Spy Fiction: Italian Ways/1 di F. Novel

settembre 23rd, 2009

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Cari lettori e lettrici, pubblichiamo oggi la prima parte di un articolo di Fabio Novel (scrittore – Scatole Siamesi, curatore di Legion, uno degli autori di Dizionoir e vero e proprio storico della spy-story made in Italy) che ricostruisce il percorso della narrativa italiana di spionaggio; un utilissimo sguardo complessivo sul genere. La prima parte va dalle origini fino alla metà degli anni ottanta. E ora un po’ di storia…

Fabio Novel

SPY FICTION: Italian way(s)

Esiste una spy story “made in Italy”?

Questa era la domanda che ponevo in apertura dell’articolo SPY STORY “MADE IN ITALY”: Una panoramica sulla narrativa di spionaggio italiana, pubblicato a suo tempo nel DizioNoir (DelosBooks, 2006), ideato e organizzato dall’amico Mauro Smocovich, scrittore, nonché curatore di ThrillerMagazine.

La risposta che davo al quesito iniziale era: Sì. Senza ombra di dubbio.

Cosa rispondo oggi? Sì. Senza ALCUNA ombra di dubbio.

Nei tre anni nel frattempo passati, la spy fiction nazionale ha infatti lanciato svariati romanzi e racconti inediti oltre che proporre importanti ristampe; ha presentato autori nuovi (in assoluto, o in questo genere), capaci di distinguersi e di lasciare il segno; e ha dato prova che la creatività e la competenza dei veterani non si estingue, attraverso brillanti conferme di serie già amate o la partenza di nuovi progetti. Inoltre, nel frattempo il web, la radio e talvolta la stampa hanno dato segni tangibili di accorgersi di un certo tipo di realtà.

È dunque con vera soddisfazione e piacere che ho in parte rivisto e poi opportunamente integrato il mio precedente intervento pubblicato sul DizioNoir, per condividerlo con tutti i web-fan della narrativa spionistica che seguono il Segretissimo Blog.

Prima di partire con questa carrellata tutta nazionale, ci tengo a premettere che in questo testo (come peraltro ho fatto già in altre occasioni) utilizzerò convenzionalmente il termine spy fiction come contenitore flessibile e dinamico di una narrativa che indubbiamente si va vieppiù ramificando in molteplici direzioni (per quanto afferenti ad una radice comune: lo spionaggio, di ogni tipo, e quel intreccio segreto le cui conseguenze toccano le comunità oltre che non solo i singoli), cioè in sottogeneri affini, spesso commisti se non addirittura coincidenti, quali la spy story ad impianto classico (avventurosa e/o cerebrale), l’action, taluni combat, il thriller d’intrigo (che non vede necessariamente per protagonisti le più classiche spie, ma comunque figure che si muovono nel pernicioso anonimato della politica ombra, delle mafie, degli interessi economici), sviluppato sia su scenari nazionali che internazionali, ecc… Sono trame che, proprio in ragione della loro intrinseca qualità mimetica, necessariamente si adeguano ai tempi, oltre che ai gusti dei lettori.

Ebbene, gli autori italiani hanno dimostrato nel tempo una particolare propensione ad affrontare questa narrativa nei modi più eclettici e personali, con un’invidiabile profusione di stili e contenuti, soprattutto se si considera le possibilità di un mercato editoriale di limitata ricettività. Tra risultati più rilevanti nel campo, vari sono riconducibili all’intrigo a sfondo politico – un’eredità d’impegno quasi storica, che la narrativa d’evasione ha saputo far propria – e numerosi all’action thriller, con romanzi capaci di combinare ritmo e avventura assieme a trame non superficiali, sempre attente agli scenari mondiali.

A dimostrazione della tesi che la spy fiction è un fenomeno anche italiano si potrebbe comunque redigere un libro intero. Non è lo scopo di tale intervento che, piuttosto che ad un’annosa analisi, mira invece a sintetizzare i principali protagonisti e i titoli più significativi di una storia relativamente breve, nondimeno intensa e tangibile. Mi limiterò, dunque, ad una panoramica, sostanzialmente acritica.

La narrativa di spionaggio italiana non ha radici molto profonde. Perlomeno, non come identità di genere. Non c’è, insomma, una vera e propria tradizione, soprattutto se andiamo a confrontarla con i paesi anglosassoni e con la Francia. A grandi linee, si può affermare che ha cessato di essere un genere solo d’importazione all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. I titoli più o meno ascrivibili alla spy story pubblicati in precedenza restano episodi editoriali del tutto slegati, senza continuità.

Volendo a tutti i costi accreditare un esempio plausibile di antesignano, si potrebbe risalire alla fine del Seicento, quando il genovese Gian Paolo Marana scrisse L’esploratore turco. Si tratta però di un’operazione di ricerca delle origini ardita e di scarsa rilevanza. Dopotutto, a livello internazionale si considera come il prototipo della spy story un lavoro di Fenimore Cooper intitolato (appunto) The Spy. Ed è un romanzo del 1821!

Il primo testo italiano realmente in tema è La spia, di Arturo Olivieri Sangiacomo, un ufficiale piemontese dell’esercito sabaudo, che seppe conciliare la carriera militare con le sue passioni letterarie. Pubblicò sia saggi che romanzi, scritti nei quali emergeva la sua opinione circa l’esigenza di riformare l’esercito. La spia viene pubblicato nel 1902. Sono peraltro gli anni di Emilio Salgari, la cui narrativa avventurosa, va sottolineato, avrà la sua bella influenza anche su vari autori di spionaggio italiani.

Elementi spionistici li ritroviamo poi ne Il Sette Bello, di Alessandro Varaldo, e soprattutto in un classico di Augusto De Angelis: Il candeliere a sette fiamme (1936).

A metà del Novecento è un autore del calibro di Giorgio Scerbanenco ha dare il suo contributo allo spionaggio italiano, per quanto con lavori dove l’ordito spionistico è commisto al romanzo sentimentale. Se non addirittura, in certi casi, viceversa.

 Anime senza cielo, del 1950, è una storia del dopoguerra.

24a4_1.JPGDi profughi, di esiliati, coinvolti in reti spionistiche. Schierati su fronti differenti, quando non avversi. Grande importanza ai personaggi, alle relazioni tra loro. E’ ancora lo spionaggio a condizionare i personaggi di Appuntamento a Trieste (Rizzoli, 1953), in particolare la storia d’amore tra l’americano Kirk e la triestina Diana. Simile il tema di un racconto successivo, Le spie non devono amare (in Metropoli del delitto, 1975), dove l’io narrante è la moglie di un agente segreto.

Mentre negli anni ’60 nascono personaggi come 007, OSS117 e SAS, mentre negli anni ’70 emergono personalità letterarie come Le Carré, Deigthon, Forsyth, la produzione italiana di spionaggio rimane sostanzialmente letargica. E’ il lettore a non credere all’inventiva italiana? E’ l’editoria? O sono piuttosto gli stessi autori dell’epoca, che stentano a riconoscersi nel genere, a riconoscerne le potenzialità?

Saranno gli Anni di Piombo a far cambiare idea a tutti. Perché, ammettiamolo, non si può parlare di quel periodo e denunciare le follie sanguinose di alcuni senza tirare in ballo servizi segreti, interessi trasversali e teorie (teorie?!) complottiste.

Nel 1980, la Rizzoli pubblica Il vomerese, di Attilio Veraldi, ritengo il primo romanzo italiano impegnato a narrare il “nostro” terrorismo. Argomento allora decisamente coraggioso, stante la ferita recente e aperta.

 

Segue Massacro per un presidente (Mondadori, 1981), di Diego Zandel. 95_massacro_presidente.jpgAncora il terrorismo. La vicenda è ambientata a Roma. Ne sono protagonisti un profugo di origine fiumana, anarchico, e un colonnello dei servizi segreti, molto ligio al suo dovere e alle istituzioni. La strana coppia si scontra contro una frangia deviata dei servizi segreti, guidata nell’ombra da un uomo politico detto il Grande Vecchio, che forse non è estraneo alla manipolazione del terrorismo eversivo, di sinistra e destra, a scopi personali.

Sempre nel 1981, Rizzoli pubblica Agave, di Andrea Santini e Massimo Felisatti, un romanzo che, nel narrare una vicenda di traffico d’armi e di segreti italiani, anticipa di un mese lo scandalo della P2.

Rizzoli è ancora portabandiera nel genere dando alle stampe la trilogia Guerra di Spie, firmata da Corrado Augias: Quel treno per Vienna (1981), Il fazzoletto azzurro (1983) e L’ultima primavera (1985). I romanzi sono ambientati rispettivamente nel 1911 (l’Italia è in procinto di entrare in guerra con la Turchia per il possesso della Libia), nel 1915 (inizio della Prima Guerra Mondiale) e nel 1921 (periodo postbellico, con il fascismo che va consolidandosi). Nella trilogia, la fedele ricostruzione storica, geopolitica e sociale si coniuga con trame che (in modo differente per ognuno) sono insieme poliziesche e spionistiche.

Il 1981 segna anche l’esordio di un autore assolutamente unico per stile: Alan D. Altieri, pseudonimo di Sergio Altieri. Irrompe nel panorama letterario italiano con Città oscura (Dall’Oglio), un thriller metropolitano ambientato in una Los Angeles cruda e spietata.

