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scritto il ottobre 8th, 2010 da alphabetcity
Cari ragazzi drago, che piacere ritrovare la vostra brillante fantasia e scoprire qualche nuova firma nei commenti!
Questa volta mi sono davvero sbizzarrita e quindi vi lascio all’ottava puntata…
La radura che li accolse era la stessa del quadro ma copletamente deserta.
“Piacere Kevrah. Le regole di Onyrism mi impeddivano di rivelarti il mio nome fino a che tu non ti fossi dimostrata degna di essere accolta nel regno” il ragazzo pronunciò questa frase di presentazione con grande solennità accorgendosi solo dopo che Tilde, nonostante avesse lo stupore ancora dipinto sul viso, stava scimmiottando i suoi movimenti con aria stizzita. Stava per rimproverarla quando la vide accasciarsi al suolo. “Fantastico” pensò tra sé e sé: “Cosa sta succedendo? Devo salvaguardare la vita di questa creaturina altrimenti per il mondo magico e per me sarà la fine. Non mi resta che portarla dal vecchio Camlost e sperare che per una volta si dimostri gentile col prossimo.”
Sollevò Tilly e si mise in cammino: “Lo so che non puoi sentirmi, ma forse è meglio così, avevo pensato di raccontarti la mia storia, come mai sono qui, come mai proprio io, ma mi rendo conto che già non mi sopporti e che forse non ti importa un bel niente di sapere qualcosa che mi riguarda. Nel dubbio, cara mia, te lo racconto adesso, così non potrai rimproverarmi di non averti detto niente. Dunque: molto tempo fa, su Onyrism, quando ancora agli uomini era permesso accedere in tutta libertà a questo mondo fatato, una sanguinosa e lunga guerra vide scontrarsi elfi ed umani per la custodia del cristallo dei sogni. Ora che ci penso, cara, sarebbe meglio che tu stessi un minimo attenta perché è questa la pietra che ti consegnerà ufficilamente al tuo destino, ma se preferisci dormire fai pure. In ogni caso io vado avanti. Così, i mezz’elfi come me, frutto dell’unione delle due razze, vennero rinnegati da tutti e perseguitati. L’allora capo della comunità mezz’elfa, per salvare ciò che restava della nostra razza, si rivolse alle ninfe in cerca di protezione e accettò un patto che avrebbe cambiato le vite di tutte le generazioni a venire: i mezzelfi di Onyrism sarebbero stati i guardiani delle ninfe per sempre, non uno di noi, una volta compiuti i quindici anni sarebbe
sfuggito al suo destino. Beh, io ho quattordici anni e mezzo e non ho nessuna intenzione di fare questa fine. Voglio decidere per me stesso in totale autonomia, e tu sei la mia unica speranza: tua madre mi ha promesso la libertà se riuscirò a proteggerti e a guidarti in questo cammino. Quindi…” In quel momento una vocina flebile lo interruppe
“Kevrah”
“…”
“Sono sveglia da un po’”
“Quantifica po’”
“Circa dall’inizio”
“…”
“Non è vero che non ti sopporto”
“Stai zitta e risparmia le forze. Sei bollente e devo portarti dal vecchio Camlost al più presto”
Il dialogo tra i due ragazzi echeggiava ancora nell’aria dell’antro della caverna. Guglielmina si voltò verso la stupenda strega che le aveva mostrato la nipote e Kevrah nell’enorme sfera di Cristallo che emanava una luce rossastra e le disse: “Non scuotere la testa Ainwen, hai già imparato moltissimo tempo fa che non puoi evitare di sottostare al mio volere. La catena che ti imprigiona in questo luogo ti terrà in mio potere ancora per un mese.” :”Non essagerare vecchia megera” fu la risposta: “La purezza d’animo che quella ragazza possiede è la più forte delle armi. Se prenderà coscienza di sé diventerà imbattibile. Tua sorella con lei ha fatto un’ottimo lavoro.” :”Taci!” le ordinò la donna che, salita in sella al drago appena fuori dalla grotta volò via in un lampo.
Ainwen, la strega che si era sottomessa a Guglielmina in cambio di un ritratto della sorella che le aveva donato l’eterna giovinezza, sospirò e scosse la testa rassegnandosi al destino che aveva scritto per se stessa tanto scioccamente.
A
Il drago e Guglielmina sorvolarono l’inetra Onyrism fino a che non furono sulle tracce di kevrah e Tilde, ma si tennero abbastanza lontani da passare inosservati. La diabolica donna aveva in mente un piano folle: seguire la ragazza in tutte le sue mosse, lasciare che scoprisse la sua vera natura e che venisse sottoposta alla prima fase dell’addestramento e poi, durante la sua ultima notte nel mondo magico, quella precedente al mattino in cui le sarebbe stato donato il cristallo, inviarle un incubo orribile in cui sarebbe rimasta intrappolata per sempre.
(qui si potrebbe utilizzare il suggerimento per cui Kevrah è anche guardiano degli incubi, o comunque attribuire al mezzelfo la capacità di aiutare a superare le paure)
B
Il drago e Guglielmina sorvolarono l’inetra Onyrism fino a che non furono sulle tracce di kevrah e Tilde, ma si tennero abbastanza lontani da passare inosservati. “Arriverò prima di loro e convincerò in qualche modo il vecchio Camlost e tutte le più antiche creature del regno che non sono degni di ricevere il loro aiuto… nessun anziano vorrà bche un mezzelfo venga sciolto dall’accordo che lo lega alle ninfe e, a quel punto, una volta rimasta sola, Tilly non potrà fare altro che rivolgersi a me.
Allora: A o B?
Ma soprattutto: Cosa succederà? O meglio: Cosa vorreste che succedesse?
Forza! Forza! Forza! L’epilogo è dietro l’angolo…
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scritto il settembre 25th, 2010 da alphabetcity
“Oggi è sabato domani non si va a scuola!” una canzone di qualche tempo fa cantava qualcosa del genere! In questo caso, invece, potremmo dire: “Oggi è sabato e leggo il minifantasy!”
Quindi, dopo aver specificato che sarei davvero lieta di leggere moltissimi commenti, ma che trovo unici e prerziosi quelli che leggo abitualmente da settimane, cominciamo con la sesta puntata; ossia, ecco come Tilde apprenderà tutto il racconto del suo passato che abbiamo svelato la scorsa volta e che cosa le succederà subito dopo!
Pronti? Io sì! VIA!
La notte del primo sogno di tutta la sua vita Tilly si svegliò sconvolta. Sudata e con le palpitazioni si alzò dal letto e si precipitò alla culla dove aveva lasciato la tavolozza e la lettera della nonna. Non era bastato far finta di niente: il suo destino era di fronte a lei, avvolto da un fitto mistero che, però, non doveva scoraggiarla. Era arrivato il momento di combattere per scoprire la verità. Proprio in quel momento un pensierò le illuminò il viso spazzando via l’ulitma traccia di sonno: “Sono le due di notte, tutti dormono, se mi muovo senza fare rumore nessuno saprà che sono sveglia e potrò esplorare questa casa in piena libertà senza che la mamma e, soprattutto, la zia Guglielmina se ne accorgano”. Questa volta non si cambiò neanche. Infilò le scarpe da ginnastica e, con ancora addosso la camicia da notte tutta fiocchi e merletti secese le scale per cominciare la sua esplorazione. Quando incrociò la sua immagine in uno specchio non poté fare a meno di pensare che somigliava ad una curiosa versione da Jogging della Bella Addormentata armata di torcia elettrica. Ma non era il momento di ridere: occorreva concentrarsi. “Pensa Tilly, pensa, pensa ai disegni nei quadri…un drago, la mia culla, un’elfa dai capelli verdi, quella creatura mostruosa… ho bisogno di trovarli…” Si aggirava assente per il pian terreno e senza accorgersene si ritrovò in giardino. Il vecchio muro di cinta attirò la sua attenzione. Tilde si avvicinò cauta e cominciò a tastare sotto il fitto dell’edera: “Una maniglia!” urlò nel silenzio della notte ricordandosi solo dopo che avrebbe dovuto fare piano: “Una maniglia!” ripeté sussurrando a se stessa, e la girò. La porta segreta si aprì su una rampa di scale di cui non si vedeva la fine.
