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scritto il ottobre 1st, 2010 da alphabetcity
Oggi niente preamboli, accendete la fantasia e partiamo subito per il mondo di Tilly, dove molte cose fondamentali stanno per accadre! 😉
Tilde lo capì fin dai quei primi istanti che niente sarebbe più stato lo stesso, ma in fondo quegli occhi le ispiravano fiducia e poi, a dirla proprio tutta, guerriero o giardiniere che fosse, quello che aveva di fronte era davvero un bel ragazzo. “Come ti chiami? Come facciamo a tornare nella radura? Chi è la mia vera mamma? La zia Guglielmina è davvero un’infida traditrice? Qual è il mio vero compito? Da cosa devi proteggermi?” non poteva smettere di fargli domande. Per tutta riposta lui le mise con fermezza una mano sulla bocca e la trascinò in una angolo lontano da sguardi indiscreti: “ Dì un po’, sei per caso impazzita? Così, in pieno giardino, ti metti a fare queste domande? Tua zia ci metterà un attimo a scoprirmi!”. La ragazzina arrossì violentemente, un po’ per l’imbarazzo un po’ perché era la prima volta che si trovava così vicino a un ragazzo. “Senti Tilde” continuò lui: “levati dalla faccia quella espressione da adolescente in preda agli ormoni e apri bene le orecchie” improvvisamente non le erà più tanto simpatico, ma Tilly non smise di ascoltarlo: “ Abbiamo poco tempo, perché tra meno di un mese compirai quattordici anni e sarà troppo tardi per addestrarti. La prima cosa da fare è scoprire se, nonostante la tua fantasia sia stata frenata dall’incantesimo che ti impediva di sognare, è in grado di farti dipingere. Quindi non perdere tempo, corri a prendere la tavolozza della nonna, e tutto il necessario, mettili in uno zaino e, dopo aver detto a tutti che vai a fare un pic nic per stare un po’ da sola, raggiungimi vicino al torrente prima del paese.”
L’unica risposta che ottenne fu un cenno col capo e il rapido allontanamento della sua interlocutrice che, per altro, sembrava avere un’aria decisamente urtata. Rimasto solo Kevrah, questo era il nome del guerriero, ritornò di fronte alla porta, la aprì e scese le scale e attraversò l’intera sala. Si fermò di fronte ad un grande quadro con una cornice dorata a forma di drago che seguiva il perimetro dell’immensa tela piena zeppa di disegni fantastici (è l’opzione A del primo racconto che vi era tanto piaciuta e che finalmente è tornata! Contenti?). In lontananza si intravedevano, oltre un fitto bosco in cui lampeggiavano piccole fate, le figure avvolte in una fosca nebbia di una strega incatenata al dorso di un drago che, a guardar meglio, poteva sembrare in procinto di spiccare il volo. La parte centrale della raffigurazione, che invece ritraeva una radura luminosa nel mezzo della boscaglia, sembrava una sorta di limbo in cui un elfo senza pupille teneva fieramente incoccata una freccia nel suo arco, come mirando verso qualcosa al di fuori del dipinto, e un giovane di una rara bellezza sedeva su di un masso pizzicando una cedra quasi a cercare di strappare un sorrsio ad una piccola ninfa dall’aria assente che guardava assorta qualcosa nel fitto del bosco. In primissimo piano una cascata riempiva la scena di schizzi dai colori cangianti, e sotto la parete d’acqua scrosciante si intravedeva la sagoma di una donna. Proprio a questa donna si rivolse Kevrah: “Non fallirò mia signora, ti riporterò tua figlia, ma tu non deludermi, sai bene cosa ti ho chiesto in cambio”
Poco dopo i due si ritrovarono vicino al torrente. Quando il ragazzo arrivò, Tilly tentava con caparbietà di bagnare i colori secchi sulla tavolozza nel tentativo di scioglierli: “ Se era così semplice perché mai avrebbero mandato me?” :”Già, perché mai avrebbero mandato te?” rispose lei con aria seccata. Cominciava a non sopportarlo più. Era carino, questo era vero, ma aveva una atteggiamento che la mettava a disagio. “Perché hai bisogno di me. Lo capisco; non ti piace, ma questo non è il momento di fare le bizze. Quindi ecco l’unico indizio che posso darti: per ridare vita ai colori devi far vivere lo spirito che è dentro di loro”.
Tilde si coprì il viso con le mani e scosse la testa: “Ora lo strozzo!” pensò: “Non solo fa il gradasso ma ora è anche saccente”. Poi si sedette sull’erba e cominciò a pensare a sua nonna, alle passeggiate che mille volte avevano fatto mano nella mano per i parti e le colline nei pressi della casa. Ricordò il suo profumo, e le favole, la fatica e la gioia di raccogliere un piccolo tesoro ogni volta: un petalo di rosa, un filo d’erba, una goccia di rugiada intrappolata in un fazzoletto di seta… : “Ma certo!” la scattò in piedi uralmdo trionfante e cominciò a raccogliere nei dintorni i più diversi doni della natura per ricomporre, con molta grazia, tutti i colori della tavolozza. Quando ebbe finito si avvicinò al suo nuovo compagno di avventure e gli staccò un capello: “Scusa! Mi mancava il nero!”.
Quando ogni cosa fu finalmente al suo posto la tavolozza, come per magia, tornò al suo antico splendore.
A
Emozionata come non era da tempo, Tilde cominciò a dipingere con foga la radura che aveva visto nella visione e nel sogno, le immagini le riaffiorvano con facilità, come se fossero familiari, e in un attimo arrivavano al pennello. “Voglio tornare lì. Voglio capire. Voglio impadronirmi di ciò che mi spetta di diritto” Il quadro era quasi finito quando, sotto gli occhi fino a quel momento soddisfatti della sua guardia personale, un enorme drago viola spuntò dal nulla e la trascinò via con sé, in alto, verso le nuvole e verso uno strano cielo rosa che profumava di un odore di fiori forte e dolciastro che risvegliava in lei una profonda nostalgia dqualcosa, anche se non riusciva a capire bene cosa.
Kevrah la guardò scomparire nel cielo e, afferrando la tela esclamò: “Ci siamo Tilly, non avere paura!”.
B
Emozionata come non era da tempo, Tilde cominciò a dipingere con foga la radura che aveva visto nella visione e nel sogno, le immagini le riaffiorvano con facilità, come se fossero familiari, e in un attimo arrivavano al pennello. “Voglio tornare lì. Voglio capire. Voglio impadronirmi di ciò che mi spetta di diritto” Il quadro era quasi finito quando, come colpita da un’improvviso momento di collera si girò verso il ragazzo e disse: “Basta! Non lo vedi che non funziona? Non succede niente! Tanta fatcia per non arrivare da nessun aprte! E intanto tu te ne sti lì a fissarmi con un’espressione da beota senza enanche avermi detto come ti chiami…”Per un attimo le sembrò che la sua rabbia stesse facendo tremare la terra, poi si accorse stava succedendo davvero. Tremava il cielo, tremava l’erba e tremava anche l’acuq del fiume. Tutto intorno a lei stava cambiando. Era entrata nel quadro.
Questa volta cari i miei ragazzi drago, la questione è semplicissima:
– Ao B?
– Cosa ha promesso la vera madre di Tilde a Kevrah?
– Cosa accade una volta che Tilde è arrivata nell’altro mondo? Come verrà addestrata? La zia Gulgielmina riuscirà a raggiungerla per metterle i bastoni tra le ruote? Siamo alla settima puntata; tra tre sarà tutto finito: la nostra storia deve viagggiare verso una conclusione!
