Ritratto d’autrice: Mary Jo Putney

Mary Jo PutneyIn occasione della recente uscita nella collana I Romanzi Oro di La donna di giada ( The China Bride ), pensiamo di farvi cosa gradita riproponendo qui di seguito l’intervista a Mary Jo Putney, originariamente pubblicata in appendice a Magia rubata ( Stolen Magic ) – Romanzi nr. 890, dicembre 2009.

Nata nello Stato di New York e da sempre lettrice compulsiva, Mary Jo Putney ha esordito come scrittrice nel 1987, dopo una carriera come disegnatrice grafica che l’ha portata a vivere anche in California e Inghilterra. Da allora ha pubblicato più di ventinove tra romanzi e racconti, perlopiù storici ma anche di genere fantasy e contemporaneo, riscuotendo sempre grandissimo successo di critica e di pubblico e ottenendo innumerevoli riconoscimenti, nazionali e internazionali, tra cui due premi RITA, due premi Romantic Times alla carriera e quattro Golden Leaf Awards.
La fama e i milioni di copie venduti in tutto il mondo rappresentano per Mary Jo un semplice corollario della sua dedizione alla scrittura, che non ha intaccato la sua modestia.
Amatissima dal pubblico per l’approfondimento psicologico dei suoi personaggi, la particolarità delle sue trame e l’originalità delle sue ambientazioni, Mary Jo vive attualmente a Baltimora con la famiglia, di cui fanno parte anche quattro splendidi felini, abbandonandola solo per seguire un’altra delle sue grandi passioni: viaggiare per il mondo.

Cara Mary Jo, siamo felici che tu abbia accettato di essere intervistata in occasione della pubblicazione di Magia rubata, con la speranza che per te sia un’esperienza piacevole venire in contatto con il pubblico italiano. Come ti senti, da scrittrice, a confrontarti con lettori stranieri non di lingua inglese?

Amo essere in contatto con i lettori non di lingua inglese! E spero sempre che le traduzioni siano buone.

A proposito di contatto con i lettori, sappiamo che sei presente in internet, oltre che col tuo sito personale, anche con il blog collettivo Word Wenches, di cui fanno parte altre famose scrittrici. Recentemente il vostro gruppo ha perso la brava e compianta Edith Layton, cosa ci puoi dire di questa esperienza come blogger?

A tutte noi piaceva l’idea di parlare direttamente ai lettori, ma tenere un blog per ciascuna ci avrebbe preso molto tempo e avremmo raggiunto meno pubblico. L’idea si concretizzò quando Susan King e io pranzammo con la nostra web mistress. Chiedemmo poi a diverse amiche scrittrici di romance storico se fossero interessate a un blog collettivo e, con mia sorpresa, tutte dissero di sì. Visto che scriviamo libri dello stesso genere, pensavamo che agli ammiratori di una potevano benissimo piacere anche i romanzi di un’altra delle Word Wenches. Così abbiamo un pubblico più vasto e scriviamo di diversi argomenti.

Prima di divenire scrittrice a tempo pieno, eri una disegnatrice grafica freelance, quindi decisamente lontana dalla figura di autrice di romance. Quanto è stata difficile la transizione da una mondo all’altro? C’è forse stata una parte di te stessa a cui hai dovuto rinunciare, e cosa ne hai eventualmente guadagnato in cambio?

Devo dire che essere una disegnatrice grafica freelance ha costituito una grande preparazione per il mestiere di scrittrice, perché ero abituata a guadagni irregolari e a nessun benefit. E questo rappresenta un grande problema, dato che gli Stati Uniti, a tutt’oggi, non hanno una copertura sanitaria per tutti, come la vostra mutua! Ma benché mi piacesse il lavoro di disegnatrice, ho sempre intuito che non l’avrei fatto per sempre. Quando iniziai a scrivere, e dopo soli tre mesi riuscii a far pubblicare il mio primo libro, mi sentii come se avessi finalmente scoperto cosa volevo fare “da grande”. La mia passata esperienza nel mondo del design ha modellato la persona che ora sono, quindi non mi pare di aver perso nulla. E visto che amo essere una narratrice, è tutto positivo.