Coraggiosamente e con un filo di incoscenza la ragazzina iniziò la sua discesa senza esitare neanche un secondo. Diversi gradini dopo lo spettacolo che si mostrò ai suoi occhi la ripagò dalla fatica: un intera stanza, molto, molto più grande di quella che le aveva mostrato la zia, piena zeppa di quadri della nonna. Avrebbe voluto avere il tempo di guardarli uno ad uno, di pensare alla sua nonnina almeno un po’, di piangere perché le mancava tanto. Ma una forza che non sapeva di avere la spinse ad avvicinarsi alla parete senza lacrime e con aria decisa. Una serie di quadri posti vicinoi e tutti delle stesse dimensioni attirarono la sua attenzione, la protagonista non le era affatto nuova: era l’elfa dai capelli verdi. La storia narrata era di una tristezza commovente: un amore disperato, scoccato proprio tra l’elfa dai capelli verdi e una creatura condannata a vagare nelle tenebre. Tilde man mano che osservava i quadri li staccava e li poggiava sul pavimento, quasi a formare un fumetto. Quando vide i due innamorati costretti a separarsi cominciò a piangere. Le sue lacrime sciolsero il colore. Piangeva di cuore, con gli occhi chiusi e l’animo disperato, quando sentì una voce: “Non piangere bambina, sono passati moltissimi anni e neanche io penso più al mio destino infelice” a parlare era proprio l’elfa: “Hai avuto pietà di me, hai amato la mia storia dal profondo e questo lenisce la mia sofferenza. Per ringraziarti voglio raccontarti qualcosa che sono sicura che ti sarà utile” (ovviamente il racconto è quello riportato nel post della quinta puntata). Quando la creatura smise di narrare Tilly quasi non poteva credere alle sue orecchie: “Grazie, grazie mille, ma ora io… io non so cosa fare…”: “Non preoccuparti” le rispose l’elfa che ormai stava svanendo, “sei riuscita ad avviare gli eventi, rimani sempre te stessa e non dimenticarti mai di come sei stata cresciuta dalla tua buona nonna.”
Con la sensazione di avere su di sé il peso di una responsabilità molto più grande di lei, Tilde tornò a dormire.
A
Ancora incredula di quello che aveva vissuto nel corso della nottata, si svegliò con una gran voglia di fare. Scese a fare colazione in un baleno già vestita e preparata di tutto punto. Bevve il latte a velocità supersonica e in un secondo sapzzolò la fetta di ciambellone a lei destinata. Finalmente libera da sguardi indiscreti si finse impegnata nella ricerca di cocccinelle in giardino e tornò nel luogo esatto della notte precedente. La porta era scomparsa. Di essa neanche una traccia. Che fosse un sortilegio della zia Guglielmina? Quella donna ormai la seguiva ovunque e, forse, era stata astuta e l’aveva spiata anche durante la sua avventura notturna. Che fare? La ragazzina capì che aveva bisogno della nonna, dei suoi quadri, dei suoi poteri. Doveva tornare a casa, tornare nella stanza dei dipinti dove aveva avuto una visione. C’era un quadro, non quello piccolo che aveva attirato la sua attenzione la prima volta, ma una tela molto più grande, che non riusciva a mettere bene a fuoco che era certa le sarebbe stato d’aiuto. Battagliera e convinta rientrò in casa per chidere alla mamma di porre fine al soggiorno toscano. Voleva arrivare nella radura delle sue visioni. Voleva scoprire chi era veramente. E ci sarebbe riuscita.
B
Ancora incredula di quello che aveva vissuto nel corso della nottata, si svegliò con una gran voglia di fare. Scese a fare colazione in un baleno già vestita e preparata di tutto punto. Bevve il latte a velocità supersonica e in un secondo spazzolò la fetta di ciambellone a lei destinata. Finalmente libera da sguardi indiscreti si finse impegnata nella ricerca di cocccinelle in giardino e tornò nel luogo esatto della notte precedente. Proprio lì di fronte, con tanto di cappello di paglia e di salopette un ragazzo poco più grande di lei era intendo a potare l’edera. “Sei il nuovo giardiniere?” lui si voltò e suoi occhi brillarono di una luce tutta speciale. “No, sono un guerriero. Sono la tua guardia cara predestinata, mi manda tua madre, la tua vera madre. Sei pronta a cominciare l’avventura per cui sei stata messa al mondo?” Tilde rimase basita a fissarlo. “Fin’ora sei stata brava ma ti facevo più loquace!” esclamò lui. “Impertinente come guardia!” pensò la ragazzina, e poi sorridendo con una punta di furberia gli chiese: “Sai come arrivare nella radura delle mie visioni?”. Quello era l’esatto momento che avrebbe segnato le loro vite per sempre
A voi la scelta e, come sempre, sono apertissima ad ogni tipo di suggerimento! L’appuntamento è per venerdì!
P.S. Vilma la tua idea per far funzionare la tavolozza non è andata perduta e verrà utilizzata ben presto! 😉
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scritto il settembre 7th, 2010 da alphabetcity
La sensazione di essere già stata in quel luogo assalì la ragazza come un odore acre, di quelli forti, che penetrano nei vestiti per non andare più via. Si accorse che si stava inavvertitamente mangiando le unghie: era nervosa, tesa, sommersa da uno stato d’ansia che quel luogo le comunicava senza alcuna ragione plausibile. Era davvero possibile che non ricordasse assolutamente niente dei suoi primi tre anni di vita? Cominciò a gironzolare per la stanza, a toccare gli oggetti, a spostarli: una bambola, una trottola, una coperta, il letto a baldacchino con le tende ingiallite a fiorellini. Quasi in uno stato di ipnosi si avvicinò alla culla e spostò le tendine. All’interno un piccolo cuscino sopra il materasso; Tilly lo sollevò e scoprì un tassello nella gomma piuma con inserita all’interno una scatola nera, che sotto la polvere lasciava intravedere la sua lucentezza. Si sedette per terra e la aprì con la mani tremanti. Il curioso oggetto contenteneva una tavolozza, tre pennelli e una lettera: “Mia cara Tilly, ti scrivo oggi, prima di portarti via da questa casa. Mentre la penna scorre sul foglio tu gironzoli spaesata per la stanza cercando i giochi che sono già stati portati a Roma. Non sarò qui quando tornerai, lo sento. Ma tu non preoccuparti tesoro mio, guiderò lo stesso la tua mano, ma tu dovrai essere forte e coraggiosa. Per ora posso dirti solo questo perché riuscire ad ottenere tutto l’aiuto che posso darti dipenderà da te. Un’ultima cosa amore mio: ricorda sempre che un mondo senza sogni è una tela senza colori e un sognatore che si smarrisce è un pittore senza tavolozza. Un bacio dalla tua nonna”. Per Tilly era abbastanza. Lasciato tutto sul pavimento corse giù per le scale e si offrì volontaria per accompagnare la cuoca a fare la spesa, poi l’aiutò a cucinare, a ripulire, e a fare qualunque altra cosa pur di tenersi occupata. Ma non si può sfuggire al proprio destino: quella fu la notte in cui fece il suo primo sogno.
Era di nuovo in quel mondo fatato che aveva visto quando era svenuta nella stanza dei dipinti, ma questa volta la visione era più nitida e le figure si distinguevano alla perfezione. Nella radura un elfo cieco stava incoccando una freccia pronto a colpire qualcosa nel filto del bosco mentre la figura che aveva visto sotto la cascata si rivelò, una volta messo piede nell’erba una bella donna giovane, vestita di bianco, con dei lunghissimi capelli del colore della notte e la pelle di un candore straordinario. Teneva in mano una bimba in fasce e camminava con aria preoccupata ninnandola con dolcezza. Dopo un ultimo sguardo pieno di lacrime Tilde l’aveva vista porre la neonata a terra e poi, con sua grande meraviglia, il fagottino era stato raccolto da… sua nonna!
Se sceglierete A la trama evolverà con Tilly che scopre di essere la guardiana dei sogni a cui però la zia, gelosa di questo ruolo che comporta un enorme potere, ha fatto un incantesimo che le impedisce di ricordare il suo passato e quindi la sua vera identità. Le guardiane dei sogni, infatti, non possonbo sognare, ma solo avere visioni notturne. La zia è riuscita a mantenere la situazione sotto controllo fino ad ora. Perché? Cosa vuole ottenere? Come può Tilly liberarsi dell’incantesimo? Può aiutarsi con la tavolozza? Cosa sono in realtà i quadri della nonna?