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scritto il settembre 13th, 2010 da alphabetcity
Carissimi ragazzi drago, per questa settimana i vostri interessantissimi suggerimenti mi hanno portata su una strada inusuale: il passato. Dato che questo nostro minifantasy è come un minilibro, ho pensato che un salto nel passato era proprio il caso di farlo, un capitolo a parte che cominci a diradare la fitta nebbia intorno alla nascita di Tilly. Alla fine, dunque, le scelte da fare saranno molteplici, sia per quel che riguarda lo svolgimento della storia che per quel che, invece, riguarda la sistemazione di questo racconto del passato all’interno della narrazione. Insomma, una valanga di decisioni aspetta solo voi: si parte!
Fin dall’antichità il mondo magico di Onyrism (se avete altri suggerimenti per il nome sappiate che sono disponibilissima e lieta di sostituirlo!) ha avuto una sola regola: le guardiane dei sogni, sovrane incontrastate di ciò che avviene mentre l’intero regno dorme, sono scelte dal Fato e dal Fato soltanto perché il loro potere, in una terra dove i sogni che bruciano di una passione autentica hanno il potere di realizzarsi, è troppo grande per poter essere veicolato da qualunque creatura.
Dopo secoli di pace e di giustizia, però, la nube del malcontento era calata sulle teste degli abitanti di Onyrism poiché ogni popolo di questa terra magica, elfi, streghe, draghi, ninfe e molte molte altre razze fantastiche, aveva cominciato a sospettare che la Guardiana, in quanto appartenente ad Onyrism, avrebbe potuto correre il rischio di essere influenzata dai desideri e dalle richieste dell’una o dell’altra popolazione. Fu allora deciso di cercare, per una e una sola volta, sulla Terra una nuova prescelta che, da quel momento in poi, avrebbe portato con sé la sua succeditrice, sempre crescendola lontano da ogni sospetto di corruzione. Erano state allora scelte due bambine, notate dall’elfo più saggio per la capacità della più piccola di disegnare mondi così simili a Onyrism e della più grande di inventare storie fantastiche a partire da quei dipinti: rispettivamente Giuseppina e Guglielmina. La prima crescendo si era rivelata buona, gentile e altruista mentre la seconda, man mano che la sua fantasia infantile andava esaurendosi, aveva cominciato a provare invidia per l’infinito talento della sorella. Così, anche se entrambe erano state ammesse al mondo magico, solo Giuseppina era diventata la Guardiana dei sogni.
La vita di Onyrism aveva allora continuato a scorrere regolarmente ed era tornata in vigore l’antica legge per cui ogni madre quando nasce una bambina con gli occhi verdi è costretta a portarla dalla Guardiana che, leggendole l’anima attraverso gli occhi, potrà capire se sarà lei a prendere il suo posto. Il giorno in cui nacque Tilly le cose sarebbero dovute andare in questo modo e, infatti, la sua stupenda mamma si stava incamminando per andare a consegnare la sua piccina quando, proprio nella radura bagnata dalle acque della cascata nella quale viveva, un elfo con una cetra aveva iniziato a cantare una strana nenia sulle terribili gesta di una traditrice che avrebbe incrinato l’equilibrio del regno. Guglielmina, infatti, era in aguato, accordatasi con un ghoul aveva deciso di compromettere per sempre il futuro della bimbetta.
Mentre la donna si avvicinava Giuseppina, però, una freccia scoccata da un elfo cieco, il miglior tiratore del reame perché sensibile e sempre viglie, tenne la sorella traditrice incollata ad un albero. I pochi minuti così guadagnati bastarono per far sì che la lattante venisse riconosciuta e battezzata come Tilde, la prossima Guardiana.
Con l’arrivo della neonata nella loro villa sulla Terra le due sorelle si riappacificarono. Ma, una notte, Guglielmina, sopraffatta dalla brama e dall’invidia, si alzò, invocò il ghoul suo servo e lanciò la maledizione sulla picccola che dormiva beata nella sua culla: nessuna visione le sarebbe mai apparsa in sonno e, se entro il tredicesimo anno di età non si fose ricordata nulla del compito che le spettava di diritto e non fosse riuscita a recuperare il suo innato dono onirico, la donna avrebbe preso il suo posto piegando l’intero regno ai suoi voleri.
La legge del mondo di Onyrism prevede che fino a tredici anni nessuna prescelta venga addestrata. Da quel momento in poi Giuseppina, la quale sentiva che non avrebbe avuto una vita lunghissima, affidò Tilde a sua figlia naturale chiedendole di amrla come se fosse sua e cominciò a dipingere alcuni quadri che sarebbero serviti alla sua nipotina a ritrovare la sua vera identità
Ed ora viene il bello:
1) Chi racconterà questa storia a Tilly:
A) l’elfa dai capelli verdi che la ragazza aveva visto in una delle figure del primo quadro dopo che, in qualche modo, è riuscita ad entrare in possesso del dipinto e a liberare lo spirito della creatura magica (potete anche dire come è riuscita a liberarla!)
B) l’anziana madre della cuovca della villa che ha insegnato alla nonna a disegnare
C) Il ghoul pentito e spaventato dai diabolici piani della zia (quali?) decide di confessare
2) Una volta venuta a conoscenza della storia come potrà Tilde essere addestrata e recuperare i suoi poteri?
Vi lascio libera scelta di suggerirmi ciò che preferite!
3) Mi piace l’idea che una creatura del mondo magico possa riuscire ad arrivare alla villa per aiutare Tilly. Chi è? È un ragazzo? Può rivelare la sua vera identità o deve aspettare che sia lei a scoprirlo?
Anche qui siete liberissimi di lasciare correre la vostra fantasia!
Un’ultima raccomandazione prima dei saluti: ricordatevi che siamo alla quinta di dieci puntate e che quindi dobbiamo cominciare ad inccminnraci verso il finale!
Ci leggiamo lunedì!
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scritto il agosto 30th, 2010 da alphabetcity
Eccoci di nuovo qui! Noto con gioia (e con molta soddisfazione personale!!!) che le due opzioni vi colpiscono più o meno equamente e quindi la proposta di Fabio è stata accettata visto che aveva anche riscosso un discreto successo! Ecco dunque il risultato della fusione.
Poche ore dopo Tilly prese a girarsi e a rigirarsi nel letto. Non aveva mai sofferto d’insonnia, mai un incubo o un brusco salto avevano turbato le sue notti, mai un pianto, neanche da piccola. E ora proprio non riusciva a dormire. L’immagine della culla la tormentava e aveva ancora addosso la sensazione spiacevole provocatale dalle parole della zia.
