Urania 1599: Creatura del fuoco

ottobre 2nd, 2013

watsonprevChe un rettile fiammeggiante esista davvero a Tynemouth, e che spii dalle caverne inviando segnali paranormali sotto la crosta sottile d’Inghilterra, sembra la trama di un romanzo. Invece lo psichiatra John Cunningham deve ricredersi e ascoltare molto attentamente i discorsi di Tommy, un paziente schizofrenico che comincia a raccontargli un’esistenza precedente. Il medico-scrittore si trova di fronte a un’ipotesi sconcertante: che una leggenda locale, la Creatura di Lambton, non sia affatto il frutto di una fantasia malata ma degli esperimenti parabiologici compiuti da Raimondo Lullo. Con conseguenze molto pericolose per il mondo di superficie…

IAN WATSON Nato nel 1943, è uno dei migliori esponenti della science fiction britannica. Ian Watson è diventato famoso per aver scritto la sceneggiatura del film di Steven Spielberg e Stanley Kubrick A.I. Intelligenza artificiale, ha pubblicato su “Urania” numerosi romanzi, fra i quali L’ultima domanda (n. 1319), Superuomo legittimo (n. 1399), Il mistero dei Kyber, in collaborazione con Michael Bishop (n. 1431), e L’anno dei dominatori (n. 1496). L’anno scorso abbiamo tradotto Gli dei invisibili di Marte (n. 1581).

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Fuoco cammina con me: Ray Bradbury, i libri e l’immaginazione

giugno 7th, 2012

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La scomparsa di Ray Bradbury (1920-2012) ci costringe ad amare riflessioni. Vogliamo ricordarlo qui con un’analisi del suo rapporto con i libri, che sono la più difficile creatura del’immaginazione. Il testo è apparso come introduzione a Era un gioia appiccare il fuoco, l’antologia di racconti sulla genesi di Fahrenheit 451 (Piccola Biblioteca Oscar, 2011).

Books have played me a sad turn.”

                                                M.R. James

E’ stato Aldous Huxley a definire Fahrenheit 451 “uno dei libri più visionari” che avesse mai letto, e il romanzo – che non parla di vita vissuta ma delle disavventure di altri libri, in un particolare girone dei dannati – lo è indubbiamente. Un dramma fantastico e laterale che parte dalla messa all’indice della letteratura per sottolineare con struggente nostalgia la fragilità del bello e del buono, i sentimenti della giovinezza del mondo.

Molti avranno letto il romanzo di Ray Bradbury o visto il film di François Truffaut con Julie Christie e Oskar Werner: in un paese industrializzato del futuro che somiglia a un’asettica concezione dell’inferno, si bruciano i libri perché rappresentano il regno dell’arbitrio. Dal (libero) arbitrio non possono nascere che inquietudine e infelicità, dunque insieme ai vecchi tomi si ardono vivi i loro incauti possessori, o almeno quelli che rifiutano di separarsi dalle proprie biblioteche. Costoro decidono di morire sperimentando su di sé il sublime del verso dantesco:

tal, che nel foco faria l’uom felice” 1.

Il compito di appiccare il fuoco spetta ai pompieri, che anziché spegnere gli incendi li attizzano coi lanciafiamme. Romanzo e film sono rimasti vivi nella coscienza per più di mezzo secolo come una sorta di post-Mondo nuovo e soprattutto post-1984 da cui promana un senso di rinnovata angoscia. In Bradbury, infatti, i libri non rappresentano soltanto un punto di riferimento ma sono archetipi, forze della natura (giacché la natura umana è permeata di cultura) di cui anche gli avversari riconoscono il valore simbolico. Di qui il traumatico ricorso ai roghi, l’equivalente dei forni nei campi di sterminio.