Se sceglierete B Tilly scoprirà di essere una ninfa designata da un oracolo a sedere sul trono del regno che ha appena sognato. Solo con la sua ascesa la pace potrà di nuovo regnare. Ritrovare i suoi sogni la asiuterà a sedersi sul trono. Come si svolgerà l’azione? Perché la zia non vuole che sieda sul trono? A cosa servono la tavolozza e i quadri della nonna?
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scritto il agosto 23rd, 2010 da alphabetcity
Dopo un’inevitabile pausa estiva eccoci di nuovo pronti a partire con la nostra avventura: un fantasy corale per Licia Troisi!
Ho visto con grande gioia che il dibattito sulla scelta tra A e B è stato acceso e pieno di proposte che hanno dato alla mia fantasia delle ali per volare davvero forti!
Vi anticipo fin da ora che data l’effettiva situazione di parità ho scelto di tenere l’atmosfera un po’ oscura e misteriosa di B unendovi però diversi elementi di A (quelli che mi è sembrato colpissero di più la vostra fantasia) che, anche se non saranno tutti in questa puntata, faranno di certo la loro comparsa in seguito a prescindere dell’opzione che voterete per questa seconda puntata. Questo significa, quindi, che nel mini libro che verrà consegnato a Licia all’introduzione seguirà la parte B.
Ora, però, basta chiacchere, è il momento della tanto attesa seconda puntata!
La zia Guglielmina non si fece di certo pregare e, ignorando del tutto lo sguardo stupefatto della nipote di fronte al quadro cangiante, si sedette su una vecchia poltrona e con una lieve nota d’imbarazzo cominciò: “Mia sorella era davvero una donna piena di fantasia, riusciva sempre a stupirmi, fin da quando era ancora una bambina. Pensa, mia cara, che aveva solo tredici anni quando inventò questo congegno per cambiare le immagini nei quadri, sembra una magia ma è una sorta di illusione ottica basata sulla posizione di alcune macchie di colore. Nostro padre all’epoca rimase così sconvolto che le proibì di disegnare, è per questo che solo io ero a conoscenza di questa stanza”. Seguì una risatina nervosa che le orecchie di Tilde non poterono sentire per via dell’assordante rumore che i suoi pensieri stavano facendo in quel momento: “Ho visto perfettamente cos’è successo. È magia, magia pura, fantastica, unica, rara; è magia, me lo sento, quella che ho sempre desiderato esistesse davvero e non solo nei libri. Perché la zia lo nega con tanta dovizia di particolari?”. Ma quello non era affatto il momento di fare domande: la vecchina ava già cominciato il suo racconto: “Questa è la nostra vecchia casa dove trascorrevamo le vacanze, una meravigliosa villa in Toscana che disgraziatamente è stata venduta. A tua nonna piaceva immaginare che di notte le stanze, ma soprattutto il meraviglioso e immenso giardino, si popolassero di fate, vampiri, draghi e creature magiche di ogni sorta. Mi dispiace non riuscirti a dire altro tesoro mio, non ero io quella piena di fantasia”. Pronunciò queste ultime parole di fretta, mentre con un solo scatto, alquanto insolito alla sua veneranda età, lasciava cadere il quadro sulla poltrona e spingeva la ragazzina fuori dalla stanza. Un dubbio cominciò a turbare l’animo puro di Tilly: quello che aveva visto nei suoi occhi era davvero rancore misto a invidia?
A
Poche ore dopo Tilly prese a girarsi e a rigirarsi nel letto. Non aveva mai sofferto d’insonnia, mai un incubo o un brusco salto avevano turbato le sue notti, mai un pianto, neanche da piccola. E ora proprio non riusciva a dormire. L’immagine della culla la tormentava e aveva ancora addosso la sensazione spiacevole provocatale dalle parole della zia.
Si alzò di scatto, a piedi nudi e senza neanche indossare vestaglia e pantofole uscì dalla stanza e si ritrovò a camminare con passi lunghi e rapidi verso il corridoio. Una volta entrata nella camera dei dipinti, un istinto inspiegabile la guidò fino all’esatto centro della stanza dove scorse una piccola macchiolina di colore bluastro. Si chinò per toccarla e al primo contatto della sue dita con il gelo del pavimento sprofondò in un sonno profondo. Il freddo del marmo si trasformò ben presto in una strana sensazione di umido: era acqua. Si trovava sotto la superficie di un fiume ma riusciva perfettamente a respirare. Quasi distrutta da un’incomprensibile quanto improvvisa stanchezza non riuscì a muovere un solo dito e, così, si limitò a guardare. Scorse sulla superficie una creatura orribile e inquietante che, accingendosi ad entrare nell’acqua si illuminva di una luce pallida e accecante trasformandosi in una ragazza dai lineamenti ancora non perfettamente percettibili ma bellissimi. Intanto una musica dolce suonava, sembrava provenire da una radura lontana. Tilde aprì gli occhi di scatto.
B
Poche ore dopo Tilly prese a girarsi e a rigirarsi nel letto. Non aveva mai sofferto d’insonnia, mai un incubo o un brusco salto avevano turbato le sue notti, mai un pianto, neanche da piccola. E ora proprio non riusciva a dormire. L’immagine della culla la tormentava e aveva ancora addosso la sensazione spiacevole provocatale dalle parole della zia.
Si alzò di scatto, preda di un’irrefrenabile necessità di agire. Via la camicia da notte da scolaretta, via le due trecce che la mamma si ostinava a farle portare per ordinare le onde dei suoi lunghi capelli. Scarpe da ginnastica, leggings e un maglietta lunga a pois, la sua preferita, uscì nel corridoio e corse a perdifiato fino allo studio del nonno, forzò la serratura e, come posseduta da un istinto irrefrenabile, si lanciò ai piedi della gigantesca cassettiera in mogano senza neanche accendere la luce. Un pallido raggio di luna la aiutò a raggiungere l’interruttore della lampada della scrivania. La ragazzina cominciò a rovistare con forza all’interno dell’ultimo cassetto: “Trovato!” quasi urlò per l’emozione mentre rovesciava per terra decine e decine di fotografie e pezzi di carta contenuti in una cartellina viola con su scritto “proprietà”. Dopo una ventina di minuti di ricerche un brivido le percorse la schiena: la villa in Toscana esisteva davvero. Foto, indirizzo, vari documenti dell’acquisto, bollette, curriculum vitae della servitù, non mancava niente. Tilde si alzò e aprì la finestra per fare entrare un po’ d’aria, un’ombra si mosse nel giardino sotto di lei. Incredibile: sembrava la zia Guglielmina, e non era sola.
Come potete vedere non sono presenti tutte le creature magiche dei quadri, ma vi assicuro che compariranno! Intanto vi anticipo che il sugerimento riguradante la culla è stato accolto (mi è piaciuto tantissimo!)
Prima di salutarvi e di darvi appuntamento a lunedì prossimo vi lascio con due domande: oltre a scegliere tra A e B e a suggerire eventuali evoluzioni, chi ha voglia di provare a dirmi qualcosa su questa zia Guglielmina? E chi di voi se la sente di provare a realizzare qualche disegno?
Scatenate le vostre testoline!
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scritto il luglio 23rd, 2010 da alphabetcity
Come potete vedere, o meglio legger, anche Maria aveva scritto un racconto troppo lungo!
Vi lascio alle sue parole ma prima vi dò appuntamento a lunedì con L’ANNUNCIO DEL NUOVO CONTEST!!!
Non mancate… ci conto…
Bianco. Tutto bianco intorno a me. Ero circondata dal nulla. Poi mi accorsi di qualcosa di fianco a me, una figura sfocata. Ci misi un po’ a metterla a fuoco. Era una ragazza. Avrà avuto al massimo 15 anni, il viso ancora da bambina era troppo pallido, e gli occhi… occhi che guardavano un tutto e un niente che non c’era. Voci che provenivano da quella ragazza mi inondavano la testa, erano strazianti: pianti, grida, lamenti… la ragazza sei tu! Disse una di quelle voci. Poi tutto si fermò e si fece buio, un pozzo scuro senza fine; l’unica figura abbagliante era davanti a me.
<<è il tuo destino.>> disse la figura, portava una collana di lapislazzuli al collo, ricami che non conoscevo erano impressi su quel manufatto. La guardai un istante.
<<chi siete?>>chiesi con un filo di voce.
<<tu sei la prescelta, è il tuo destino>> questa volta mi prese la mano ci mise un oggetto, anch’esso sbiadito, come offuscato. Sembrava qualcosa di blu, era intenso, bruciava a contatto con la mia pelle.