Si alzò di scatto, a piedi nudi e senza neanche indossare vestaglia e pantofole uscì dalla stanza e si ritrovò a camminare con passi lunghi e rapidi verso il corridoio. Una volta entrata nella camera dei dipinti, un istinto inspiegabile la guidò fino all’esatto centro della stanza dove scorse una piccola macchiolina di colore bluastro. Si chinò per toccarla e al primo contatto della sue dita con il gelo del pavimento sprofondò in un sonno profondo. Il freddo del marmo si trasformò ben presto in una strana sensazione di umido: era acqua. Si trovava sotto la superficie di un fiume ma riusciva perfettamente a respirare. Quasi distrutta da un’incomprensibile quanto improvvisa stanchezza non riuscì a muovere un solo dito e, così, si limitò a guardare. Scorse sulla superficie una creatura orribile e inquietante che, accingendosi ad entrare nell’acqua si illuminva di una luce pallida e accecante trasformandosi in una ragazza dai lineamenti ancora non perfettamente percettibili ma bellissimi. Intanto una musica dolce suonava, sembrava provenire da una radura lontana. Tilde aprì gli occhi di scatto, preda di un’irrefrenabile necessità di agire e in un attimo ritornò nella sua stanza. Via la camicia da notte da scolaretta, via le due trecce che la mamma si ostinava a farle portare per ordinare le onde dei suoi lunghi capelli. Scarpe da ginnastica, leggings e un maglietta lunga a pois, la sua preferita, uscì nel corridoio e corse a perdifiato fino allo studio del nonno, forzò la serratura e, come posseduta da un istinto irrefrenabile, si lanciò ai piedi della gigantesca cassettiera in mogano senza neanche accendere la luce. Un pallido raggio di luna la aiutò a raggiungere l’interruttore della lampada della scrivania. La ragazzina cominciò a rovistare con forza all’interno dell’ultimo cassetto: “Trovato!” quasi urlò per l’emozione mentre rovesciava per terra decine e decine di fotografie e pezzi di carta contenuti in una cartellina viola con su scritto “proprietà”. Dopo una ventina di minuti di ricerche un brivido le percorse la schiena: la villa in Toscana esisteva davvero. Foto, indirizzo, vari documenti dell’acquisto, bollette, curriculum vitae della servitù, non mancava niente. Tilde si alzò e aprì la finestra per fare entrare un po’ d’aria, un’ombra si mosse nel giardino sotto di lei. Incredibile: sembrava la zia Guglielmina, e non era sola.
E ora passiamo al terzo episodio! Questa volta vorrei che vi scatenasse, che nei commenti non vi limitaste a scegliere A o B ma che aggiungeste di pugno vostro un po’ di suggerimenti come già stanno facendo alcuni di voi. Quindi quelle che seguiranno l’introduzione saranno una parte A e una parte B un po’ più brevi del solito e alla fine vi farò delle domande ben precise sperando di stuzzicarvi e (ovviamente!) anche di divertirvi!!!
Per quanto cercasse di sporgersi per vedere chi fosse il misterioso interlocutore della zia, la ragazzina non riusciva a distinguere alcun lineamento con il semplice aiuto della luce della luna. Neanche l’acustica era ottima, Tilly non poté a sentire niente, o quasi; alcune parole della zia la colpirono in pieno: “Capisci bene che se la ragazza ritrovasse la capacità di sognare per noi sarebbe la fine e dovremmo arrenderci alla sovranità della nuova predestinata…”. Una doccia fredda, gelata, glaciale, la investì e la costrinse ad accucciarsi a terra: “Non ho mai sognato, io non ho mai sognato, non ho mai sognato e neanche ho mai badato a questa mia stranezza…” A questo punto le tornò in mente l’immagine della culla, sentiva di essere lei quella bimba in fasce, sentiva che le era stato fatto qualcosa. Che Guglielmina stesse parlando con lo stesso essere misterioso di cui si intravedeva la presenza nel dipinto della nonna?!? Non c’era tempo da perdere, bisognava passare all’azione immediatamente e la prima cosa da fare era convincere la mamma a portarla nella villa in Toscana che, secondo quel che risultava dai documenti, non era affatto stata venduta.
Bastarono uno sciopero della fame all’ora di colazione e un’innocente bugia sulla nonna che la aveva promesso di portarla a trascorrere qualche giorno proprio in quella villa, per convincere la mamma a fare la valige e partire, ma nessun capriccio e nessuna scusa riuscirono a far rimanere la zia a casa. Tilde, preoccupata, curiosa ed eccitata nello stesso tempo, si ritrovò in viaggio in men che non si dica.
Qualche ora fu sufficiente per arrivare a destinazione e sistemare i bagagli. Alla ragazzina venne data quella che, come le raccontarono i domestici, era stata la sua stanza fino all’età di tre anni e che, effettivamente, all’interno aveva un letto da bambina in cui entrava a malapena e una culla identica a quella del ritratto.
Se sceglierai A Tilde scoprirà la porta magica che porta ad un altro mondo. Descrivi questo mondo e le creature magiche che lo popolano.
Se sceglierai B Tilde rovistando tra i vecchi oggetti della sua stanza troverà una tavolozza magica e una lettera della nonna scritta molti anni prima.
Altre idee? Per esempio, qual è lo scopo ultimo della missione di Tilly? A cosa è predestinata? Perché la zia non vuole sottostare al volere della predestinata? Che potere potrebbe avere Tilly di presciso? Diamo corpo alla nostra fantasia perché dalla prossima puntata entreremo nell’ambito del fantasy vero e proprio!
P.S: quelli di voi che volessero cimentarsi del disegno, possono mandare la loro opera, disegnata al cimputer o scansionata, all’indirizzo: contest@laragazzadrago.it
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scritto il agosto 2nd, 2010 da alphabetcity
Ci siamo! Le vostre proproste erano tutte così allettanti e piene di fantasia che scegliere è stato davvero complicato… e così ho deciso che l’ultima parola spetterà proprio a voi! Quella che segue è un’introduzione abbastanza lunga per conoscere meglio la nostra protagonista e l’evento che le cambierà la vita. Devo ammettere che ho lavorato di mio pugno per questa prima parte, ma poi A e B contengono i vostri suggerimenti divisi in due gruppi: starà a voi scegliere il gruppo di personaggi che vi alletta di più! Per il momento potete votare A o B tramite i commenti, ma speriamo di riuscire ad inserire la funzione sondaggio al più presto.
Prima puntata
Nei suoi tredici anni di vita aveva sempre pensato di potersi ritenere fortunata: solo le tipiche malattie esantematiche, niente apparecchio, niente occhiali da vista, niente acne, corporatura nella media, intelligenza vivace, una bella casa, una famiglia affettuosa e degli amici. Per altro, il dolore le aveva riservato un trattamento speciale esentandola dal dover presenziare a quelle tristi occasioni che prima o poi entrano a far parte della sfera dei ricordi che vorremmo dimenticare. Tilde pensò a questo mentre infilava le spesse calze di lana nere, abbottonava la camicetta anch’essa nera e si faceva scivolare dalla testa la scamiciata grigia. Dallo specchio la guardò un’immagine che non le assomigliava, eppure non era il momento di fare storie: per il funerale della nonna i vestiti li aveva scelti la mamma e non c’era la possibilità di ricorrere in appello.
Dopo una funzione boriosa e nient’affatto somigliante all’indole di quella arzilla vecchietta, la nonna proveniva da una famiglia di nobili decaduti e certe cose erano da considerarsi prassi, tra qualche lacrima furtiva che proprio non aveva voluto rimanere al suo posto e il pizzicore della lana sulle gambe, la ragazzina tornò nella grande casa di famiglia che ora le sembrava vuota e triste. Mentre la mamma e il papà cominciarono a ricevere gli ospiti nella sala grande, sgattaiolò per diversi corridoi e molte rampe di scale. Si sentiva triste, inquieta: per la prima volta nella sua vita niente sembrava poterla tenere al riparo dal dolore. Fu a quel punto, quando la disperazione stava per fare di lei un sol boccone, che la sentì: “Tilly! Tilly! Da questa parte!” la voce, che ad un primo momento le sembrò quella della nonna, ma che poi riconobbe come appartenente alla zia Guglielmina, sorella della nonna, proveniva da una porta malmessa e socchiusa ad un paio di metri da lei. In un lampo Tilde entrò, gli occhi ancora gonfi di pianto e le gote rosse per la vergogna e lo stupore di sentirsi vulnerabile: un’ondata di luce la travolse, colori sgargianti e vivaci rendevano ogni centimetro delle pareti un tassello di un mosaico di gioia e fantasia. “Sono i lavori di mia sorella! Tua nonna era una grande pittrice, nei suoi quadri prendevano vita universi paralleli. Peccato che non abbia mai voluto farne parola con nessuno, me esclusa.” Le disse la zia e le sue gambette di adolescente cominciarono a tremare come foglie dall’emozione sotto la noiosissima scamiciata grigia. Così, nonostante la sua età che la spingeva sempre più lontano dall’infanzia, la ragazza cedette all’impulso: “Zia, ti prego, raccontami la storia di uno di questi quadri, anzi, raccontami la storia di quello là!”