Verso i libri si possono avere molti atteggiamenti, dalla catena del bisogno-dipendenza-passione (bibliolatria) fino a estremi di stanchezza, diffidenza e ripulsa. Vi sono naturalmente le posizioni intermedie, di cui è sovrana l’indifferenza, ma i due poli non ci apparirebbero così radicali se i libri non avessero assunto, come dicevamo, un valore simbolico e non fossero circondati da un’allure che anticamente non possedevano. Non soltanto per il loro contenuto, che è un inesauribile serbatoio di conoscenza, ma proprio in quanto idea e progetto: diventare uno strumento dell’immaginazione, un mattone per costruire il futuro. Ecco perché colpire i libri, incendiare la grande biblioteca di Alessandria, è come abbattere gli idoli. Questo pensa il pompiere che non immagina ma vegeta: i libri sono falsi idoli per false speranze, “cose in cui non puoi credere”. Distruggerli vuol dire annientare le riserve psicologiche del nemico. Quanto all’identità di quest’ultimo: chiunque non faccia parte della governance, della classe dirigente o della sudditanza. Nell’immaginazione bradburiana, il cittadino americano erede di Jefferson e di Lincoln si trasforma in suddito nel momento in cui la tecnologia prende il sopravvento sulla morale e le idee vengono inghiottite dall’indifferenza dei media. Il nemico è la dialettica che i libri esprimono, quella che una volta si sarebbe chiamata la ricerca della verità. Oggi che l’unica verità possibile è il dogma o la pratica dell’incoscienza, i libri superstiti devono essere bruciati.

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Le avventure del bracchetto spaziale

novembre 24th, 2009

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Pubblichiamo la postfazione di Riccardo Valla a Crociera nell’infinito, il volume di “Urania Collezione” attualmente in edicola. 

1. All’inizio: la Nave di Sua Maestà “Beagle”

Il 27 dicembre 1831, dopo estesi lavori voluti dal nuovo capitano Robert FitzRoy e dopo vari ritardi dovuti all’inclemenza del tempo, il brigantino Beagle (“bracchetto”, nel senso della razza canina) lasciava il porto di Plymouth per la crociera che in sei anni l’avrebbe portato non solo a compiere il giro del mondo, ma anche a divenire una delle più famose navi della marina britannica, alla pari con la Victory di Nelson se non con il Bounty.

Infatti iniziava allora il viaggio in cui Charles Darwin raccolse le osservazioni naturalistiche e le testimonianze fossili che gli avrebbero permesso di enunciare la sua teoria dell’evoluzione delle specie attraverso il meccanismo della selezione naturale.

Non era il primo viaggio della nave, che aveva già in corso da alcuni anni una ricognizione delle coste del Sudamerica per tracciarne le carte geografiche a uso della marina inglese, ma il lavoro si era interrotto e la nave era ritornata a Plymouth perché il capitano Pringle Stokes, sopraffatto dalla solitudine e dalla nostalgia di casa, si era ucciso in un momento di depressione.

Il ventisettenne capitano FitzRoy, che prese il posto di Stokes, aveva già condotto la nave nel viaggio di ritorno e non sembrava soggetto a crisi di depressione – era il figlio illegittimo di un nobile e compensava con la pignoleria e la religiosità l’imbarazzo della nascita irregolare – ma gli organizzatori del viaggio pensarono bene di assegnargli un gentiluomo di compagnia che non gli facessse rimpiangere troppo l’assenza di altri membri della sua classe sociale. La scelta cadde su un naturalista, il ventitreenne Charles Darwin, che oltre ad avere dato buona prova di sé come classificatore, discendeva da una illustre famiglia che vantava già un famoso studioso, Erasmus Darwin, il nonno di Charles.

Il viaggio non fu certo movimentato come quello dell’astronave Space Beagle di questo romanzo di van Vogt – nessun kraken attentò alla solidità del fasciame e nessuna balena bianca cercò di sterminare l’equipaggio per regnare sull’intero universo dei pesciolini – ma non fu privo dei suoi lati bizzarri, soprattutto nei rapporti tra i due gentiluomini e nell’incidente dei “fuegini”.