<<chi siete?>> gridai ritraendo la mano. Le tenebre iniziavano ad avere la meglio. L’oggetto era una collana con una pietra, sopra c’era inciso il simbolo di una runa antica. La ragazza continuava a guardarmi, aveva dei lineamenti bellissimi quasi come un angelo; ma quello sguardo, quel pallore la rendevano troppo triste, infelice per quel che gli era successo, gli occhi, cosi giovani erano bloccati sull’oggetto che adesso, non so come, si era posato sul mio collo.
<<sono…>>
Mi svegliai urlando fino a farmi male alla gola. Mi coprii gli occhi e con le mani sentii di averli bagnati. Mi guardai attorno, ero in una radura splendida, tutta tappezzata di fiori e contornata da cespugli. Sentii un rumore, mi accorsi che non ero sola.
<<chi c’è?>> gridai. Silenzio.
<<esci fuori!>> dissi avanzando di qualche passo. Silenzio.
Presi il pugnale che avevo alla cintura, e senza badarci tanto saltai addosso a un ragazzo. Era lui che faceva rumore. Fu un movimento rapido, gli saltai addosso e gli misi il pugnale alla gola. Era anche lui giovane, poco più grande di me. Il viso era coperto da capelli castani un po’ lunghetti e ricci, ma la cosa che mi stupì erano le orecchie: avevano una strana forma appuntita.
<< chi se…>> la frase mi morì in gola. La collana, quella del sogno, era lì, che mi pendeva dal collo. E il simbolo: spiccava sul blu intenso della pietra. Il pugnale mi cadde dalle mani. Non potevo crederci, non volevo crederci. In fondo era solo un sogno. Mi appoggia ad un albero e iniziai a piangere. Non era possibile, io non avevo mai vista quella collana se non in sogno.
Il ragazzo si avvicinò e si sedette vicino a me e mi abbracciò lasciando che gli macchiassi tutta la casacca. Era molto dolce, soprattutto per il fatto che, dopo avergli puntato alla gola un pugnale ed averlo quasi ucciso non fosse scappato ma, fosse rimasto a consolarmi pur non sapendo chi fossi.
<<scusa, non volevo spaventarti>> disse. <<io sono Fares.>> aggiunse. Non so perché ero appoggiata a lui, ma qualcosa dentro di me mi diceva che potevo fidarmi. Accese il fuoco, rimanemmo zitti per un po’, poi senza che mi chiedesse niente gli raccontai del sogno, della collana e del simbolo. Lui ascoltava senza dire niente, lasciando che mi sfogassi. Quando finii mi sentii più leggera. <<scusa, non so perché ne sto parlando, comunque cosa ci facevi nel bosco?>>
<< sono un cavaliere, o meglio. Stavo andando a nord per un pattugliamento approfondito quando ti ho sentita gridare e allora…>> arrossii. Avevo gridato così tanto?
<<pattugliamento?>> chiesi. Ma adesso che ci pensavo non so dove mi trovavo e cosa ci facessi li.
<<si, il re ha chiesto a cinque cavalieri di drago di pattugliare l’area dall’alto, vedi è molto malato e non vuole correre rischi di attacchi dalle altre terre>> disse. <<comunque non mi hai detto come ti chiami>>
<<Re? Comunque io non ho un nome>> risposi. <<mio padre quando seppe che mia madre era incinta la lasciò e lei morì durante il parto>>
<<mi dispiace. Comunque se vuoi un nome lo possiamo rimediare>> disse tralasciando la domanda riguardo al re.
<<non so>> ero un po’ confusa. Da quando ero stata abbandonata tutti mi chiamavano orfana, e ora un tizio sconosciuto voleva aiutarmi a ricostruirmi un’identità.
<<Maria?>> chiesi, in fondo era un nome abbastanza usato.
<<Ma che nome è? >> disse. <<che te ne pare di Zahira?>> chiese illuminato.
<<non so, direi di si>> dissi un po’ confusa, il mio nome era Maria. Stetti al gioco e decisi che in fin dei conti mi piaceva come nome, aveva un che di strano ma mi piaceva. Soprattutto anche perché mi aveva aiutato lui a trovarlo, era davvero carino.
<< grazie>> risposi rossa di vergogna fino alla radice dei capelli. << senti magari quando riparti non è che posso venire con te? >>
<< certo>> rispose sorridendo. Lo guardai e un sorriso spontaneo mi sfuggì dalle labbra.
Qualcosa si mosse dentro di me, come se il cuore iniziasse a riscaldarsi dopo anni e anni di ghiaccio assoluto. Lo guardai meglio, e per la prima volta notai che aveva un’arma. Una spada. Alla fine dell’elsa c’era una mezzaluna che proseguiva e andava a formare la lama che era incisa con simboli strani. <<posso vederla?>> chiesi senza pensarci.
Mi guardò perplesso. <<che cosa?>> chiese.
<< la spada>> risposi. Aveva qualcosa di familiare quella lama, o meglio i simboli su di essa.
Me la porse. La presi in mano e iniziai a maneggiarla. <<sai usarla vedo>> affermò.
<< non tanto>> dissi ammirando i simboli sulla lama. In effetti era la prima volta che ne impugnavo una.
<< se ti va, intanto che andiamo a nord ti insegno a usarla>>
<< volentieri>> dissi con un sorriso a trentadue denti. Ho sempre amato le spade, fin da quando ero bambina.
La notte passò velocemente, non riuscii a dormire molto. Ripensavo alla spada, ai simboli sulla lama. Li avevo già visti da qualche parte., ne ero sicura. Presi a giocherellare con la collana senza pensarci, la guardai di sfuggita ma mi bloccai di colpo… il simbolo che era sulla lama era lo stesso della collana!
<<Fares, Chi ti ha dato la spada?>> gridai.
<<l’esercito elfo, io ne faccio parte. Sono una guardia reale. Sai dove siamo?>> chiese dubbioso. Feci di no con la testa, l’unica cosa che sapevo era che quella collana aveva qualcosa a che fare con la spada di Fares.
<< Siamo nelle terre Elfiche. Re Elelith è il sovrano>> disse.
<< e il simbolo della spada cosa rappresenta?>> chiesi, dovevo saperlo. Lui mi guardo perplesso un attimo, sospettava qualcosa forse, ma cosa poteva sospettare se io non sapevo nulla.
<< la magia del nostro popolo –quella di un tempo, la magia antica. Adesso è del tutto sparita- ed è anche il simbolo reale>> affermò.
<< è lo stesso simbolo della mia collana…>> dissi, tirandomi via la collana e porgendogliela. Rimase interdetto alla vista di quel medaglione, occhi e bocca spalancati.
<< che cos’hai? Lo hai già visto?>> chiesi preoccupata dalla sua reazione.
La guardo ancora qualche secondo che pareva eterno ma quando infine decise di rispondermi rimasi di stucco.
<< era il ciondolo della regina>> disse guardandomi sbalordito.
<< è impossibile, ti ho appena detto come l’ho avuto>> dissi ed era veramente impossibile, io non centravo niente con tutta questa storia della magia e della famiglia reale. Lo guardai perplessa, aveva ancora in mano la collana e ricambiava il mio sguardo con un misto di preoccupazione e stupore quando qualcosa catturò la mia attenzione. Era immobile, fermo come una statua. All’inizio pensavo che mi prendesse in giro, poi lo guardai meglio. Non respirava!
<< Fares? Fares?>> continuavo a scuoterlo e a ripetere preoccupata. Ma notai una cosa guardando in alto. Un uccellino era fermo a mezz’aria; immobile con le ali spalancate che volava nella radura.
<< che diamine sta succedendo qui?>> sussurrai in preda alle lacrime. Tutto era immobile, fermo. Come se il tempo si fosse fermato e io fossi l’unica cosa che potesse ancora muoversi. Le lacrime ormai erano scese e tutto era iniziato a girare, tutti i colori si legavano tra di loro quando alla fine spuntò un quadrante nero.
<< che cosa…>> non finii la frase che ricordai tutto. Tolsi il baschetto e mi ritrovai in una stanza con Salvatore che mi guardava preoccupato. Il videogame aveva qualcosa che non andava. Cavolo però se era reale giocarci. Sembrava davvero che fossi in quel mondo irreale tra elfi spade e… insomma in quel posto.
<< stai bene?>> chiese aiutandomi ad alzarmi. Lo guardai qualche secondo e sorrisi. << sei un genio lo sai? È stupendo!>> si tranquillizzò istantaneamente.
<< hai finito il livello Mery, domani se vuoi continuiamo>> disse mettendo a posto il caschetto.