A
E Tilde indicò con fermezza il quadro più grande, che dominava la parete più spaziosa della stanza: una cornice dorata a forma di drago seguiva il perimetro dell’immensa tela piena zeppa di disegni fantastici. Gli occhi di zia Guglielmina si spalancarono e lasciarono intravedere un bagliore che la nipote non riuscì a definire con precisione ma che venne comunque mentalmente annotato tra i fatti interessanti della giornata: “Proprio quello? Ne sei certa?” Di fronte alle due si parava una scena piuttosto complessa. In lontananza si intravedevano, oltre un fitto bosco in cui lampeggiavano piccole fate, le figure avvolte in una fosca nebbia di una strega incatenata al dorso di un drago che, a guardar meglio, poteva sembrare in procinto di spiccare il volo. La parte centrale della raffigurazione, che invece ritraeva una radura luminosa nel mezzo della boscaglia, sembrava una sorta di limbo in cui un elfo senza pupille teneva fieramente incoccata una freccia nel suo arco, come mirando verso qualcosa al di fuori del dipinto, e un giovane di una rara bellezza sedeva su di un masso pizzicando una cedra quasi a cercare di strappare un sorrsio ad una piccola ninfa dall’aria assente che guardava assorta qualcosa nel fitto del bosco. In primissimo piano una cascata riempiva la scena di schizzi dai colori cangianti, e sotto la parete d’acqua scrosciante si intravedeva la sagoma di una ragazza: una sirena?.
B
E Tilde indicò con fermezza il quadro più piccolo dell’intera stanza, un minuscolo rettangolino che sembrava uscito da una mostra dei macchiaioli in cui, eccezzionalmente, erano state le sfumature del blu e del viola ad avere la meglio. Gli occhi di zia Guglielmina si spalancarono e lasciarono intravedere un bagliore che la nipote non riuscì a definire con precisione ma che venne comunque mentalmente annotato tra i fatti interessanti della giornata: “Proprio quello? Ne sei certa?”. La vecchina prese tra le sue mani rugose e ossute l’oggetto e lo mostrò alla nipote: le macchie composero un paesaggio lunare e inquietante in cui in un angolo si intravedeva chiaramente la sagoma di un vampiro con tra le braccia una figurina esile e alata. Tilly non resistette all’idea di sfiorarla con un dito e l’immagine cambiò: un drago enorme se ne stava accovacciato ai piedi di un’elfa dai capelli verdi in una stanza illuminata solo dalla luce dal caminetto; un altro tocco e lo stesso drago vigilava su una culla mentre fuori dalla finestra il profilo di un ghoul dava forma all’inquietudine. Poi le macchie cominciarono di nuovo a mescolarsi e tra profili di elfi, fate e creature magiche di ogni sorta la tela tornò allo stato iniziale.
Che ve ne pare!?! Non dimemticate di suggerire eventuali evoluzioni della storia nei commenti!!! Per la prossima puntata l’appuntamento è per il 23 agosto!!!
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scritto il luglio 26th, 2010 da alphabetcity
Il titolo vi suona un po’ misterioso?!?! Credete che la vostra amata Licia stia per scrivere un nuovo romanzo?!? Vi sbagliate! Questa volta saremo noi a scrivere per lei!!! Parlando con voi su FB e leggendo le vostre mail di partecipazione al nostro precedente contest, ci siamo accorti che molti di voi sognano di diventare scrittori o, addirittura, hanno già un loro fantasy nascosto in un cassetto! E allora perché non scrivere un piccolo fantasy tutti insieme da consegnare a Licia in persona!?!
Ecco come faremo a creare questo Mini fantasy corale: ogni settimana sul blog apparirà una parte di racconto (fissa) a cui seguirà una parte A e una parte B tra le quali sceglierete tramite il sondaggio che verrà attivato qui accanto nella barra laterale.
Ovviamente sarà importantissimo anche che suggeriate nei commenti ciò che preferireste accadesse!!!
Il racconto prenderà forma nel corso di 10 puntate alla fine delle quali il risultato sarà, appunto, un breve fantasy.
A questo punto si aprirà la seconda fase di questo gioco, il vero e proprio contest: così come è stato fatto per assegnare le copie del libro, vi saranno poste tre domande su La ragazza drago 3; i primi 5 che risponderanno correttamente riceveranno una copia stampata del racconto mentre il primo raggiungerà Licia in una delle tappe del tour e le consegnerà una copia rilegata della vostra opera!!!
Che ne dite, vi piace l’idea???
Cominciamo subito! Consideriamo questo post un numero zero in cui, eccezionalmente, non utilizzeremo il sondaggio ma solo i vostri commenti.
Avete tempo fino a venerdì per rispondere a questa domanda: quali personaggi fantsy vorreste che fossero presenti nel racconto??? Chi vorreste tra i protagonisti? Maghi, streghe, draghi, viverne, elfi, nani, folletti e chi più ne ha più ne metta… sbizzarrite la vostra fantasia!!! Aspettiamo i vostri suggerimenti per cominciare questa nuova avventura!
Vi aspetto lunedì con la prima delle dieci puntate!
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scritto il luglio 16th, 2010 da alphabetcity
Scusate il titolo un po’ provocatorio, ma a volte un po’ di ironia non guasta! Come avrete capito i racconti di oggi hanno per protagonista due ragazze diciamo non esattamente della porta accanto!
Anita Book (che ci tiene a firmarsi con il suo pseudonimo e quindi eccola accontentata!) dà vita ad una ragazza pericolosa…
Mors mortis
Il cimitero era vuoto e silenzioso, quella notte. Lei si inginocchiò di fronte alla lapide ricoperta di edera e muschio e posò la sua rosa nera sull’erbetta umida. Chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l’aria bagnata di pioggia scrosciante. Ogni volta un temporale, ogni volta un pianto del cielo. Cicatrici di vecchiaia sul viso giovane, ragnatele scure intorno agli occhi infossati, iridi di un buio luccicante e inguardabile. Gettò la testa all’indietro, uno scatto improvviso, e dalla sua bocca si levò un grido disperato. Lacrime scivolose, le mani strinsero ciuffi d’erba e sradicarono piccole zolle di terra sporcando le unghie perfette. L’acqua lavò tutto in un baleno, i segni di ciò che si era appena compiuto scomparirono. Lei chinò il capo, i capelli rosso fuoco a bruciarle le spalle ossute, fremiti nel cuore. Si alzò, a fatica, e camminò affondando i piedi nudi nel terreno. Il suo passo era incerto, barcollante, e la vista offuscata. Sbucarono velocemente, come erano solite fare, strappandole via pezzi di stoffa dal corpetto nero. Ali possenti, enormi, sbatacchianti. Alcune piume volteggiarono in aria, danzarono insieme alla pioggia. Lei resistette al dolore e continuò a camminare. Si inoltrò nel bosco, si appoggiò ai tronchi scrostati degli alberi per riprendere fiato, inciampò più volte ferendosi i palmi delle mani. Non riusciva ad abituarsi alla trasformazione. La testa le girò vorticosamente fino a privarla di tutte le energie. Crollò al suolo, inghiottita dalle ombre di chi aveva generato il mostro che abitava in lei. Brava, mia dolce bambina, le risuonò una voce nelle orecchie.