Altieri propone romanzi di ampio respiro, ma dal taglio secco, ritmati in modo filmico, pregni di sudore e sangue, di violenza, dai toni a tratti così pessimisti da venir definiti dalla critica “thriller apocalittici”. In svariati tra i libri pubblicati in 25 anni di carriera ritroviamo trame in parte o del tutto riconducibili alla spy story d’azione e al tecno-thriller: Alla fine della notte (1981), con un complesso intreccio spionistico che fa da matrice; L’occhio sotterraneo (1983), con i suoi scenari europei; Corridore nella pioggia; L’uomo esterno;9788850203291g.jpg e da non dimenticare il bellico e anticipatore Kondor (Corbaccio, 1997), un crudo spaccato sul Medio Oriente in fiamme che si aggiudica il Premio Scerbanenco.

Nei primi anni ’80 inizia anche l’avventura italiana in Segretissimo, la storica collana mondadoriana dedicata allo spionaggio, in edicola fin dal 1961. All’epoca, alla direzione della “Mondadori edicola” c’era una vera protagonista del giallo come Laura Grimaldi, coadiuvata da Marco Tropea in redazione. I primi passi italiani furono dei racconti apparsi negli speciali semestrali (Estate Spia e Inverno Spia).

 L’onore del debutto di un romanzo italiano su Segretissimo (sbandierato a tricolore da una dicitura trasversale in un angolo di copertina: made in Italy con grinta) spetta al giornalista e scrittore Andrea Santini. Il numero 988 della collana s’intitola A volo di Falco (1984). Segna l’esordio di Falco Rubens, protagonista seriale che ritroveremo poi in Una fame da Falco (1984) e in Falco spia l’ecologia (1987).

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Falco Rubens è una spia che possiamo definire “di sinistra”. Non sarà questa un’eccezione nella collana, anzi. E’ peraltro una particolarità che, con caratteristiche assai differenti da autore ad autore, accomuna una buona parte del variegato assortimento di “eroi” dello spionaggio italiano. Con alcune eccezioni. Attenzione, però: in ogni caso, i romanzi italiani presentati in Segretissimo hanno solitamente saputo mantenere degli approcci disincantati, non schierati in modo ideologico o manichei. Del resto, un libro di spionaggio, pur anche evasivo e avventuroso, che aspiri ad un minimo di verosimiglianza non può permettersi di uniformarsi allo schema “Buoni contro Cattivi”. Di sicuro non in termini assoluti. Da qualsiasi prospettiva si ponga. Non è così che va il mondo. Tanto meno quello “sporco” dello spionaggio.

Falco ha fatto il ’68. In Francia e in Italia. E’ un giornalista free lance per “Afrique-Asie” e “Le Point”. Si interessa di al mondo non solo per doveri professionali. Odia gli imperialismi, statunitensi e sovietici, e il modo in cui fanno campo di battaglia del terzo mondo. E, in tal senso, si dà molto da fare. E’ un personaggio che per usare le parole di Santini “pur mantenendo stile, ritmi, regole di Segretissimo, si” distaccava “dai soliti protagonisti: occidentali, conservatori, anticomunisti.”

A pochi numeri di distanza dall’esordio di Falco Rubens, arriva Walfrido Pardi di Vignolo, l’eroe di un altro giornalista: Remo Guerrini. Non è probabilmente un caso se più di un giornalista italiano ha scritto spionaggio. Il giornalista è più incline a un taglio secco, dinamico. Non teme di mettersi in gioco come autore “di genere” piuttosto che letterario. Inoltre, soprattutto quando non c’era la TV satellitare e internet, era quello che con più facilità reperiva notizie e aveva l’opportunità di conoscere più a fondo le realtà geopolitiche mondiali e le loro reciproche connessioni.

Anche in Remo Guerrini ritroviamo trame scorrevoli, ricche di colpi scena, spruzzate di sesso. Due i titoli: Singapore: ma come fanno i marinai (1984) e Mosca: il cielo in una stanza (1986).

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Intervista a Franco Forte

giugno 4th, 2009

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BIOGRAFIA

Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Giornalista professionista, traduttore, sceneggiatore e consulente editoriale, ha pubblicato nel 2009 il romanzo storico La Compagnia della Morte (Mondadori), nel 2005 il thriller La stretta del Pitone (Mursia), e nel 2000 i romanzi storici Il figlio del cielo e L’orda d’oro (Mondadori), da cui ha tratto uno sceneggiato TV su Gengis Khan prodotto da Mediaset (trasmesso nel 2002 su Rete 4) e China killer (Marco Tropea/Il Saggiatore), un thriller metropolitano dai toni forti. Sempre per Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato a serie televisive quali “RIS – Delitti imperfetti”, “Distretto di polizia” e “Intelligence”. Per la RAI ha scritto alcune puntate della fiction tv “Alpha Cyber”. Il suo esordio come narratore risale al 1990, con il romanzo Gli eretici di Zlatos (Editrice Nord). Vicedirettore del mensile PC World Italia (www.pcworld.it), ha fondato la rivista Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it) e ha pubblicato Il Prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per gli autori esordienti. Ha curato antologie per Mondadori, Stampa Alternativa, Editoriale Avvenimenti e ha tradotto i romanzi “Aristoi”  e “Metropolitan” di Walter Jon Williams (Mondadori), “Meglio non chiedere” di Donald E. Westlake (Marco Tropea Editore) e, dal tedesco, “Q come Caos” di Falko Blask (Il Saggiatore). Il suo sito: www.franco-forte.it.

 

Intervista a Franco Forte

 

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A.L. – Ciao Franco, e benvenuto sul blog di Segretissimo. Dopo la prima avventura di Stal su «Legion» lo scorso anno, è finalmente il momento per lui di un’avventura lunga. Quali sono le tue sensazioni riguardo a questa sorta di «secondo esordio» su Segretissimo?

F.F. – Sono abbastanza emozionato, pur non essendo io uno “scrittore di primo pelo”. Ho già visto uscire parecchie mie creature, in libreria ed edicola, ma questo è comunque un esordio, per di più in una collana che ritengo un fulgido esempio di come in Italia si possa scrivere bene anche quando si affronta il tanto temuto romanzo d’azione. I colleghi che popolano Segretissimo sono professionisti di indubbio valore, ai quali mi fa davvero piacere potermi unire, pur con l’umiltà dell’esordiente, almeno nel campo della spy story. Confesso che fino a qualche anno fa non avrei mai accettato di scrivere un romanzo per questa collana, dal mio punto di vista molto difficile, almeno a livello tecnico e interpretativo. Ma poi ho avuto la spintarella morale giusta (anzi, lo spintone, conoscendo il personaggio) di quell’eccellente editor che è Sergio Altieri, e ho deciso di provare a cimentarmi anche con questo genere, che ho sempre avuto nelle corde come lettore, ma mai come scrittore. Ovviamente, lascio al pubblico rispondere se il mio tentativo è riuscito o meno…

A.L. – Starnelov, detto Stal, Acciaio, si preannuncia piuttosto misterioso, come era già evidente da «Legion». Di lui si sa poco o nulla a parte una sua sorta di simbiosi con le armi bianche. Cosa puoi dirci in generale del personaggio?

F.F. – Non ho mai scritto romanzi alla Segretissimo, come ho detto prima, ma qualche racconto impostato sui canoni dell’action thriller sì, e uno di questi, che si intitolava “Acciaio”, aveva come protagonista un personaggio che derivava da alcune mie letture dell’epoca, soprattutto hard boiled americano di quello duro e senza cedimenti. Sono partito da lì e ho inserito nel profilo del mio personaggio alcuni elementi tipici della spy story, pur senza farlo del tutto consapevolmente. Quando si è presentata l’occasione di dare vita a un nuovo protagonista di una serie di storie per Segretissimo, quel vecchio personaggio è tornato alla luce in maniera autonoma, e si è concretizzato nel racconto uscito su “Legion”. Nel frattempo, però, era cresciuto ancora, si era evoluto e aveva acquisito quelle caratteristiche di “veridicità” che reputo indispensabili per poter dare vita a un personaggio a tutto tondo da sfruttare per i miei romanzi. Così, in “Operazione Copernico” i lettori ritroveranno lo Stal di “Acciaio”, ma si renderanno conto che si tratta di una persona molto più complessa, profonda e (spero) interessate di quanto sia potuto emergere da quel racconto.

A.L. – Questa competenza riguardo alle armi bianche è derivata da un tuo reale interesse per l’argomento?

F.F. – Assolutamente sì. E se tra un action thriller o un giallo e l’altro, scrivo soprattutto romanzi storici, è proprio per questo. Mi ritengo un piccolo esperto di armi medievali, soprattutto in uso a Milano e in Lombardia dal 1200 al 1600, ma la passione mi ha portato a documentarmi per piacere e per lavoro anche sull’evoluzione delle armi bianche nel corso dei secoli, fino ad arrivare ai giorni nostri. Conosco senz’altro molto di più le armi bianche di quelle da sparo, e apprezzo intimamente il rapporto di simbiosi che nasce fra uomo e arma, quando le si usa con cognizione. Dovendo creare un personaggio per Segretissimo, e avendo già delineato Stal parecchi anni prima come un esperto di armi bianche, tutto è scivolato via in maniera del tutto naturale. Però attenzione: Stal sarà anche un esperto di armi bianche, ma ti assicuro che se la cava molto bene anche con pistole, fucili e, soprattutto, con le mani nude.