Ogni romanzo ci parla in qualche modo del suo autore, e tu scrivi ormai da ventidue anni, pensi che con il trascorrere del tempo, e con l’esperienza da te acquisita, i tuoi libri ti riflettano di più o di meno? Hai imparato come nasconderti, oppure sentendoti più a tuo agio puoi rivelarti maggiormente?

I libri riflettono sempre lo scrittore, ma spesso ciò che compare è il vissuto emotivo dietro un evento, non l’evento in quanto tale. In altre parole, qualcosa di terribile può accadere a uno dei miei personaggi senza che io ne abbia fatto personalmente l’esperienza, ma nella mia vita c’è stato qualcosa che ha creato un’emozione alla quale sono in grado di ricollegarmi e che posso proiettare nella storia. A volte a essere proiettato non è nemmeno ciò che mi è accaduto, bensì qualcos’altro di cui ho letto e che ha catturato la mia immaginazione.

Sei una scrittrice apprezzata per l’approfondimento psicologico dei personaggi e per le ricerche meticolose su cui basi le tue storie: come ti prepari per un libro, e quanto tempo impieghi?

Dipende, può variare molto. Se uso un’ambientazione regency ho già una solida base di conoscenze, tuttavia svolgo sempre delle ricerche su qualche nuovo argomento per ogni libro, in modo da aggiungere freschezza al racconto. Le mie ambientazioni più esotiche, come l’India, la Cina e l’Asia centrale, richiedono invece molta più ricerca. Mi piace leggere resoconti di persone che hanno vissuto in quei luoghi e in quel tempo. Posso trascorrere anni leggendo di un argomento che mi interessa, prima che effettivamente una storia prenda forma. La trama di base può anche impiegare parecchio tempo per svilupparsi. Oppure, a volte, l’idea per un libro compare così, in un attimo. Non c’è uno schema che si ripete immutabile.

ROMANZI_890Un’altra tua peculiarità è appunto rappresentata dalle ambientazioni esotiche che spesso scegli per i tuoi romanzi, come quelle delle trilogie Silk [Silk and Shadows (Di seta e d’ombre, “I Romanzi” n. 734), Silk and Secrets (Il fiore del deserto, “I Romanzi” suppl. n. 7 al n. 501), Veils of Silk (Ali di seta, “I Romanzi” n. 744), (NdR)] e Bride [The Wild Child (La pazzia del cuore, “I Romanzi” n. 500), The China Bride (La donna di giada, “I Romanzi” n. 515), The Bartered Bride (di prossima pubblicazione), (NdR)]: l’India, la Cina, l’Australia, decisamente molto più interessanti e stimolanti della solita Inghilterra di inizio Diciannovesimo secolo! Queste ambientazioni sono nate da una tua curiosità personale oppure dal desiderio di scrivere qualcosa di differente dal consueto romance?

Le ambientazioni esotiche nascono dalla mia curiosità. Da bambina sedevo al banco in classe e studiavo le mappe geografiche che stavano appese alla parete di fronte. Guardavo lo spazio dell’Asia centrale, che era vuoto, e mi chiedevo cosa mai ci fosse lì. Inoltre, siccome amavo viaggiare, i libri mi fornivano una bella scusa per farlo (almeno con la mente). Non ho visitato l’Asia centrale ma sono stata in Egitto, un’altra società mussulmana. Non sono stata nemmeno in Cina, ma mia madre ci visse da ragazza e amava raccontarmi storie al riguardo. Se una delle mie trame richiede un’ambientazione particolare, basta cercare le informazioni.

Hai debuttato con un regency tradizionale, The Diabolical Baron (inedito in Italia), ma hai cambiato direzione poco dopo. Come e quando ti sei resa conto che quella non era la tua strada?

Quattro dei miei primi regency tradizionali erano lunghi 120.000 battute, quando la lunghezza richiesta era di 75.000. Ovviamente tendevo a una scrittura più fluente, quindi aveva senso passare a libri più lunghi e intensi. Fra l’altro, i romanzi più lunghi venivano pagati di più, così mi sono potuta permettere di diventare scrittrice a tempo pieno.