*
– Aiutatemi, presto! Accorsero in quattro, dopo un paio di ore. Il temporale imperversava ancora, violenza inaudita della natura. La trovarono riversa su un tappeto di foglie marroni, il capo molle piegato di lato, la pelle imbrattata di fango e pioggia. Vincent, il più forte, la sollevò dolcemente e insieme ai suoi compagni la sistemò su di una barella arrangiata. La portarono nel capanno nascosto tra gli alberi, avamposto segreto per combattere le imboscate nemiche, e la adagiarono su di un letto decente. Tutti la osservavano con circospezione e ammirazione al contempo. Era bella, su questo non c’era dubbio, tuttavia la grazia del suo viso contrastava con l’avvenenza e la dominanza del suo corpo. Forme sensuali, muscolatura perfetta, un’aura di potenza e prestanza ad aleggiare su di lei. Cosa le era capitato? E poi quelle ferite sulla schiena, raccapriccianti. Tagli netti, slabbrati ai bordi, dalle scapole in giù, dove ancora sgorgava del sangue denso e vermiglio. Una donna, la saggia guaritrice del villaggio, cercò di tamponargliele come meglio poteva e intanto recitava parole antiche, sconosciute. D’un tratto, la ragazza spalancò gli occhi e atterrita dalle sagome che la circondavano si mise a urlare.
Pianse lacrime nere, calde, che fecero sfrigolare la pelle, alla vista delle quali i cinque umani inorridirono.
– Riportatemi indietro! – gridava come un’ossessa. – Riportatemi indietro!
Ma nessuno si muoveva e la voce che solitamente le rimbombava nella testa tornò a farle visita. Ecco il tuo prossimo sposo, mia bambina. Il suo nome è Vincent e tu lo attirerai a te. Non voglio, avrebbe voluto sbraitarle contro. Mi rifiuto di obbedire al destino. La voce le lesse nel pensiero. Ricordati chi sei, Mortisia, e per cosa sei votata. L’amore non appartiene a chi toglie il respiro della vita. Sottomessa, così, ancora una volta alla triste volontà del fato, ridiede inizio al suo mortale gioco.
La ragazza di Irma appartiene ad una dimensione onirica e leggera… ma basta poco a trasformare un sogno in un incubo…
Sogno in catene
Un soffio di vento le accarezzò il viso.
Era giunto il momento, come ogni sera, quando apriva lentamente gli inconfondibili occhi: uno blu e uno verde e congiungeva le mani alzandole lentamente verso il viso. Lo stesso vento leggero e caldo la investiva. I suoi capelli guizzavano in aria come lingue di fuoco e poi all’improvviso ricadevano morbidi sulle spalle, confusi.
Il lungo vestito che portava si gonfiava in mille pieghe che girarono a ruota. Poi si fermavano.
A mezz’aria compariva il Lyfren, il pennello magico che con l’oro del suo manico, mandava riflessi tutt’intorno.
Lo afferrava e lo stringeva tra le mani. Una musica lenta, leggera e melodiosa prendeva a suonare investendola con le sue note. Le sue mani guidavano il pennello che senza intingersi in alcun colore dipingeva l’aria. Il pennello le ondeggiava in mano e le sue setole morbide disegnavano scie di colori intorno a lei.
Volteggiava luminosa, a passo con la musica, dirigendo in quella danza anche il suo pennello.
Immagini e scene riempivano il vuoto intorno a lei. Scene gioiose, allegre, ma anche macabre e orrende ognuna con un destinatario preciso.
E così lei creava i sogni.
I suoi dipinti confluivano nelle menti delle persone ignare di tutto che si lasciavano cullare dall’onda dolce e rassicurante del sonno.
Tutto come accadeva sempre, ogni sera, all’imbrunire. Era un’azione solita. Ma quel giorno no. Quella sera nessuno avrebbe sognato più nulla, o almeno cose dolci e belle. Perché lei non sarebbe stata lì ad impugnare il pennello e a danzare.
Quella sera lei purtroppo era confinata lontano.
Con il busto piegato in avanti piangeva sommessamente con il capo chino; i capelli che le ricadevano in grossi grovigli su entrambe le guance. Le braccia tese all’indietro e bloccate al muro da grosse catene, erano ricoperte da una patina argentata, e il suo bellissimo abito di seta a pezzi.
A terra in una piccola pozzanghera, formatasi dall’acqua che penetrava dalla grata sulla sua testa, c’era ciò che restava del suo pennello, un solo crine, quasi invisibile.
Pioveva sul suo capo, si sentiva fradicia, ma per quanto cercasse di invocare aiuto, nessuno poteva sentirla, rinchiusa com’era tra quei muri grigi e spenti che si chiudevano intorno a lei come braccia nel tentativo di afferrarla e di impedirle di fuggire.
Ma lei sapeva che in qualche modo ce l’avrebbe fatta.
Strinse gli occhi e ricacciò le lacrime. Presto sarebbe tutto finito. Doveva solo stringere i denti e resistere, trovando la forza di farlo in un pensiero che l’avrebbe rincuorata. Presto gli occhi, uno verde e l’altro verde, di colui che era destinato a prendere il suo posto, si sarebbero aperti alla verità e avrebbe affrontato la pericolosa missione, cercando di rimediare lì dove lei aveva fallito: distruggere Incubo.
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scritto il luglio 15th, 2010 da alphabetcity
Prima di salutarvi e di darvi appuntamento a domani vi lasciamo con due racconti un po’ particoalri che, ognuno a suo modo, ci offrono un punto di vista fantasioso sugli scontri.
Andrea ci racconta come è nato uno tra i fiori più belli del mondo…
Silfio e Rosa
Le nuove anime nacquero, come sempre, nell’angolo più buio dell’universo. Apparvero subito come luci delicate, poi presero ad ingrandirsi trasformandosi, come migliaia d’altre anime prima di loro, in stelle. Per accedere a quel paradiso che era la Terra, dovevano prima superare il cielo.
La loro vita futura sarebbe dipesa dalla loro condotta presente. Il sacro Consiglio Celeste avrebbe deciso le sorti di tutte.
Rosa e Silfio, nate lo stesso giorno, avevano vissuto come stelle per lo stesso periodo.
Silfio splendeva di notte e riposava di giorno, come una buona stella dovrebbe fare. Se sulla Terra c’era nebbia brillava più intensamente, se la Luna era calante sfavillava con delicatezza… era, insomma, una stella modello.
Rosa, al contrario, brillava quando le pareva. Dormiva fino a notte inoltrata e la sua luce si accendeva ad intermittenze.
Le sorti delle due anime parevano scontate ma, per un errore burocratico, non fu così.
Rosa, una volta sulla Terra, si ritrovò a doversi prendere cura di un corpo umano, mentre Silfio si ritrovò nel corpo di un arbusto simile ad un grosso finocchio.
Rosa divenne una fanciulla di rara bellezza e tutti gli sguardi erano per lei. Silfio non veniva mai considerata. Rosa si divertiva, Silfio si disperava e covava odio.
Che senso aveva avuto splendere così tanto, rispettare tutte le regole, aiutare la Luna ad apparire sempre bella, se poi si veniva così ripagate? Molto meglio fare come Rosa! Divertirsi sia prima che dopo, tanto…
Un giorno, mentre Silfio si disperava, le passò davanti una strana creatura. Sembrava una formica, ma era più grossa e più bella. Aveva delle antenne luminose e profumava di lavanda.
“Buongiorno” la chiamò Siflio.
“‘giorno” rispose, indifferente, l’esserino.
“Cosa siete?”
“Ma ovvio! Sono una fata!”
“Una fata?”
“Sì!”
“E cosa sarebbe una fata?” chiese incuriosita.
“Beh, potremmo riassumere dicendo che sono una creatura magica.”
“Oh! Davvero?”
