[Dossier 50 anni nello spazio] Oltre il cielo

aprile 10th, 2011 by Moderatore

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Appunti per una  riscoperta della fantascienza astronautica.

 1. Ragioni di un decollo

“Terra! Terra!” ? No, grazie J

L’invocazione dei marinai di Colombo suona un po’ fuori luogo, in astronautica come in fantascienza: di solito i viaggi di questo tipo aspirano a guidarci fuori del nostro mondo e se, qualche volta, la rotta delle astronavi è calcolata per riportarci al punto di partenza, nei casi più comuni il motivo per cui si intraprende il viaggio è la promessa di andare lontano, altrove. Come succede ai cosmonauti protagonisti di questo numero e a tutti gli avventurosi della storia ormai cinquantennale del volo umano nello spazio. Consapevole di tale istanza, la sf astronautica – un sottogenere che latita a livello ufficiale, ma che è il caso di riscoprire qui, staccandola come una costola dall’avventura spaziale generalista – parte da un presupposto ben preciso: la Terra non basta più. Siamo in troppi, consumiamo troppo, meglio guardarci intorno in cerca di alternative.

Il romanzo astronautico si può dividere a sua volta in vari filoni, da quello catastrofico alla Apollo 13 o Abbandonati nello spazio; a quello virile (Uomini veri, Space Cowboys), fino alla grande saga rappresentata da bestseller come Space di James A. Michener e i romanzi-fiume di Frank Schätzing. Ma esistono altrettanti racconti brevi sugli astronauti di oggi e domani: quelli di Paolo Aresi, per esempio, il cui “Labirinto della notte” è risultato una delle più convincenti avventure marziane del prossimo futuro; oppure “Caleidoscopio” di Ray Bradbury, ”L’astronauta morto” di James G. Ballard, “Com’era lassù?” di Edmond Hamilton,  fino ai viaggi schizofrenici di Barry Malzberg che saranno trattati in un’apposita sezione.

Le storie della fs astronautica, a noi temporalmente vicine, risultano assai diverse dalla space opera errante (le cui improbabili astronavi iperluce viaggiano di mondo in mondo senza fermarsi mai) come dal planetary romance, genere stazionario nel quale, dopo aver creato un pianeta ad hoc, l’autore vi resta ancorato per l’intero romanzo. Per tradizione, la space opera è un genere colorito: il suo canone venne stabilito una volta per tutte da Edgar Rice Burroughs negli anni Dieci del XX secolo ed è continuata così, sulle ali della fantasia, fino ai tempi di E.E. “Doc” Smith, Leigh Brackett, Jack Vance e Brian W. Aldiss. La fantascienza astronautica, al contrario, eviterà gli scenari sgargianti, non punterà all’esagerazione. Diversamente del romanzo marinaresco, cui potrebbe ispirarsi, le mancheranno sia il colore del mare, del cielo e delle spiagge bianche, che il verde-ramarro degli alien, ormai incongruo. I suoi costrutti resteranno semplici e a volte monocromi come le paratie stagne, gli ugelli, i moduli di esplorazione o le nere distese dello spazio.

2. La Terra non basta

Il motto di questa branca verista e tecnologicamente accurata della sf potrebbe suonare Tellus non sufficit. L’astronave diverrà il carro celeste della narrativa secolare e l’astronauta il suo nocchiero, un’attività che negli annali della storia ha solo cinquant’anni ma che in letteratura risale a molto prima. I cosmonauti greci si avventurarono sulla luna e nel sole più di duemila anni fa, nella Storia vera di Luciano di Samosata, mentre i loro epigoni moderni (quelli di Cyrano e del vescovo Godwin) hanno cominciato ad esplorare lo spazio, con mezzi originalissimi, nel vicino XVII secolo. Che sia un carro celeste, una vera e propria nave o un unguento miracoloso che trascina l’esploratore nell’aria, il trasporto verso lo spazio resta il mezzo – simbolico e visionario per certi aspetti, ma come ormai sappiamo fattibile – che consente all’uomo di uscire dall’ambiente terrestre. In fantascienza un’ossatura di razionalismo e un adeguato tocco di verosimiglianza sono bilanciati da una tensione cosmica altrettanto profonda, sicché l’astronave può essere vista come il punto di arrivo di un percorso in cui scienza e metafisica si toccano senza contraddizioni. Non è la prima volta che accade, nella narrativa occidentale: Poe e Melville l’avevano profetizzato e Dante li aveva preceduti.