A.L. – Stal ha un background militare come Spetsnatz: che cosa ti ha affascinato di queste forze speciali, spesso raggruppate sotto questo termine piuttosto generico, ma a vari livelli sempre caratterizzate da una certa «mistica» che ha sempre colpito gli scrittori action?

F.F. – In realtà non si sa granché di questi misteriosi reparti delle forze speciali russe, e tutto quello che è sconosciuto esercita un grande fascino sul sottoscritto. Io poi ho lavorato a ritroso: ho prima creato Stal come un personaggio di provenienza moldava e poi, per dargli un background professionale che lo rendesse plausibile come mercenario d’acciaio, l’ho collocato all’interno di un’esperienza fra gli spetsnatz, che certo ritengo debba essere in grado di forgiare più che bene uomini come il mio Redka Starnelov. Infatti credo che i risultati si vedano…

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A.L. – Parlaci un po’ anche de «La Compagnia della Morte» la tua ultima fatica per il mercato della libreria. Dicci qualcosa che possa invogliare il pubblico di Segretissimo a sperimentare un genere differente.

F.F. – Azione, scene di battaglia ricostruite con cura meticolosa, ardimento e senso del dovere, che nello scenario del 1170 si sono espressi con uno degli scontri più duri e al contempo più importanti per l’Italia che il nostro Paese ricordi, anche se se ne è sempre scritto molto poco. Una pagina di storia da conoscere, e un mondo medievale da esplorare nei suoi anfratti, non solo nelle tecniche di battaglia e nelle armi usate a quel tempo, che naturalmente non manco di raccontare nei minimi dettagli. I moderni eroi dell’action story nascono da quei modelli di soldati e combattenti, che bisognerebbe conoscere e studiare più a fondo.

A.L. – Come sta andando il libro, sei soddisfatto, qual è stato il feedback del pubblico dopo un po’ di presentazioni?

F.F. – Il libro sta andando molto bene, e soprattutto il rapporto con i lettori è stato incredibile, durante questi mesi dalla sua uscita in libreria. Non dimenticherò mai le presentazioni che ho fatto a Legnano e in altre località d’Italia, piene all’inverosimile di pubblico, un pubblico competente e pronto a innescare un dibattito con il sottoscritto, per sviscerare ancora più a fondo delle tematiche che, evidentemente, un solo romanzo di 450 pagine non poteva approfondire in maniera esaustiva.

A.L. – Torniamo a Stal, dal punto di vista dell’ambientazione hai scelto la Transnistria, una terra ricca di mistero e di «angoli bui» che si sta affermando come scenario privilegiato per storie di spionaggio moderne. Quali sono le motivazioni della tua scelta?

F.F. – Per la piccola casa editrice di cui sono direttore editoriale, Delos Books, ho tradotto un breve ma intenso romanzo di Walter Jon Williams, autore a me molto caro (ho tradotto io, per Mondadori, i suoi romanzi “Aristoi” e “Metropolitan”, dei piccoli capolavori per gli amanti della fantascienza), che si intitolava “L’era del flagello”, e che si ambientava in questa oscura autoproclamatasi repubblica della Transinistria. Sono rimasto affascinato da quel paese e dai suoi problemi, dalla povertà diffusa, dalla criminalità che agisce come uno stato sovrano, e con il tempo ho approfondito l’argomento, rifacendomi anche a un amico che, per combinazione, è andato a vivere da quelle parti, in Moldavia. Quando è arrivato il momento di “raccogliere le carte” per scrivere “Operazione Copernico”, mi è venuto naturale ambientare parte della storia in Transinistria. E credo che ci tornerò ancora…

A.L. – So che sei sempre impegnato su innumerevoli fronti, sceneggiature, editoria, accanto alla scrittura: perché non ci aggiorni un po’ su questi progetti presenti e futuri e facciamo un po’ il punto della situazione?

F.F. – A fine giugno consegnerò alla redazione Omnibus di Mondadori la mia ultima fatica, il romanzo “Carthago”, secondo volume di una storia in 8 libri di Roma antica che appartiene a un progetto internazionale di Mondadori, ambientato durante la seconda guerra punica, con lo scontro fra Annibale e Scipione l’Africano. Ma con Mondadori ho già siglato altri contratti, uno per il romanzo “I bastioni del coraggio”, che si svolge a Milano nel 1500, all’epoca di Carlo Borromeo, e che dovrà uscire nel 2010, e poi per un altro progetto storico di rilievo, ma per cui forse è un po’ prematuro parlarne adesso. Oltre a questo, faccio probabilmente troppe cose per poterle segnalare tutte: il giornalista, lo sceneggiatore televisivo, il traduttore, l’editore e via dicendo. Troppo noioso approfondire.

A.L. – Vista la tua attività e le tue precedenti pubblicazioni, sono quasi obbligato a chiederti un consiglio per gli aspiranti scrittori.

F.F. – Ne ho dati troppi, in tanti anni di attività, quasi tutti inascoltati (gli aspiranti autori fanno come pare a loro, e forse hanno ragione). Uno però resta sempre valido, e non mancherò mai di ripeterlo all’infinito: leggete. Non solo romanzi tradotti, ma anche italiani. Perché è questo il modo migliore per imparare a scrivere.

A.L. – Per concludere, ci possiamo aspettare una seconda avventura di Stal?

F.F. – Inizierò a scriverla dopo aver consegnato “Carthago”. Ho già firmato il contratto. E prometto emozioni ancora più forti…

Ringrazio Franco e concludo segnalandovi un’intervista all’autore sul sito ThrillerMagazine. Franco Forte vs. Fabio Novel, Foreign Legion al meglio!

 

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Intervista a Bob Mayer (Robert Doherty)

marzo 2nd, 2009

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Cari lettori e lettrici, ho avuto il piacere e la grandissima soddisfazione di rivolgere alcune domande a Bob Mayer, l’autore (con lo pseudonimo di Robert Doherty) del numero di Marzo di Segretissimo, «Bersagli Perduti».

Prima di tutto permettetemi di presentarvi l’autore tramite la biografia che mi ha fornito.

Autore di bestseller secondo la classifica New York Times, Bob Mayer ha pubblicato 38 libri. Al momento ha circa tre milioni di volumi in commercio, ha venduto oltre sei milioni di copie ed è richiesto come consulente e formatore in materie di leadership, lavoro di squadra e motivazione, grazie ai concetti sviluppati nel suo libro «Who Dares Wins: The Green Beret Way».

who-dares-cover.jpgNato nel Bronx, ha frequentato l’accademia militare di West Point dove si è specializzato in psicologia, prestando poi servizio come comandante di un plotone di fanteria, di un battaglione di scout di una brigata ricognitori della 1st Cavalry Division. In seguito è entrato nelle Forze Speciali, arrivando a comandare un A-Team dei Berretti Verdi. Ha anche prestato servizio come ufficiale del Secondo Battaglione, 10° Gruppo, delle Forze Speciali e con il Comando Occidentale per le Operazioni Speciali nelle Hawaii. Successivamente ha insegnato al Corso di Abilitazione per le Forze Speciali presso il John F. Kennedy Special Warfare Center e a Fort Bragg, al corso di addestramento per i Berretti Verdi. Nel corso della sua vita ha vissuto in Corea, dove ha praticato arti marziali giungendo ai più alti livelli e nel Tennesse dove si è laureato in Scienze dell’Educazione.

Bob utilizza tutte queste esperienze per scrivere romanzi e manuali, tra cui «Who Dares Wins: The Green Beret Way to Conquer Fear & Change» e «The Novel Writer’s Toolkit: A guide to Writing Great Fiction And Getting It Published». Su questo argomenti, tiene regolarmente corsi e lezioni. Attualmente è nelle librerie con «Lost Girls» («Bersagli Perduti», Segretissimo Mondadori di Marzo 2009) e con «Agnes and The Hitman» (St.Martin Press) scritto in collaborazione con Jennifer Crusie.

Maggiori informazioni su Bob Mayer si trovano nel suo sito ufficiale: www.bobmayer.org

Grazie per aver acconsentito a quest’intervista Bob, parliamo un po’ di «Bersagli Perduti»: cosa ci puoi dire? Cosa dovranno attendersi i lettori? Hai inserito nel libro il tuo bagaglio di esperienze militari?

Il punto di partenza di «Bersagli Perduti» è il rapimento di una giovane donna. Il protagonista è in lotta contro il tempo per salvarla, anche se lei nel frattempo fa un ottimo lavoro per cercare di tirarsi fuori dai guai. I cattivi sono spinti dalla vendetta. Traditi, vogliono farla pagare ai traditori. Il tema principale che attraversa il romanzo è: chi controlla e governa il mondo delle «operazioni segrete»?

Quanto della tua vita è stato riportato, in maniera autobiografica e realistica, nel romanzo?

Le parti che riguardano le operazioni speciali e segrete sono tutte basate sulle mie esperienze nelle Forze Speciali. Sapete, qualche anno fa ho anche compiuto un’operazione con le Forze Speciali italiane. Fu un’ esperienza piuttosto interessante. Erano molto più calmi e rilassati di quanto non lo fossimo noi. Ho operato con un bel po’ di Corpi Speciali in giro per il mondo. Mi sono anche diplomato alla Danish Combat Swim School (dove vengono addestrati gli uomini-rana dell’esercito danese).

Hai scritto un gran numero di libri. La mole della tua produzione è impressionante. Dove trovi ispirazioni sempre nuove? Quali sono le tue fonti (se ce le puoi rivelare… )?

