Fame di racconti, fame di meraviglia

Prof 2.0 ha cominciato ad inoltrarsi insieme ai suoi marinai nell’infinito mare dei racconti mitici. Aristotele ha detto che l’inizio della conoscenza è la meraviglia e che colui che ama i miti non fa altro che manifestare il suo desiderio di conoscere, perché il mito è pieno di cose meravigliose. Aristotele aveva ragione. In classe oggi avevo una ciurma affamata di racconti, non ne terminavo uno che ne volevano sentire un altro collegato. Mi sentivo un jukebox di racconti, una aedo postmoderno. E così ci siamo addentrati nei meravigliosi racconti di Orfeo ed Euridice, di Narciso ed Eco, di Flegetonte, di Apollo e la lira, di Zeus e Mnemosyne… E un racconto tirava l’altro e le pupille dei miei marinai si dilatavano al principiare ogni narrazione. E così abbiamo affrontato temi spinosi come l’oralità della composizione dei poemi omerici, il palazzo miceneo e il suo “salotto” pieno di racconti, la questione omerica, l’amore e la morte, la sfida del diventare uomini…
Non esiste un’età come l’adolescenza nel rapporto con la letteratura. Non recupereremo mai quella apertura di cuore e mente al fascino del racconto come lo abbiamo avuto a 14-15 anni e i miei marinai erano davanti a me a testimoniarlo, a ricordarmelo, a meravigliarmi con la loro fame di meraviglie. L’ora di grammatica è stata spazzata via (anche perché il giorno prima era stata la grammatica a spazzare via l’epica) dalla discesa di Orfeo agli inferi e dal suo amore tragico ed elegiaco per Euridice. E domande su domande. E risposte su risposte. E per due ore eravamo nel “megaron” del palazzo miceneo, dove si ascoltavano i racconti con il cielo stellato a fare capolino e il falò a creare figure calde e immaginarie. E dopo due ore i quaderni erano fitti di appunti. Le pupille dilatate come i cuori e le menti. Stanchi del viaggio compiuto, ma ricchi di meraviglia. E chi si meraviglia conosce, chi conosce diventa, chi diventa è.

E si risparmia un sacco di banalità…***

“Tra i segni che mi avvertono essere finita la giovinezza, massimo è accorgersi che la letteratura non mi interessa più veramente. Voglio dire che non apro i libri con quella viva ed ansiosa speranza di cose spirituali che, malgrado tutto, un tempo sentivo”

C.Pavese, Il mestiere di vivere

2 commenti

  1. Pubblicato il 1 ottobre 2008 at 11:48 | Permalink

    Già, povero Pavese (soprattutto per il seguito della sua esistenza) e poveri noi nello scoprirci non più amanti della letteratura che è vita…

  2. Pubblicato il 1 ottobre 2008 at 14:19 | Permalink

    nicola dp: hai centrato in pieno. La letteratura più che vita io direi che è apertura alla vita. Non grazia vera e propria, ma apertura a riceverla. E la testimonianza di Pavese lo dice meglio di me… Grazie!

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