<< ovvio che continuiamo>> dissi e tutti e due ci dirigemmo verso la porta. << aspetta ho dimenticato la borsa>> dissi fermandomi. << sempre la solita eh, inizio ad andare in cucina>> disse e iniziò a scendere le scale. Andai a riprendermi la borsa ma qualcosa attirò la mia attenzione: sulla borsa c’era una busta. La presi: nessuno la aveva mandata. Aprendola non trovai nessuna lettera ma una collana. Blu con sopra incisa una runa. Salvatore doveva avermi giocato qualche brutto scherzo, ma in fin dei conti speravo che fosse davvero qualcosa di magico.
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scritto il luglio 23rd, 2010 da alphabetcity
Troppo lungo per partecipare al nostro contest ma non per essere pubblicato! Ecco il racconto di Rebecca, che merita comunque di essere letto.
Il Natale di Melissa
Avete mai sentito parlare dei topolini ballerini? No, non sono criceti in tutù come qualcuno di voi starà pensando! Magari li avrete visti in uno dei vostri libri di scuola o in qualche documentario…
Sono dei piccoli topini, più piccoli di quelli di campagna, possono essere bianchi, o neri, o bianchi e neri come dei dalmata e vengono chiamati ballerini perché passano il loro tempo, oltre che a mangiare, a girare in tondo, come delle trottole! I bambini adorano i topolini ballerini e la storia che vi voglio raccontare è proprio quella di uno di questi bambini…
Erano i primi giorni di dicembre di qualche anno fa e la piccola Melissa, che aveva sei anni, non vedeva l’ora che cominciassero le vacanze di Natale. Era il suo primo anno di scuola e le piaceva andarci, anche se, ancor di più, le piacevano le vacanze. Durante la lezione pensava a quando avrebbe fatto l’albero di Natale e il Presepio con la mamma, a cosa avrebbe chiesto a Babbo Natale… Melissa non aveva né fratelli né sorelle, non le mancavano però i cugini.
Tra questi, quella che preferiva era la sua cugina di dieci anni, Veronica. Ogni volta che poteva, si faceva accompagnare dal papà a casa di Veronica e lì passavano interi pomeriggi a giocare insieme. Da qualche mese però le sue visite alla cugina erano diventate più frequenti a causa di alcuni nuovi “ospiti”…
Al papà di Veronica, infatti, avevano regalato due topolini ballerini, un maschio e una femmina, in una gabbietta verde a cui era stata aggiunta una reticella con le maglie strette, affinché i topolini, che erano grandi quanto un pollice, non potessero scappare.
Melissa se ne innamorò nel primo istante in cui li vide: non aveva mai visto dei topolini così piccoli e cosi simpatici! Le piaceva stare a guardarli mentre giravano, mentre mangiavano i semi di girasole con le loro zampine, che sembravano mani in miniatura, e chiedeva a Veronica di toglierli dalla gabbia, per poterli tenere in mano. Era affascinata da quei morbidi animaletti così piccoli e così movimentati e, da quando la topolina aveva avuto due topolini, non faceva altro che chiedere alla mamma e al papà di poterne tenere uno. I genitori le avevano ricordato che i topolini ballerini avevano bisogno di tante attenzioni e, dato che Melissa la mattina andava a scuola, avrebbero dovuto pensare loro a far tutto. Anche questo però non era possibile perché al papà gli animali così piccoli non piacevano e inoltre, lavorando fino a tardi, quando tornava a casa, aveva voglia solo di mangiare e andare a dormire. Anche la mamma lavorava, e poiché faceva i turni, spesso la mattina non era a casa. Questo però Melissa non lo capiva, così insisteva, esasperando sempre più i genitori.
Mancavano ormai pochi giorni a Natale. Quell’anno Melissa desiderava un’unica cosa e l’aveva scritto in grande, nella sua letterina.
“Caro Babbo Natale, quest’anno voglio un solo regalo:
un topolino ballerino. Un bacino, Melissa”
Babbo Natale leggeva tutte le letterine in anticipo e, quando gli arrivò quella di Melissa, non ne fu molto felice. Lui osservava tutti i bambini del mondo per capire se facevano da bravi o meno e si era accorto che, a causa dei topolini ballerini, Melissa era diventata capricciosa e testarda. I genitori l’avevano avvertita, ma lei non ascoltava pin nessuno.
Il 25 dicembre arrivò e Melissa, tutta eccitata, si alzò presto e andò a cercare i suoi regali sotto l’albero. Con delusione però, trovò solo una gabbietta vuota con dentro un foglietto, vi infilò la sua manina, tirò fuori il foglio, lo svolse e lesse:
Uno, due, oplà
La magia è questa qua!
Passarono alcuni secondi durante i quali Melissa si chiese cosa volessero dire quelle parole, poi sentì un leggero prurito sotto il nasino, si toccò e sentì di avere un paio di lunghi e sottili baffi!
Spaventata provò a chiamare la mamma, ma dalla bocca le usci solamente un debole squit e, all’improvviso, si rese conto di essere in gabbia! Non ci volle molto perchè Melissa capisse di essere diventata un topolino ballerino. Avrebbe voluto piangere e chiamare mamma e papa, ma non riusciva a stare ferma: aveva cominciato a girare, girare e non sapeva come fare per smettere. Dopo un po’ arrivarono i genitori che si arrabbiarono molto vedendo quell’animaletto sotto l’albero. Pensarono subito che fosse opera di Veronica, cosi le telefonarono, ma naturalmente lei non ne sapeva niente. Pensarono che Melissa fosse ancora addormentata e decisero di non svegliarla. Videro che il topolino non aveva niente da mangiare e gli misero qualche pezzo di biscotto. Melissa-topolina, poiché era affamata, divorò il biscotto,ma era molto triste e sperava che tutto tornasse come prima. Provò ad arrampicarsi sulle sbarre della gabbietta, ma, una volta in cima, si accorse che non c’era via d’uscita e sentiì la mamma che diceva al papà che sarebbe stato meglio portare il topolino, prima che Melissa si fosse svegliata, da Veronica, che lo avrebbe potuto mettere insieme agli altri che già possedeva. Per quanto amasse i topolini ballerini, Melissa non aveva la minima voglia di avere con loro incontri ravvicinati di questo tipo. Cosa sarebbe successo poi, se gli altri topolini si fossero accorti che lei era diversa da loro? E come avrebbe potuto mangiare semi di girasole per tutta la vita? Si vide cosi portare via da casa sua: il papà la mise in macchina e dopo non molto entrarono a casa della cugina. Melissa aveva tanta paura e, anche se le lacrime non le scendevano, stava piangendo. Veronica disse che per lei non era un problema ospitare un altro topolino, aprì la sua gabbietta verde e prese in mano Melissa-topolina che chiuse gli occhi e cominciò a dimenarsi perché non voleva essere messa insieme agli altri! Riuscì a liberarsi dalle mani di Veronica ma cominciò a precipitare verso il basso, sempre più giù e già pensava che, una volta toccato il pavimento, si sarebbe spiaccicata. Improvvisamente si accorse che stava accadendo qualcosa al suo corpicino, ur1ò e, sempre con gli occhi chiusi, senti di essere finita su qualcosa di duro.
Aprì gli occhi e vide che si trovava di nuovo nella sua cameretta! Era caduta dal letto ed era di nuovo una bambina: era stato solo un sogno! Si alzò per tornare a letto, quando si accorse di avere delle briciole sul pigiamino… Sembravano quelle del biscotto che la mamma le aveva dato quando era nella gabbia… Forse si era davvero trasformata in un topolino…o forse… Melissa non aveva voglia di pensarci, era solo felice di essere ancora, o di nuovo, una bambina. Sospirò, s’infilò bene sotto le coperte e, poiché era ancora notte fonda, si riaddormentò. La mattina seguente si alzò, aprì i suoi regali e passò un bellissimo Natale con la sua famiglia da cui era tanto amata.
Oggi Melissa ha qualche anno in più, ha smesso di fare la capricciosa e va ogni giorno in palestra per imparare a fare la ballerina. Forse fu solo un brutto sogno o forse fu una lezione che volle darle Babbo Natale, fatto sta che Melissa ricorda ancora di come girava, quando era un topolino. Ora può continuare a farlo, ma da bambina.
Bello vero? Sarebbe stato un peccato non condividerlo con voi…
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scritto il luglio 19th, 2010 da alphabetcity
Dadaaan! Questi sono gli ultimi due racconti!!