Scrivo in continuazione. Mi interessa non solo il mondo delle Forze Speciali ma anche la Storia, da cui scaturiscono le idee per alcuni dei miei romanzi. Al momento sto pensando di scrivere un libro sull’impero romano e una famosa battaglia dell’epoca, che non è mai stata raccontata dettagliatamente.

Spesso nei tuoi libri si mescolano diversi generi, lo spionaggio, il genere militare e la fantascienza ad esempio: come ti definiresti sotto questo aspetto?

Non mi considero uno scrittore di fantascienza. Con la serie «Area 51» (Urania, «Area 51», N°1334, e «Area 51 Minaccia dal cosmo», N° 1364 come Robert Doherty) e la serie «Atlantis» (Segretissimo N° 1442, come Greg Donegan) ho cercato di scrivere un genere definibile come «techno-myth»: mitologia e tecnologia che si fondono. Nel caso di «Atlantis» lo spunto era «cosa succederebbe se la forza che distrusse Atlantide tornasse a minacciare il nostro mondo?»

dohertyfront.jpgIn Italia c’è molta curiosità e un lungo dibattito in corso sull’uso degli pseudonimi. C’è qualche ragione particolare dietro l’uso dei tuoi? (Joe Dalton, Robert Doherty, Greg Donegan, Bob McGuire)? E come li hai scelti?

Doherty era il cognome di mia madre. Gli altri sono stati scelti in maniera casuale. Si tratta di una scelta prettamente commerciale. Scrivo tre o quattro libri all’anno, troppi per la maggior parte degli editori. Quindi, con lo pseudonimo, posso diventare ogni volta un autore diverso.

Ho letto della tua collaborazione con Jennifer Crusie: l’idea di scrivere a quattro mani per mostrare i diversi punti di vista (maschile e femminile) mi sembra interessante. Puoi dirci qualcosa su questo esperimento, come è nato e si è sviluppato, le difficoltà, i vantaggi e gli svantaggi di questa tecnica?

Io e Jennifer abbiamo viaggiato insieme su un volo verso Maui per insegnare allo stesso seminario per scrittori. Le nostre classi erano vicine e ci siamo resi conto di avere una visione comune. Volevamo provare qualcosa di differente. Ora abbiamo concluso il nostro terzo libro, «Wild Ride». Tratta di un parco dei divertimenti che è in realtà una prigione per demoni. Cominciamo sempre con due personaggi e da questa premessa sviluppiamo la trama. I romanzi hanno la particolarità che Jennifer scrive le parti che narrano la vicenda dal punto di vista della protagonista mentre io naturalmente manovro il protagonista maschile. Ne risulta un ritratto realistico delle differenze uomo/donna. Nel primo romanzo, la sua eroina ad un certo punto si infuria con il mio personaggio: a tutt’oggi non ho ancora idea del perché. Gli uomini, le donne, e i loro diversi punti di vista sono i fondamenti dei nostri romanzi. Romanzi veloci, divertenti, che parlano di noi, dei nostri rapporti sociali.

Una sera, a Maui, Jenny Crusie stava ammirando il tramonto sul pacifico. Bob Mayer le si sedette vicino e le chiese: «Tu che cosa scrivi?» Jenny rispose: «Bè, fondamentalmente, nei miei libri le persone fanno sesso e si sposano.» Bob disse: «Nei mie libri, fanno sesso e muoiono».

Tradotto dal sito degli autori: http://www.crusiemayer.com/

Ogni scrittore è anche un lettore. Cosa ti piace leggere? Continui a trovare piacevole la lettura dopo così tanto tempo passato a scrivere?

Certo. Leggo soprattutto saggistica, cercando di imparare cose nuove, e un sacco di libri di storia. A proposito, ho appena concluso un lavoro che sto faticando non poco a vendere qui negli stati uniti, basato su fatti storici. Si intitola «The Jefferson Allegiance». Sono partito dalla sorprendente coincidenza che Thomas Jefferson e John Adams sono entrambi morti il 4 Luglio del 1826, a cinquant’anni dalla dichiarazione di indipendenza. Poi la storia si sposta nel futuro prossimo, coi militari alle prese col tentativo di rovesciare un presidente imperialista. Parecchi editori mi hanno detto è troppo cupo, ma a mio parere è invece piuttosto realistico. Continuerò a cercare di venderlo.

Hai anche scritto libri di carattere tecnico, sull’arte della scrittura. Che consigli ti senti di dare ai nostri lettori? Cosa dovrebbe fare, a tuo parere, un aspirante scrittore? Quali sono le abilità fondamentali da acquisire?

Ho scritto il manuale «The Novel Writers Toolkit» per aiutare gli altri scrittori. A Giugno uscirà un altro libro, «Who Dares Wins: The Green Beret Way to Conquer Fear & Change» in cui prendo ciò che ho appreso nel mondo delle Forze Speciali e lo applico alla vita di tutti i giorni. L’ho già presentato negli Stati Uniti e in Europa ed è andato davvero bene. Per un aspirante scrittore, la chiave è focalizzarsi sul lettore. Non sullo scrittore. Molti aspiranti scrittori sono troppo concentrati su se stessi. In quanto autori, siamo intrattenitori. Possiamo anche informare, certo, ma prima di tutto dobbiamo divertire i nostri lettori.

Grazie Bob! Questa era l’ultima domanda. Vuoi dire qualcos’altro ai nostri lettori?

bodyguardofliescomp.jpg«Bersagli Perduti» insieme a «Bodyguard of Lies» è uno dei miei libri preferiti. I due romanzi hanno alcuni personaggi in comune. Penso che i personaggi femminili in entrambi i libri siano davvero tosti e abili. Dieci anni fa, quando misi giù la prima stesura di questi romanzi, non era una cosa tanto comune, ma sembra esserlo molto di più oggi. Mi piace il modo in cui la giovane vittima del rapimento tenta di liberarsi!

Grazie per l’attenzione, spero che vi godrete il libro!

Grazie a te Bob! A presto

Intervista di Alessio Lazzati

 

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Intervista ad Arno Baker – Seconda Parte

gennaio 16th, 2009

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 Continua l’intervista con Arno Baker, l’autore di “Operazione Nettuno”.

 5- A.L.- Come mai hai scelto di approfondire questo particolare evento, Mussolini e la Decima MAS in connessione con l’FBI e la storia americana?

Dopo l’11 settembre, che ho visto con i miei occhi dal momento che mi trovavo a circa un chilometro di distanza dalle Torri Gemelle, mi sono reso conto che questa città, come molte altre, era scoperta e estremamente vulnerabile. Sapevo che durante la Seconda Guerra Mondiale la situazione era la stessa e che New York era rimasta scoperta e praticamente indifesa. Gli americani si sono sempre sentiti relativamente al sicuro nel loro isolamento dal resto del mondo e non erano mai stati “attaccati” prima sul loro suolo.

Il periodo che va dal 1940 al 1942 resta un periodo molto misterioso, precedente alla guerra vera e propria: l’FBI era molto preoccupato di avere a che fare con una vasta rete di potenziali spie e sabotatori, per cui cominciò a stilare liste di stranieri potenzialmente pericolosi. I Giapponesi erano così tanto temuti in California che, anche se erano cittadini americani, vennero ugualmente internati in campi di prigionia perché il governo si aspettava che fossero leali alla loro madre patria.

Anche gli italiani vennero arrestati in gran numero, specie quelli con note simpatie per il fascismo, ma di questi episodi si sa molto meno. Tra di loro ve ne erano anche parecchi, se non di più, su posizioni anti-fasciste, specie a New York, e che speravano di vedere la caduta della dittatura. L’FBI tenne i fascisti italiani sotto stretta sorveglianza, così come fece con la grande e ben organizzata comunità di filo-nazisti nel quartiere della città di New York chiamato Yorkville. Fino a che l’Italia e la Germania non ebbero dichiarato guerra però, quattro giorni prima di Pearl Harbor, tutte queste persone erano libere di muoversi a piacimento in un America libera e democratica. L’azione nel romanzo si svolge nel 1941, nel periodo di lenta transizione tra la pace e la guerra, mano a mano che l’America si identificava sempre più con la causa Britannica e successivamente con la lotta per la sopravvivenza dei sovietici. Nella primavera del 1941 gli eventi erano sul punto di precipitare. Bisogna tener presente che durante la guerra Mussolini ebbe davvero l’intenzione di bombardare New York dall’alto con quattro bombardieri e portare un attacco sottomarino usando un super sommergibile transatlantico capace di ospitare un mini sommergibile al suo interno. Questi piani vennero discussi nel corso del 1942 ma furono presi in considerazione troppo tardi, poiché dopo la battaglia di Stalingrado, l’Asse appariva ormai chiaramente destinata alla sconfitta. L’attacco a New York non divenne mai realtà, ma i piani esistevano.

Anche i tedeschi avevano idee simili e i loro progetti sono custoditi negli archivi. New York era un bersaglio privilegiato, ieri come oggi purtroppo.

6 – A.L. – Cosa si devono aspettare i lettori dal tuo romanzo?

