James White; Biografia

giugno 14th, 2011 by Moderatore

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Irlandese del nord, nato a Belfast il 7 aprile 1928, James White avrebbe voluto studiare medicina ma per motivi economici dovette rinunciarvi, ripiegando sull’attività di impiegato e consulente tecnico. Allevato da genitori adottivi, per un certo numero di anni si trasferì in Canada ma tornato in Irlanda sposò l’appassionata di fantascienza Margaret Sarah Martin (1955), dalla quale ebbe tre figli. White ha lavorato dapprima in un’azienda del settore abbigliamento e per un più lungo periodo alla Short Brothers, una società costruttrice di aeroplani.

Fin da giovane aveva pubblicato riviste amatoriali dedicate alla fantascienza, tra cui “Slant” (negli anni Quaranta-Cinquanta) e “Hyphen” (fino alla metà degli anni Sessanta). Ammalato di diabete e andato in pensione con diversi anni di anticipo nel 1984, continuò a dedicarsi alla sua attività di narratore, che era cominciata negli anni Cinquanta. Morì il 23 agosto 1999, di attacco cardiaco.

Ben dodici volumi, pubblicati tra il 1962 e il 1999, appartengono al ciclo della Stazione ospedale che è anche il titolo del primo libro di White sull’argomento. Si tratta di un’avvincente e spesso ironica saga medico-spaziale ambientata in un gigantesco ospedale militare del futuro, costruito dai due antagonisti di una guerra interstellare fratricida ma che per l’occasione hanno deciso di collaborare. White è stato un pacifista per tutta la vita e come scrittore un fine descrittore di extraterrestri positivi anziché maligni, all’opposto di tanta space opera corriva; forse alcuni suoi ritratti di “alien” sono filtrati nel celebre fumetto di fantascienza Jeff Hawke, che condivide lo spirito caustico e umanitario di molte storie whitiane.

Al di là del ciclo dedicato alla Stazione ospedale, White è famoso anche per opere “singole” come quelle raccolte nel presente volume. Vita con gli automi (Second Ending, 1961) è un classico racconto di avvertimento sui pericoli della guerra ma si spinge più in là, dipingendo un futuro di automazione e desolazione totale in cui l’umanità sembra essersi ridotta a un solo superstite, un uomo tenuto in animazione sospesa che si risveglia, accudito da robot efficientissimi, in epoche sempre più remote. Se Vita con gli automi, di ci ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario, conserva tracce di sapore wellsiano e un’indiscutibile capacità visionaria nel descrivere una serie di futuri di volta in volta più lontani e sconcertanti, Partenza da zero (Open Prison, 1964) resta un’efficace storia di avventure sorretta da un comprensibile senso d’insofferenza verso ogni restrizione e qualsiasi limitazione della libertà umana, fosse pure incarnata da un intero pianeta. Nella “quarta” d’epoca, Carlo Fruttero e Franco Lucentini ne evocavano la parentela con un altro celebre libro d’evasione, Il ponte sul fiume Kwai di Pierre Boulle: “Il problema dei campi di prigionia sarà facilmente risolto nelle guerre intergalattiche. Basterà lasciare i nemici catturati in piena libertà su un mondo lontano da tutte le rotte: ma gli ufficiali hanno sempre il dovere di tentare la fuga, anche da un pianeta dove non c’è filo spinato, dove non ci sono guardie, dove la vita è come una lunga vacanza”.

 

G.L.

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