Ada ha scelto di regalarci una descrizione breve, vaga, ma non per questo meno fantasy…
Il drago e la bambina
L’erba danzava. Il vento,più forte che mai, scuoteva le chiome degli alberi che si piegavano come sottomessi; e le case , di tutti i regni, sembravano restare in piedi per magia e forse era così. Perché in quel momento le persone che abitavano le povere piccole case che resistevano al vento erano capaci di credere a tutto.
Un tuono, un boato tremendo, e un albero secolare, a nord del Alba Centrale, cadde provocando una scossa di terremoto che fece volare via non pochi tetti. E in quel buio, nella tempesta, una figuretta nera si muoveva adagio, titubante, ma sembrava totalmente immune alla furia scatenata dalla tempesta.
Un altro tuono, un lampo, e un albero bruciò cadendo addosso alla figura nera ma all’ultimo momento un’enorme drago argento scese in picchiata e piombò davanti alla figura nera, le sue fauci roventi si spalancarono e ne uscì una fiammata rossa, perfino più rossa del fuoco, che circondò l’albero incenerendolo.
La figura nera mosse un passo e guardò le ceneri dell’albero cadere proprio ad un palmo dal suo naso. Sollevò il viso e rivolse uno sguardo di gratitudine verso il drago. Poi … la pioggia. Pioggia è dir poco,un diluvio forse sarebbe più adatto ma…no nemmeno un diluvio, di più. La pioggia colse impreparata la figura nera che si mise a correre in direzione del Tramonto Orientale in compagnia del drago; cosa che fece sussultare anche le volpi nelle loro tane. Perché nessuno poteva considerare un drago, nessuno. I draghi erano il diavolo e chi osava provare anche solo a guardarne uno veniva punito con la morte.
Sì, la figura osava e non sembrava rendersi conto di cosa stava facendo. Infatti non si accorse della piccola faccia appuntita che osservava la scena con gli occhi sbarrati,una faccia di ragazza sui sedici anni,che urlò mettendosi le mani sulla bocca e sparì, nel buio della casa.
Con Laura, invece, torniamo nel presente, ma sarà il passato a fare capolino: sorprendente!!!
Yin e Yang
-Nadia!! Vieni, guarda cosa ho trovato!
Nadia corse nell’altra stanza dall’amica che l’aveva chiamata e chinatasi sullo scatolone che Elisa stava aprendo vide quello che aveva trovato all’interno: un grosso libro viola con disegnata una stella a cinque punte dorata.
Nadia prese il libro in mano e lo aprì per vedere cosa c’era scritto
–A tua mamma piaceva la magia? Questo libro è pieno di formule magiche.
Elisa si mise vicino all’amica guardando il libro con lei
-In effetti ha sempre avuto una passione strana per i libri fantasy-
poi si accorse di due collane che giacevano in fondo allo scatolone, lo Yin e lo Yang, li prese in mano studiandoli attentamente
–Credo che queste a mia mamma non servano, le possiamo prendere noi, quale vuoi? Yin o Yang?
Nadia prese lo Yin e lo indossò seguita da Elisa che fece la stessa cosa con lo Yang, appena le due collane si poggiarono sul petto delle ragazze il libro si illuminò sollevandosi a mezz’aria; le pagine iniziarono a girare e quando si fermarono una voce profonda riempì la stanza.
-Quando il ciondoli si troveranno per la seconda volta indosso alle due streghe la profezia si compirà e i tre mondi una volta separati si riuniranno secondo le leggi delle prescelte.-
il libro si richiuse e cadde con un tonfo sul pavimento. Nadia ed Elisa, che si erano rifugiate dall’altra parte della stanza tenendosi abbracciate per la paura, si diressero cautamente verso il libro e dopo averlo preso lo aprirono nella prima pagina dove erano raffigurati lo Yin e lo Yang.
Accanto al simbolo c’era una frase che le due ragazze lessero all’unisono, non volevano farlo, sapevano che avrebbe portato guai, ma qualcosa le spingeva a farlo
–Per il potere donatoci dalle nostre antenate, noi streghe del buio e della luce invochiamo i nostri servitori dai due mondi che ci appartengono!
Sotto di loro si creò un cerchio con il simbolo dello Yin e dello Yang e subito davanti a loro comparvero due esseri incappucciati.
L’essere davanti a Elisa si tolse il cappuccio rivelando il volto di un ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli biondi, poi si inginocchiò
–Strega della luce dai capelli corvini mi chiamo Ley, sono qui per servirla.
Dopo di lui anche l’altro si tolse il cappuccio scoprendo un volto uguale all’altro ragazzo, ma con i capelli castano scuro e gli occhi neri, anche lui si inginocchiò
–Padrona delle tenebre con gli occhi smeraldo io, Yu, sono pronto per sottostare ai suoi ordini.
Elisa e Nadia si scambiarono uno sguardo stupito
–Cosa significa tutto questo?!
In quel momento sentirono la serratura della porta scattare e videro la madre di Elisa entrare con le borse della spesa in mano; appena lei vide i due ragazzi i sacchetti le caddero di mano riversando il loro contenuto sul pavimento
–Ley! Yu! Cosa ci fate voi due qui?!
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scritto il luglio 19th, 2010 da alphabetcity
Siamo agli ultimisimi racconti popolo dei draghi! Mercoledì si saprà quali racconti faranno parte della fortunata cinquina all’interno della quale verrà scelto/a colui o colei che incontrerà Licia Troisi!
Emozionati eh?!?
Ma non facciamoci troppo distrarre dall’ansia da risultato e godiamoci il primo racconto della giornata. Francesca ci racconta cosa può passare nella mente di una maga: gli infinti attimi prima di una battaglia…
L’attesa dell’alba
Il respiro era affannato. Le ossa davano i primi segni di cedimento e Jamie si voltò verso l’ amica al suo fianco. Quei tratti spigolosi che ormai conosceva bene erano tesi, ma non c’era ansia nella presa della sua ascia. Anche lei aveva lo sguardo fisso davanti a sé. Le sue ali bianche ora erano chiazzate di rosso, il sangue delle ombre che ora sporcava anche il suo viso. Le ombre erano immobili davanti a loro, in silenziosa attesa. Aspettavano la loro prossima mossa. E loro erano ad un soffio dalla morte. Un attimo di sospensione prima del colpo che li avrebbe uccisi, tutti e tre. Voltò il viso dall’ altro lato. Accanto a lei c’era Gyn, il suo compagno d’armi, il suo drago. Fissò lo sguardo nel suo e Jamie poté vederne la profondità. Non c’era paura in quegli occhi color smeraldo, il battito del suo cuore era regolare sotto le squame grigie, le sue zampe potenti pronte all’ attacco. Erano rimasti solo loro. Tre di un esercito immenso. Tre contro tutte le ombre. E lei, semplice maga, che aveva sempre pensato che esse non avessero consistenza, si era invece ritrovata solo pochi mesi prima, a fare i conti con la dura verità. Avevano corpo, forte e imponente, avevano menti, scaltre, meschine, avevano potenza, in magia e combattimento. Non potevano essere sconfitte poiché ogni ferita che avrebbe ucciso un uomo, per loro era un semplice graffio, come un’ impronta sulla sabbia che viene portata via dalle onde. Chiuse per un attimo gli occhi. Ed avevano sangue, lo stesso che ora macchiava le loro lame, lo stesso che lei, anche se maga alle prime armi, avrebbe usato a loro svantaggio. Potevano uscirne vincitori, anche se di sicuro non vivi. Dovevano trovare il modo per eliminarle tutte e rispedirle nell’oblio da cui erano uscite. Mentre cercava di tenere ferma la presa sull’ elsa della sua arma, molti ricordi le invasero la mente, vincendo la barriera della memoria. Ricordò la sua infanzia piena di pressioni sul suo futuro. Diventare una manipolatrice della magia era stato da sempre il suo destino. Ricordò la prima volta che aveva visto il suo maestro e aveva pensato che fosse un uomo troppo giovane e bello per sapere tante cose. Ricordò la prima volta che aveva fatto un incantesimo; quando si era battuta con quell’ angelo venuto da lontano in cerca di una profezia sulla sua specie e quando per la prima volta i suoi occhi avevano incontrato quelli di Gyn, in una scuderia al confine, pochi giorni dopo aver ricevuto la lettera del rapimento di suo fratello da parte delle ombre. Ricordò la rabbia verso quelle creature e le notti insonni mentre pensava alla battaglia imminente. Jamie guardò la sua spada. Pesava e non risplendeva più della sua solita luce, la luce della speranza. Ma quando questa svanisce, ecco che compare la volontà. E loro ne avevano molta.