Per prima cosa, situazioni reali e tanti fatti storici. Alcuni dei miei lettori si sono messi in contatto con me dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti e mi hanno detto che una volta preso in mano il mio libro non si riesce a metterlo giù! Un lettore mi ha riferito di averlo addirittura terminato in una notte! Questo mi fa molto piacere perché è proprio come mi sentivo mentre lo scrivevo, anche se non è stato certo facile e ho dovuto revisionarlo più volte. Ogni volta però mi esaltavo perché scoprivo una nuova ramificazione della storia e volevo raccontare anche quella. Credo che se leggerete il libro attentamente vi accorgerete che ci sono molte altre potenziali storie all’interno di ogni capitolo e questo è un modo per dare maggior spessore all’azione. Nel libro troverete lo spionaggio delle riunioni segrete, i documenti riservati che cambiano mano, le case sicure, gli inganni e gli sbarchi clandestini, ma anche guerra sottomarina e omicidi.

7 – A.L. – Quali sono le tue influenze principali come autore? Che cosa ti piace leggere?

Principalmente leggo, per ragioni di lavoro, libri scritti da storici professionisti. Nel campo della fiction la mia influenza più grande è tuttora “Guerra e Pace” di Tolstoji che ho letto e che rileggo appena posso. La rilettura è un’attività che pratico spesso, ogni volta che trovo un libro che emerge tra gli altri. Tra gli storici italiani apprezzo lo storico militare Giorgio Rochat ma anche Renzo De Felice che si distingue per l’altissimo livello delle sue ricerche. Devo citare anche le memorie di Churchill sulla Seconda Guerra Mondiale, un capolavoro che ho letto quando ero solo un ragazzo. Fu proprio quel libro che mi spinse a saperne di più sulla guerra; tra le fonti ci sono anche Denis MacSmith e MacGregor Knox in Inghilterra e alcuni altri autori americani che hanno scritto lavori molto buoni sull’argomento. Mi sono interessato parecchio anche alle memorie dei comandanti di sottomarini nella Seconda Guerra Mondiale e del Comandante Borghese in particolare, specialmente per le sue descrizioni delle azioni nel Mediterraneo. Altri libri sulla guerra sottomarina hanno rivestito notevole importanza. Devo aggiungere che, proprio mentre stavo per ultimare il libro, ho avuto l’opportunità di recarmi all’Imperial War Museum di Londra dove ho visto un “Maiale” originale per la prima volta, l’SLC del romanzo. Si è trattato di un’esperienza eccezionale e proprio grazie a quella visita sono stato capace di descrivere il mio “Maiale” in maniera più realistica.

8 – A.L. – Cosa ci puoi anticipare riguardo ai tuoi progetti futuri? Scriverai ancora sulla Seconda Guerra Mondiale o cambierai scenario?

Il mio prossimo romanzo è praticamente ultimato e si intitola “Code Name: Kalistrat”. Una storia di spionaggio ambientata durante Guerra Fredda, sui segreti della bomba atomica e le spie Rosenberg, operative a New York. “Kalistrat” era il nome in codice dell’ufficiale del servizio segreto sovietico che teneva i contatti con Julius Rosenberg. Dopo di questo sono in arrivo altri due libri, di cui uno relativo all’Italia del 1944. Per adesso però è ancora tutto segreto!

9 – A.L. -Grazie per la conversazione Arno, sono sicuro che i lettori di Segretissimo saranno ansiosi di cominciare il tuo libro e che non vedranno l’ora di leggere i successivi. C’è qualcos’altro che vuoi aggiungere?

Mi piacerebbe conoscere le opinioni dei lettori sul Blog, ogni critica sarà ben accetta! Grazie!

A.L. Grazie a te, alla prossima intervista!

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Intervista ad Arno Baker – Prima Parte

gennaio 13th, 2009

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Cari lettori e lettrici,

Inauguriamo la rubrica “Black Ops” per il 2009 con un’intervista in esclusiva (in due parti) ad Arno Baker, autore del libro “Operazione Nettuno” che potete trovare proprio in questi giorni in edicola. I miei ringraziamenti per quest’intervista vanno ad Arno Baker, a Robert Miller editor della Enigma Books e a tutto il suo staff. Voglio precisare che l’intervista è avvenuta in modalità “offline” grazie a Mr. Miller e quindi non sarà possibile rivolgere  ulteriori domande all’autore.

 

1 – A.L. – Salve Arno, benvenuto sul Blog di Segretissimo Mondadori e grazie per averci concesso questa intervista. Per prima cosa, che ne diresti di presentarti ai lettori italiani? Parlaci un po’ del tuo background…

É un vero piacere poter comunicare direttamente coi lettori italiani. Sono in parte di origine europea (italiano e francese) e in parte americano (di discendenza russa) e sono un insegnante di storia moderna. Ho vissuto a New York sin da bambino, città in cui mi sono trasferito dal vicino Connecticut dove mio padre esercitava la professione di avvocato. Da lui ho ereditato la passione per i dettagli e la ricerca tipiche del suo lavoro e ciò mi è stato di grande aiuto nello scrivere le mie storie.baker2.jpg

Ho sempre viaggiato con regolarità e conosco l’Europa di oggi e anche altre parti del mondo dove, durante le mie visite, mi reco per cercare luoghi storici, monumenti e, quando mi viene concesso uno sguardo ravvicinato e posso spulciare gli archivi, anche biblioteche. Nel corso degli anni mi sono specializzato in vari argomenti storici, tra cui l’Italia del periodo fascista. A partire dal 2005 mi sono recato alla New York Public Library per svolgere un’altra ricerca e mi sono imbattuto in parecchi documenti relativi alla storia d’Italia e specialmente relativi agli italo-americani a New York, sia nel periodo immediatamente precedente che durante la seconda guerra mondiale. Molti di loro erano antifascisti ma altri erano invece simpatizzanti e i due gruppi sono stati ai ferri corti per parecchio tempo. Dal ritrovamento di questo materiale è scaturita la primissima idea per questo romanzo. Cerco sempre situazioni nelle quali sono possibili diversi scenari che in grado di modificare leggermente la nostra conoscenza degli eventi. Per cominciare comunque ho sempre a portata di mano il materiale di base che uso per la mia professione.

2 – A.L.- Quanto del tuo romanzo è storia, e quanto è invece invenzione narrativa?

Sono certo che gli storici della Seconda Guerra Mondiale individuerebbero immediatamente i punti in cui la narrazione si distacca dai fatti: la mia storia ha un punto di partenza reale e mi sono sforzato di rimanere il più realistico possibile, in modo da non far apparire l’invenzione come pura fantasia ma piuttosto come una scoperta di fatti nuovi. Gli storici dicono sempre, a ragione, che la Storia non si può scrivere coi “se”: contano solo i fatti, non le loro eventuali e possibili modificazioni. Il romanzo mi concede la libertà di immaginare quei “se” e costruirci attorno  una storia, mi auguro appassionante. Un amico e collega scrittore in Inghilterra ha letto il mio libro ed è stato in grado di evidenziare tutti i momenti chiave in cui la Storia si sarebbe potuta modificare nel modo in cui avviene nel romanzo. La fine resta la stessa, per cui non si tratta certo di “storia alternativa” quanto piuttosto di una “possibile alterazione”.

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3 – A.L. – Potresti presentarci velocemente i personaggi? Le figure storiche reali avranno un ruolo attivo?

Il racconto è basato su due verità storiche: la spaccatura all’interno della mafia italo-americana, in cui una parte era a favore degli Stati Uniti mentre un gruppo più piccolo seguiva Mussolini avendo mantenuto rapporti più stretti con l’Italia durante il Fascismo, unita al fatto che L’Italia aveva previsto l’ingresso dell’America nel conflitto accanto agli alleati.

I personaggi principali sono: il capitano della Marina Italiana Federico Spada, esperto in sabotaggi e con un’ottima conoscenza degli Stati Uniti: Spada è lui l’uomo chiave, scelto per condurre il team di incursori della Decima MAS nella missione di attacco al porto di New York. Nello schieramento opposto agisce Willy Anderson, l’agente dell’FBI sulle sue tracce. Si tratta di un “novellino”, ma con una caratteristica rara: cresciuto in un quartiere italiano a New Haven, in Connecticut, durante gli anni della Grande Depressione, ha imparato l’italiano di strada, perfezionando poi la lingua durante i suoi anni al college. Per questo motivo venne assegnato alla sorveglianza e allo spionaggio di diplomatici a New York. Ricordiamoci che a quei tempi non esistevano le Nazioni Unite e New York non era certo la città cosmopolita di oggi: gli stranieri erano molto più visibili in quella situazione. Gli altri personaggi sono ugualmente affascinanti spie, diplomatici, gangster, ammiragli, ma anche Benito Mussolini, Galeazzo Ciano, Adolf Hitler, Franklin Roosvelt, J. Edgar Hoover, Josif Stalin e molto altri appaiono nel loro vero ruolo storico. Spesso uso le loro esatte parole, così come le ho rinvenute nei diari e nelle memorie, e in situazioni che si sono verificate realmente ma con i cambiamenti apportatiper finalità narrative.

4 – A.L. – Quali fonti hai utilizzato, e adoperi di solito, per scrivere i tuoi libri?

Comincio sempre dai documenti storici: ad esempio il diario di Ciano, una fonte davvero preziosa, e resoconti che descrivono i personaggi importanti come venivano visti all’epoca da quelli con cui venivano a contatto e che poi ne hanno lasciato testimonianza. La maggior parte di questi testi, di diplomatici e giornalisti, sono disponibili nei vari archivi e nella maggior parte dei casi non sono mai stati pubblicati anche se gli storici vi fanno spesso riferimento. Ho sempre cercato gli originali e ogni volta che ho trovato un dettaglio rivelatore che mostrava il “vero” Mussolini, o Roosvelt oppure Stalin, l’ho inserito nel contesto del mio thriller.