Nei tuoi libri spesso tratti, con discrezione e tatto, argomenti inusuali: la pedofilia e l’abuso sui minori in Silk and Shadows, l’alcolismo in The Rake [di prossima pubblicazione (NdR)], la malattia mentale in The Wild Child, la morte e il suo approssimarsi in One Perfect Rose [Le spine del desiderio, “I Romanzi” n. 772, (NdR)], tanto per citarne alcuni. Cosa ti ha spinto ad affrontarli e come li hai mescolati con le parti puramente romantiche?

Mi interessano le persone che hanno la forza di guarire anche dopo aver passato esperienze devastanti. I traumi non sono poi così rari nella vita reale; mi piace la carica di fiducia espressa da chi è stato colpito eppure diviene più forte proprio in quelle parti di sé che hanno maggiormente sofferto e che sono state curate. Questo si accorda bene con il romance e con la creazione di un lieto fine credibile. Credo che trattare della parte oscura renda le storie più valide e doni anche una speranza a quelle persone che stanno affrontando momenti difficili. Perché nella vita reale esiste davvero il lieto fine.

Un tema fortemente presente in tutta la tua produzione è quello della violenza, tanto fisica che psicologica, sia esercitata dalla società sia tra i sessi. Tutto ciò è accurato dal punto di vista storico ed è estremamente realistico, ma il romance è un genere che spesso elude la realtà e la edulcora per i propri scopi. Secondo la tua opinione, qual è l’importanza della violenza, ieri come oggi, e come e perché l’hai usata letterariamente?

Sei molto percettiva: nessuno mi ha mai chiesto delle mie continue riflessioni sulla violenza, tuttavia ne sono stata cosciente sin dal primo libro. La violenza può essere necessaria per una buona causa: rifiutarsi di combattere può portare alla sottomissione o peggio. I teologi hanno sviluppato delle linee guida su ciò che costituisce una “guerra giusta”. Ma della violenza si può abusare ed è devastante quando sfugge di mano. Quindi, cos’è la violenza accettabile? Quando è giustificata, quando non lo è ma è perdonabile, e quando è completamente al di là di qualsiasi redenzione? Quando gli eroi di guerra divengono criminali di guerra? Penso che praticamente tutti abbiano la capacità di essere violenti in determinate circostanze: una madre gentile può diventare una tigre se i suoi figli sono minacciati. Non ci sono risposte assolute, ma l’argomento continua ad appassionarmi.

Nei tuoi romanzi come contraltare della violenza troviamo sempre la possibilità e la ricerca della redenzione, nonché la centralità della compassione, ma il perdono non arriva e non può arrivare se la giustizia non è in qualche maniera ristabilita e un prezzo pagato. Mi sbaglio forse?

Come ho già detto, sei molto percettiva! Forse se io fossi maggiormente un’anima pia, sarei disposta a scrivere del perdono senza che un qualche tipo di giustizia e di rimorso si siano verificati prima. Ma sono umana, e nel mio mondo immaginario mi posso assicurare che il perdono non si ottenga troppo facilmente. Dire “mi dispiace”, come spesso fanno i politici che si sono comportati male, non è abbastanza. Parte del credo degli Alcolisti Anonimi, per esempio, è quello di esaminare gli errori passati in modo da impegnarsi al proprio meglio per fare ammenda. Ecco, questo ha un senso per me.

In Uncommon Vows [Promesse, “I Romanzi Big” n. 10 suppl. al n. 839, (NdR)] hai dedicato pagine di rara intensità e lirismo al sentimento religioso dei protagonisti, un’ altro argomento negletto dalle scrittrici di romance, stranamente direi, considerata l’importanza della religione in ogni epoca e in ogni cultura.

Il credo religioso è una delle grandi questioni della vita, che quasi tutti prima o poi affrontano. Eppure, troppo spesso la narrativa popolare ignora religione e spiritualità. Le mie storie non intendono fare del proselitismo, e in differenti libri ho parlato di tutte le grandi religioni del mondo, cercando di farlo con rispetto. Per me, questo rende le storie più forti è più vere.

Il romance è stato spesso accusato, anche dalle femministe, di contribuire a mantenere le donne in una posizione di sottomissione, proponendo come modelli solo i ruoli di madre e moglie e mettendo sempre gli uomini al centro delle loro vite, anziché loro stesse. Tu cosa ne pensi?