“Sì.”
“E potresti esaudire i miei desideri?”
“Sì, potrei.”
“Bene!”
“Ho detto che potrei, non che lo farò!”
Silfio, delusa, incominciò a piangere. Pianse così tanto che la fata fu costretta a promettere di aiutarla.
“Io voglio scambiare il corpo con quello di Rosa!” dichiarò decisa Silfio.
“E chi è Rosa?”
“La ragazza più bella del villaggio.”
“E sei sicura di questo tuo desiderio?”
“Sicurissima!”
Allora la fata chiuse gli occhi, si sfregò le mani e, in un istante, Silfio si ritrovò nel corpo di Rosa e Rosa nel corpo di Silfio.
Silfio non era mai stata così contenta. Tutti la ammiravano, le portavano doni e la trattavano come una regina. Passava le giornate promettendo baci in cambio di favori e le serate ballando fino a notte fonda. Durante uno di questi balli, si presentò un cavaliere mai visto prima. Era alto e molto affascinante.
“Finalmente vi ho trovata!” disse il ragazzo.
“Mi cercavate?”
“Sì.”
“Perché sono bella?”
“Sì, perché siete bella… e lo siete ingiustamente.”
“Cosa?” Silfio si bloccò di colpo.
“Voi, Rosa, avete ricevuto questo corpo per errore e io sono qui per porre rimedio!”
“Come?”
“Non fate la furba! Siete stata una cattiva anima e siete stata premiata col corpo che spettava a Silfio. Il Consiglio Celeste mi ha mandato qui per effettuare il cambio.”
“Il cambio?”
“Sì.” E non ci fu più tempo di parlare, perché Silfio venne trasformata in un fiore dai petali rossi, mentre a Rosa, scambiata per Silfio, venne donato un corpo umano.
“Siete ancora troppo bella!” concluse, andandosene, il cavaliere.
Per Marianna, invece, lo scontro e la lotta sono un vero corpo a corpo senza esclusione di colpi.
Un’intima lotta
Corro, non so più da quanto tempo, schiava e naufraga dell’oscurità. Ho completamente perso il senso del tempo e dello spazio. La mente lascia spazio a un unico pensiero, distruggere l’Ombra.
La mia spada risplende di una luce sinistra e avida di sangue. Poi, il nero che mi circonda si schiarisce. Un tempio. Possenti colonne mi accerchiano, e mattonelle scure, sbiadite dal tempo e dalla polvere. Solo aria intrisa di fumo si infiltra tra le colonne ornate di fregi antichi. So che è lì, mi aspetta ed è pronta ad annientarmi. Lei intanto mi squadra, con i suoi occhi fatti di inconsistenza, confusi con il suo corpo, un corpo che non è null’altro che un’ombra, una massa scura dai contorni a me più che familiari. Sono i miei lineamenti. Ha la mia altezza, le stesse orecchie appuntite, gli stessi fluidi capelli.
È la parte oscura di me, quella che mi rode come ruggine, un parassita che mi induce lentamente alla follia. Devo combatterla e spezzare il filo che ci lega.
È seduta su un trono di pietra logoro e consunto, pieno di crepe che mi ricordano la mia lotta di scacciarla, le notti passate insonni cercando di liberarmene. Ma lei è ancora lì. Si alza e muove qualche passo verso di me. Una quiete opprimente cala sulla sala, la battaglia attende di essere combattuta.
Cominciamo a lottare, ma lei è abile, almeno quanto me e schiva i colpi, quasi come un fulmine. Ci scontriamo ancora, in successioni di colpi davvero allucinanti, ma la situazione non cambia. Siamo troppo simili. Eppure lei è un’ombra, ha l’oscurità nelle sue mani, un potere tanto grande quanto fasullo, perché fatto solo di paure e rancori…Ma perché non se n’è servita? Mi faccio una domanda quasi illogica, e subito l’Ombra davanti a me si mobilita, la lama nera della sua spada si conficca al centro della mia fronte diafana e la trapassa.
Non urlo, ma dopo qualche secondo le palpebre mi si chiudono pesanti e cado in un’altra dimensione, in un oblio scuro e senza fondo. Un senso di freddo comincia a spandersi nel mio corpo come un serpente. Tremo. Poi qualcosa esplode e un rumore acuto nella testa mi fa riaprire gli occhi :mi trovo in una bolla di vetro e intorno a me c’è solo un turbinio di immagini sfocate, elfi, boschi, mare, angosce, paure, morte. Vari eventi rievocano la mia vita dolorosa, quella a cui sono riuscita a scampare con difficoltà. A ogni ricordo riaffiorano i sensi di colpa. Mi lascio vincere da tutto e mentre il turbine di immagini ancora mi accompagna in un viaggio senza fine appare come in flash l’immagine di un’ombra. L’Ombra. Adesso ricordo tutto. Questo è il suo gioco e io la sto assecondando, sto morendo per lei. Non riuscirò a salvare nessuno, renderò solo inutile il sacrificio di mio padre.
Non posso far vincere l’Ombra.
La bolla nella quale sono rinchiusa si rompe e dal mio corpo prende ad irradiarsi una luce bianca. Non so da dove viene, ma è la fonte del mio coraggio riacquistato. Tutto scompare, e in un attimo ritorno nel tempio. L’Ombra, si dimena, infuriata, sconfitta. Mi avvicino e gli conficco nel petto la spada. La luce bianca investe anche lei e spezza il suo corpo come un vaso di cristallo, schegge nere volano ovunque e si dissolvono come fumo. L’Ombra è sconfitta. Mi sento nuovamente troppo debole per stare in piedi ed esultare. Le ginocchia cedono e si piegano. La testa riprende a girarmi, mi distendo. Sprofondo in una dimensione diversa, strana, sono pervasa da un senso di soddisfazione. Sono felice. Mi perdo in quest’atmosfera di pace e tranquillità. In essa mi crogiolo per attimi interminabili…
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scritto il luglio 14th, 2010 da alphabetcity
Bentrovati ragazzi drago, prima di cominciare con i racconti di oggi un paio di precisazioni su questo contest: visto che ci avete SOMMERSI di racconti nell’ultima settimana disponibile per inviarli (Grazie! Grazie! Grazie!), ci vorrà ancora qualche giorno prima che riusciamo a pubblicarli tutti e quindi ad annunciare la fortunata cinquina; questo, ovviamente, vuol dire che anche il secondo contest, di cui potrete trovare qualche indizio sul mio FB (http://www.facebook.com/?ref=home#!/profile.php?id=100000057342628), slitterà di qualche giorno!
Ma ora è il momento di lasciare spazio a due vostri racconti accumunati da un titolo che ha a che fare con la perdita totale della memoria, di sé stessi, con la cancellazione del ricordo… in una parola? Con l’oblio!
Ecco l’affascinante racconto di Dania…
Oblio
Quegli occhi. Sono bloccata da quegli occhi. Non riesco a distogliere lo sguardo, tutto quello che ho intorno ormai non conta più. Non mi accorgo degli alberi che sembrano toccare il cielo che tanto adoro, non mi accorgo che le creature incantate sono sparite tutte insieme, del silenzio che cala improvvisamente.
Se non fossi bloccata dentro quegli occhi forse capirei di trovarmi in pericolo, ma non me ne rendo conto. Sono immersa completamente dentro quegli occhi, verdi, come il prato immenso in cui mi ritrovo a correre. Intorno a me volano tanti uccelli screziati, e affondo i miei piedi tra fiori variopinti. Improvvisamente di fronte a me appare una casa, ad un piano solo, simile ad un mulino ad acqua, fuori si trova un bambino, avrà non più di 10 anni. Non riesco a vedergli il viso, ma questo stranamente non mi preoccupa. Ha i capelli castano scuro. Lo seguo senza esitare dentro la casa. I miei occhi si abituano velocemente al cambio di luce, la stanza è spoglia, dentro ci sono solo un tavolo e due sedie. Mi accomodo su una delle sedie, mentre il bambino si siede sull’altra, di fronte a me.