…Continua tra qualche giorno!

 

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Un 2008… Segretissimo.

dicembre 23rd, 2008

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 Cari lettori e lettrici, questo non è l’ultimo post del 2008. L’occasione della fine dell’anno è perfetta per tracciare un bilancio delle dodici uscite per quanto riguarda la serie regolare e degli speciali, visto che il blog è partito a Settembre (e il 2008 sarà anche da ricordare per i blog). Rivediamo quindi i “Magnifici 12″ o se preferite “La Sporca Dozzina”, le uscite regolari che ci hanno tenuto compagnia. Siete invitati caldamente a esprimere le vostre opinioni, preferenze, menzioni d’onore (e spero non di disonore) come se si trattasse di una premiazione di fine anno!

Gennaio: Richard Marcinko/Jim DeFelice – Sacro Terrore.

Febbraio: Kevin Hochs – Sandblast.

Marzo: Claudia Salvatori – Walkiria Nera: Golden Dawn.

Aprile:  Xavier LeNormand (Stefano Di Marino) – Vlad:Tempesta sulla Città dei Morti.

Maggio: John Ramsey Miller – Ore Contate.

Giugno: Danilo Arona ed Edoardo Rosati – La Croce sulle Labbra.

Luglio: John Shannon – Strade di Fuoco e lo speciale Legion con racconti di Alan D. Altieri, Stefano Di Marino, Andrea Carlo Cappi, Giancarlo Narciso, Claudia Salvatori, Secondo Signoroni, Gianfranco Nerozzi, Tito Faraci, Franco Forte, Massimo Mazzoni.

Agosto: Stephen Gunn (Stefano Di Marino) – Il Professionista –  Beirut: Gangwar.

Settembre: Joe Gores – Glass Tiger.

Ottobre: Secondo Signoroni – Furore Nero.

Novembre: Brent Ghelfi – L’Artiglio del Lupo.

Dicembre: Luis Piazzano – Destinazione Qumran e lo Speciale “Golden Serpent” di Marc Abernethy.

In attesa di un inizio 2009, inevitabilmente col botto… ma ci risentiremo per le anteprime di Gennaio!

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Intervista a Luis Piazzano, di Fabio Novel

dicembre 19th, 2008

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Cari lettori e lettrici: torna l’appuntamento con “Black Ops” e con l’approfondimento. Doppio ospite questo mese: Fabio Novel, vero esperto di spy-story e spy-fiction nonché già curatore dello speciale estivo Legion, intervista Luis Piazzano, autore storico di Segretissimo e in edicola con “Destinazione Qumran”.

 Luis Piazzano, da Kabul a Qumran.

 Intervista a cura di Fabio Novel

 

Articolo in collaborazione tra ThrillerMagazine e Segretissimo Mondadori Blog

Dopo sei anni di assenza, con Destinazione Qumran, è tornato in edicola Luis Piazzano.

Caro Luis, benvenuto su ThrillerMagazine e sul Blog ufficiale di Segretissimo/Mondadori, collana alla quale hai contribuito con svariati romanzi, negli ultimi vent’anni. Credo però di non sbagliare affermando che questa potrebbe essere la prima intervista che rilasci nel web. E, forse, una delle poche che hai rilasciato in assoluto…

 

Sì, certo. Non rilascio mai interviste. Sono un poco schivo a parlare di me, ma nel vostro caso si può fare uno strappo alla regola, con piacere.

 

Prima di passare ai tuoi romanzi, puoi raccontarci qualcosa di te? C’è sempre curiosità rispetto agli scrittori che stanno dietro ai loro romanzi…

 

Sono di origine cilena, padre italiano, piemontese, e madre pura cilena. Sono nato a Santiago e tutta la parentela da parte di madre vive là. Siamo venuti in Italia prima dell’ultima guerra e ce la siamo sorbita tutta. Rimasti in Italia ho completato qua i miei studi, laureandomi in scienze geografiche e seguendo un master di tema ambientale, professionale engineer, negli USA; ho lavorato per più di 35 anni col Corps of Engineers dell’US Army con mansioni tecnico manageriali su progetti e costruzioni militari nell’ambito del bacino mediterraneo, in Medio Oriente e nel Sud Europa, basi USA in Italia incluse. Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti sin dal 1972, ho diretto un paio di testate periodiche e scritto saggi e libri sulla seconda guerra mondiale. Ho la ventura di conoscere sei lingue, ho viaggiato molto e ho, tra l’altro, spesso sconfinato al di là del fu muro di Berlino nei tempi oscuri di quella zona.

 

Passiamo a parlare della tua narrativa. Partiamo dal passato: dal tuo esordio in Segretissimo, nel 1989. Sto parlando del romanzo Kabul Kabul, la prima apparizione di Luc Della Rocca & Co. Come sei approdato in collana? E come sono nati i tuoi personaggi, e quella trama in particolare?

 

Ho sempre prediletto nelle mie letture i romanzi di spionaggio, anche se la mia curiosità e voglia di sapere mi ha fatto fare indigestioni letterarie di ogni tipo. L’idea di un romanzo di spionaggio mi venne, all’epoca, dopo aver letto moltissimi libri di Segretissimo. Mi piacevano; alcuni meno, altri di più, una bella collana insomma, con autori ben preparati e intelligenti.

 

Nel 1991, Luc Della Rocca torna in scena, in missione in Pakistan (scenario del 1988, subito dopo la morte, difficilmente “accidentale”, del dittatore Zia), dove sventa un complotto contro Benazir Bhutto. Seguono, negli anni successivi, altri romanzi: Allarme Vaticano, Fuga dall’Inferno, Il sopravvissuto, Le carte somale, Missione Afrika… Sino a Missione Double Face, del 2002. Tra questi titoli, c’è qualcuno che ti è più caro, o che ritieni meriti una menzione d’onore, per una ragione o l’altra?

 

Menzione d’onore? Troppo buono. No, l’uno può valere l’altro. I miei romanzi nascono, si può dire, da fatti reali, da avvenimenti apparsi sulle cronache mondiali, da situazioni esistenti, tutta roba che viene a darmi il là per una storia inventata che orbita attorno ad un reale, che vi si compenetra e che poi si risolve sub specie sua lasciando, ovviamente, il reale da cui ha attinto tale e quale era.

 

E veniamo finalmente a Destinazione Qumran? Senza privare in alcun modo il lettore del piacere della lettura, anticipando troppo, puoi raccontarci comunque qualcosa di questo inedito?

 

Il terrorismo, come spiego anche nelle pagine del mio romanzo, si sta evolvendo, tenta di lasciare i metodi cruenti, plateali, per spostarsi su un piano più sottile, infido, alterando quelle che possono essere le basi culturali, eitche, religiose di un popolo, di un mondo, quello occidentale ad esempio, per screditare un credo, capovolgere la tradizione, trovare il rovescio di una medaglia che può essere aurea nel recto e bronzea nel verso. Gli effetti potrebbero essere sconvolgenti, devastanti. Non dico altro.piazzano.jpg

 

Qualche parola sui tuoi protagonisti: Luc Della Rocca, il colonnello Steiner, il capitano Giuseppe Gavini…

 

C’è una certa rispondenza con personaggi reali… ma perché scoprire le carte? Prendiamoli per quello che sono nella loro presentazione, ed essi possono essere chiunque, fors’anche l’appassionato lettore della serie…

 

Com’è cambiata la spy fiction, da quando la leggi e la scrivi?

 

E’ forse divenuta un po’ più cruda, più spiccia e fredda semmai, anche se nel narrato appaiono effetti speciali, tra virgolette. Un tempo era più statica, salvo dinamicizzarsi con la serie fortunata di Bond. In Segretissimo l’azione è stata però quasi sempre preponderante. Personalmente prediligo personaggi umani, con tutte le loro debolezze, timori, tic, speranze e amori, fortunati o meno. Sono per una storia dove domini il raziocinio e il cerebrale pur concedendo alla trama movimento e colpi di scena, intrigo, proprio così: un bel intrigo.

 

 E il tuo modo di proporre spy story, è anche in qualche modo mutato?

 

Ho cercato solo di migliorare, spero, magari con velleità più letterarie e temi più profondi.

 

Quali comunque reputi essere gli elementi distintivi della tua narrativa spionistica?

 

Distintivi? Non saprei. I miei eroi sono una squadra. Le missioni sono dalla parte dei “buoni” e il finale, alle volte sofferto e drammatico, li ritrova sempre integri e insieme pronti per una nuova avventura.

 

Sfoglio il tuo dossier… Da appassionato anche di SF non posso non notare che hai scritto anche racconti di fantascienza. Già nel 1961 pubblicasti per la gloriosa Oltre il cielo. L’ultima tua apparizione fantascientifica potrebbe essere un tuo racconto in appendice ad Urania, del 1989. Quella per la fantascienza è una passione che rimane, almeno da lettore? Leggi ancora Urania?