Be’ io sono una femminista e scrivo romance, e ovviamente non sono d’accordo. Superficialmente il romance è molto tradizionale e conservatore, e in effetti alcuni libri sono proprio così. Ma più spesso il romance è sovversivo per le eroine forti e le relazioni egalitarie che vengono descritte. Perlomeno, questo è vero per i romance americani, non conosco quelli scritti altrove.

Fra tutti i tuoi libri, quale è stato il più emotivamente faticoso da scrivere e quale il più facile? O forse, benché a me non sembri, sei una di quelle autrici che ha sempre il controllo pieno e riesce a mantenere una certa distanza dal proprio materiale?

Oh, io sono sempre coinvolta emotivamente dai miei personaggi! Ne ho il controllo nel senso che non mi sorprendono mai e che non fuggono in strane direzioni. Ritengo che questo accada solo quando uno scrittore non conosce abbastanza bene i suoi personaggi. Non riesco a pensare a un libro che sia stato notevolmente più difficile di altri da scrivere. Tutti i miei personaggi soffrono, prima di trovare il lieto fine.

Hai scritto molti splendidi romanzi e certamente ogni lettore avrà il proprio favorito, ma quali sono per te il personaggio e il libro, fra tutti quelli che hai creato, che più ti hanno toccato il cuore?

Amo tutti i miei personaggi, ma dovendo scegliere direi che Reggie Davenport, il protagonista alcolizzato di The Rake è il più vicino al mio cuore.

Sei sempre stata un’avida lettrice e nutri una passione di lunga data per la fantascienza e il fantasy: la serie dei Guardiani è quindi stata l’occasione per sfogare finalmente questo amore o per sperimentare un diverso tipo di libertà narrativa?

Oh, sì! Adoro mischiare elementi fantasy con il romance storico, credo si accordino molto bene. Ma il mercato sembra preferire i romance storici classici, così sono tornata a scriverli.

Parliamo adesso di Magia rubata: il suo eroe, Simon Malmain, aveva già iniziato a rubare la scena in A Kiss of Fate [Un bacio del destino, “I Romanzi” n. 875, (NdR)]…

Che cosa posso dire? Sono una patita degli uomini biondi, graffianti, controllati ma pericolosi. Povero Simon, erano anni che avevo quest’idea per una storia ed è toccato proprio a lui avere a che fare con la magia nera che lo ha trasformato in unicorno… I tre libri della serie dei Guardiani raccontano di ciò che è davvero successo dietro le quinte, affinché la Storia si dirigesse nella direzione verso la quale è effettivamente andata. Naturalmente, le tre trame sono anche costruite intorno a una storia d’amore.

Adesso che con la tua nuova serie Lost Lords sei tornata al romance tradizionale, ti senti contenta, entusiasta o rassegnata?

Mi va bene tornare al romance storico tradizionale, ora che ho avuto tempo di rinnovarmi scrivendo un altro tipo di libri. Ma adoro scrivere fantasy, quindi adesso sono impegnata sia con una trilogia fantasy young adult, cioè per adolescenti, sia con una storica per adulti.

Raccontaci dei tuoi progetti futuri: su cosa stai lavorando ora, per esempio?

Ho appena terminato il primo volume della serie fantasy young adult e ho scritto la sinossi del terzo romanzo della serie Lost Lords. L’eroe è un tipo apparso nel secondo libro Never Less than a Lady, al quale non ho potuto resistere.

Vorresti aggiungere qualcos’altro per i tuoi lettori italiani?

Il mondo sarebbe un posto molto triste senza il cibo italiano, l’arte italiana e soprattutto gli Italiani! Sono felice che così tanti dei miei libri siano stati pubblicati in Italia.

Commenti
  • elena

    Adoro lo stile di quest’autrice. E’ un peccato che solo Incontrarsi e poi… (che è un vero capolavoro) abbia trovato posto nella collana Emozioni. E ancor più un peccato che la serie degli “angeli caduti” in Itlia sia stata pubblicata malamente sia per ordine che per tagli di traduzione. Naturalmente la gestione della redazione era un’altra, ma chiedo, oggi se non si potrebbe far qualcosa per rimediare a tagli disastrosi del passato,almeno per titoli di altissimo valore (tipo lord lucifero)

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