Jacques Spitz
Un’appassionata bio-bibliografica del maestro francese, a cura di Pierre Versins. Riportiamo integralmente la prefazione a L’homme élastique (1974).
Verne, Rosny e Renard sono i tre grandi del romanzo francese d’anticipazione: da loro si passa a Barjavel e ai contemporanei. Gli anni coperti dall’attività di questi scrittori sono, approssimativamente: 1863-1905, 1887-1925, 1905-1930; quindi dal 1943 ai giorni nostri. Dobbiamo concluderne che l’uomo che funge da ponte e rappresenta il nostro quarto Grande, Jacques Spitz – attivo tra il 1935 e il 1947 – non abbia troppi fans e sia stato regolarmente sottovalutato, o addirittura ignorato fino ad anni ben più recenti? (Le mosche è stato ripubblicato da Marabout solo nel 1970 e L’occhio del Purgatorio e L’expérience du Docteur Mops da Laffont nel 1971, nella collezione “Ailleurs et Demain Classiques”. [L’occhio del Purgatorio è uscito anche in Italia nel n. 622 di “Urania” (1973) e da allora è stato ristampato quattro volte. (N.d.C.)])
Rispondere a questa domanda – ma non è nostra intenzione farlo qui – permetterebbe di spiegare meglio perché, negli anni Cinquanta, la fantascienza in lingua francese sia stata letteralmente travolta da quella anglosassone, al punto che un Sadoul ha potuto credere di fare opera di storico ignorando la prima (insieme a quella di tutti gli altri paesi) a vantaggio esclusivo della seconda. E tuttavia, il posto che Spitz occupa nel romanzo francese di speculazione razionale è unico e insostituibile: quello che Verne non avrebbe potuto essere, quello che Rosny non ha voluto essere e che Renard è stato solo in parte, Jacques Spitz è al massimo grado: l’ironista dell’anticipazione scientifica. Forse ciò che gli ha nuociuto è proprio la leggerezza dei suoi toni, per quanto tagliente. L’ironia, in contrapposizione all’umorismo che mette l’uomo a nudo, si applica a determinate situazioni e le “scortica”. In tal modo chi vuole può vedere cosa si nasconda sotto. Ora è un fatto nessuno ama rinunciare ai suoi miti, mentre d’altro canto, col passare degli anni, l’ironia rischia di appiattirsi. Ma le situazioni cambiano veramente? E’ qui che la cosa si complica. Perché nelle capanne in cui ci ritiriamo a leggere non sembriamo più renderci conto che se l’uomo non cambia più di tanto (e comunque non in modo da non essere più riconoscibile in quanto uomo), e se l’umorismo è ancora capace di togliergli i guanti, anche le situazioni si ripetono… pur se scoprirlo diventa molto più difficile. Senza ricorrere al mito dell’Eterno ritorno o ai cicli di Spengler, è fin troppo evidente come le situazioni siano dovute all’attività umana e abbiano la possibilità di esprimere la caratteriologia dell’uomo. Chiedete al teatro leggero o al cinema di Hollywood e vedrete quanto questo sia vero fino alla volgarità, fino al punto da rendere i temi intercambiabili.
E allora? Il punto è che Spitz, all’apparenza scrittore semplice, è di una spanna più complesso dei suoi famosi predecessori, e soprattutto ci chiede di accettare verità orribili: nella fattispecie, che siamo una massa di inguaribili idioti. La sua scrittura, il suo stile sono così limpidi (ha affilato le armi presso i veri stilisti degli anni Venti, i surrealisti) che non ci mettono nessuna voglia di guardare là sotto, e scoprire magari – come chiamarlo? – un sole nero…
Tanto per fissare alcune idee osserveremo che Jacques Spitz, nato nel 1896 e morto nel 1963, ha smesso di scrivere fantascienza nel momento in cui il contemporaneo B.R. Bruss incominciava a pubblicare, e solo quattro anni dopo il debutto di Barjavel. In dodici anni di attività speculativa (se si eccettuano il racconto “En l’an 3000” del 1950 e i due inediti Alpha du Centaure e Guerre mondiale n° 3), ha pubblicato nove testi di anticipazione nessuno dei quali è trascurabile e tre dei quali sono capolavori del genere: Le mosche (La guerre des mouches, 1938), L’uomo elastico (L’homme élastique, 1938) e L’occhio del purgatorio (L’oeil du Purgatoire, 1945). A livello tematico, è vero, solo L’occhio del Purgatorio è assolutamente originale, benché l’idea di base sia un’estrapolazione de L’expérience du docteur Mops, 1939, dello stesso autore: il che dimostra soltanto che l’idea è una cosa (importante certo, ma non predominante) e l’originalità di uno scrittore un’altra; l’originalità appare nel modo in cui un’idea viene trattata.
