 1973, con il racconto Arukadia no natsu (L’estate in Arcadia), storia di una adolescente inquieta che alleva un gufo nella sua cameretta, riesce ad aggiudicarsi la ventesima edizione del Premio per gli esordienti Shosetsu Gendai indetto dall’editore Kodansha. Tale riconoscimento rappresenta il suo debutto come scrittrice professionista. Nel 1985 vince la trentottesima edizione del Premio dell’associazione degli scrittori di giallo del Giappone grazie al romanzo Kabe-tabishibai satsujin jiken (Il muro-Il caso degli omicidi del teatro itinerante), poi nel 1986 la novantacinquesima edizione del Premio Naoki con Koibeni (Lo scarlatto dell’amore), romanzo storico che descrive la passione della protagonista per l’uomo di cui è innamorata sullo sfondo delle case di piacere delle città di Edo e Nagoya, nel 1990 la terza edizione del Premio Shibata Renzaburo con Baraki (Il lutto delle rose), raccolta di racconti fantastici incentrati sulle storie di alcuni attori e attrici di teatro, e nel 1998 la trentaduesima edizione del Premio Yoshikawa Eiji tramite il romanzo giallo fantastico Shi no izumi (La fonte della morte) ambientato nella Germania della seconda guerra mondiale. Da Shi no izumi sono stati tratti anche degli spettacoli teatrali.  Ha scritto opere che vanno dalla narrativa fantastica fino al romanzo storico, dalla letteratura gialla a quella sentimentale. Il volume Futari Okuni (Le due Okuni) è stato trasposto nel musical di grande successo Okuni replicato più volte nell’ultima decina di anni e incluso pure negli eventi dell’Expo 2005 di Aichi.

Nanami Kamon Scrittrice e saggista laureatasi nella prestigiosa Università d’arte Tama di Tokyo, dopo aver lavorato come curatrice presso un museo di belle arti si è dedicata professionalmente alla scrittura debuttando nel 1992 con il romanzo Hitomaru chofukurei (Ordine di contrastare il male per Hitomaru), primo di un ciclo di quattro libri. Le sue opere sono in genere incentrate sul tema dell’horror e delle storie di fantasmi del cui filone rappresenta una delle maggiori scrittrici giapponesi contemporanee. È inoltre nota per i suoi reportage relativi alle antiche magie giapponesi e al feng shui, argomenti dei quali ha una profonda conoscenza.

Tra i molti libri da lei pubblicati si ricordano le raccolte di racconti sovrannaturali Ko (La maledizione degli insetti, 1996) che riunisce cinque storie dell’orrore di ambientazione scolastica, Tokoyozakura (Il ciliegio eterno, 2002) formato da storie legate tra loro nelle quali il giovane protagonista si muove tra la realtà e il mondo soprannaturale superando anche la barriera del tempo e Owasuremono (L’oggetto dimenticato, 2006) antologia composta di otto storie in cui presenze spettrali irrompono negli spazi bui della vita di tutti i giorni, i romanzi 203 goshitsu (La stanza 203, 2004) che vedono una giovane studentessa andare ad abitare da sola in un appartamento dove si manifestano inquietanti fenomeni inspiegabili, Mari (Mari, 2005) dove l’incubo di una donna inizia nel momento in cui incontra un suo amico d’infanzia sposatosi di recente, e Iwaiyama (Il monte della celebrazione, 2007), un “real horror” basato su vicende sperimentate personalmente dall’autrice. Ci sono poi i tre libri di saggi dal titolo generale di Uwasa no shinbutsu (Dicerie su Dei e Buddha, editi rispettivamente nel 1998, 1999 e 2007) nei quali descrive i luoghi dove si manifestano gli spiriti. Ha al suo attivo più di una settantina di volumi pubblicati. Molte delle sue storie si basano su esperienze da lei realmente vissute.