Ma per tornare ai tempi della tecnologia spaziale, l’astronave non è un’automobile. Non è un mezzo di trasporto orizzontale, legato alla terra e sopraffatto dalla gravità; è invece un mezzo verticale che sale al cielo. Sottrattasi definitivamente alla gravità, prosegue verso rotte inedite. Nel compiere questo tragitto “in ascesa”, che modificherà profondamente l’esperienza e forse anche la natura dei viaggiatori, la nave extraterrestre accede a un nuovo ordine di realtà. L’aspetto cognitivo del viaggio, è vero, la fantascienza avventurosa tende a darlo per scontato; ma è solo un trucco per non farci perdere tempo prezioso. In realtà, per quanto routinaria sia l’avventura, i grandi temi fanno da sfondo a qualsiasi escursione nello spazio. Alcuni autori moderni hanno tentato di approfondirli: le complesse vicende astronautiche di Samuel R. Delany, Barry N. Malzberg e Robert Silverberg hanno riportato il viaggio alla sua dimensione problematica, domandandosi se l’esperienza di raggiungere altre regioni dello spazio non sia di per sé un’impresa in cui il nostro “io” possa annegare. In un racconto di Delany si ipotizza che uscire dal nostro universo-isola sia un’impresa titanica sotto il profilo psichico oltre che ingegneristico, al punto da richiedere una classe di individui speciali. E in un celebre racconto di Barry Malzberg, “Una galassia di nome Roma”, l’esperienza di entrare in un’anomalia fisica quale è buco nero – molto al di là delle possibilità dell’astronautica! – rivela un angoscioso risvolto spirituale che si conclude con il rovesciamento del tempo e la resurrezione dei morti nell’astronave. Malzberg, autore specialista in acute riflessioni sulla fantascienza, osserva che un’impresa del genere non potrebbe mai venir narrata nella lingua della narrativa popolare. D’altra parte, se un romanziere audace lo proponesse in una forma frammentaria e delirante, come forse sarebbe necessario, il racconto verrebbe respinto dal mercato della sf. Dunque, secondo Malzberg, andare nello spazio (come tentare di descriverne l’esperienza) può, in determinate circostanze, indurre pericolose forme di frustrazione. In realtà questa schizofrenia è latente nell’essere umano: le limitazioni della civiltà tecnologica, le difficoltà del regime semi-militare cui è sottoposta la NASA e la natura intrinseca del progetto “uomo nello spazio” potrebbero accelerare una malattia dalla quale non si salverebbero neanche i più coraggiosi. Lo hanno dimostrato le nevrosi degli astronauti veri, a cominciare da Buzz Aldrin (1), e l’ha confermato l’esperienza fantascientifica. Ciò che gli scrittori più consapevoli hanno voluto dire è che lassù porteremo con noi i problemi della terra: se la società terrestre continuerà ad essere repressiva, puritana o meramente tecnocratica, le conseguenze saranno quelle descritte nei loro romanzi apocalittici. Su queste idee Barry Malzberg ha costruito alcuni libri ossessivi degli anni Settanta, tra cui ricorderemo almeno Oltre Apollo e The Falling Astronauts; il loro tema è il progetto “Apollo”, compreso un suo ipotetico proseguimento verso altri pianeti del sistema solare (ad esempio Venere).

Ma, come si diceva, la fantascienza in generale non può permettersi voli tanto arditi ad ogni pie’ sospinto. Ecco perché gli autori normalmente glissano sugli aspetti ultimi, metafisici, e si concentrano sull’azione immediata. Dopotutto, non solo l’universo potrebbe essere fonte di emozioni devastanti e capaci di indurre sgomento e follia, ma potrebbe rivelarsi muto e inerte alle nostre orecchie sorde. Potrebbe darsi, in altre parole, che noi uomini risultassimo refrattari al cosmo, incapaci di sentirci devastati perché incapaci di coglierne l’enormità. Poiché tutto, nell’universo, avviene su scala non-umana, è probabile che nelle sue vastità ci sentiremmo sordi e ciechi senza accorgercene e continueremmo a comportarci come tutti i giorni: formiche bidimensionali in uno scenario che non riusciamo ad allargare. Di qui, forse, deriva la proverbiale prosaicità degli astronauti americani, compresi quelli che orbitando intorno alla luna hanno citato il Genesi o ripetuto il Vangelo.

Ma bando alle ipotesi troppo pessimistiche. Come sempre avviene, l’uomo “riduce” la realtà alla propria esperienza e nello stesso tempo accede a nuove concezioni, a ulteriori visioni dall’orizzonte: nello spazio questo processo continuerà ed è probabile che il sistema solare influenzi i suoi esploratori al punto da trasformarli in una nuova specie, esattamente come gli animali terrestri sono diventati una nuova categoria rispetto agli anfibi che per primi strisciarono dai mari e come gli ominidi scesi dagli alberi si sono evoluti diversamente da altri primati. La fantascienza, normalmente, si occupa di questa discesa dagli alberi, di questi “salti” evolutivi: gli spacemen che a noi sembrano tanto ovvi nelle avventure spaziali di consumo sono, in realtà, uomini di domani, semidei al nostro confronto, Bambini-delle-stelle. Dobbiamo immaginarli così: ecco in che senso la fantascienza compie in fondo lo stesso percorso dell’astronautica, che ha anticipato. Buona parte della sf è, a suo modo, astronautica: come lo sono le avventure narrate fra le copertine di questo volume.