Per quel che riguarda i rapporti tra i due, FitzRoy non intendeva rinunciare all’onore di ospitare nella propria cabina un gentiluomo come Darwin, appartenente alla miglior nobiltà della scienza, ma il coscienzioso naturalista gli riempiva l’intera cabina di vasi e boccette contenenti i suoi campioni, e il loro disordine era fonte di continui attriti. Quando il capitano protestava, Darwin per ripicca si trasferiva in un’altra cabina e il capitano dopo qualche giorno andava a scusarsi e lo richiamava. Leggi tutto »

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Ian Watson

giugno 2nd, 2014

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Notissimo per aver scritto il soggetto cinematografico di A.I. Iintelligenza artificiale (il film di Stanley Kubrick-Steven Spielberg tratto dal racconto di Brian W. Aldiss), Ian Watson (n. 1943) ha esordito nel 1969 con il racconto “Roof Garden Under Saturn”, apparso sulla rivista “New Worlds”. A partire dal 1976, questo ex-insegnante d’inglese ed ex-professore di futurologia al Politecnico di Birmingham (con relativi corsi sulla fantascienza) si è dedicato alla letteratura a tempo pieno. Diversi romanzi e molti racconti sono apparsi anche in italiano, dove la sua opera è stata costantemente seguita da “Urania”. Il romanzo d’esordio di Watson, The Embedding (1973), è uscito – con il titolo Il grande anello, 1979 – nella collana “Sigma” di Moizzi, che ha presentato diverse opere notevoli degli anni Settanta; mentre quello stesso anno vede l’inizio delle traduzioni di Watson nella nostra collezione, che fa uscire Miracle Visitors del ’78 come La doppia faccia degli UFO. L’anno successivo, 1980, è sempre “Urania” a proporre un’importante antologia apparsa in Inghilterra nel ’79, The Very Slow Time Machine (Cronomacchina molto lenta). Come autore di racconti Watson è originale e prolifico: ne ha scritti oltre cento.

Benché le sue brillanti short stories continuino ad apparire in appendice a “Urania” e su altre pubblicazioni – una per tutte, la pluriristampata “Convention mondiale del 2080” – bisogna aspettare il 1986 prima di vedere un altro romanzo di Watson nella nostra lingua. E’ Il libro del fiume (The Book of the River, 1983), compendio di quattro parti uscite originariamente sul “Magazine of Fantasy and Science Fiction” e seguito poi da Il libro delle stelle (The Book of Stars, 1984; tr. it. 1988) e Il libro delle Creature (The Book of Being, 1985; tr. it. 1988), tutti apparsi sulle nostre pagine nella traduzione di Laura Serra. In questa edizione omnibus offriamo i due romanzi iniziali, mentre il terzo seguirà su “Urania”. E’ il tentativo di Watson di comporre un vasto affresco a metà tra la fantascienza e il fantastico, e gli conquista le simpatie di un pubblico più vasto. Nel 1990 la “Biblioteca di Nova SF” recupera God’s World del 1979 (Il pianeta di Dio), un romanzo a sfondo metafisico in cui la nostra razza riceve in dono la propulsione interstellare, ma solo un gruppo ristretto di individui viene scelto per raggiungere il pianeta dei donatori e incamminarsi sulla strada di un’imprevedibile trasformazione. Nel 1997 appare su “Urania” L’ultima domanda (Hard Question, 1996), un thriller tecnologico ricco di sorprese, e nel 2000 Superuomo legittimo (Converts). Intanto, nel 1999 l’Editrice Nord ristampa, nelle proprie collane, Il grande anello e La doppia faccia degli UFO, cambiando i titoli a entrambi: diventano rispettivamente Riflusso  e L’enigma dei visitatori. Nel 2002 esce su Urania Il mistero dei Kyber (Under Heaven’s Bridge, un romanzo del 1981 scritto in collaborazione con Michael Bishop). Nel 2004 Hobby & Work fa uscire Draco (id., 2002) e Harlequin (id., 2004). Nel 2005 replica “Urania” con L’anno dei dominatori (Mockymen, 2003), mentre Hobby & Work presenta I figli del caos (Caos Child, 2004).

Tra i romanzi che restavano inediti in Italia, e che “Urania” ha riproposto recentemente, Creatura del fuoco (1988) è uno dei più originali per concezione e sfondo storico, con un richiamo alle scoperte dell’alchimia che non suonerà fuori luogo in chiave fantascientifica; mentre rimangono da scoprire The Jonah Kit (1975), vincitore del premio British Science Fiction; The Gardens of Delight (1980), Deathhunter (1981), Chekhov’s Journey (1983), Queenmagic, Kingmagic (1986), Whores of Babylon (1988) e The Flies of Memory (1990) fra i testi più notevoli.