Ancora, Spitz può essere definito l’autore che ha saputo meglio utilizzare, portandole alle estreme conseguenze, le idee di partenza: la Terra si spacca in due? Una delle due parti si congiungerà alla Luna e l’altra sopravviverà (L’agonie du globe, 1935). Il sole non è più quello di prima? L’umanità si nasconderà sottoterra, anche all’equatore (Les évadés de l’an 4000, 1936). Le mosche diventano una specie intelligente? Ne segue la fine della civiltà umana (Le mosche, 1938). Un ammasso di cellule viene staccato dal corpo in determinate condizioni? Ebbene, condividerà l’evoluzione del corpo originario fino alla morte (La parcelle Z, 1942). Marte e Venere mancano di azoto o di ossigeno? I rispettivi abitanti li risucchieranno alla Terra (Les signaux du soleil, 1943). Nel caso in cui, come ne L’expérience du docteur Mops (1939), Spitz non va fino in fondo alla sua ipotesi (che riguarda la capacità di vedere il futuro) la riprenderà in seguito per portarla all’infinito (L’occhio del purgatorio, 1945).
Nell’Uomo elastico abbiamo un caso a parte dell’opera di Spitz. Il tema è immenso e sembra inglobare tutte le possibilità dell’uomo, ma proprio per questo era particolarmente rischioso. La letteratura è fatta di scelte, naturalmente, ma bisogna pure che queste scelte – fra tutti gli avvenimenti possibili in un determinato quadro – siano rappresentative della totalità. Quando il personaggio di un racconto beve, converrà sapere se lo fa perché ha sete o vuole ubriacarsi, o semplicemente perché deve incontrare qualcuno al caffè, luogo in cui normalmente si beve. (E se si trattasse dell’Uomo ristretto?)
Cosa avviene quando si scopre il metodo per rimpicciolire e ingrandire gli uomini a volontà? Ovviamente tutto: niente di più, è chiaro, niente di meno. Eccoci al dunque, perché questo è lo spunto dell’Uomo elastico.
Di solito, in fantascienza, si modifica un aspetto della realtà e si traggono le conseguenze di questa modificazione; più esattamente, si segue la traccia di quello che l’alterazione iniziale scatenerà in modo diretto, senza troppo curarsi degli effetti incresciosi o degli epifenomeni. E’ per questo che gran parte dei testi fantascientifici non sono romanzi, bensì racconti. Non è più difficile comporre un romanzo di un racconto, e non è detto che l’opera lunga debba essere necessariamente mediocre, ma richiede un punto di vista più largo, meno specializzato, un talento particolare che si trova solo negli autori geniali e in un imprecisato numero di cretini…
Dal punto di vista tematico, L’uomo elastico si presta ad essere analizzato sotto molte voci: guerre future, utopie, tecnologie, ecc. Ma il fatto fondamentale è che assistiamo alla creazione di una nuova umanità (e qui tornano in ballo le nostre rubriche: superuomini, semidei, dei…). In tal senso è una delle opere più interessanti e compiute che esistano, perché, meglio che in qualsiasi racconto basato su un tema analogo, e persino in romanzi famosi come Le guide del tramonto di Arthur C. Clarke, Slan di van Vogt e il capolavoro di Sturgeon Cristalli sognanti, ne L’uomo elastico si vede fino a che punto potrebbe allargarsi la frattura fra uomini vecchi e nuovi. Questo deriva dal fatto che il passaggio dell’umanità intera – o poco meno – a un nuovo stadio di esistenza, deriva matematicamente dalle premesse di Spitz (il quale ha fatto il politecnico, e si vede). Al contrario, in quasi tutti gli altri casi si limita a essere un dato di fatto, senza alcuna spiegazione né giustificazione che non sia il desiderio dell’autore di affrontare il suo tema a partire da un determinato cambiamento.
