Le parole conducono ai fatti

Ringrazio un caro amico per la segnalazione di questo testo di cui riporto un ampio stralcio. Si tratta dell’ultimo discorso che R.Carver (grande scrittore e poeta americano) tenne in pubblico, il 15 maggio 1988, poche settimane prima della morte, in occasione della cerimonia in cui gli fu conferita la Laurea in lettere honoris causa dall’Università di Hartford, Connecticut. Carver non era credente.

“C’è una frase negli scritti di santa Teresa che mi è sembrata via via sempre più adatta all’occasione… Santa Teresa, questa donna straordinaria vissuta 373 anni fa, ha detto: “Le parole conducono ai fatti, […] Preparano l’anima, la rendono pronta e la commuovono fino alla tenerezza”. Così espresso, questo pensiero è limpido e bellissimo. Lo ripeterò un’altra volta perché c’è anche qualcosa di strano, di esotico in un sentimento portato alla nostra attenzione a questa distanza, in un’epoca che è sicuramente meno disponibile a sostenere questo importante collegamento tra ciò che diciamo e ciò che facciamo: “Le parole conducono ai fatti […] Preparano l’anima, la rendono pronta e la commuovono fino alla tenerezza”. C’è qualcosa di molto misterioso, per non dire – perdonatemi – addirittura mistico in queste parole particolari e nel modo in cui santa Teresa le usa, con tutto il loro peso e la convinzione che ci mette. È vero, ci rendiamo conto che esse sembrano quasi l’eco di un’epoca passata e più riflessiva. In particolare l’uso della parola anima, un termine in cui non ci imbattiamo molto spesso di questi tempi se non nell’ambito religioso e magari nella sezione di musica “soul” di un negozio di dischi. Tenerezza – ecco un’altra parola che non sentiamo tanto spesso oggigiorno e specialmente in un’occasione pubblica e gioiosa come questa. Pensateci un attimo: quando è stata l’ultima volta che l’avete usata o l’avete sentita usare? È altrettanto rara quanto l’ altra parola, anima…
Molto tempo dopo che quello che vi ho detto vi sarà passato di mente, tra qualche settimana oppure tra qualche mese, e l’unica sensazione che vi rimarrà sarà quella di aver partecipato a una grande riunione pubblica, quando noterete la fine di un importante periodo della vostra vita e l’inizio di uno nuovo, nell’elaborare i vostri destini personali, provate a ricordare che le parole, quelle giuste, quelle vere, possono avere lo stesso potere delle azioni. E ricordatevi anche quella parola poco usata che è ormai quasi sparita dall’uso, sia in pubblico che in privato: tenerezza. Non potrà farvi male. E quell’altra parola: anima – o chiamatela spirito, se preferite, se vi rende più facile rivendicare quel territorio. Non scordatevi neanche quella. Fate attenzione allo spirito delle vostre parole, delle vostre azioni. È una preparazione sufficiente”.Per questo mi impongo di scrivere qualcosa tutti i giorni nel blog. Scopro quanta fame di realtà ho e quanta fame di realtà ha chi mi circonda. E le parole conducono ai fatti, alla realtà. Sento quanta sete di apertura ha il cuore mio e di chi sta attorno a me. E le parole dispongono ll cuore ad aprirsi. Percepisco quanto io e chi mi sta vicino abbiamo bisogno di tenerezza. E le parole ci commuovono fino alla tenerezza. Per questo amo le parole, per questo amo regalare parole e riceverle. Se conducono alla realtà a qualcosa saranno servite, altrimenti si spegneranno rapidamente come tutte le parole vane.

5 commenti

  1. Pubblicato il 27 novembre 2008 at 18:21 | Permalink

    Questo post è una di quelle “belle cose ” da leggere tutti insieme in famiglia!

  2. Pubblicato il 27 novembre 2008 at 21:28 | Permalink

    Caro prof. 2.0, il tuo amico (quello per capirci che sa a memoria “L’espresso in partenza per Usia/ viene soppresso per aver accumulato etc…”) oggi che ha letto il post sulle parole, vuole regalarne qualcuna delle sue, scritte all’incirca un mese fa: “Così se il mondo è ciò che ci rappresentiamo come tale, gran parte del gioco in questa rappresentazione lo fanno le parole, che sono perciò come gli uncini con i quali ci aggrappiamo ad esso e che lo tirano come i capelli di Gulliver: alcuni uncini si staccano, ma altri, per quanto piccoli, minuti, vi restano attaccati con tenacia, che ci stupiremmo se ci fosse dato veramente di scoprire un giorno che abbiamo fatto quella cosa lì, abbiamo pensato in un determinato modo, e interpretato un evento, un fenomeno, una situazione politica, o letto nel cuore di una persona, in base a una parola appresa o letta o entrata in noi tanto tempo fa e di cui ignoriamo la forza, perché essa sembra scomparsa o aver fatto tutt’uno col nostro essere. Così da bambino avevo un neo sull’angolo destro del labbro inferiore e spesso gli altri bambini o gli adulti mi dicevano ‘Sei sporco di cioccolata’. Poi quel neo è sparito, ma ancora, se qualcuno mi guarda fisso per qualche secondo, porto la mano a quell’angolo della bocca per levare la cioccolata”.

  3. Pubblicato il 27 novembre 2008 at 22:18 | Permalink

    chi prova a lavorare con le immagini e le parole, alla fine di tante giornate di lotta contro i mulini a vento, si trova talvolta o spesso a chiedersi se davvero i suoi sforzi abbiano un senso e un effetto.
    quante sere ci è sembrato di aver giocato con i pupazzi mentre “il mondo degli adulti” produceva, faceva, decideva…
    ovviamente, in qualche angolo del nostro cuore, dobbiamo continuare a credere che i nostri sforzi abbiano un senso, possano essere utili.
    resta però il bisogno che ogni tanto qualcuno ci ricordi che sì, è possibile, non abbiamo solo sognato. grazie

  4. Pubblicato il 28 novembre 2008 at 01:18 | Permalink

    C’è chi esclama: “fatti! Non parole”.
    Talleyrand diceva: “Le parole servono a nascondere i pensieri”
    Mina cantava: “Parole… soltanto parole…”

    Tra parole e anima (o animo), tuttavia, esiste un profondo nesso.

    Ricordo che nella “Introduzione alla psicanalisi” (mia lettura a 16 anni… no comment, please), Freud sosteneva che le parole sono come ponti che mettono in contatto una persona con un altra.
    Grazie alle parole riusciva ad entrare nello stato d’animo, conscio, subconscio, io e super-io di un individuo.

    Bye,
    Charles

  5. Pubblicato il 28 novembre 2008 at 09:19 | Permalink

    vanda: grazie. Spero i tuoi familiari non me ne abbiano a male…

    paolo: grazie per le tue parole, che poi vorrei leggere nel loro contesto completo. Nel meraviglioso film Riccardo III di Al PAcino c’è un passaggio in cui un uomo della strada dice che Shakespeare ci ha insegnato i sentimenti prima di provarli e che oggi non li sappiamo più riconoscere perché non abbiamo più le parole di Shakespeare. Senza parole perdiamo le cose e viceversa. Uncini.

    sirio: grazie a te. Per rimanere con Shakespeare Riccardo III, noi abbiamo la sostanza dei sogni. Chissà quindi alla fine chi avrà “prodotto” più umanità… Grazie a te che mi hai spesso accompagnato in giornate dedicate a parole e sogni.

    charles: in principio era il verbo (la parola).

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