Yoshiki Shibata Nata a Tokyo nel 1959, si è laureata all’Università Aoyama Gakuin in letteratura francese. Con il suo primo romanzo RIKO  Viinasu no eien – (RIKO – L’eternità di Venere) nel 1995 si aggiudica la quindicesima edizione del Premio Yokomizo Seishi per il mystery. È questo l’inizio della sua sfolgorante carriera di scrittrice. Il ciclo dell’ispettrice Murakami Riko, pur richiamando nostalgicamente le atmosfere degli anni Settanta, è basato su una vena di completa originalità presentando una poliziotta madre single, personaggio estremamente umano capace di affascinare il cuore del pubblico e di portare l’autrice al successo. Si compone, oltre che dal sopraccitato volume, dei romanzi Madonna no fukaki fuchi (Il profondo abisso della Madonna) e Daiana no asaki yume (Il sogno leggero di Diana) editi rispettivamente nel 1996 e nel 1998. Negli anni seguenti, pur continuando di preferenza a occuparsi di letteratura gialla, Shibata pubblica libri che spaziano dal romanzo sentimentale all’horror, dalla fantascienza fino ad arrivare al racconto fantastico ottenendo un vasto consenso tra i lettori. Tra le sue numerose opere si ricordano il ciclo fantastico avventuroso iniziato con Ento (City Inferno) composto di quattro libri, la divertente serie che vede come io narrante il gatto investigatore Shotaro il quale vive con la scrittrice di gialli Hitomi Sakuragawa incominciata con il volume Yukino sanso no sangeki (Tragedia allo chalet Yukino), il ciclo horror in quattro romanzi Riaru 0 (Rial 0) relativo a una serie di inspiegabili omicidi seriali che prende il via con Yubi (Dita), il giallo a fondo rosa Futatabi no niji (Di nuovo l’arcobaleno) dove la proprietaria di un piccolo locale che serve piatti tipici di Kyoto si occupa di risolvere i problemi dei suoi avventori, V Virejji no satsujin (Omicidio a V Village) con protagonista la vampira detective giapponese Megu, il mystery Shojo-tachi ga ita machi (La città dov’erano le ragazze), il fantasy Ja (Serpenti), Kanransha (La ruota panoramica) dove un’investigatrice privata che non vuole rassegnarsi alla misteriosa scomparsa del marito si occupa di risolvere dei casi intricati, l’antologia dell’orrore Yoruyume (Sogni notturni) e il romanzo fantascientifico Kosode nikki (Diario del kimono a maniche corte) che narra di viaggi nel tempo. Ha al suo attivo più di una settantina di volumi pubblicati. Da alcuni dei suoi lavori sono state realizzate delle produzioni televisive come, ad esempio, da Futatabi no niji trasposto nel 2005 in un serial di ventiquattro puntate dalla NHK, la RAI giapponese, con il titolo di Nanairo no obanzai (Il piatto dei sette colori).

it.jpg

E veniamo ai sei autori italiani che affiancano la formazione  giapponese. Cominciamo dal primo curatore del volume,

Massimo Soumaré:  nato a Torino nel 1968, Massimo è traduttore, scrittore, curatore editoriale e di mostre d’arte, insegnante di lingua giapponese e ricercatore indipendente. Collabora con riviste specializzate sulle culture orientali quali Quaderni Asiatici (Centro di Cultura Italia-Asia «G. Scalise») e A Oriente! (La Babele del Levante), per cui ha anche curato il numero bilingue relativo al Giappone (2002), con riviste di cultura letteraria italiane e giapponesi come LN-LibriNuovi (CS_libri), Semicerchio (Le Lettere), Studi lovecraftiani (Dagon Press), Ronza (Asahi Shinbunsha), Komatsu Sakyo Magazine (IO Corporation) e cultura cinematografica come Nocturno (Cinema Bis Comunication). Ha redatto le note di letteratura giapponese moderna per il Grande dizionario enciclopedico Nova della casa editrice UTET (2001) riedito nel 2003 con il titolo di L’Enciclopedia (La Biblioteca di Repubblica, La Repubblica). Ha inoltre tradotto varie opere di molti scrittori giapponesi moderni e contemporanei quali Ken Asamatsu, Osamu Dazai, Kaori Ekuni, Hideyuki Kikuchi, Miyuki Miyabe, Kenji Miyazawa, Riku Onda, Michizo Tachihara, Yasutaka Tsutsui, Kyusaku Yumeno ecc., numerosi saggi, curato dibattiti tra scrittori italiani e giapponesi. Come autore suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie quali ALIA (CS_libri), Fata Morgana(CS_libri), Tutto il nero del Piemonte (Noubs) e Igyo Collection (Kobunsha) e sue opere sono state tradotte e pubblicate in Cina, Giappone e USA. Due suoi saggi sono stati inclusi anche in Sekai no SF ga yatte kita!! Nipponkon fairu 2007 (È arrivata la fantascienza mondiale!! Nippon convention file 2007), volume sugli eventi organizzati dalla SFWJ (L’Associazione degli Scrittori di SF e Fantasy giapponesi) nel corso della prima Worldcon asiatica di Nippon 2007 a Yokohama. Il libro ha vinto nel 2009 il Premio Seiun nella sezione non-fiction.
È perito ed esperto come traduttore ed interprete per la lingua giapponese per la Camera del commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Torino. Insegna lingua giapponese presso il CentrOriente di Torino e la Fondazione Università Popolare di Torino.

Altro curatore è Danilo Arona, classe 1950. Scrittore e saggista di lunghissimo corso (ha iniziato a scrivere e a pubblicare negli anni Settanta), Danilo è laureato in filosofia a indirizzo psicanalitico, musicista e giornalista. Il suo incontro con il mondo dell’horror risale al decennio precedente, complici i “Racconti di Dracula” delle Edizioni Farolfi e il seminale film Psyco di Alfred Hitchcock, visionato all’età di undici anni. Da lì ne dedusse che la sua vita sarebbe stata vissuta all’insegna della paura, s’intende ovviamente quella catartica da intrattenimento. E sotto il profilo editoriale non si è fatto mancare quasi nulla, avendo scritto nel corso di quasi quarant’anni saggi, romanzi, racconti, testi critici cinematografici, prefazioni, post-fazioni, cataloghi e altro ancora. E’ stato giurato nel 1980 al Festival del cinema fantastico e del terrore di Sitges. Della sua vasta produzione editoriale i titoli cult sono: Cronache di Bassavilla, Finis Terrae e L’estate di Montebuio. La sua prima storia di fantasmi edita risale al 1985 e s’intitola Un brivido sulla Schiena del Drago, in cui s’immagina una vasta zona dell’autostrada A 26 infestata da un megaspettro – il Godiasca – in grado di provocare catastrofi. Da allora elabora sempre più raffinate declinazioni del mondo invisibile: da Melissa a Miss Continental, da Tulpa alla Blue Siren, per arrivare al tenerissimo fantasma proposto in questo pagine, una bellissima bionda di cui conosciamo solo il nomignolo “Vale”(forse in vita si chiamava Valentina, chissà…).