Con Spitz tutto comincia prima, quando il cambiamento non è ancora avvenuto: lo vediamo profilarsi all’orizzonte ma ci stupirà comunque, niente è deciso a priori e gli avvenimenti si legano – insieme alle modificazioni successive – come mai nell’utopia. Eccoci dunque a un’utopia poco utopica (e mi rifiuto di sottoscrivere l’assioma per cui utopia e stagnazione sarebbero sinonimi) la cui stessa natura cambia continuamente, e continuamente sorprende per la sua evoluzione. Tanto di cappello davanti a una tale finezza di spirito, che guida e sogna con ragione l’evoluzione dopo la rivoluzione…
Perché di una rivoluzione si tratta, a tal punto che il generale al quale il dottor Flohr propone un esercito di giganti s’indignerà: ma come, diventare più piccolo dei suoi uomini? Mai visto, dunque impossibile. Ma c’è un’altra soluzione: che il generale rimanga della sua statura e gli uomini rimpiccioliscano. E’ quello che avviene nel romanzo. Non si fa in tempo ad assimilare una trovata che la successiva l’insegue e la offusca. Ed è questo il punto a cui volevo arrivare.
A mio avviso uno dei più grandi motivi d’interesse della fantascienza, e ciò che mi spinge a considerarla se non simile almeno una parente prossima dell’utopia, dei viaggi straordinari e dei romanzi d’anticipazione dei nostri nonni, è che la fantascienza studia in vitro la resistenza del materiale umano davanti al nuovo, all’imprevisto e alle difficoltà, fino al cataclisma. Da questo punto di vista Spitz ci offre uno di quei cocktail frizzanti di cui soltanto lui conosce il segreto, e che ne faceva già il super(bar)man – scusate il gioco di parole – de L’agonie du globe. Personalmente, trovo meraviglioso che l’umanità reagisca alla spaccatura del suo pianeta lamentando che, ormai, i mappamondi dovranno fabbricarli emisferici! Nell’Uomo elastico l’equivalente saranno i negozi specializzati nelle confezioni per uomini di statura e proporzioni completamente diverse. Altri lettori godranno di ulteriori particolari, come il fatto che i batteri (i quali NON hanno cambiato dimensioni) non potranno più attaccare la carne rimpicciolita, rendendola d’ora in poi immarcescibile. Per quanto mi riguarda, amo il romanzo a tutti i livelli. Ho già detto che la nuova umanità non avrà più in comune l’aspetto fisico? Ho già fatto notare che ricorderà un poco i triangoli, di cui si sa che possono somigliarsi senza essere sovrapponibili (questione d’angoli, se non ricordo male)? Se non l’ho detto è perché, in fondo, preferisco lasciare la parola al romanzo.
Leggere L’uomo elastico significa comprendere, infine, che gli uomini sono simili ma nient’affatto uguali.
La bibliografia completa di Jacques Spitz è disponibile sul Catalogo della SF, Fantasy e Horror di Ernesto Vegetti.
Pierre Versins (1923-2001) è stato uno scrittore, critico e collezionista francese, figura peculiare nella fantascienza del suo paese. Nel 1976 fondò a Yverdon (in Svizzera, nei pressi di Losanna) la celebre Maison d’Ailleur, un museo storico della fantascienza divenuto fin da subito meta di appassionati da tutto il mondo.
Posted in Profili
febbraio 15th, 2009 at 17:08
[…] Fonte Il Blog di Urania […]
febbraio 17th, 2009 at 22:32
Vorrei farvi i complimenti per aver pubblicato questo autore francese,,l’ho iniziato a leggere emi piace.Pure Barjell mi è piaciuto.Leggendo le note finali,ho saputo di autori francesi di sf che non conoscevo.Quando ho visto la foto del blog dei vecchi urania,,che nostalgia,,che bei ricordi di urania usati che comprai
febbraio 18th, 2009 at 22:33
Ho letto l’occhio del purgatorio forse 15 anni fa… ne ho un bellissimo ricordo.
febbraio 23rd, 2009 at 16:40
[…] excursus sulle visioni di Jacques Spitz e il suo background socio-culturale, a firma di Laura […]
marzo 8th, 2009 at 14:12
Sono contento che ogni tanto qualcuno rivaluti questo autore. L’occhio del purgatorio è il secondo numero di Urania che ho letto dopo Venere nella conchiglia (per quest’ultimo però è stata colpa della copertina, d’altronde avevo 10 anni )
settembre 4th, 2011 at 11:20
Un grande, SPITZ!
“L’occhio del purgatorio” tra i 100 + grandi romanzi S:F: di sempre.
THANKS.