-Pronti alla fine?- sussurrò ai due amici
-Pronti ad un nuovo inizio- la voce di Erica era ferma e sicura.
Jamie alzò per un secondo lo sguardo al cielo che il tramonto aveva ornato di molteplici colori. La luce fioca le danzò per un attimo sul viso, prima di passare ai migliaia di corpi che li circondavano. Ancora pochi minuti e sarebbe scesa la notte. E poi sarebbe giunta l’ alba, desiderata e forse inattesa. Era giunto il tempo di ricambiare l’amore delle tante persone che ancora attendevano, in una terra in principio splendida ed ormai devastata da armi e paura. Ma lei non avrebbe più avuto paura.
Gyn sbuffò. Era ora di riprendere la loro lotta e di riprendersi la loro libertà.
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scritto il luglio 15th, 2010 da alphabetcity
Questa volta sembra che la vostra fantasia sia stata colpita da un sentimento simile a quello che a volte attanaglia Sofia… una malinconia che non sempre è dolce…
Così Cristina ci racconta una favola dietro la quale si cela un insegnamento importante per la vita…
Il folletto veritiero
Il viso di Derek le riapparve per come l’aveva visto la prima volta, quando scappata dal palazzo voleva andare a giocare in riva al fiume, poco le importava se a sera si sarebbe presa una bella strigliata dalla governante, voleva divertirsi e l’avrebbe fatto! Con sé portava come sempre Mensy il suo folletto veritiero. Lo zio di Alina lo aveva portato da uno dei suoi viaggi, era un bottino di guerra, appartenuto ad un grande regnante ed era ovviamente parso un degno regalo per la principessa Alina, futura regina di Cares.
Una volta raggiunto il fiume Alina decise di fare il bagnetto al suo piccolo Mensy il quale non parve affatto gradire, sembrava molto infreddolito ma a lei la cosa divertiva e ignorò il disagio del suo piccolo amico.
<<Hey, perché non gli chiedi se gli piace? I folletti veritieri non possono mentire giusto?>> Si voltò di scatto e dietro di sé vide un ragazzino che la stava osservando da un’altura.
<<Come osi rivolgerti in questo modo alla tua principessa? Straccione!>> Alina era furiosa, non amava essere contestata, forse era per questo che la lista dei suoi amici si riduceva ad un folletto che parlava solo se interrogato…
<<Se davvero sei una principessa dovresti preoccuparti del bene di chi dipende dalle tue decisioni e non mi pare che quel folletto sia contento del trattamento che gli stai riservando. Non vedi come trema poverino?>>
Dovette ammettere che il ragazzo aveva ragione, Mensy stava tremando tutto, lo tirò fuori dall’acqua sentendo una strana sensazione alla bocca dello stomaco, voleva credere fosse rabbia ma assomigliava preoccupantemente alla vergogna.
<<Vieni, andiamo al sole o si prenderà un raffreddore poverino.>> Il ragazzo le stava porgendo la mano, l’aiutò ad alzarsi e l’accompagnò in una radura oltre gli alberi dove il sole scaldava dolcemente la pelle e dove Mensy asciugò in breve tempo. Senza nemmeno rendersene conto la ragazza si trovò a ridere alle battute del suo nuovo amico, Derek era il suo nome, si era presentato poco dopo averla fatta sedere sull’erba.
Da quel giorno ogni volta che poteva Alina scappava dal palazzo per andare sulla riva del fiume dove sapeva di trovare Derek, insieme a lui si divertiva davvero, un giorno lui la portò anche a vedere dove abitava, una piccola casa ai bordi di un campo poveramente coltivato, volle tenersi a distanza, forse si vergognava della sua povertà.
Ma davvero i sudditi di suo padre erano così poveri? Alla corte cibo e leccornie non mancavano mai e poco oltre le mura la gente viveva a stento.
Un giorno…
<<Sai dovresti trovare il coraggio di chiederglielo>> Derek era seduto su un tronco d’albero abbattuto da un fulmine e la stava guardando con occhi stranamente tristi.
<<Cosa? E a chi?>>
<<A Mensy, dovresti chiedergli se è felice di stare con te… e dovresti chiedergli chi sono io>>
<<Io lo so chi sei, Derek il mio migliore amico! Ed è ovvio che Mensy sia felice di stare con me, abita in un grande palazzo ed è il folletto di una futura regina!>>
Quel giorno Derek la lasciò presto dicendo di dover aiutare suo padre nei campi. Alina rimuginò a lungo sulle parole dell’amico, alla fine non resistette e rivolse a Mensy le due domande, <<Derek è morto anni fa, ucciso dai soldati di tuo padre perché pescava al fiume del re per vendere pesce al mercato. E sì, io sono infelice qui con te.>>
Alina sentiva le lacrime scendere calde sulle guance osservando Mensy che si allontanava felice, avrebbe sempre portato nel cuore il ricordo di un folletto ed uno spirito che le avevano insegnato che il bene più grande per una regina è essere amata dai suoi sudditi.
Valeria, invece, trova il coraggio di affrontare il dolore anche nei sogni…
Nelle acque del patimento
Ognuno di noi, si aspetta di vivere esperienze straordinarie, che lascino un segno indelebile nella propria anima. Quando però, non lo sono, comprendi che la strada non è sempre spianata ma piena di buche. Ci sono poi, quelle troppo dolorose, che vuoi sigillare in uno scrigno in fondo al cuore, giurando che mai sarebbe stato aperto.
Così avevo fatto, da quando era successo. E pareva funzionare fino a qualche notte fa. In un sogno che appariva tranquillo, l’acqua iniziò a filtrare attraverso i muri, dalla fessura della porta, da sotto il letto. Più lo rigettavo, più l’incubo voleva riemergere. Fu allora che la vidi, aprendo gli occhi. Era lì, sostava sul petto. Non si muoveva, non un vibrare d’ali. Una farfalla, d’un nero intenso. Inquietante ma bella a tal punto da non riuscire a distogliere lo sguardo. Andai per toccare le ali vellutate, ma volò via.
Senza pensare corsi fuori. Stavo cercando una farfalla? Assurdo per quanto potesse essere, cresceva il bisogno dentro di me di vederla ancora. Un profumo intenso di rose m’indusse a volgere lo sguardo alle mie spalle. Seduto sul muretto, un ragazzo stava in silenzio. Lunghi capelli neri contornavano il viso pallido. Occhi che brillavano con la luce della luna.
Si alzò e mi venne incontro. Sussultai quando mi sfiorò con tocco delicato la guancia.
– Lascia che mi nutra del tuo dolore, ne ho bisogno. Dammi ciò che desidero e andrò via.
Nonostante quelle parole avrebbero fatto scappare chiunque, io restai. Era un’attrazione pericolosamente intensa, ma volevo goderne ogni istante. Una folata di vento si levò all’improvviso, quando riaprii gli occhi, era scomparso.
Delusa, tornai a letto. Avvolta nelle lenzuola, non tardai a entrare nel mondo onirico dove in una piazza, il silenzio regnava sovrano. Vagai, in cerca di aiuto fino a entrare in una chiesa, non una qualsiasi ma il riparo durante le assidue liti dei nostri genitori. Fermandomi per riprendere fiato, mi accorsi dell’acqua che sgorgava dalle fughe del pavimento.
– Cosa vuoi? – urlai spaventata – Che ricordi tutto? Non posso!
– Giochiamo a nascondino – disse una voce che non sentivo da sei anni.
– Chiara?
Agitava la mano, invitando a seguirla. Lo feci, anche se non volevo al tempo stesso. Fino a giungere sul retro, dove, oltre il buco nella recinzione, scorreva un fiume.
– Non nasconderti lì, è pericoloso – avvertii.
Un urlo insopportabile si elevò, accorsi senza pensarci due volte rivivendo la tragedia. Avevo dieci anni quando accadde, Chiara solo sei. Toccava a me proteggerla, ma, anche se mi tuffai, fallii nel tentativo. Era morta, ed io, l’avevo lasciata all’Ade.
Potevo ora salvarla? Era una seconda possibilità? Mi tuffai alla sua ricerca e vidi la manina che si allontanava. Nuotando oltre le mie capacità la toccai. Una luce intensa mi avvolse, trasmettendo un piacevole tepore.
