Crock

Ospite a cena da amici. Giacomo fa la seconda elementare e ci tiene a farmi leggere una favola che ha inventato. Protagonista è la rana Crock che se ne va in giro con la sua BMW (nelle favole postmoderne questo è normale…), ma va a sbattere contro un grosso lucertolone. La paura per l’incidente e i danni riportati gettano Crock nella disperazione, facendolo diventare piccolo e blu (per la paura), ma proprio le sue lacrime si trasformano in ali capaci di volare e di riportarlo a casa, dove la mamma lo rende di nuovo verde e grande, pronto per una nuova avventura.

In miniatura questa è la vita. Ci si lancia all’avventura di un mondo promettente, ma il mondo ha le sue difficoltà, i suoi ostacoli. Affrontarli significa soffrire, piangere. Ma proprio quel dolore accettato, si trasforma in ali capaci di riportarci a casa, per ricominciare il viaggio della crescita.Alla fine della cena Giacomo mi ha aiutato a spegnere le candeline su una torta di compleanno posticipato. Un altro anno si spegne, in un soffio, ma non cambierei niente del passato, neanche le lacrime, che mi hanno dato le ali per volare più in alto e per tornare a casa.

11 commenti

  1. Pubblicato il 8 maggio 2009 at 19:54 | Permalink

    Mi viene in mente Aristotele che diceva che il dolore è “una qualità dell’anima”.
    La psicologia insegna che per superarlo bisogna elaborarlo, non solo accettarlo, ma credo che la favola di Giacomo possa insegnare più di qualsiasi manuale.
    Come sempre, i bambini riescono ad essere “grandi più dei grandi” e più di quanto i grandi si sforzino di essere.
    Non smettere di volare prof!
    Carmen

  2. Pubblicato il 9 maggio 2009 at 10:54 | Permalink

    Se Crock non fosse andato veloce con la sua Bmw sicuramente non avrebbe avuto l’incidente.
    Se Crock fosse stato più attento, avrebbe evitato l’urto e il dolore dei danni…
    Per fortuna esistono le lacrime…evaporando arrivano a Dio che ci renderà pronti per una nuova avventura.

    Il dolore esiste e per superarlo abbiamo bisogno di sentire continuamente delle favole nella nostra vita.
    Insegnano sempre qualcosa, non solo ai bambini, ma anche a noi..

  3. Pubblicato il 9 maggio 2009 at 15:16 | Permalink

    Come sanno essere semplici e saggi i bambini!

  4. Pubblicato il 10 maggio 2009 at 13:54 | Permalink

    Carmen: elaborarlo tecnicamente significa dargli un senso in ambito psicologico?

    Anonimo: ma Crock è Crock!

    1+1=5: proprio così. Non hanno ancora fatto in tempo a perdere il senso della realtà…

  5. Pubblicato il 10 maggio 2009 at 17:16 | Permalink

    Non solo dargli un senso, ma saperlo “gestire”.
    Saper elaborare un dolore significa aver strutturato uno specifico apprendimento su una base innata, che si realizza nelle esperienze fondanti di base ( madre-figlio nella relazione d’attaccamento generalmente) e che ci permette di gestire le nostre emozioni.
    Saper gestire le emozioni è incredibilmente difficile e apparentemente facile.
    Ma è spesso il falso controllo che abbiamo su di esse che ci porta a non elaborare un dolore, a mettere in atto meccanismi difensivi inconsci e a vivere quella “coazione a ripete” ( cioè il ripetere gli stessi errori che nascono da un vivere ripetutamente lo stesso dolore che si presenta in altri ambiti e con caratteristiche diverse)che non ci permette di “volare” e quindi di non imparare da questo dolore perché non abbiamo gli strumenti per farlo.
    Sulla coazione a ripetere ci sarebbe da dire tanto, ma mi fermo qui.
    Il dare un senso ha più un’impronta cristiana che psicologica.
    Con la fede impariamo a dare un senso al dolore, perchè con l’esempio di Gesù nel cuore tendiamo ad andare “dentro” ed “oltre” il dolore, a sentirne l’odore e a riconoscerlo anche in altri ambiti.
    Con la psicologia s’impara, spesso, ad accostare a quel dolore un nome, una risorsa e una base dalla quale partire per “volare”.
    Recentemente è stata ideata la tecnica dell’expressive writing ( di cui mi occupo nelle mie giornate) che si basa sulla scrittura di esperienze dolorose ( ma non solo) concentrandosi, nella narrazione degli eventi, sull’espressione delle emozioni connesse a queste esperienze.

    Se vuoi saperne di più ti consiglio di leggere:
    -Scrivere per pensare (a cura di Andrea Solano)
    -La scrittura clinica (Duccio Demetrio)
    -Gabbiani a metà. Racconti di elaborazione del dolore (Antonella Gigli).

    Spero di essere stata esauriente prof…

    Carmen

  6. Pubblicato il 10 maggio 2009 at 18:11 | Permalink

    OT: ma l’avete vista la rana della foto?

    A chi dubita dell’esistenza di Dio gli mostrerei la foto e direi: “Dio esiste… e sa ridere!”

  7. Pubblicato il 10 maggio 2009 at 20:38 | Permalink

    La “cittadina onoraria” dice sempre cose interessanti.
    Il mio parere è che il dolore si deve vincere, altrimenti è esso che vince te.

  8. Pubblicato il 10 maggio 2009 at 22:11 | Permalink

    bravo sbit….grande rana!

  9. Pubblicato il 11 maggio 2009 at 10:55 | Permalink

    Carmen: grazie mille della chiarezza e della concisione e dei consigli librari. Non conoscevo questo aspetto della coazione a ripetere, ma mi sembra molto interessante. Dei tre libri quale consigli, che non sia troppo tecnico? Il tempo è poco…

    Sbit: un darwinista ti direbbe che è la lotta per la sopravvivenza che fa questa ironia…

    Anomino: vincere non ti sembra una parola troppo “volontarista”?

  10. Pubblicato il 11 maggio 2009 at 18:40 | Permalink

    Che non sia troppo tecnico…il secondo prof “La scrittura clinica” di Demetrio.
    Carmen

  11. Pubblicato il 12 maggio 2009 at 10:43 | Permalink

    Grazie mille!

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