3. Stelle come edicole

“Vi sono in Italia 36.000 edicole, quante potrebbero essere le stelle in un ammasso periferico (2). Da un sondaggio svolto recentemente in questa miriade di punti-vendita è risultato che i volumi di ‘Urania’ più apprezzati dal pubblico sono proprio quelli di tematica spaziale”, come abbiamo rilevato in una precedente occasione. All’interno di questa generica classificazione risultano vincenti i seguenti sotto-gruppi:

A) Esplorazione di mondi enigmatici e pericolosi, che pongono incognite di vario tipo: ecologiche, fisiche, ecc.

B) Avventure che si svolgono non tanto su pianeti esotici, ma nello spazio a bordo di astronavi. Lo spazio, e la nave che lo attraversa, diventano l’ambiente della vicenda, anche se sono ammessi piccoli sconfinamenti per movimentare il racconto (brevi sbarchi su pianeti di rifornimento, stazioni nel cosmo et similia).

Ferma restando la nostra intenzione di continuare a proporre, nel futuro, volumi dedicati a tutti i filoni che abbiamo fin qui elencato, vogliamo rimarcare ancora una volta come il romanzo di Paolo Aresi appartenga a un genere nobilissimo, la sf per cosmonauti della quale ci siamo sforzati di schizzare un ritratto; un filone per lettori impazienti dell’ambiente terrestre di cui Korolev rappresenta un tassello particolarmente importante. Al tempo stesso, ci domandiamo: nell’alzare gli occhi troppo in alto, non vi sarà in noi un eccesso di hùbrys?

“Oh, il mio Avversario ha scritto un libro”, dice il patriarca Giobbe. Si potrebbe intendere come una battuta su tutta la letteratura, e in particolare sulla fantascienza. Che Dio scriva il Libro e lo detti a Mosè o ai profeti, è perfettamente ammissibile; che l’uomo pretenda di scrutare nei misteri dell’universo e condensarli in un trattato di fisica o in un romanzo di “Urania”, sembra sospetto. Se non proprio diabolica, la spinta che porta l’uomo a desiderare le stelle è certo prometeica, un atto d’insofferenza per i limiti imposti alla nostra esperienza dalla gravità, dall’orizzonte e dalla brevità della vita. I pianeti e l’altre stelle sono sì corpi simili ai nostri, ma molto più longevi (un tempo si sarebbe detto eterni). Se le stelle fossero dei? Ai nostri occhi lo sono certamente; ma sono, soprattutto, super-beings, entità appartenenti a un ordine di vita splendente e superiore. Stella innamorata di Frank Herbert presentava un’ipotesi di questo genere, mentre C.S. Lewis ha speculato, su un piano simbolico, che i pianeti abbiano un’anima. Chi rileggesse la trilogia lewisiana – Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra e Questa orribile forza – toccherebbe con mano ciò che l’appassionato di sf sa intuitivamente e senza preoccuparsi troppo: l’avventura nello spazio è un genere che dispone il lettore al contatto con le immensità, e se è innegabile che si nutra di ambizioni luciferine (dopotutto, Lucifero è una stella!) è per via della componente laica di tutta la narrativa, l’animus secolare senza il quale non produrremmo che bibbie. Ma l’anelito all’infinito rimane, una disposizione spirituale aperta e feconda, a nostro avviso, quanto gli scavamenti nello “spazio interno”. Lo inner space, come abbiamo già osservato nel pezzo di apertura, ha senso in fantascienza soprattutto come riflesso di quello immenso che si trova fuori, e che lo rispecchia. Macrocosmo e microcosmo non sono concetti inventati dalla sf, né sono nati ieri.

Ecco perché l’esplorazione dell’universo continua ad avvincere. Nell’era dei viaggi oltre la Terra l’umanità ha intravisto una nuova scala per salire al paradiso, o forse per dare la scalata ai cieli con la violenza d’un uragano. L’attitudine morale dipende da una scelta: quello che ci preme qui è indicare comunque la via dello spazio, cioè, con tutta la modestia del caso, la strada dell’astronautica e dei suoi pionieri e quella più sedentaria, ma non meno avventurosa, che con “Urania” comincia ogni mese in migliaia di edicole.

4. Take-Off

Dalla rampa di Segrate s’innalza il vettore del Sessantesimo anniversario. In cima al razzo a tre stadi svetta la meglio collaudata nave spaziale italiana: mancano diciotto mesi al lancio. La sua destinazione è l’ignoto, il suo equipaggio i lettori, sul cosmodromo della Città delle stelle si puntano i riflettori del mondo astronautico e di quello fantascientifico. Il conto alla rovescia è cominciato…

G. L.

(1) Vedi Buzz Aldrin, Magnificent Desolation, Harmony, New York 2009.

(2) Questa indicazione è molto approssimativa. In realtà le edicole italiane sono più numerose delle stelle contenute in un ammasso come quello di Perseo (appena un migliaio) e molto meno numerose rispetto all’ammasso globulare M13, che si ritiene ne contenga cinquecentomila!

Posted in Dispacci

One Response

  1. Giuseppe P.

    155 numeri di Oltre il cielo con informazioni sulla missilistica e tanti racconti di Sf italiani e non.
    Nel 2012 Urania compie 60 anni e mi auguro che la ricorrenza sarà degnamente celebrata.

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