– Va tutto bene, Sara. Non è colpa tua – mi baciò sulle labbra prima di scomparire.
Destandomi dal sogno, in lacrime, trovai quella piccola creatura sul petto. Allungando la mano questa volta non fuggì ma salì sul mio indice.
– Grazie qualsiasi cosa tu sia, mi hai liberato. Adesso anch’io posso volare – tesi il braccio e volò via, fuori dalla finestra, immedesimandosi con l’oscurità della notte.
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scritto il luglio 14th, 2010 da alphabetcity
In questo caldo, caldissimo, pomeriggio estivo vi proproniamo di riscaldarvi ancora di più con il furore della battaglia contro il Signore del fango immaginata da Tomas e poi respirare la freschezza della visone creata dalle parole di Cesare, l’ideale da leggere al tramonto.
Dunque tutti pronti ad impugnatre le spade…
Vargo
Finalmente, per la vita di Vargo era giunto il momento della svolta. L’orda nemica in lontananza ricopriva quasi per intero le sconfinate Paludi di Fango, il luogo dell’ultima battaglia. Inevitabilmente, il ragazzo pensò a tutto quello che gli era accaduto negli ultimi mesi prima di ritrovarsi al capo di un esercito di ribelli insieme a quelli che erano diventati i suoi più fedeli compagni: Alibel, Leofer, Alia e Nernel.
Tutto aveva avuto inizio una fresca mattinata di inverno, mentre Vargo era in giro per i boschi circostanti la piccola città di Araval con la sua migliore amica Alibel. I due avevano subìto l’attacco di una dozzina di mostri simili ad orchi, ed erano scampati da una morte certa grazie al vecchio stregone che viveva nella foresta. Questi poi aveva spiegato a Vargo e Alibel che quelle creature erano gli emissari di Caster, il signore di Fango che, dalle paludi di Fango del sud-est, stava cercando di creare un potente esercito per riuscire ad avere il dominio totale sulla terra di Buckringor. Non a caso, infatti, egli aveva fatto uccidere i quattro più potenti sovrani del Nord, dell’Ovest, del Sud e dell’Est e tutti i loro familiari per riuscire più facilmente nel suo intento. Tuttavia, spiegò loro lo stregone, i quattro legittimi eredi erano stati fortunatamente messi in salvo in modo da fornire in futuro una resistenza contro Caster. Occorreva quindi partire subito per ritrovare i Conti e porre fine alla sete di potere del signore del Fango.
Durante il viaggio per la terra di Buckringor, Vargo ed Alibel avevano scoperto che uno dei conti, quello dell’ Ovest, altri non era che lo stesso Vargo, e avevano recuperato il conte del Nord, Leofer, e le contesse dell’ Est e del Sud, Alia e Nernel. Successivamente, dopo aver stretto alleanza con i popoli delle montagne e delle foreste, i quattro Conti erano riusciti a mettere in piedi un esercito capace di fronteggiare Caster.
Ora si trovavano tutti lì, davanti alle paludi, assaporando gli ultimi momenti di calma prima del giro di boa delle loro vite. Nel cuore, Vargo aveva un’ enorme voglia di vendicarsi per tutto ciò che aveva subito la sua famiglia affiancata dalla paura di non riuscire a sostenere quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Voltandosi, vide il terrore negli occhi dei guerrieri che lo accompagnavano. Era giunto il momento di spronarli con parole di cui nemmeno lui era tanto sicuro, ma che sicuramente avrebbero fatto effetto sugli animi di quegli uomini costretti da un giorno all’altro a partire verso morte certa.
Cercando nel profondo del cuore le parole migliori, disse con tono deciso ai suoi guerrieri:
“Uomini, né io né voi avremmo voluto essere qui oggi. Avremmo preferito probabilmente restare a casa dalle nostre mogli, giocare con i nostri bambini o andare a caccia con i nostri amici. Eppure, è proprio in nome di ciò a cui abbiamo rinunciato che siamo arrivati fino a queste paludi a fronteggiare questo esercito. Un esercito che, se avesse il sopravvento, distruggerebbe le nostre case e farebbe strage delle nostre famiglie. Vi invito, guerrieri miei, a combattere con quanto più amore serbate nel cuore verso ciò che vi è più caro e che vi aspetta alla fine di questo terribile giorno. Pensate a questo mentre sarete laggiù. Mi fido di voi e delle vostre spade. Ed ora… Carica!!!”
Ed ora è il momento della visione celestiale di Cesare, di cui segnaliamo il blog: http://trarealtaeillusione.blogspot.com/
Fireflies in a jar [Aspetta, fanciulla dalla maschera di farfalla]
Sdraiato sul davanzale della finestra, osservo, fuori, le tenebre che avvolgono la campagna intorno. Gli alberi si muovono lenti e il leggero fruscio delle foglie sembra una serenata alla luna. Alzando gli occhi verso il cielo vedo infinite stelle che brillano flebili, occultate dalla luce lunare. L’odore della brezza estiva ferma lo scorrere del tempo. Sento un pizzicore all’indice e noto una flebile luce che pulsa, docile. Una lucciola. La osservo e sorrido, ma pochi istanti dopo prende il volo e scompare, senza salutare.
***
Credo di essermi addormentato. Adesso sono in una piccola radura, appoggiato ad un tronco d’albero. La corteccia ruvida pressa sui miei palmi, mentre alle orecchie arriva lo scroscio delicato di un piccolo rivolo d’acqua che, quasi immobile, riflette una figura angelica e lucente adagiata sulla sua riva. È un’incantevole fanciulla; sulla parte destra del volto indossa una maschera a forma di farfalla, decorata con piume policrome che, soavi, le avvolgono parte del volto. Strabuzzo gli occhi e noto che piccole luci le volteggiano intorno leggiadre. Lucciole. Muove le mani nell’aria, sembra giocare con i piccoli insetti sfolgoranti, perché sorride. Un sorriso serafico, che mi paralizza e mi purifica al tempo stesso.
Le gambe mi tremano alla vista del quadro etereo che ho davanti. Prego che non sia un sogno e, mosso da un sentimento che non conosco, muovo un passo. Un ramo però si spezza sotto il peso del mio piede e, con lui, la perfezione della scena. Lo spirito celeste si accorge della mia presenza. L’ho spaventata.
Lei si alza con grazia e maestosità e inizia a correre, inesorabile, verso la radura.
«Aspetta» proferisco. Ma la fanciulla non si ferma.
Salto il rivolo d’acqua e mi addentro nella foresta; la vedo, perché emana una luce aranciata che fa fuggire le tenebre. Le foglie cadute sul terreno, non scricchiolano, ma mi sembra quasi di sentirle tintinnare al suo passaggio, grate di essere toccate dalla fanciulla. D’un tratto riesco a scorgere la parte scoperta del suo volto e mi accorgo che il sorriso non è andato via, è ancora lì, ammaliante, gaio. Lei mi sta guardando con il suo sguardo pieno di tutto l’universo. La sua iride si muove densa, volubile, come fuoco liquido. Le ciglia più lunghe del normale fanno illudere la mia vista, confondendola. Sta giocando, ancora. Libra veloce tra gli alberi secolari e non riesco a stare al suo passo. Rallento fino a fermarmi. Sono stordito dall’essere celestiale e poco a poco il suo alone di luce scompare nella tenebra. L’ho persa, per sempre.
Una lacrima mi riga la guancia, e una mestizia profonda mi avvolge. Non so perché ma sento che la fanciulla dalla maschera di farfalla è l’essenza più preziosa del mondo. Ne ho bisogno, ma non come si ha bisogno dell’acqua o del cibo. È qualcosa di immensamente più profondo.
***
Il risveglio è violento, quasi traumatico. Mi ritrovo sulla finestra, di nuovo, tristemente. Ricordo ogni particolare del sogno e voglio catturarlo. Subito. Prendo il quaderno e la matita che ho accanto e inizio a disegnare la fanciulla, meglio che posso, alla luce selenica. Un’emozione prorompente e irrefrenabile mi colma il cuore. Poi un soffio di vento mi accarezza il volto e porta con sé qualcosa che si posa sul foglio su cui sto disegnando. Una piuma arancione, sulla cui punta c’è una lucciola. Qualche istante dopo la lucciola riparte verso la radura vicina e stavolta la seguo con gli occhi. Si dirige verso una luce calda e riposante, fra gli alberi. Poi scompare anche quella. Sono felice.
Perché i miei sogni stanno facendo esplodere le cuciture.
Cosa ne pensate?
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