Giuseppe Lippi intervista Dario Tonani

marzo 5th, 2009 by Admin Urania

Una conversazione a tu per tu con l’autore milanese di Infect@ e del ciclo dell’Agoverso, attualmente in edicola con L’algoritmo bianco.

D.: Da dove nasce l’idea dell’Algoritmo bianco?

R.: Mi ha sempre affascinato l’idea di un mondo in cui uomini e macchine ― affidandosi a un linguaggio comune ―  potessero contagiarsi a vicenda, riuscendo in qualche modo a farsi “sanguinare” reciprocamente: corpo da una parte e hardware dall’altra. E questo non con l’ausilio di chissà quali armi, ma semplicemente in funzione del loro modo d’interagire, di… parlarsi. Ecco il perché dei virus verbali, che sono un mix di codici macchina, slogan pubblicitari e chiacchiere banali, fusi insieme così da sviluppare più tossine possibili nei loro ospiti. Per farlo c’era bisogno ovviamente di un tramite, uno step evolutivo successivo rispetto all’uomo di oggi: l’uomo transumano. E poi tanti telefoni e una tecnologia molto spinta, che fosse in grado di mettere in contatto, in una sorta di peer to peer, persone che stanno anche a capi opposti del pianeta. Quale tecnologia? Fate conto di prendere Internet, Skype, Facebook, Youtube, Second Life, la tv satellitare, i cellulari di ultimissima generazione, di portarli all’ennesima potenza, metterli tutti quanti in uno shaker e distillarli in una sola goccia, che potete portarvi addosso come un profumo. Ecco, quello è l’Agoverso, il non-luogo/non tempo per eccellenza dove uomini e computer vivono la loro pax armata fatta di immagini, parole ed emozioni di seconda mano. Ho però voluto creare anche un antidoto a tutto questo: i libri, la lettura. Nella Milano del 2045 la carta è ormai sparita dalla circolazione, risucchiata nei laboratori clandestini dove viene “tagliata” per produrre una potente droga, ma agli angoli delle strade c’è chi spaccia le pagine dei vecchi tascabili come farmaco salvavita, un tot a rigo, perché la lettura è il miglior mantra contro la follia.

D.: Che cosa rappresenta per te il personaggio di Gregorius Moffa?

R.: Il fratello scriteriato e un po’ manesco che non ho mai avuto. Mi sono divertito moltissimo a creare un personaggio “fetente” e a pensare con la sua testa. E’ quel tipo di losco figuro che stentiamo persino ad ammettere che possa albergare in una parte di noi. E che riusciamo a fare emergere soltanto manipolandolo con un esercizio creativo, un po’ come usare le pinze, per non esserne troppo compromessi. Un giorno bussa alla porta e dice: “Ciao, fratellino, adesso siediti e stammi bene a sentire!”. E accompagna il suo “ben ritrovato” scaraventandoti sul divano. Sono rimasto più di un anno su quel divano ad ascoltarlo, sotto minaccia delle sue pistole.

D.: In che modo vedi legato questo ciclo al tuo lavoro precedente, in primis Infect@?

D.: I punti di contatto sono evidenti, sia come tipologia di storia sia come idee. Infect@ ed entrambe le storie de L’algoritmo bianco hanno connotazioni thriller/noir molto forti e si sviluppano tutte su adrenaliniche cacce all’uomo. Solo che nel caso delle ultime due ho saltato il fosso e anziché tenere le redini di un’indagine poliziesca ho preferito vestire i panni di uno spietato killer, che poi così negativo non è. Quanto alle idee, la matrice è più o meno la stessa: l’infezione, il contagio, il convincimento che nessuno è al sicuro in un mondo di comunicazione globalizzata, dove la mistificazione della realtà e la narcotizzazione delle coscienze sono all’ordine del giorno. In Infect@ il veicolo dell’infezione erano le immagini “mute”, le chine colorate dei cartoni animati; nell’Algoritmo, sono quelle che ho chiamato blatte, i virus metalinguistici, ma anche particolari tipi di carogne informatiche che viaggiano come tossine nell’Agoverso e sono in grado di aggredire l’organismo di un uomo, far impazzire il suo metabolismo, liquefare le sue facoltà cognitive. Tutto questo è solo un tantino più forzato rispetto a quello che accade oggi. Le blatte sono già qui, indubbiamente meno letali, ma altrettanto subdole. Solo che noi le chiamiamo balle.

D.: L’architettura delle due storie è un po’ strana e non cronologica. Perché?