Non mi sembra per niente strano il fatto che continui a guardarsi le scarpe.
Piano piano, mi sento strana. É come se mi entrassero dentro delle informazioni, come se il bambino me le stesse trasmettendo.
Piano piano, comprendo. Capisco chi è quel bambino e come mai mi trovo in quello strano luogo. Dentro di me iniziano a propagarsi immagini, non mie, di luoghi strani, per niente simili a quelli da me conosciuti; di persone, che non ho mai visto in vita mia; di animali, di un altro mondo.
Perdo la percezione del mio corpo. Sono inebriata da tutto questo che mi ruota intorno. Non riesco più a percepire dove finisce il mio corpo e dove inizia quello delle persone delle immagini che mi trovo dentro.
Ancora poco e non riuscirò più a tornare in me.
Poi, sento qualcosa, del calore, inizialmente non riesco ad individuare dove, poi sento la mia pelle, mi rendo conto che è il mio braccio, riesco ad avvertire il busto, la testa, il bacino, le gambe. Torno di nuovo nel mio corpo. Il calore si espande in me, con il recupero dei miei sensi. Tutto quello che mi aveva inebriato, inizia a scomparire, riposto in un angolo remoto della mia mente. Sono di nuovo padrona di me, ma ora sono le forze ad abbandonarmi. Cado nel buio profondo del sonno.
Apro gli occhi. La casa è sparita, il bambino è sparito, così come il prato e i colori. Davanti a me ci sono solo quegli occhi. Mi rendo conto di non essere mai stata in quel luogo, è stato solo un’illusione, causata dal colore verde intenso di quegli occhi.
Questo, finalmente, mi spaventa e distolgo lo sguardo. Ora posso osservare la persona che mi sta di fronte. Oltre agli occhi verdi, sui quali cerco di soffermarmi il meno possibile, noto che è un ragazzo. Ha dei capelli castano scuro e mi sembrano famigliari.
Ho un giramento di testa, ma riesco a mantenere l’equilibrio senza far notare nulla al ragazzo.
Ci fissiamo per quella che a me sembra un’eternità.
“Chi sei?” gli chiedo finalmente.
“Non c’è bisogno che ti risponda. Lo sai benissimo”
E questo, invece, è quello di Gilbert, che ci porta in un mondo completamente diverso dove la dimensione da sogno lascia il posto all’azione…
La carezza dell’oblio
– Se i miei calcoli sono esatti, arriveranno fra un minuto…
Coperta da capo a piedi dal pesante mantello nero, avanzavo guardinga nelle ombre di quel lurido vicolo di Gerusalemme, stringendo al petto l’antico rotolo di pergamena.
– Il dado mistico ne ha previsti Sette… – ripetevo fra me i postulati della Kabbalah – Come le braccia del Sacro Candelabro, la Menorah…
Un rumore alla mia destra attirò la mia attenzione. Erano loro, tutto stava andando secondo i calcoli! Come previsto, tre viscide ombre sgusciarono fuori dall’oscurità sulla mia destra. Alle mie spalle apparvero altri due. In tutto, erano cinque assassini vestiti di nero con delle orrende maschere a coprire il loro viso.
– Addio Aaron! – urlò l’insolente mascherato dinanzi a me, scagliando un pugnale all’altezza del mio cuore.
Sapevo che l’avrebbe fatto.
Avevo calcolato al millesimo la traiettoria: feci un agile balzo sul lato sinistro ed evitai di un soffio la letale lama.
– Ma tu…– esclamò il sicario con meraviglia –Tu non sei…
Lo spostamento d’aria aveva fatto cadere all’indietro il cappuccio nero che fino ad allora aveva mantenuto segreta la mia identità.
– Purtroppo no– risposi, posizionando come meglio potevo il rotolo di pergamena nel cappuccio dietro la mia testa, –Non sono il Rabì Aaron. Per cui, se volete scusarmi, andrei di fretta…
– Maledizione! – gracchiò il sicario alle mie spalle – Il vecchio ci ha giocati! Ed ora cosa facciamo?
– Chi se ne frega del vecchio!– disse il sicario che aveva lanciato il pugnale –Levi vuole la pergamena. Getta le armi e vieni avanti con le mani alzate, bellezza…-
Sapevo che l’avrebbero chiesto. Tutto secondo i piani…
Sfilai i candidi guanti che col Sigillo di Salomone avevano fino ad allora protetto le mie mani ed avanzai lentamente verso i cinque. I sicari di colpo ammutolirono, allorché un flebile raggio di sole illuminò le mie mani, che brillarono in tutto il loro accecante splendore. Fra le arcuate nocche e l’esile polso, scintillavano ai raggi solari le quattro lettere del Tetragrammaton, il nome di Dio, sapientemente disegnate con polvere d’oro.
Con un tonfo metallico, le armi dei sicari caddero al suolo. Sebbene le loro maschere non lo dessero a vedere, la luce divina aveva annullato i loro propositi bellicosi e le loro anime vagavano ora felici in un limbo di beatitudine. Li accarezzai uno ad uno, pregando il signore che dimenticassero i loro cattivi propositi e che d’ora in avanti conducessero una vita improntata alla rettitudine.
Reinfilai i guanti e mi guardai attorno: nessun’altra minaccia sembrava essere presente nel vicolo. Ricontai i sicari: erano sempre cinque.
Eppure, il dado mistico ne aveva previsti sette… Com’era possibile tutto ciò?
Improvvisamente, un forte tonfo alle mie spalle mi fece trasalire. Mi voltai, e con mia grande sorpresa notai due figure in più accasciate per terra. Erano quel farabutto di Levi e suo figlio. Guardai in alto: di sicuro erano sul malfermo cornicione decine di metri più in alto, ed ora, sommersi nell’oblio, avevano perso l’equilibrio. Il terreno sotto di essi, pian piano, si stava tingendo di rosso.
Il dado mistico aveva ragione… Ed io che ero arrivata addirittura a dubitare dei sacri insegnamenti!
Giunta alla fine del buio vicolo, mi voltai indietro per l’ultima volta.
– Sarò capace – domandai a me stessa, frugando nella bisaccia appesa alla mia cintura – di non cedere alla tentazione dell’oscurità? Riuscirò a rimanere per sempre nella strada che conduce alla luce?
Il dado mistico mostrò il suo risultato, avvolgendo anche il Sigillo di Salomone con la sua luce azzurra: zero.
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scritto il luglio 9th, 2010 da alphabetcity
In soffitta ci sono: cianfrusaglie, vecchi mobili, le foto della mamma quando andava all’asilo, il baule della nonna… oppure???
Chiedetelo a Marilù, il suo racconto offre un’alternativa niente male!
Sotto il tetto
La luna filtrava debolmente dalla finestra socchiusa, inondando di un lucore lattiginoso le lenzuola ammassate in un angolo del letto.
Astrid sedeva immobile, le mani premute appena sul materasso rigido; i suoi limpidi occhi verdi erano concentrati su un punto indefinito del soffitto buio, lì dove le travi di legno si intrecciavano sinuose a formare il sottotetto della stanza.
Pressoché impercettibile, uno scricchiolio composto risuonò nel silenzio. Lo sguardo della ragazzina si fece più intenso, mentre gli zigomi, le labbra e la curvatura della bocca si increspavano in un’espressione quasi famelica.
Si erano svegliati, finalmente.