Nel giudizio di John Clute e Peter Nicholls, forse i migliori studiosi contemporanei della fantascienza inglese, “la narrativa di Ian Watson, a volte obbiettivamente ardua nella sua complessità, può essere vista come una vivace rivolta contro l’oppressione intellettuale e politica, ma anche come una dichiarazione dei limiti – almeno per quanto riguarda gli esseri umani – del concetto di realtà. Quest’ultimo, essendo stato creato su misura dei nostri ristretti canali percettivi, risulta soggettivo e parziale; il tentativo umano di accedere a realtà più complesse, attraverso metodi che vanno dalle droghe alle discipline linguistiche, dalla meditazione a un’educazione radicalmente innovata, non sarà mai completamente coronato dal successo. L’umanità è troppo limitata, troppo poca cosa per afferrare la realtà nel suo complesso. Ian Watson è forse lo scrittore di fantascienza contemporaneo che meglio sintetizza questi temi, e il meno illuso”.

 

G.L.

 

 

 

 

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Urania Collana 1604: Lo spazio deserto

febbraio 27th, 2014

spazioprevAnna Kearney vede la sua casa prendere fuoco, ma le fiamme sono statiche e non fanno fumo. L’esploratore illegale Vic Serotonin scompare in un’anomalia fisica che fino ad allora gli aveva permesso di vivere e prosperare. I suoi amici comprano un’astronave per raccogliere i bizzarri manufatti del circo di Sandra Shen, un avatar dell’elusiva creatura nota come Shrander, mentre una teoria di cadaveri apparsi dal nulla comincia a levitare verso i soffitti delle case. Poi una voce senza corpo annuncia: “Mi chiamo Pearlant e vengo dal futuro”. Questi fenomeni apparentemente dissociati sono riconducibili, peraltro, all’anomalia più spettacolare del romanzo: il Fascio Kefauchi, gigantesca “singolarità” astronomica popolata di soli artificiali e residui di antiche civiltà extraterrestri che abbiamo già conosciuto in due splendidi romanzi di Harrison, Luce dell’universo e Nova Swing, entrambi pubblicati su “Urania” con grande successo.

 

 

M.JOHN HARRISON Nato in Inghilterra il 26 luglio 1945, ha pubblicato il primo romanzo, The Pastel City, nel 1971: “Urania” lo ha tradotto nel n. 809 con il titolo La città del lontanissimo futuro. Luce dell’universo (Light, 2002, apparso nel n. 26 dei nostri supplementi) ha vinto i premi James Tiptree e Arthur C. Clarke. Nova Swing (2006) è un romanzo che si accompagna idealmente a Light, di cui Lo spazio deserto (Empty Space, 2012) condivide alcuni personaggi e il colossale sfondo galattico.

 

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Editoriale

luglio 26th, 2011

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Eccoci arrivati al consueto appuntamento estivo con le anticipazioni di “Urania”, “Collezione” e “Millemondi”, cominciando a prepararci fin d’ora all’annus mirabilis che sarà il 2012. “Urania” compirà sessant’anni tra quindici mesi, ma a vederla adesso sembra una ragazza in perfetta forma, sportiva e con la voglia di rifarsi il trucco. Fuor di metafora, una collana che grazie all’elisir della fantascienza guarda al futuro con occhi pieni di stelle e finisce per non avere paura del tempo, restando sempre giovane. I nostri programmi per il secondo semestre sembrano avvalorare l’assunto beneaugurante.

Agosto. I lettori che si erano dispiaciuti per l’improvvisa scomparsa (gennaio 2010) di Kage Baker, l’autrice della Compagnia del tempo, saranno ricompensati dal veder apparire un romanzo ancora inedito: La vita nel mondo che verrà. Nel libro troveranno ancora una volta la protagonista Mendoza, estraniata dalla sua epoca e trasformata in una coltivatrice diretta-cyborg per fare gli interessi della Compagnia. Tuttavia la scoperta più interessante è che la potente consorteria del dr. Zeus ha un tallone d’Achille come tutti gli altri, e sarà questo a dare il “la” al romanzo. Infatti la Compagnia del tempo, pur dominando i secoli, non può sapere nulla di ciò che avverrà dopo l’anno 2355… Ecco perché Alec Checkerfield, diventato pirata e deciso a sabotare una volta per tutte la fortissima multinazionale, crede di aver trovato l’asso che gli mancava.