Presenza di rango, ancora torinese (ma non a caso la capitale sabauda è anche notoria città di spettri…), è quella di Alessandro Defilippi, psicanalista junghiano, collaboratore del supplemento letterario Tuttolibri del quotidiano “La Stampa”, che ha pubblicato con Sellerio e Passigli straordinari lavori come  Una lunga consuetudine, Locus Animae e Le perdute tracce degli Dei. Storie d’intelaiatura gotica, sempre ai confini del reale. Ma esiste un Defilippi che non ha paura di entrare a gamba tesa nel diafano mondo del “sesto senso”: è quell’autore che ci ha regalato perle come Bambini, La dama nera e lo stupendo Berggasse 19 (nel quale il dottor Freud ha un’esperienza ravvicinata con una certa Melissa…) e che qui è presente con un racconto sognante quanto gelido, una fiaba nera che profuma al contempo tanto di «J-Horror» quanto di Piemonte.

Stefano Di Marino non è scrittore che necessita di molte presentazioni. Stefano – lui con i suoi tanti “Alias” – è un pezzo, il pezzo forte, del nostro immaginario. Ormai impossibile da contenere nel territorio per quanto vasto dell’action/thriller, grazie al quale ci ha regalato capolavori come Il sangue versato, Lacrime di drago, Quarto Reich e la lunga, serratissima, serie de Il Professionista, Stefano è negli ultimi anni impegnato in un lavoro di sottile contaminazione tra il gothic e la spy story con titoli al cardiopalma quali Vladivostock Hit e Tempesta sulla città dei morti. Peraltro, essendo anche uno dei massimi esperti italiani di cultura giapponese, è giocoforza trovare il suo nome tra i dodici autori qui proposti. Il “fantasma” che ci presenta, in ossequio alla dibattuta fisicità degli spettri giapponesi, viaggia ai confini del mito, laddove larve e demoni coabitano nel loro ancestrale disegno di attacco all’umanità. Adrenalina pura.

Un vero e proprio “omaggio” agli onryo è quello di Angelo Marenzana, che ha forse scritto La donna dai capelli ramati ancora sotto l’influenza di Melissa (come Stefano Di Marino, ha partecipato all’antologia Bad Prisma, dedicata alla regina dei fantasmi della strada), ma confessa anche di non avere mai visto al cinema un film come Shutter (un ottimo film tailandese) o il suo remake “giapponesizzato”, e sotto questa luce il suo contributo ci suona significativo quanto sinistro. Angelo, piemontese come Arona e Defilippi, ha firmato romanzi noir come Tre fili di perle, Destinazione Avallon, Legami di morte, Buchi neri nel cielo ed è presente in decine di antologie quali Omissis, La legge dei figli, Tutto il nero del Piemonte, La Tierra de los Caidos e Bersagli innocenti. Ricordatevi di lui se nelle notti oscure e nebbiose state viaggiando da soli per una strada secondaria e di colpo sentite un forte odore di benzina…

Infine, Samuel Marolla, autore rivelazione dell’Horror Italian Style che nel 2009 ha esordito col botto per merito di un’antologia personale pubblicata in Epix dal titolo Malarazza. Il più giovane autore del gruppo – ha 34 anni – vi stupirà per l’impianto originalissimo del suo racconto Fobìa, per la perfetta ambientazione milanese e per l’incredibile coerenza alla «J-Horror« che immette l’antico archetipo nel contenitore tecnologico per eccellenza. Ma non è giusto sciuparvi la sorpresa, perché sino a poche pagine dallo svelamento finale, non capirete mai dove si va a parare. Samuel ha pubblicato vari racconti in antologie che s’intitolano L’altalena e Archetipi e ha firmato soggetto e sceneggiatura di una storia per il fumetto Dampyr.

E con questo è proprio tutto. Anzi, quasi tutto. Perché dobbiamo ancora ricordarvi che v’imbatterete, durante la lettura, in una settantina di note esplicative che non sono frutto di pedanteria, ma l’indispensabile corollario chiarificatore per muoversi più agevolmente nel mondo complesso e misterioso dei fantasmi Japan Style.

Buona paura!

tumblr_lscvn6wics1qmy97p.jpg

Posted in Profili | commenti 23 Comments »

« Previous Entries Next Entries »