R.: Sì, è vero. Nella prima storia, L’algoritmo bianco, ogni capitolo è contrassegnato da una sigla progressiva, come nella directory di un computer: “file 0.1, file 0.2…” e via dicendo fino al “file 1.4” (l’epilogo). Il motivo è presto detto: come spiego nel prologo, la vita del protagonista viene tecnicamente rimontata spezzone dopo spezzone, file dopo file, agendo sui suoi aghi. Nell’epilogo, invece, si descrivono fatti cronologicamente posteriori di sette anni a questo montaggio (il prologo, infatti, è il “file 1.3”). Il romanzo è suddiviso, poi, in due parti, dal titolo “Bianco” (la prima) e “Grigio e poi nero” (la seconda). I colori si riferiscono agli “stati” dell’algoritmo: bianco quando è ancora vergine, estrapolato da una linea telefonica e nascosto nel cane; grigio quando viene diffuso nell’Agoverso e diventa shareware; nero quando una volta sigillato l’Agoverso, ventre trasferito e “piombato” negli Oracoli… Il tutto è poi complicato dal fatto che la seconda storia, Picta muore! è cronologicamente precedente alla prima. In realtà, i lettori si saranno accorti che l’architettura del libro è molto più comprensibile alla lettura che non a spiegarla…

D.: Quando ti è nata l’idea di dare un prequel all’Algoritmo?

R.: La verità – come spesso mi accade – è che mi ero innamorato dell’idea dell’Algoritmo ed ero ostaggio del tipo armato sul divano, Gregorius Moffa. Nel primo romanzo avevo disseminato idee e personaggi che avrebbero potuto avere uno sviluppo successivo se solo avessi deciso di dedicarvi tempo. Quindi, il progetto di un seconda storia era una naturale conseguenza. Occorreva soltanto una spinta, che poi è arrivata dalla Mondadori. Perché un prequel e non un seguito? Perché a poco più di metà dell’Algoritmo avevo lasciato a se stesso un personaggio solo apparentemente secondario – il bambino Malik – che avevo trovato interessante far ritornare nell’epilogo. Quando decisi di scrivere un secondo romanzo scelsi di partire proprio da lui. E’ lui il collante delle due storie che abbracciano un lasso di tempo di una quindicina d’anni, ma che insieme coprono il volgere di un’unica giornata: dal tramonto all’alba L’algoritmo bianco, dall’alba al tramonto Picta muore! Nel libro, insomma, la notte viene prima del giorno…

D.: Pensi che continuerai a scrivere romanzi brevi e racconti, oltre che romanzi? Ed è vero che nel campo della short story ti piace cimentarti non soltanto con la fantascienza?

R.: Mi piacerebbe, in realtà faccio fatica a trovare il tempo anche solo per una delle due cose, figurarsi dedicarmi a entrambe. Ma mi sto applicando, la scrittura è disciplina e ha qualcosa di muscolare, richiede allenamento costante per acquistare il passo giusto. E quello, piano piano, sta cominciando ad arrivare. Quanto al cimentarmi con generi diversi dalla fantascienza, sì, me lo pongo come obiettivo. Ho sempre scritto storie molto ibridate tra un genere e l’altro, questo mi facilita quando si tratta di dosare gli ingredienti ed escluderne qualcuno per seguire una via meno spuria. Poco tempo fa, per la prima volta, ho scritto un racconto poliziesco che non ha nulla né di fantastico né di fantascientifico. Noir e thriller sono sempre stati vicini di casa delle mie storie.

D.: A quando la consegna di Infect@ numero 2?

R.: Grazie davvero di questa domanda. Presto, la stesura è a già molto avanti, entro fine anno conto di consegnarlo. Quello che posso dire è che Infect@ 2 sarà un seguito, un “dopo”, traslato nel futuro di qualche anno. In realtà il mini ciclo dell’Agoverso mi è servito come palestra per allenarmi con il “taglio seriale”. Quando si scrivono due storie con lo stesso mondo e gli stessi personaggi – prequel o sequel che siano – non è così immediato capire nella seconda che cosa dare per scontato e cosa no, specie se verranno pubblicate a distanza di anni l’una dall’altra, così come accadrebbe per Infect@ e Infect@ 2. Gregorius Moffa mi ha aiutato a comprendere certi meccanismi, a spegnere la luce in un locale e ad accenderla in quello attiguo senza inciampare nel passaggio dall’uno all’altro. A presto, allora.

[A cura di Giuseppe Lippi]

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2 Responses

  1. il professionista

    un volume di…lusso impreziosito anche dall’illustrazione di Giuseppone festino e poi ci ho trovato anche il racconto di un amico bellomi..piatto ricchissimo

  2. ∂| Fantascienza.com Blog |uno Strano Attrattore » Blog Archive » L’algoritmo contaminato di Dario Tonani

    […] anche un suo sito web all’indirizzo http://www.dariotonani.it, ne ha parlato con Giuseppe Lippi sul blog di Urania. Per i lettori dello Strano Attrattore, invece, riportiamo questo suo intervento in esclusiva. Si […]

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