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Michael Moorcock

luglio 18th, 2011

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Nato a Londra nel 1939, Moorcock ha impresso il segno a tre decenni della fantascienza britannica. Negli anni Sessanta ha diretto la storica rivista “New Worlds” – favorendo il decollo della cosiddetta new wave angloamericana – e ha pubblicato i suoi primi romanzi di fantascienza, imboccando nuove strade rispetto agli esordi fantastico-avventurosi. Tra i frutti di questo lavoro vi è I.N.R.I. (1966, premio Nebula ’67), racconto che pur facendo uso di un luogo tipicamente fantascientifico come il viaggio nel tempo, lo sfrutta per arrivare a una narrazione mitologica. I racconti fantasy di Moorcock, del resto, avevano gettato le basi per una concezione unitaria del genere: le avventure di Sojan lo spadaccino e, successivamente, i pastiche burroughsiani di Marte o le gesta del principe Corum hanno in comune, pur nella diversità dei toni, l’idea che tutte le storie possibili siano ambientate su altrettanti piani della realtà: e che miriadi di storie, su miriadi di livelli, formino nell’insieme il Multiverso in cui rientra tutta la produzione moorcockiana. Nella saga fantasy del principe Corum (sei romanzi pubblicati fra il 1971 e il 1974) il concetto viene chiarito in modo definitivo, sicché tutto quanto prende vita in Moorcock è collegato, niente appare casuale.

Negli anni Settanta il nostro crea alcune tra le opere più impegnative: la cosiddetta sequenza del “Campione eterno” – in cui rientrano le avventure di Corum e che vede in I.N.R.I. una sorta di premessa generale, perché i protagonisti della serie saranno tutti uomini del destino, eroi/antieroi dei rispettivi miti – e le Cronache di Jerry Cornelius. Quest’ultimo, personaggio ricorrente in una serie di romanzi ai confini tra science fiction e postmoderno, è una creatura ambigua che si muove in un mondo futuro distorto, apocalittico e grottesco dove i molti problemi dell’umanità sono giunti alla resa dei conti. In Programma finale, ad esempio (da cui Robert Fuest trasse il film omonimo, ribattezzato in Italia Alpha Omega, il principio della fine), un trio di malfattori si impossessa del programma studiato dal padre di Jerry per combattere la fame nel mondo e lo usa ai propri fini, favorendo la nascita di un nuovo, mostruoso messia. Negli anni Ottanta Moorcock è tornato alla fantasy, suo antico amore, e al romanzo tout-court, con opere mature e personali. In questo periodo ha completato il ciclo di Elric di Melniboné, una delle creazioni più originali nel campo della fantasia eroica, ma si è dato anche al fumetto e alla sistemazione della sua vasta produzione in una serie di edizioni accurate e pressoché onnicomprensive. In seguito si è trasferito in America, dove ha portato la sua cultura ed esperienza, senza abbandonare idealmente il vecchio continente: è stato ospite recente di Lucca Comics dove gli appassionati italiani hanno potuto festeggiarlo calorosamente.

Tanto affetto e considerazione poggiano però soprattutto sulla memoria, perché a differenza che sui mercati librari più maturi, oggi di Michael Moorcock in Italia si trova soltanto la ristampa del ciclo di Elric, passata dalla Nord a Fanucci, mentre la lodevole iniziativa di rimettere in circolazione il Programma finale (riproposto dallo stesso editore nel 2006) non ha avuto praticamente seguito. Eppure si tratta di un narratore chiave, senza il quale buona parte della fantascienza degli anni Settanta non sarebbe stata possibile. Un narratore che speriamo di poter proporre anche in futuro, su queste pagine e su “Urania”, per riprendere il discorso che riguarda il versante fantascientifico della sua produzione.

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