 

 Non leggo più la SF, però mi piace e un bel film di fantascienza mi attrae sempre. Nei miei racconti di SF, ne ho scritti molti per giornali quotidiani, avevo il pallino dell’assurdo, del paradosso, una ricerca metafisica nella natura umana e nell’essenza delle cose, quindi né mostri alieni né avventure troppo avveniristiche. La SF credo esista già nel nostro mondo, nel nostro vissuto, solo che non la vediamo per il limite datoci dai nostri sensi e dalla nostra ragione.

 

Spionaggio: cinema e TV. Che ci dici a riguardo? Cosa ti piace di più? Ha lo schermo influenzato in qualche modo i tuoi romanzi?

 

Mi piacciono le spy stories in TV, quasi tutte, e in verità l’idea di una spy story viene sì influenzata dal piccolo o dal grande schermo, ma anche dai giornali e dalla cronaca, dalla vita reale se non proprio dal vissuto e – perché no? – dall’esperienza.

 

Pensi che le tue storie di spionaggio potrebbero venir sceneggiate, magari per la TV?

 

Saprei scrivere una sceneggiatura, certo. E poi sono prodotte in TV fictions sulla Polizia, i Carabinieri, la Guardia Costiera, i Finanzieri, i Vigili del Fuoco, perché non sui Servizi, sul loro mondo occulto e duro di veri combattenti a protezione degli interessi e dei diritti di una nazione, del nostro mondo occidentale?

 

Qual è la forza della spy fiction?

 

Credo sia il movimento, il respiro, l’ambientazione, l’umanità dei suoi protagonisti, l’intrigo e la ricerca ragionata che coinvolgano il lettore fino alla soluzione del problema.

 

Hai altri progetti narrativi in cantiere?

 

Ne avrei molti, anche di altro genere, ma la loro realizzazione richiede tempo e convinzione, ed un editore a cui tu vada a genio.

 

Saluto e ringrazio Luis per la chiacchierata. Alla prossima!

 

Saluti e Buone Feste. Grazie di tutto e… ci sentiamo presto!

 

 

Ricordiamo ai lettori che Destinazione Qumran sarà disponibile in edicola per tutto il mese di dicembre.

Fabio Novel

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Intervista a Brent Ghelfi

novembre 17th, 2008

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Cari lettori e lettrici: come promesso, continua lo speciale dedicato al nuovo acquisto della famiglia di Segretissimo, Brent Ghelfi. La sezione Black Pps si arricchisce di un’intervista che Brent ci ha gentilmente concesso in esclusiva: nell’occasione lo ringrazio per la simpatia e la disponibilità che ha dimostrato.

Alessio Lazzati – Benvenuto sul Blog di Segretissimo Brent! Per cominciare, perché non ci parli del protagonista del tuo romanzo, Alexei Volkovoy, “Volk”: chi è? Come l’hai ideato?

Brent Ghelfi –  Grazie per avermi invitato a partecipare al blog! L’ispirazione per Alexei Volkovoy mi è venuta durante un viaggio a Mosca. Erano le quattro del mattino circa di una giornata nebbiosa e stavo osservando la Piazza Rossa da una stanza del National Hotel.

Notai un uomo con un soprabito nero che procedeva spedito verso il Mausoleo di Lenin. Sembrava sparire e riapparire mentre avanzava tra le luci e le ombre. Oltrepassò i posti di blocco e i soldati di guardia al mausoleo senza mostrare nessun documento, quindi svanì per un’ultima volta, all’improvviso, come se fosse stato inghiottito dalle mura rosse del Cremlino.n246191.jpg

Mi chiesi chi fosse. Un civile? Un militare? O forse una specie di spettro in bilico tra entrambi i mondi? Quell’uomo divenne Volk. Oscuro, violento, disperato – sotto molti aspetti, una metafora della Russia moderna.

A.L. – Viene spontaneo chiederti: sei americano, per quale motivo hai deciso di ambientare una storia in Russia? Cosa la rende così affascinate?

B.G. – L’ inizio della mia per la la Russia risale alla fine degli anni settanta, quando lessi i grandi narratori russi e conobbi i loro scrittori di racconti brevi. Il nome Volkovoy viene da un personaggio (una guardia carceraria) di un classico di Solženicyn, “Un giorno nella vita di Ivan Denisovič”.

Visitai la Russia per la prima volta all’inizio degli anni ottanta, quando ero ancora uno studente. Ne ricavai una complessiva sensazione di grigiore. Palazzi minacciosi, cittadini pallidi vestiti di scuro, corridoi dall’aria viziata, un bagno in comune con il pavimento di piastrelle coperto d’acqua stagnante, cibo dal sapore aspro.

In seguito, vi ritornai spesso, sia come turista che per lavoro. Mi innamorai della cultura e della storia. Vi erano molte cose non buone, ma tutte interessanti.. Osservai la nazione che cambiava, specialmente le grandi città. Solo di recente mi sono reso conto che la Russia è perfetta per ambientarvi delle storie. Selvaggia, strana, triste e imprevedibile.

A.L. – Il tuo romanzo ci mostra un personaggio femminile molto forte e importante, Valya Novaskaya: ci dici qualcosa in più su di lei?

B.G. – L’apparizione di Valya in una delle prime scene, quando giunge in aiuto di Volk con un fucile a pompa, e una descrizione in particolare – “I capelli decolorati sino a diventare bianchi sparano un riflesso simile a un’aura”- ha cristallizzato il personaggio nella mia mente come l’angelo custode di Volk. Valya è sicura di se, curiosa, fiera e per certi punti di vista immatura. Per usare le parole di Volk, è anche “eterea”, con una sorta di aura soprannaturale. Con la possibile eccezione del boss Maxim, Valya è il personaggio che mi è piaciuto di più scrivere subito dopo Volk.

A.L. – Il tuo romanzo appartiene a una tipologia molto moderna di thriller d’azione, in cui non esiste una netta divisione tra buoni e cattivi, ma potere e denaro sono in grado di modificare le alleanze molto rapidamente. Quanta analisi del mondo reale c’è dietro alla creazione dell’ambiente in cui opera Volk? Deriva da una effettiva conoscenza della situazione russa?

B.G. – L’ambiguità morale che permea il romanzo deriva dalla sensazione che la Russia sia sempre ad un bivio. E’ Oriente o Occidente? In pace o in guerra? Un repubblica o una dittatura? Il bene e il male non hanno contorni definiti in Russia, e ciò si rispecchia nel mio romanzo.ghelfifront.jpg

Nel corso dei miei viaggi in Russia ho potuto constatare questa ambiguità nella gente che ho incontrato: ex-interpreti dell’era sovietica ed ex agenti del KGB, veterani della guerra in Cecenia, vecchie babushkas e studenti idealisti. Stalin viene osannato e maledetto al tempo stesso da tutti loro. L’interventismo di Putin in Cecena e, più di recente, in Georgia, è visto come un bene finché può servire a fare in modo che la Russia riacquisti un ruolo da protagonista sul palcoscenico mondiale. L’omicidio della giornalista Anna Politkoskaya e dell’ex agente dell’FSB Aleksandr Litvinenko sono stati considerato con leggerezza da molta gente. Eppure al tempo stesso, in tanti sembrano aspettarsi qualcosa di meglio dai loro leader e dalla loro patria.

Volk rispecchia queste sensazioni contrastanti. Ha vissuto attraverso la trasformazione della Russia ed è sopravvissuto a una guerra in Cecenia. Ha visto il bene e il male, e si trova intrappolato in un’ambigua zona d’ombra.

A.L. – Abbiamo sempre più l’impressione che, dopo alcuni anni, la Russia stia ridiventando sempre più un scenario affascinante e adatto per le storie d’azione e spionaggio, secondo te per quale motivo?

B.G – La Russia è un paese pieno di mistero e – specialmente col suo arsenale nucleare intatto e i recenti sforzi per ricostruire la propria potenza militare – spaventoso. Terminata la guerra fredda, i romanzi sulla Russia hanno dovuto mutare per riflettere quella realtà. C’è voluto un po’ di tempo per adattarsi al cambiamento. Credo che la gente stia vedendo la Russia risorgere (cavalcando l’onda del la ricchezza generata da petrolio e gas), e si sia resa di nuovo conto di che scenario perfetto possa essere per la narrativa. Un luogo dove la storia, la cultura, la ricchezza, lo stile di vita, la religione e la politica si scontrano. Specialmente adesso che ha cominciato a riaffermarsi sulla scena internazionale, è tornata ad essere terreno fertile per il thriller d’azione e le storie di spionaggio.

A.L. – La caduta del comunismo, l’ascesa rapida del nuovo capitalismo e un immenso potere economico concentrato nelle mani di pochi (insieme allo sviluppo della criminalità organizzata, la cosiddetta maffya) avrà cambiato rapidamente e in profondità la “mappa criminale” e la società stessa: sei d’accordo?

B.G – Si. Non riesco a pensare a un’altra nazione che abbia subito un cambiamento così radicale in così poco tempo (senza che ci fosse di mezzo una catastrofe naturale o una sconfitta militare). La perestroika fallì nel suo scopo di ravvivare un’economia in crisi. Il Muro crollò. Il velo grigio dello stato sovietico è stato strappato, il rublo è andato a fondo. Il comunismo si è trasformato in un capitalismo “a mano armata” governato da ex militari, guerrieri ombra del KGB ed ex apparatchiks del Partito. La Russia è diventata un luogo in cui i giornalisti e gli oppositori politici vengono assassinati, le multinazionali occidentali vengono espulse per favorire gli oligarchi spalleggiati dal Cremlino, e le altre nazioni vengono invase per proteggere i rifornimenti di petrolio e i gasdotti.