Felpata come un gatto, Astrid si alzò. Nonostante i muscoli irrigiditi dal nervosismo, riuscì ad arrampicarsi sulla sedia senza sforzo e da lì a salire sulla scrivania; un unico cigolio della trama di noce tradì i suoi movimenti, e per un attimo il sommesso rosicchiare proveniente dal soffitto si interruppe.
La ragazza trattenne il fiato, immobile come il marmo; passarono alcuni minuti prima che gli occupanti del sottotetto appurassero che era stato un falso allarme e si decidessero a riprendere le loro attività, in un frullio di ali metallico. Astrid espirò, gli occhi socchiusi: grazie al cielo non si erano spaventati. Poi, cercando di non fare rumore, si alzò in punta di piedi ed appoggiò un orecchio alla parete, a circa due metri di distanza dalla tana.
Erano mesi che si svegliava nel cuore della notte, angosciata, ascoltando i sussulti, gli squittii ed il raspare fastidioso di artigli che grattavano il legno. Da un anno lei e i genitori abitavano in quella casa di montagna, vicino al bosco, e dopo qualche mese di silenzio le creature avevano cominciato a farsi sentire.
Astrid sapeva bene cosa fossero; sua madre era convinta si trattasse di ghiri, ma lei… lei, che veniva destata dal sonno, che passava ore ad interpretare i loro movimenti, che spesso era distratta dalla lettura di un libro per colpa di quel raschiare lento ma insistente, si era fatta un’idea molto diversa.
Uno stridio, un verso sibilante risuonò proprio allora dall’altro lato della parete; Astrid sobbalzò per la sorpresa e calcò il viso contro il legno: non esistevano ghiri che emettessero un suono così sottile e vibrante.
I secondi passarono lenti. All’interno della cavità si udirono schiocchi e artigliate, accompagnati da sibili furiosi. Evidentemente le creature stavano litigando.
Astrid approfittò di quel momento per guardarsi intorno; con la scusa di voler appendere un quadro alla parete, nel pomeriggio – di giorno, quando loro dormivano in attesa della notte – si era fatta prestare il trapano da suo padre ed aveva profanato il legno con un buco di proporzioni abnormi per un chiodo ma non così grande da attirare l’attenzione delle creature.
Ed ora era lì, ad un passo da quella finestrella aperta sulla verità, bramosa si scoprire se le sue congetture fossero esatte.
Con il cuore che le martellava nel petto, mosse un passo verso destra e si alzò in punta di piedi; il foro si apriva in un’oscurità impalpabile, più fitta delle tenebre che aleggiavano sul bosco, più cupa della notte stessa.
Tremando di eccitazione, la ragazzina insinuò l’occhio nel buco, pronta a vedere il nido di quelli che – ne era sicura – non erano ghiri ma pipistrelli.
La sua pupilla ci mise un istante infinitesimale ad abituarsi al buio pesto; poi, Astrid guardò.
Minuscole creature brulicavano nell’ombra, gli occhi di fuoco brillanti come braceri ardenti risplendevano poco lontano da lei. Qualcuna si librava in aria descrivendo archi circolari, qualche altra rischiarava il buio soffiando azzurrine lingue di fuoco; alcune dormivano acciambellate, con la coda arrotolata introno al corpo scaglioso, altre rivoltavano la carcassa di quello che probabilmente era stato un topo.
Un sibilo crepitante risuonò nella tana, mentre una di loro si voltava verso Astrid.
Non erano ghiri e neanche pipistrelli.
Erano draghi.
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scritto il luglio 7th, 2010 da alphabetcity
Dato che il tempo stringe e ci sono ancora diversi racconti da pubblicare, eccone un altro tutto per voi. il giovane scrittore in erba Lorenzo ci narra una lotta senza esclusione di colpi…
Acqua e Fuoco
Il calar del sole disegnava una scia arancio sul mare. E proprio da questa scia una figura nera emerse dalle acque.
Lentamente si avviò verso la riva. Una piccola folla di curiosi si avvicinò ad ammirare quello spettacolo insolito.
Le bastò una semplice parola e quella gente incominciò a bruciare.
Nonostante la soddisfazione di vedere quelle persone che si contorcevano dal dolore, nella sua mente c’era un unico chiodo fisso: vendetta.
Vendicarsi della persona che la aveva esiliata, facendola marcire nelle profondità marine per secoli.
Così si incamminò verso la città.
Luca si incamminava, come ogni pomeriggio, verso il lago vicino casa sua.
Era un ragazzo alto, biondo, fisico perfetto da atleta e occhi azzurri come le acque dei fiumi.
Per qualche strana ragione si addormentò. Fu un grave errore, perché non si era accorto che qualcuno nell’ombra lo aveva seguito e ora lo stava fissando.
La figura nera si avvicinò silenziosamente verso di lui, sussurrò due parole e Luca iniziò a bruciare.
Dolore. Ecco cosa provò Luca quando si risvegliò. Vide il suo corpo andare in fiamme e pensò che sarebbe morto.
Ma incredibilmente riuscì a far emergere dal lago una figura d’acqua simile a un drago che lo investì spegnendo le fiamme che lo lambivano.
Guardò il suo aggressore e ne rimase sconvolto. Davanti a lui c’era la ragazza più bella che avesse mai visto. Tutto il suo corpo era fatto di fuoco ed era impossibile definirne l’età.
Una fiamma partì dalla mano della ragazza. Luca la evitò. Si concentrò e dal lago un getto d’acqua colpì in pieno la ragazza.
Le fiamme che la lambivano non si spensero. La ragazza formò una sfera di fuoco, Luca creò una sfera d’acqua. Contemporaneamente, i due ragazzi lanciarono le sfere e nel medesimo istante acqua e fuoco si scontrarono.
L’impatto tra le due sfere provocò una forza inimmaginabile che distrusse tutto ciò che circondava i ragazzi, i due si ritrovarono in un deserto di macerie.
Proprio mentre il duello era al culmine, la ragazza di fuoco gli ricordò il motivo per cui si stava scontrando con lui.
Qualche secolo prima, lei aveva cercato di creare un mondo che fosse circondato completamente dalle fiamme, affinché vi abitasse la sua specie.
Anche Luca aveva cercato di creare un mondo fatto solo d’acqua, in modo che la sua specie avrebbe potuto continuare a sopravvivere.
Nacque uno scontro che durò mesi, concludendosi con la vittoria di Luca.
Egli esiliò la sua rivale nelle profondità degli abissi. Il mondo che voleva distruggere in un istante gli parve meraviglioso, ed ebbe pietà per esso.
Luca abbandonò la sua specie e iniziò a vivere come un uomo. Era passato tanto tempo che Luca ne aveva perso memoria. Solo adesso, ascoltando il racconto della ragazza, tutto gli stava tornando in mente.
La ragazza, con la forza dell’odio che provava nei suoi confronti, aumentò l’energia della propria sfera, distruggendo quella dell’avversario che cadde a terra rovinosamente.
Luca si ricordò della tecnica con cui l’aveva sconfitta. Si concentrò. Lentamente le acque del lago iniziarono a vorticare sempre di più fino a formare una serie di draghi.
Li lanciò verso lei, colpendola in pieno.
Ma lei era ancora lì, come se l’attacco di Luca non fosse mai avvenuto.
Lui aveva perso e lei aveva vinto, perché le energie di Luca erano esaurite.
La ragazza si avvicinò a lui, alzò una mano e urlò: “Brucia!”. Lei vide il corpo del suo nemico bruciare e vide lui che si contorceva dal dolore. Le sue urla le gelarono il fuoco. Fu un istante, cessarono subito.
Finalmente il suo unico nemico era stato sconfitto e il nuovo mondo era possibile.
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