A.L. – Tornando al romanzo, cosa deve aspettarsi il lettore da “L’Artiglio del Lupo”? E, se ne hai naturalmente,  quali sono i tuoi riferimenti come autore?

B.G. – I lettori si devono preparare per un viaggio attraverso Mosca e San Pietroburgo dei dei nostri tempi. La storia è raccontata in prima persona, al presente, cosa che trasporta immediatamente il lettore sulla linea di fuoco. A mio parere è il libro giusto per chi ha apprezzato i libri di Martin Cruz Smith con protagonista Renko e che vuole incontrare un personaggio che vive dall’altro lato della legge nella Russia moderna, e per gente che apprezza i thriller internazionali più duri, quelli che ti fanno vedere il mondo in un modo diverso.

Per quanto riguarda i miei gusti personali, apprezzo i mystery-thriller di Le Carré, Lee Child, Greg Iles, James Lee Burke, James Sallis, Alan Furst e Ken Breuen, e anche grandi del passato del calibro di Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Jim Thompson, Chester Himes e Ed McBain. Potrei continuare in eterno con questa lista!

A.L. – So che negli Stati Uniti è già uscita la seconda avventura di Volk, già opzionata per Segretissimo: hai in programma un terzo episodio?

B.G. – Il secondo volume intitolato appunto Volk’s Shadow è uscito quest’estate e spero che lo possiate leggere presto in Italian. Il prossimo libro, intitolato The Venona Cable, vede Volk investigare sull’omicidio di un americano in possesso della decrittazione di un cablogramma della Seconda Guerra Mondiale. Per procedere nell’indagine, Volk deve scoprire perché quel cablogramma del 1943 sia ancora importante oggi.n253984.jpg

A.L. – Ok Brent, grazie della chiacchierata: qualcosa da dire hai lettori italiani?

B.G. – Sono orgoglioso di essere pubblicato in Italia. I miei nonni paterni e materni erano italiani e la vostra è una delle nazioni più belle e accoglienti al mondo. Spero che “L’Artiglio del Lupo” sorprenda ed emozioni tutti i mei lettori italiani!

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Dietro le Quinte di “Furore Nero” – di Secondo Signoroni

novembre 10th, 2008

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Continuano le collaborazioni illustri: questa volta tocca a Secondo Signoroni apparire su queste pagine con un articolo di approfondimento, un vero e proprio “dietro le quinte” del suo ultimo romanzo: “Furore Nero”. Da oggi, inserirò questo tipo di articoli in una nuova categoria: “Black Ops”.

 

Mi sono divertito quando ho scritto Furore Nero, mi sono divertito a creare una città inesistente e che pure doveva sembrare credibile, affondata nella geografia e nella storia di luoghi reali. Weissenhausen è un po’ il compendio di tutto ciò che il colonialismo ha lasciato in eredità alla terra d’Africa, di buono e di cattivo, di brutale e d’ arrogante. I buoni maestri possono averle regalato i treni e gli antibiotici, quelli cattivi si sono volontariamente dimenticati alle spalle gli Amin Dada, i Bokassa e le cave sature di spazzatura pericolosa. Sono sicuro che luoghi simili a quelli esplorati da Costa esistano davvero, la maggior parte ignorati, altri difesi con la violenza e la prepotenza di poteri corrotti, poteri generati da intrallazzi estranei allo stesso continente.

 

Un idiota molto informato e molto pagato, di quelli che fanno ascolto nei salotti di certe reti, ha recentemente pontificato che se l’ Africa sprofondasse la finanza internazionale nemmeno se ne accorgerebbe: Dario Costa può solo augurasi che qualcuno rubi un po’ meno! Mi è piaciuto farlo agire sullo sfondo dei mitici Altipiani, quasi un omaggio al grande cinema avventuroso americano degli anni ’50, riprendere situazioni (…e me lo si conceda anche qualche fotogramma!) del vecchio e caro mondo della celluloide e calarle al centro di un problema vergognoso e attuale quale il traffico clandestino dei residui tossici e radioattivi, che tutti producono e nessuno vuole. Mi è piaciuto anche rievocare e ricostruire il mondo un po’ insabbiato di chi pretende di fermare la realtà al tempo della propria giovinezza e di temere il fatidico: nulla sarà più come prima!

 

Weissenhausen con le sue case bianche circondate dalle piantagioni, i lumi a petrolio e le ordinate stradine con i lampioni di ghisa ( ce ne sono di curiose a Windhoek e a Swakopmund in Namibia) è tutto questo e Costa, tranquillo come suo solito, assapora fino in fondo questa atmosfera fra l’irreale e il demodè,…salvo mettersi in caccia quando è la sua stessa vita ad essere minacciata, quand’è la verità ad essere nascosta dal sangue e dall’orrore delle stragi. Fedelissimo al principio secondo il quale chi salva il lupo spesso condanna l’agnello, non si pone il problema se è il caso di abbandonare il rilassante giardino della pensione luterana per sporcarsi invece abiti e scarpe nelle boscaglie, oppure di imbracciare il fucile per smascherare chi tenta di metterlo prima fuori pista e poi… fuori gioco.

 

Rileggendolo mi sono domandato se non sia stato un po’ troppo duro nel descrivere o trattare certe crude situazioni, ma posso assicurare che quanto accadde a Stanleyville negli anni ’60 e in tutto lo Shaba negli anni ’70 ad opera di nazionalisti neri e di legionari bianchi mi ha concesso un abbondante margine di credibilità. E quanto sta succedendo proprio in questi giorni dalle parti di Goma, con le milizie di Laurent Nkunda impegnate ad ammazzare gente e a far scappare civili sotto gli occhi di 17.000 caschi blu dell’ONU non mi rende certo ottimista su come possano concludersi certe partite nel cuore di tenebra del Centro Africa.

 

In Furore Nero Costa la scampa ancora una volta, anche se gli resta l’amaro in bocca per non aver posto tutti i responsabili di fronte ai loro atti criminali: dopo tutto il corrotto Kinasi Nakara mette finalmente le mani sulla vallata e pone fine all’esistenza dell’enclave bianca, si vendica di tutto e di tutti e infine spiega freddamente e chiaramente come il potere possa rendere legale e moralmente accettabile anche ciò che non lo è. In sintesi non convince il buon maresciallo di essere stato completamente all’oscuro dei fatti che hanno originato tutta la tragedia.

 

Dario Costa la spunta, ma rimedia una lussazione alla caviglia che lo costringerà per qualche tempo a servirsi d’un bastone,… arnese che lo accompagnerà anche nelle pericolose strade di Cartagena e nelle foreste colombiane, dove i traffici di cocaina vanno di pari passo con le brutte intenzioni, con gli Squadroni della morte, con Vedove Nere d’ogni specie tanto affascinanti quanto letali, con gl’intrallazzi e le mire del potere politico strettamente collegato alla realtà del narcotraffico. Gli sarà molto utile perché, come al solito, appena giunto in albergo riporrà la pistola in cassaforte. E’ fatto a modo suo e non se la sente di cambiare ora che è vicino alla pensione e spera soltanto di tornare a comandare una tranquilla stazione dell’Arma in riva al lago Maggiore.

 

 

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L’Artiglio del Lupo – di Stefano Di Marino

novembre 3rd, 2008

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segretissimologo.jpgGentili lettori e lettrici, oggi ospitiamo la prima di una, si spera, lunga serie di collaborazioni. Il primo articolo, a firma Stefano Di Marino, è un approfondimento sul numero di Segretissimo ora in edicola: L’artiglio del Lupo, di Brent Ghelfi. State pronti perché lo speciale su Brent Ghelfi continuerà, con una grossa sorpresa, nei prossimi giorni.brent-ghelfi.jpg

BRENT GHELFI: L’ARTIGLIO DEL LUPO

di Stefano Di Marino

ghelfifront.jpgAlexei Volkovoy è un uomo disperato. Ex ufficiale dell’esercito russo, è tornato dai campi di morte della Cecenia con una menomazione e ferite nell’animo tanto profonde da non potersi rimarginare mai più. Poco conta che il Generale gli abbia procurato una gamba artificiale così tecnologicamente perfetta da consentirgli di correre e calciare meglio di un uomo normale. Volk è una bestia feroce. Il suo nome significa “Lupo” e, per sopravvivere nella nuova Russia, Volk è costretto a essere un predatore. Sono passi vent’anni dalla caduta del Muro, l’URSS si è sgretolata dando vita a un universo dove il crimine è al potere. Ma anche “ contro” il potere. Uno scenario di degrado sociale, di vizio, un enorme luna park dove il consumismo ha avuto l’impatto sociale di un uragano. Per gli occidentali la Nuova Russia è un gigantesco luna park del sesso dove si può acquistare di tutto. Ragazzine, bambini, droga, armi, persino capolavori d’arte scomparsi. Non lasciatevi ingannare. Il fulcro di questa prima avventura di Volk sembra essere il furto di un dipinto perduto di Leonardo da Vinci all’interno dell’Ermitage di San Pietroburgo. Non è così. Quella è solo la crosta di ghiaccio distesa sopra un lago in cui nuotano squali assetati di sangue. È la nuova frontiera dello spionaggio. Organizzazioni criminali, servizi segreti, gruppi privati di investitori stranieri. Disperati disposti a tutto per una dose in più. Una guerra per bande. Ma non è sempre stato così?
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